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Cassazione civile sez. II, 20/07/2025, n.20297

Massima

In tema di condominio, le norme di un regolamento di natura contrattuale possono legittimamente derogare alla disciplina legale sull’uso della cosa comune, ponendo limiti più rigorosi di quelli previsti dall’art. 1102 c.c. Tale articolo, infatti, non pone una norma inderogabile, consentendo all’autonomia privata di stabilire convenzioni che, nell’interesse comune, impongano restrizioni ai diritti dei singoli condomini sia sulle parti comuni sia su quelle di proprietà esclusiva.

Supporto alla lettura

Condominio

1.La natura giuridica del Condominio.
Quella della natura giuridica del condominio è una questione che ha fatto sorgere numerosi contrasti in dottrina e in giurisprudenza. La giurisprudenza di legittimità si è più volte espressa sostenendo che il condominio non può considerarsi un soggetto giuridico distinto dai singoli condomini che lo compongono. Secondo la giurisprudenza di legittimità, il condominio è un ente di gestione sfornito di personalità distinta da quella dei suoi partecipanti.
In questo contesto dottrina e giurisprudenza hanno elaborato diverse teorie alle volte in contraddittorio tra loro. S’è detto che il condominio è:
a) un ente di gestione sprovvisto di personalità giuridica e autonomia patrimoniale distinta da quella dei suoi partecipanti (Cass n. 7891/2000);
b) un centro d’imputazione d’interessi distinto dai singoli partecipanti (Cass. 19 marzo 2009, n. 6665);
c) una organizzazione pluralistica (Cass. SS.UU. n. 9148/08).
La legge di riforma n. 220/2012 non ha preso posizione sul problema ma, come evidenziato dalle Sezioni unite della Suprema corte nella sentenza n. 19663/2014, ha introdotto una serie di disposizioni che sembrerebbero confermare la tendenza alla progressiva configurabilità “di una sia pur attenuata personalità giuridica”. In merito si rimanda all’ammissione della pignorabilità da parte dei fornitori del conto corrente condominiale, nonostante il nuovo disposto dell’art. 63 disp. att. c.c. sulla responsabilità dei singoli condomini per le obbligazioni comuni. Ma con la sentenza n. 10934/2019, le medesime Sezioni unite hanno escluso che il condominio possa configurarsi come un autonomo soggetto di diritto.
2. Condominio consumatore
È utile ricordare che ai sensi dell’art. 3 del codice del consumo (d.lgs n. 206/2005), consumatore o utente è “la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta” (art. 3 lett. a) Codice del consumo), mentre il professionista è “la persona fisica o giuridica che agisce nell’esercizio della propria attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale, ovvero un suo intermediario” (art. 3 lett. c) Codice del consumo).
L’orientamento che si è finora delineato, sia di merito che di legittimità, ha valorizzato in via pressoché esclusiva l’assunto secondo il quale, essendo il condominio ente di gestione privo di personalità giuridica, «l’amministratore agisce quale mandatario con rappresentanza dei vari condomini, i quali devono essere considerati consumatori in quanto persone fisiche operanti per scopi estranei ad attività imprenditoriale o professionale» (Cassazione, sentenze 10679/2015 e 452/2005). Di recente il tribunale di Milano, con ordinanza sospensiva del giudizio, ha rimesso alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la seguente questione pregiudiziale: “Se la nozione di consumatore quale accolta dalla direttiva 93/13/CEE osti alla qualificazione come consumatore di un soggetto (quale il condominio nell’ordinamento italiano) che non sia riconducibile alla nozione di “persona fisica” e di “persona giuridica”, allorquando tale soggetto concluda un contratto per scopi estranei all’attività professionale e versi in una situazione di inferiorità nei confronti del professionista sia quanto al potere di trattativa, sia quanto al potere di informazione …” (Trib. Milano, ord. 1 aprile 2019).
La corte di Giustizia si è pronunciata affermato che il Condominio è consumatore “L’articolo 1, paragrafo 1, e l’articolo 2, lettera b), della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che non ostano a una giurisprudenza nazionale che interpreti la normativa di recepimento della medesima direttiva nel diritto interno in modo che le norme a tutela dei consumatori che essa contiene siano applicabili anche a un contratto concluso con un professionista da un soggetto giuridico quale il condominio nell’ordinamento italiano, anche se un simile soggetto giuridico non rientra nell’ambito di applicazione della suddetta direttiva” (Corte giustizia UE , 02 aprile 2020, n.329, sez. I).

Ambito oggettivo di applicazione

FATTI DI CAUSA

1. (Omissis 1) e (Omissis 2) erano proprietarie di un immobile sito nel Villaggio (Omissis) nel Comune di B accessibile a piedi e con passaggio anche rotabile attraverso una stradina condominiale denominata (Omissis).

Nel giugno del 1998, l’amministratore della società (Omissis 3) constatò che le odierne intimate avevano realizzato, oltre al cancello già esistente, un ulteriore cancello di accesso al proprio giardino, installato a pochi metri da quello di accesso al proprio immobile.

Sicché (Omissis 3) agì in giudizio per ottenere la condanna di (Omissis 1) e (Omissis 2) alla rimozione del cancello, realizzato a pochi metri dal cancello di accesso al proprio immobile, pregiudicandone l’accesso, compromettendo la possibilità di utilizzazione esclusiva dell’ultimo tratto della stradina, ed incidendo sull’estetica condominiale in violazione dell’art. 1102 c.c. e del regolamento condominiale (in particolare degli artt. 5 e 6 che vietava lo spostamento dei cancelli di accesso rotabile e pedonale).

2. Si costituirono (Omissis 1) e (Omissis 2) contestando, per quel che ancora rileva in questa sede, che tale cancello pregiudicasse i diritti della società attrice, per quanto acclarato in un parallelo giudizio possessorio sempre intentato da (Omissis 3), e chiedendo, stante la realizzazione da parte di (Omissis 3)di un cancello pedonale sul muro condominiale, la rimozione dell’opera realizzata.

In primo grado venne accolta la domanda di (Omissis 3) e la riconvenzionale proposta dall’odierne intimate.

Avverso tale decisione proposero appello (Omissis 1) e (Omissis 2), lamentando che il Tribunale non aveva valutato la fattispecie al suo vaglio considerando la violazione del regolamento condominiale, ed il giudice di merito, nella contumacia di (Omissis 3), in parziale riforma, rigettò la domanda formulata da (Omissis 3).

La Corte di merito escluse il vizio di ultra petizione richiamando al riguardo Cass. n. 10169 del 2015 e Cass. n. 12491 del 2014.

Nel merito si osservò che, sebbene le appellanti avessero realizzato un cancello di accesso alla loro proprietà adiacente la proprietà della parte attrice, vi era stato un uso più intenso della cosa comune che non comportava la realizzazione di alcuna servitù a carico del bene comune, avuto riguardo all’articolo 3 del regolamento condominiale. Pertanto, il cancello doveva considerarsi legittimo.

Secondo la Corte di merito, avrebbero dovuto pertanto dovuto essere rigettate in primo grado entrambe le domande perché entrambe le opere, in realtà, determinavano, esclusivamente, un uso più intenso del bene comune.

Avverso questa sentenza (Omissis 3) propone ricorso affidato ad un motivo. (Omissis 1) e (Omissis 2) sono rimaste intimate.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo di ricorso si denuncia, in particolare, la violazione degli artt. 1102,1120,1138 c.c. in relazione agli artt. 3, 5 e 6 del regolamento condominiale applicabile tra le parti.

Secondo la società ricorrente il giudice non avrebbe considerato che nella specie si era al cospetto di innovazioni regolate dagli artt. 5 e 6 del regolamento che prevedevano non solo il divieto di apportare innovazioni o varianti all’immobile che potessero alterare l’aspetto dell’unità abitativa, l’estetica delle recinzioni ed il decoro architettonico, ma anche il divieto di modificare muretti e recinzioni (da intendersi come modifica di finiture infissi, parti metalliche, aspetto e forma).

Il ricorso è fondato.

La Corte d’Appello, chiamata a verificare la conformità dell’intervento alle disposizioni del regolamento, comprese quelle di cui agli artt. 5 (che vietava anche varianti all’estetica delle recinzioni) e 6 (che vietava anche la modifica ai muretti e alle reti di recinzione), ha però omesso di compiere tale verifica, perché si è limitata ad accertare l’assenza di lesioni al decoro e la conformità ai principi generali sull’uso del bene comune, mentre, diversamente, avrebbe dovuto verificare la natura delle disposizioni violate.

Il problema nella specie non consisteva nel verificare se l’apertura del cancello avesse violato o meno il decoro architettonico e determinato un uso illegittimo del bene comune ma, piuttosto, di individuare la natura delle specifiche prescrizioni regolamentari invocate ed accertare, di conseguenza, se vi fosse stata violazione di tali norme che prevedevano un limite più stringente all’uso della cosa comune.

È noto infatti che l’art. 1102 c.c. nel prescrivere che ciascun partecipante può servirsi della cosa comune purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso, non pone una norma inderogabile. Ne consegue che i suddetti limiti possono essere resi più rigorosi dal regolamento condominiale, o da delibere assembleari adottate con i “quorum” prescritti dalla legge, fermo restando che non è consentita l’introduzione di un divieto di utilizzazione generalizzato delle parti comuni (Cass. 27233/2013).

Trova quindi nella specie applicazione il principio secondo cui le norme di un regolamento di condominio – aventi natura contrattuale, in quanto predisposte dall’unico originario proprietario dell’edificio ed accettate con i singoli atti di acquisto dai condomini, ovvero adottate in sede assembleare con il consenso unanime di tutti i condomini – possono derogare od integrare la disciplina legale, consentendo l’autonomia privata di stipulare convenzioni che pongano nell’interesse comune limitazioni ai diritti ei condomini, sia relativamente alle parti condominiali, sia riguardo al contenuto del diritto dominicale sulle porzioni di loro esclusiva proprietà. Ne consegue che “il regolamento di condominio può legittimamente dare del limite del decoro architettonico una definizione più rigorosa di quella accolta dall’art. 1120 cod. civ., estendendo il divieto di innovazioni sino ad imporre la conservazione degli elementi attinenti alla simmetria, all’estetica, all’aspetto generale dell’edificio, quali esistenti nel momento della sua costruzione od in quello della manifestazione negoziale successiva” (Sez. 2, Sentenza n. 1748 del 24/01/2013; più di recente, v. anche Cass. n. 28908/2023 in motivazione).

Si rende pertanto necessario un nuovo esame sulla scorta dei citati principi.

In conclusione, il ricorso deve essere accolto e la sentenza cassata, con rinvio alla Corte d’Appello di Catanzaro, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la decisione impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Catanzaro, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 10 giugno 2025.

Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2025.

Allegati

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