Con atto di citazione notificato il 12.7.2012 D.C. evocava in giudizio l’Istituto Neurotraumatologico Italiano – I.N.I. S.p.a. dinanzi il Tribunale di Tivoli, invocando l’emissione di sentenza ex art. 2932 c.c., con riduzione del prezzo pattuito, in relazione ad un preliminare di compravendita sottoscritto tra le parti in data (Omissis), avente ad oggetto un immobile sito in (Omissis) e adibito ad attività ricettiva.
Si costituiva la convenuta, resistendo alla domanda ed invocando in via riconvenzionale la risoluzione del contratto per grave inadempimento della promissaria acquirente.
Nel corso del giudizio, l’attrice mutava la propria originaria domanda, da adempimento in forma specifica a risoluzione per inadempimento.
Con sentenza n. 1033/2016, il Tribunale rigettava la domanda principale, dichiarava risolto il contratto preliminare di cui è causa per inadempimento della D., che condannava alle spese del grado ed al risarcimento del danno ex art. 96 c.p.c..
Con la sentenza impugnata, n. 5813/2017, la Corte di Appello di Roma accoglieva in parte il gravame proposto dalla D. avverso la decisione di prima istanza, dichiarando la nullità della pronuncia di risoluzione del contratto, ritenendo che essa fosse stata assunta in violazione dell’art. 112 c.p.c.. La Corte di merito confermava invece, nel resto, la statuizione del Tribunale.
Propone ricorso per la cassazione di detta decisione D.C., affidandosi a quattro motivi.
Resiste con controricorso l’Istituto Neurotraumatologico Italiano – I.N.I. S.p.a..
In prossimità dell’adunanza camerale, ambo le parti hanno depositato memoria.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente qualificato la domanda riconvenzionale di risoluzione del contratto preliminare sottoscritto tra le parti, spiegata da I.N.I. S.p.a. in prime cure, come eccezione riconvenzionale, senza considerare che essa era stata espressamente proposta in termini di domanda, e non di mera eccezione, riconvenzionale. Inoltre, la Corte distrettuale avrebbe omesso di rilevare che I.N.I. S.p.a. aveva invocato la risoluzione di diritto del contratto di cui anzidetto, ex art. 1457 c.c., per decorso del termine essenziale in esso pattuito, e che il Tribunale aveva, invece, dichiarato risolto quel negozio per inadempimento dell’odierna ricorrente, e dunque ex art. 1453 c.c., pronunciando ultra petita. Il giudice del gravame, dunque, avrebbe dovuto rilevare il vizio della decisione di prime cure, che era stato dedotto come motivo di impugnazione, rappresentato dall’inesistenza, agli atti di prime cure, di una domanda di risoluzione per inadempimento del contratto preliminare di cui è causa proposta da I.N.I. S.p.a..
Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia l’errata interpretazione e falsa applicazione degli artt. 1453,1455 e 1457 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perché la Corte di Appello, a fronte del mutamento dell’originaria domanda di esecuzione in forma specifica del preliminare in domanda di risoluzione per inadempimento della società promittente venditrice, avrebbe dovuto limitarsi a verificare la presenza, nell’ambito del negozio di cui anzidetto, di un termine essenziale, e della sua inosservanza da parte di I.N.I. S.p.a., senza procedere ad alcuna valutazione in relazione all’importanza dell’inadempimento. Ad avviso della ricorrente, la Corte distrettuale avrebbe dovuto rilevare che il mancato rispetto del termine del 31.12.2011, previsto per la stipula del contratto definitivo, era imputabile alla parte promittente venditrice, essendo legato al sequestro preventivo dell’immobile emesso dal Tribunale di Tivoli a fronte delle difformità urbanistiche esistenti, e ritenere irrilevanti gli atti e i fatti successivi alla scadenza del termine essenziale di cui anzidetto.
Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta l’omesso esame di fatto decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, perché la Corte territoriale avrebbe dovuto valutare gli effetti della presenza, nel contratto preliminare di cui è causa, di un termine essenziale non osservato dalla società promittente venditrice. Ad avviso della ricorrente, la Corte capitolina avrebbe erroneamente affermato che la D. non aveva proposto domanda di risoluzione per la scadenza del termine essenziale, ma piuttosto azione di adempimento, senza avvedersi che la stessa aveva, nel corso del giudizio di prima istanza, modificato la propria linea difensiva, abbandonando l’iniziale domanda di esecuzione in forma specifica del contratto preliminare ed invocandone, piuttosto, la risoluzione.
La seconda e la terza censura, che meritano di essere esaminate prioritariamente, sono fondate.
La Corte di Appello dà atto che il Tribunale, dopo aver ritenuto legittimo il mutamento della domanda dell’attrice, da adempimento in risoluzione, per mancato rispetto del termine essenziale pattuito per la stipula del contratto definitivo, ne ha esaminato il fondamento, valutando tale domanda unitamente all’eccezione riconvenzionale di inadempimento che era stata proposta dalla parte convenuta (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata). La Corte territoriale ha poi aggiunto che il Tribunale aveva ritenuto il mancato completamento del bene immobile imputabile alla D., e non alla società promittente venditrice, e, pertanto, aveva dichiarato risolto il contratto preliminare per inadempimento della promissaria acquirente (cfr. pag. 5 della sentenza, nella parte iniziale).
La Corte di Appello ha, tuttavia, ritenuto che tale statuizione integrasse una ipotesi di ultrapetizione, poiché I.N.I. S.p.a. non aveva proposto domanda riconvenzionale, ma mera eccezione riconvenzionale, di risoluzione del contratto preliminare: di conseguenza, il primo giudice avrebbe potuto al massimo rigettare la domanda principale di risoluzione proposta dalla D., ma non anche dichiarare risolto il preliminare per inadempimento di quest’ultima (cfr. sempre pag. 5 della sentenza, nella parte finale).
Infine, la Corte capitolina ha affermato che “Non può invece condividersi l’assunto dell’appellante circa la intervenuta risoluzione di diritto del contratto per scadenza del termine essenziale, che avrebbe reso superflua l’indagine sull’importanza dell’inadempimento, determinando l’assorbimento della domanda di risoluzione per inadempimento. Si osserva al riguardo che l’attrice non ha mai fatto valere in giudizio la risoluzione per scadenza del termine essenziale, agendo invece per l’antitetica domanda di adempimento…” (cfr. pag. 6 della sentenza).
Con tali passaggi della motivazione la Corte di Appello è incorsa in diversi errori.
In primo luogo, dopo aver affermato che la D. aveva modificato la sua domanda, da adempimento in forma specifica a risoluzione per decorso del termine essenziale, e che il Tribunale aveva ritenuto legittimo tale mutamento (cfr. pag. 4) è pervenuta all’affermazione dell’esatto contrario, in quanto ha escluso che l’odierna ricorrente avesse mai invocato la risoluzione del contratto per scadenza del termine essenziale (cfr. pag. 6). In tal modo, la Corte di merito è incorsa in un evidente, ed irriducibile, contrasto logico della motivazione, avendo dapprima affermato, e poi negato, la medesima circostanza.
Dalla disamina degli atti di causa, consentita in presenza di deduzione di un error in procedendo, ai fini della cui disamina la Corte di Cassazione è anche giudice del cd. fatto processuale, e della precisa indicazione, da parte della ricorrente, degli elementi individuanti e caratterizzanti il predetto fatto processuale di cui si chiede il riesame e dell’illustrazione della corretta soluzione rispetto a quella erronea praticata dai giudici di merito (cfr. Cass. Cass. Sez. U., Sentenza n. 20181 del 25/07/2019, Rv. 654876; cfr. anche Cass. Sez. 1, Sentenza n. 2771 del 02/02/2017, Rv. 643715 e Cass. Sez. 5, Sentenza n. 1170 del 23/01/2004, Rv. 569603), emerge che la D. aveva richiesto dichiararsi la risoluzione del contratto preliminare di cui è causa a fronte del superamento, per fatto imputabile alla parte promittente venditrice, del termine ab origine previsto per la stipulazione del rogito definitivo di compravendita. La domanda di risoluzione, quindi, è stata correttamente inquadrata dalla Corte di Appello, nella sentenza oggetto di impugnazione, come fondata sul mancato rispetto dello “… obbligo di trasferire l’immobile entro il termine essenziale del 31/12/2011” (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata). Il che evidenzia l’erroneità della successiva affermazione, contenuta a pag. 6 della sentenza della Corte capitolina, secondo cui la D. non avrebbe “… mai fatto valere in giudizio la risoluzione per scadenza del termine essenziale”.
A tale primo errore se ne aggiunge un secondo, incidente sul percorso logico-argomentativo seguito dal giudice di merito. Quest’ultimo, infatti, ha escluso che la D. avesse proposto domanda di risoluzione per scadenza del termine essenziale sulla base del fatto che essa aveva, inizialmente, agito per l’adempimento in forma specifica (cfr. sempre pag. 6), tralasciando in tal modo di considerare che l’originaria domanda era stata modificata, in corso di causa, da adempimento in risoluzione, e che tale modifica era stata ritenuta legittima, sia dal Tribunale, che dalla stessa Corte di seconda istanza.
Anche in questo caso, la verifica degli atti processuali dimostra che la D., dopo aver originariamente concluso, in atto di citazione introduttivo del giudizio di prime cure, per l’esecuzione in forma specifica del contratto preliminare intercorso con I.N.I. S.p.a., aveva poi modificato tale domanda, con la memoria prevista dall’art. 183 c.p.c., comma 6, n. 1, in domanda di risoluzione.
Inoltre, la Corte distrettuale è incorsa in un terzo errore, poiché non ha considerato che la deduzione, da parte di uno dei contraenti, della presenza di un termine essenziale nel contratto tra di essi intercorso, impedisce di procedere all’esame delle rispettive condotte, dovendosi prima verificare se, effettivamente, la pattuizione contempli, o meno, il detto termine essenziale.
Sul punto, va ribadito il principio secondo cui l’inosservanza di un termine previsto nel contratto può costituire inadempimento di non scarsa importanza, ove il ritardo ecceda il limite della ordinaria tolleranza, soltanto dopo che sia stata esclusa la natura essenziale del termine stesso (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2455 del 09/09/1963, Rv. 263779; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 1190 del 14/04/1972, Rv. 357659; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 3928 del 02/12/1974, Rv. 372486; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3635 del 28/06/1979, Rv. 400056; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1200 del 25/02/1982, Rv. 419080; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5858 del 06/11/1982, Rv. 423605; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4535 del 18/05/1987, Rv. 453233; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3688 del 29/03/1995, Rv. 491472; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 10127 del 02/05/2006, Rv. 589459; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4314 del 04/03/2016, Rv. 639412).
Prima, pertanto, occorre stabilire se nel contratto sia previsto un termine e se esso abbia natura essenziale, o meno; e solo laddove ciò sia escluso, può procedersi alla valutazione della rilevanza del mancato rispetto del predetto termine ai fini della verifica della sussistenza, in concreto, di una ipotesi di grave inadempimento imputabile all’una o all’altra delle parti stipulanti.
Ne’ sussiste dubbio sulla differenza tra le due domande, di risoluzione di diritto ex art. 1457 c.c., da un lato, e di risoluzione per inadempimento ex art. 1453 c.c., dall’altro lato. La prima, infatti, è fondata sulla verifica dell’esistenza, nel contratto, di un termine essenziale e del suo mancato rispetto, mentre la seconda implica un apprezzamento complessivo del sinallagma contrattuale, al fine di verificare quale fosse l’intenzione delle parti e quale di esse, con la sua condotta (nel cui ambito rientra anche l’inosservanza di un termine non essenziale), si sia resa responsabile del mancato raggiungimento dello scopo negoziale che era stato originariamente prefisso.
Ciò non significa che il giudice di merito non debba valutare il comportamento dei paciscenti anche nell’ambito dell’accertamento circa l’esistenza di un termine essenziale; ma tale valutazione diverge strutturalmente da quella finalizzata ad accertare la sussistenza di un inadempimento colpevole di non scarsa importanza, ai fini di quanto previsto dall’art. 1453 c.c.. Ai fini dell’art. 1457 c.c., infatti, la condotta delle parti, prima e dopo la conclusione del contratto, va apprezzata in vista della ricostruzione del loro effettivo intento negoziale, per verificare se, nell’ambito di quest’ultimo, un determinato termine abbia, o meno, valore essenziale.
Il profilo della gravità dell’inadempimento non rientra in tale disamina, ma costituisce oggetto della diversa, e logicamente successiva, valutazione che del complessivo comportamento del paciscenti va condotta in riferimento all’art. 1453 c.c.. Quest’ultima disposizione, infatti, consente la risoluzione del contratto per inadempimento soltanto in presenza di un inadempimento di non scarsa importanza che sia imputabile ad una delle parti del negozio, e dunque postula una disamina ad ampio spettro della condotta delle parti, per verificare quale di esse si sia resa responsabile, con le sue scelte, attive od omissive, del fallimento del progetto negoziale ab origine ipotizzato e prefisso.
In tale secondo apprezzamento, va considerato anche l’effetto del superamento di un termine non essenziale, ove il ritardo nell’adempimento ecceda il limite della normale tollerabilità, facendo sì che l’inosservanza dei tempi previsti per l’esecuzione del progetto negoziale, pur non essendo di per sé stessa direttamente rilevante ai fini dell’art. 1457 c.c. – proprio a cagione dell’assenza di termine essenziale per adempiere – trasmodi comunque in inadempimento grave, ai sensi dell’art. 1453 c.c..
Va pertanto ribadito che “Incorre nel vizio di ultrapetizione il giudice del merito il quale, richiesto di una pronunzia di risoluzione contrattuale a norma degli artt. 1453 e 1454 c.c., accolga invece una domanda di risoluzione di diritto per avvenuta scadenza del termine essenziale (ex art. 1457 c.c.) non ritualmente proposta, trattandosi di ipotesi legislative nettamente distinte per requisiti formali e sostanziali” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2850 del 30/10/1973, Rv. 366440).
Nel caso di specie, pertanto, la Corte di Appello ha errato, laddove ha esaminato congiuntamente le due ipotesi, di risoluzione di diritto ex art. 1457 c.c., e di risoluzione per inadempimento ex art. 1453 c.c., peraltro incorrendo nell’irriducibile contrasto logico in precedenza evidenziato.
Il giudice di merito, infatti, una volta verificato che la D. aveva legittimamente modificato la propria iniziale domanda di esecuzione in forma specifica, ex art. 2932 c.c., del contratto preliminare di compravendita del (Omissis), in domanda di risoluzione per decorso del termine essenziale, avrebbe dovuto innanzitutto verificare se, nell’ambito della complessiva economia del rapporto negoziale delineato e progettato dalle parti, il termine previsto dal contratto preliminare di cui anzidetto, per la stipula del rogito definitivo di compravendita, avesse, o meno, natura essenziale. Ove la natura essenziale del predetto termine fosse stata riscontrata, la Corte capitolina avrebbe dovuto valutare se il termine fosse stato posto a vantaggio di una sola delle parti, ovvero di entrambe, e, nel secondo caso, verificare l’imputabilità del suo superamento alla promittente venditrice, ovvero alla promissaria acquirente.
Viceversa, soltanto una volta esclusa la natura essenziale del termine, il giudice di merito avrebbe potuto procedere alla valutazione comparativa dei rispettivi comportamenti delle parti, al fine di verificare la configurabilità, a carico dell’una o dell’altra di esse, di un inadempimento di non grave importanza, idoneo a giustificare la pronuncia di risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 1453 c.c., e la sua imputabilità. Nell’ambito di tale seconda, e successiva, valutazione, la Corte di Appello avrebbe dovuto tener conto anche della mancata osservanza del termine, ancorché ritenuto non essenziale, per verificare se il ritardo nell’adempimento avesse, o meno, ecceduto il limite dell’ordinaria tollerabilità.
Da quanto precede deriva l’accoglimento della seconda e terza censura. Il giudice del rinvio, nel riesaminare la fattispecie, dovrà attenersi alla successione logica descritta, e dunque verificare:
1) innanzitutto, se il termine previsto dal contratto preliminare per la stipulazione del rogito di compravendita abbia, o meno, natura essenziale, valutando la condotta delle parti ai limitati fini della ricostruzione della natura del termine stesso;
2) in secondo luogo, se esso sia stato posto a vantaggio di entrambe le parti, o di una sola di esse, valutando, nel primo caso, la condotta delle parti per apprezzare l’imputabilità, all’una o all’altra di esse, del superamento del termine di cui si discute;
3) in terzo luogo, ove il termine sia ritenuto non essenziale, procedere al complessivo scrutinio del comportamento osservato dalle parti, prima e dopo la conclusione del contratto preliminare di cui è causa, ai fini della verifica della sussistenza, in concreto, di una ipotesi di inadempimento di non scarsa importanza e della sua imputabilità alle scelte comportamentali, attive od omissive, assunte da ciascuno dei paciscenti.
L’accoglimento, nei termini indicati, del secondo e terzo motivo implica l’inammissibilità del primo. Non si ravvisa, infatti, alcun interesse concreto, in capo alla D., ad impugnare il capo della decisione di seconda istanza relativo alla qualificazione, in termini di domanda, o di eccezione, riconvenzionale, della richiesta di risoluzione del contratto preliminare oggetto di causa proposta in prime cure da I.N.I. S.p.a.. Una volta accertato, infatti, che l’odierna ricorrente aveva trasformato la sua originaria domanda di esecuzione in forma specifica in domanda di risoluzione per scadenza del termine essenziale, la Corte distrettuale era tenuta a seguire i passaggi logici già evidenziati, affrontando prima la questione relativa alla natura, essenziale o meno, del termine di cui anzidetto, e procedendo poi, soltanto una volta esclusa l’essenzialità dello stesso, alla valutazione della complessiva condotta delle parti, ai fini della verifica della sussistenza, in concreto, di un inadempimento imputabile idoneo a giustificare la risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 1453 c.c.. Nell’ambito di tale seconda, e logicamente successiva, verifica, non assume rilievo concreto la natura, di eccezione o domanda riconvenzionale, della richiesta di risoluzione per inadempimento proposta dalla difesa di I.N.I. S.p.a., dovendosi comunque procedere alla disamina del comportamento in concreto osservato dai paciscenti.
Con il quarto ed ultimo motivo, la ricorrente lamenta l’errata applicazione e falsa interpretazione dell’art. 96 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perché la Corte di Appello avrebbe errato nel confermare la condanna della D. per responsabilità aggravata, pur avendo accolto, sia pure in parte, il gravame da essa interposto avverso la decisione di prime cure.
La censura è assorbita dall’accoglimento dei motivi secondo e terzo. Il giudice del rinvio dovrà infatti procedere ad un complessivo riesame della fattispecie, all’esito del quale regolerà le spese di lite in relazione all’esito complessivo della stessa, verificando se, nella condotta delle parti, sia configurabile una delle ipotesi previste dall’art. 96 c.p.c..
In definitiva, il primo motivo del ricorso va dichiarato inammissibile; il secondo ed il terzo vanno accolti, nei termini di cui in motivazione; il quarto va infine dichiarato assorbito. La sentenza impugnata va di conseguenza cassata, nei limiti delle censure accolte, e la causa rinviata, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Roma, in differente composizione.
P.Q.M.
la Corte dichiara inammissibile il primo motivo del ricorso, accoglie il secondo ed il terzo, nei termini di cui in motivazione, e dichiara assorbito il quarto. Cassa la sentenza impugnata, nei limiti delle censure accolte, e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Roma, in differente composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 7 dicembre 2022.
Depositato in Cancelleria il 20 aprile 2023
