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Cassazione civile sez. II, 20/03/2024, n. 7448

Massima

In tema di opposizione ad ordinanza ingiunzione per l’irrogazione di sanzioni amministrative, i vizi di motivazione in ordine alle difese presentate dall’interessato in sede amministrativa non comportano la nullità del provvedimento, e quindi l’insussistenza del diritto di credito derivante dalla violazione commessa, in quanto il giudizio di opposizione non ha ad oggetto l’atto ma il rapporto, con conseguente cognizione piena del giudice, che potrà (e dovrà) valutare le deduzioni difensive proposte in sede amministrativa (eventualmente non esaminate o non motivatamente respinte), in quanto riproposte nei motivi di opposizione, decidendo su di esse con pienezza di poteri, sia che le stesse investano questioni di diritto che di fatto (fattispecie in caso di sanzione amministrativa per violazione dell’art. 1-bis, comma 2, d.lgs. n. 66 del 1948, per avere ostacolato la libera circolazione veicolare al fine di impedire il transito di autoveicoli adibiti al trasporto di quarantadue alberi di ulivo precedentemente espiantati).

NDR: in argomento Cass. 12503/2018, Cass. SU 1786/2010 e  Cass. 4521/2022.

Supporto alla lettura

OPPOSIZIONE A ORDINANZA-INGIUNZIONE

L’ordinanza–ingiunzione è un atto della pubblica amministrazione con il quale si notifica al soggetto il tipo di violazione e l’ammontare di una sanzione pecuniaria per la stessa prevista.

Questa fase è successiva al decorso del termine per il pagamento in misura ridotta possibile nel termine indicato nel verbale di accertamento dell’infrazione (“multa”).

Il termine per l’opposizione è di 30 giorni dalla notificazione dell’ordinanza–ingiunzione (60 giorni se l’ interessato risiede all’estero).

Ambito oggettivo di applicazione

…omissis…

La Prefettura di Lecce ha irrogato una sanzione amministrativa dell’importo di euro 3.444 nei confronti di –.

Al trasgressore è stata contestata la violazione dell’art. 1-bis, comma 2 del D.Lgs. n. 66 del 1948, per avere, nella notte del 4 luglio 2017, ostacolato in concorso con altre persone la libera circolazione veicolare al fine di impedire il transito di autoveicoli adibiti al trasporto di quarantadue alberi di ulivo precedentemente espiantati dal cantiere omissis.

— ha impugnato davanti al Giudice di pace di Lecce l’ordinanza-ingiunzione e il ricorso è stato accolto dal Giudice di pace, che ha annullato la medesima ordinanza, ritenendo che il momentaneo ostacolo alla circolazione stradale non fosse il fine specifico cui era indirizzata l’attività dei manifestanti e che il c.d. blocco stradale fosse comunque stato posto in essere per un breve lasso di tempo.

La sentenza è stata appellata dalla Prefettura di Lecce. Il Tribunale di Lecce con la sentenza n. 3558/2019 ha accolto l’appello: ha anzitutto stabilito che la documentazione depositata dall’appellante poteva essere utilizzata ai fini della decisione della controversia, dovendosi escludere la natura perentoria del termine di cui al comma 8 dell’art. 6 del D.Lgs. 150 del 2011; ha poi ritenuto insussistente l’eccepita inammissibilità dei nova in appello dato che la Prefettura aveva preso posizione su questioni giuridiche e non su fatti; ha poi ritenuto infondato il motivo attinente alla mancata contestazione immediata, in quanto ragioni di ordine pubblico legate alla necessità di evitare potenziali disordini hanno consentito l’accertamento dei destinatari della sanzione in un momento successivo, ma sempre nel rispetto del termine di giorni novanta; ha ancora ritenuto irrilevante il dedotto travisamento del contenuto delle memorie depositate dal ricorrente ai sensi dell’art. 18 della legge n. 689 del 1981 in quanto “il diritto di difesa non è leso se le argomentazioni del privato non sono state adeguatamente considerate dall’amministrazione, ben potendo essere riproposte in sede giurisdizionale”; ha reputato infondata la dedotta inesistenza del verbale di accertamento per difetto di sottoscrizione del dirigente comandante e del responsabile del procedimento, dato che il verbale di accertamento è stato sottoscritto con firma autografa del verbalizzante; quanto alla dedotta nullità dell’ordinanza-ingiunzione sottoscritta dal viceprefetto senza delega, ha ritenuto che l’opponente fosse onerato della prova della carenza di potere da parte del delegato, onere che avrebbe potuto assolvere mediante specifica richiesta rivolta all’amministrazione di fornire prova del conferimento del potere in capo al sottoscrittore; sul merito della violazione contestata, il Tribunale – riconosciuto che in sede amministrativa e nel successivo ricorso giurisdizionale il ricorrente non solo aveva dedotto di non avere commesso la condotta, ma aveva anche negato la sussistenza dell’elemento soggettivo – ha ritenuto sufficiente a integrare l’elemento soggettivo lo scopo, emerso dalla documentazione in atti, di rendere difficoltoso il transito dei mezzi che trasferivano gli ulivi, specificando che la libera circolazione “va intesa non dal punto di vista quantitativo, ovvero come illimitata nell’accesso, ma dal punto di vista qualitativo ovvero esente da impedimenti nello svolgimento”.

Avverso la sentenza — ricorre per cassazione.

Resiste con controricorso la Prefettura – Ufficio territoriale del Governo di Lecce.

Il ricorso è articolato in otto motivi.

Il primo motivo contesta “violazione degli artt. 132, comma 2, n. 4 c.p.c. e 111, comma 6, Cost. per omessa ovvero apparente motivazione o motivazione ridotta a formula di stile”: la sentenza impugnata ha riformato la sentenza di primo grado ribaltandola, dichiarando di non condividere la ricostruzione offerta dal ricorrente, in quanto dalla documentazione in atti risulterebbe che lo scopo perseguito dalla parte è stato quello di rendere difficoltoso il transito dei mezzi che avrebbero dovuto garantire il trasferimento degli ulivi, senza specificare né richiamare gli atti a cui fa riferimento, rendendo del tutto impossibile la verifica del procedimento logico seguito dall’organo giudicante; la condotta specifica del ricorrente non viene mai descritta, né si può evincere in base alla documentazione in atti, l’unico elemento specifico cui il Tribunale sembra rinviare è quanto trascritto in un verbale di polizia a seguito della visione di un video, elemento certamente non idoneo a giustificare e motivare un giudizio di riforma di una sentenza.

Il motivo non può essere accolto.

A seguito della riforma dell’art. 360, n. 5 c.p.c., posta in essere dal d.l. n. 83/2012, il controllo della Corte di cassazione sulla motivazione del giudice di merito è limitato al c.d. minimo costituzionale di cui all’art. 111, comma 6, che le sezioni unite di questa Corte hanno individuato nella mancanza assoluta della motivazione ovvero nella motivazione apparente o che presenta contraddizioni irriducibili (v. la pronuncia n. 8038/2018 delle sezioni unite di questa Corte), ipotesi non ravvisabili nel caso in esame, ove il Tribunale ha argomentato l’accoglimento dell’appello con motivazione certamente sufficiente (v. le pagg. 3-8 della sentenza impugnata).

Il secondo motivo contesta “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2700 c.c., in relazione al verbale redatto dai pubblici ufficiali a seguito della visione di un video effettuato dalla polizia scientifica”: secondo quanto affermato nella sentenza impugnata quanto accertato dagli “operanti” documenterebbe con efficacia privilegiata la sussistenza della condotta contravvenzionale e del dolo specifico richiesto per qualificare la fattispecie, ma gli atti redatti dal pubblico ufficiale sono dotati di pubblica fede solo con riguardo ai fatti attestati come avvenuti in sua presenza; nel caso in esame non vi è stato alcun accertamento diretto e immediato dei fatti in loco da parte degli agenti e la valutazione posta in essere riguarda in maniera evidente una situazione dinamica e repentina e si inserisce nella sfera della valutazione e di apprezzamento soggettivo e personale, soprattutto con riferimento alla presunta intenzione attribuita a una molteplicità di persone di bloccare il traffico veicolare.

Il motivo non può essere accolto. A prescindere dall’efficacia di prova legale del verbale di accertamento, il giudice di merito ha ritenuto provata la condotta (circa l’elemento soggettivo della medesima v. infra), sulla base di quanto documentato da una registrazione video effettuata dalla polizia, né rispetto alle risultanze di tale registrazione il ricorrente fornisce prova contraria, limitandosi a sottolineare la dinamicità della situazione.

Il terzo motivo contesta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3 della legge n. 689 del 1981, in quanto la pronuncia si fonda essenzialmente sulla riconduzione al ricorrente di una condotta indefinita e attribuita indistintamente a una molteplicità di persone, ma la specifica condotta riferibile personalmente al ricorrente non viene mai descritta o evidenziata; il citato art. 3 prescrive invece che nelle violazioni cui è applicabile una sanzione amministrativa ciascuno è responsabile della propria azione od omissione cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa.

Il motivo non può essere accolto. Il giudice di merito – con accertamento in fatto ad esso spettante – sottolinea infatti come dalle videoriprese sia risultato che il ricorrente “ingombrava ripetutamente con la propria presenza fisica i suindicati tratti stradali, impedendo, ostacolando la libera circolazione veicolare”, individuando pertanto la condotta del medesimo.

Il quarto motivo contesta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 14 della legge n. 689 del 1981, in relazione alla affermata irrilevanza della mancata contestazione immediata della violazione al ricorrente: tanto il verbale di accertamento quanto l’ordinanza-ingiunzione non indicavano quali fossero le ragioni di sicurezza e di ordine pubblico che avevano reso impossibile la contestazione immediata dell’illecito commesso.

Il motivo non può essere accolto. Il richiamato art. 14 prevede che la contestazione avvenga immediatamente “quando è possibile”, specificando che deve comunque avvenire nel termine di novanta giorni dall’accertamento. Nel caso in esame il ricorrente non obietta la tardività della contestazione, ma la mancata immediatezza della medesima, situazione espressamente consentita dalla disposizione.

Il quinto motivo contesta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1-bis della legge n. 66 del 1948 e dell’art. 4 della legge n. 689 del 1981: non è stata provata la sussistenza del dolo specifico necessario a qualificare la fattispecie, in quanto la sentenza si limita ad affermare che dalla documentazione in atti risulterebbe lo scopo perseguito, ma non indica da quali elementi possa evincersi la sussistenza dell’intenzionalità della condotta.

In base all’orientamento risalente di questa Corte, “il principio posto dall’art. 3 della legge 24 novembre 1981 n. 689, secondo cui per le violazioni colpite da sanzione amministrativa è richiesta la coscienza e volontà della condotta attiva o omissiva sia essa dolosa o colposa, deve essere inteso nel senso della sufficienza dei suddetti estremi, senza che occorra la concreta dimostrazione del dolo o della colpa, atteso che la norma pone una presunzione di colpa in ordine al fatto vietato a carico di colui che lo abbia commesso, riservando poi a questi l’onere di provare di aver agito senza colpa” (così Cass. n. 1142/1999; da ultimo si veda Cass. n. 24386/2023, per la quale “l’art. 3 della legge n. 689 del 1981 pone una presunzione di colpa a carico dell’autore del fatto vietato, riservando a questi l’onere di provare di avere agito senza colpa”).

Non era quindi la Prefettura di Lecce a dovere provare il dolo o la colpa del ricorrente, ma era quest’ultimo che doveva dimostrare di avere agito senza dolo o colpa.

Il sesto e settimo motivo sono tra loro strettamene connessi: il sesto motivo fa valere violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990, in relazione al mancato riscontro del contenuto delle memorie di cui all’art. 18 della legge n. 689 del 1981; il settimo motivo fa valere violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990 in relazione all’utilizzo della motivazione per relazione: il prefetto faceva riferimento a un altro atto, il rapporto controdeduttivo della Questura di Lecce, mai portato a conoscenza del ricorrente nella fase amministrativa, nonché a circostanze e fatti mai riportati e sostenuti dal ricorrente; non è sufficiente un mero richiamo a un altro atto perché il destinatario del provvedimento deve essere sempre in grado di controllare e verificare tutta la documentazione su cui si fonda la contestazione.

I motivi non possono essere accolti. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, “in tema di opposizione ad ordinanza ingiunzione per l’irrogazione di sanzioni amministrative, i vizi di motivazione in ordine alle difese presentate dall’interessato in sede amministrativa non comportano la nullità del provvedimento, e quindi l’insussistenza del diritto di credito derivante dalla violazione commessa, in quanto il giudizio di opposizione non ha ad oggetto l’atto ma il rapporto, con conseguente cognizione piena del giudice, che potrà (e dovrà) valutare le deduzioni difensive proposte in sede amministrativa (eventualmente non esaminate o non motivatamente respinte), in quanto riproposte nei motivi di opposizione, decidendo su di esse con pienezza di poteri, sia che le stesse investano questioni di diritto che di fatto” (così Cass. n. 12503/2018, si veda al riguardo la pronuncia delle sezioni unite n. 1786/2010; per precisazioni circa la specifica materia delle sanzioni amministrative previste dal D.Lgs. n. 58 del 1998, T.U.F., cfr Cass. n. 4521/2022).

L’ottavo motivo fa valere violazione e/o falsa applicazione degli artt. 345 e 437 c.p.c., in relazione alla parte della sentenza impugnata che ha disatteso le eccezioni di inammissibilità fatte valere in relazione alle censure per la prima volta proposte in sede di appello dalla Prefettura.

Il motivo non può essere accolto. Il Tribunale ha nella sentenza impugnata (v. la pag. 4 del provvedimento) sottolineato come la Prefettura nei motivi d’appello non avesse introdotto nuovi fatti, ma si fosse limitata a prendere posizione su questioni giuridiche che comunque dovevano “essere oggetto di valutazione da parte del giudicante”. Il ricorrente obietta che “l’eccezione proposta dalla Prefettura non si limitava affatto alla proposizione di mere questioni giuridiche, ma era chiaramente tesa a stimolare una nuova valutazione dei fatti” e al riguardo menziona “il riferimento alla sussistenza del dolo specifico” e “all’eccepita esclusione della responsabilità per assenza del dolo specifico”. Circa questi rilievi è sufficiente dire che il profilo del dolo specifico (su cui v. le precisazioni sub 5) non era profilo nuovo, ma era già stato considerato dal giudice di primo grado (v. l’estratto della pronuncia del Giudice di pace riportata alla pag. 3 del ricorso) e che chiedere al giudice d’appello una diversa valutazione dei fatti, o meglio della loro dimostrazione, è cosa diversa dalla allegazione di fatti nuovi.

Il ricorso va pertanto rigettato.

Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115/ 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore dello Stato, che liquida in euro 1.700 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito. Sussistono, ex art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115/2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

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