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Cassazione civile sez. II, 19/11/2020, n. 26358

Massima

Nell’ambito del procedimento speciale per la liquidazione del compenso al consulente tecnico d’ufficio, ai sensi dell’art. 170 D.P.R. n. 115 del 2002 (ora art. 15 D.Lgs. n. 150 del 2011), rientra nella cognizione del Giudice la valutazione circa la corretta qualificazione giuridica del provvedimento di rimozione del consulente, anche se formalmente denominato “ricusazione”, laddove questo sia stato adottato successivamente all’avvio dell’attività peritale e, quindi, oltre i termini perentori stabiliti dall’art. 192 c.p.c. per la proposizione dell’istanza di ricusazione.

Supporto alla lettura

RICUSAZIONE

La ricusazione è un meccanismo attraverso il quale una delle parti coinvolte in un processo può chiedere che il giudice al quale è affidato il processo venga sostituito da un altro giudice; può essere richiesta quando ci sia fondato motivo di dubitare dell’imparzialità del giudice. La legge stabilisce quali sono gli esatti motivi per cui si può chiedere la ricusazione nei processi penali, civili ed amministrativi, inoltre definisce anche le diverse modalità per richiedere la ricusazione del giudice.

La ricusazione può essere richiesta nelle ipotesi indicate dall’art. 51 c.p.c., ove il giudice avrebbe obbligo di astenersi e non vi provvede, ovvero:

  • se ha interesse nella causa o in altra vertente su identica questione di diritto;
  • se egli stesso o la moglie è parente fino al quarto grado o legato da vincoli di affiliazione, o è convivente o commensale abituale di una delle parti o di alcuno dei difensori;
  • se egli stesso o la moglie ha causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito con una delle parti o alcuno dei suoi difensori;
  • se ha dato consiglio o prestato patrocinio nella causa, o ha deposto in essa come testimone, oppure ne ha conosciuto come magistrato in altro grado del processo o come arbitro o vi ha prestato assistenza come consulente tecnico;
  • se è tutore, curatore, amministratore di sostegno, procuratore, agente o da- tore di lavoro di una delle parti; se, inoltre, è amministratore o gerente di un ente, di un’associazione anche non riconosciuta, di un comitato, di una società o stabilimento che ha interesse nella causa.

In ogni altro caso in cui esistono gravi ragioni di convenienza, il giudice può richiedere al capo dell’ufficio l’autorizzazione ad astenersi; quando l’astensione riguarda il capo dell’ufficio, l’autorizzazione è chiesta al capo dell’ufficio superiore.

La ricusazione del giudice si propone mediante ricorso, contenente i motivi specifici e i mezzi di prova. Il ricorso, sottoscritto dalla parte o dal difensore, deve essere depositato in cancelleria 2 giorni prima dell’udienza, se il ricusante conosce il nome dei giudici che sono chiamati a trattare o decidere la causa, e prima dell’inizio della trattazione o discussione della causa nel caso contrario.

Il provvedimento con cui il giudice decide sulla ricusazione assume la forma dell’ordinanza e, se l’accoglie, deve contenere l’indicazione nominale del giudice che sostituisce il ricusato. L’art. 54 c.p.c. impone alla cancelleria l’obbligo di dare notizia dell’ordinanza che decide sulla ricusazione al giudice ed alle parti, e ciò per porre queste ultime nella condizione di provvedere alla riassunzione della causa entro il termine di 6 mesi.

Come stabilito dall’art. 61, c. 2, c.p.c., il giudice può farsi assistere da un consulente tecnico d’ufficio (CTU) considerato ausiliario consulente del giudice, quando vengono formulate domande di natura tecnica. In tal caso il giudice è obbligato a nominare come CTU un professionista iscritto all’albo del tribunale. Se il CTU accetta l’incarico deve prestare giuramento in un’apposita udienza.

Ricevuta la nomina, il consulente può rifiutarsi o astenersi. Secondo quanto disposto dall’art. 89 disp. att. c.p.c., l’istanza di astensione va proposta con ricorso, e dunque in forma scritta; tuttavia, si ritiene anche consentita una sua proposizione in forma orale, potendo essere raccolta in un processo verbale redatto dal cancelliere del giudice competente.

Altro strumento per mezzo del quale si intende garantire l’imparzialità del CTU è la possibilità, riconosciuta a ciascuna delle parti, di sollevare istanza di ricusazione.

Per quanto concerne i possibili motivi di ricusazione, occorre richiamare la norma che disciplina i casi di astensione del giudice, ossia l’art. 51 del c.p.c..

L’istanza di ricusazione deve essere depositata presso la cancelleria del giudice che ha provveduto alla nomina, almeno tre giorni prima dell’udienza fissata per la comparizione del CTU. In caso di mancata proposizione dell’istanza di ricusazione del consulente tecnico d’ufficio entro il termine previsto dall’art. 192, deve intendersi preclusa definitivamente la possibilità di far valere in un momento successivo la situazione di incompatibilità, con la conseguenza che la consulenza rimarrà ritualmente acquisita agli atti del processo.

Ambito oggettivo di applicazione

Svolgimento del processo

L’ing. Dott. (omissis) ebbe ad espletare l’attività di consulente tecnico d’ufficio nell’ambito di un procedimento civile tra (omissis) ed altri contro la spa Dalmine in essere avanti il Tribunale di Bergamo.

Ad esito dell’incarico affidato, il consulente ebbe a richiedere la liquidazione del suo compenso ed il rimborso delle spese, ma il Giudice del giudizio di merito riconobbe solamente le spese, rigettando la liquidazione del compenso poichè il consulente rimosso dall’incarico per ricusazione.

L’ing. Dott. (omissis) propose opposizione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 170, ed il Tribunale di Bergamo rigettò la sua impugnazione, osservando come l’argomentazione critica svolta si fondasse principalmente sulla contestazione del provvedimento che accoglieva l’istanza di ricusazione del consulente, questione che esulava dall’ambito previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002art. 170 e come nulla poteva esser riconosciuto a titolo di esborso per l’opera del coadiutore, posto che proprio la condotta di detto professionista era stata la ragione posta alla base del provvedimento di ricusazione.

Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione l’ing. Dott. (omissis) articolando due motivi.

La spa Dalmine s’è costituita ritualmente a resistere con controricorso, mentre (omissis) ed altri sono rimasti intimati.

All’odierna udienza pubblica, sentite le conclusioni del (omissis) – rigetto – e dei difensori delle parti costituite, questa Corte ha adottato soluzione siccome illustrato nella presente sentenza.

Motivi della decisione

Il ricorso proposto dal (omissis) risulta fondato e va accolto.

Con il primo mezzo d’impugnazione sviluppato, il ricorrente denunzia violazione delle regole di diritto portate nel D.P.R. n. 115 del 2002artt. 5152 e 53, in relazione alle norme ex art. 192 c.p.c., u.c. e art. 196 c.p.c., in quanto il Giudice orobico ha ritenuto erroneamente esulasse dall’ambito della sua cognizione la questione – fondante il diniego del compenso – afferente all’illegittimità del provvedimento di sua ricusazione – non altrimenti impugnabile da parte del consulente – adottato contrariamente alle modalità prescritte dal codice di rito.

La censura svolta coglie nel segno in quanto l’ambito della cognizione riservata al Giudice, individuato dal D.P.R. n. 115 del 2002art. 170, è correlato alla liquidazione del compenso compresa l’ipotesi di denegato riconoscimento dello stesso, salvo che sia stata dichiarata nullità della consulenza da parte del Giudice del merito della controversia – Cass. sez. 2 n. 5200/17 -.

In tal ultima ipotesi la certa inutilità nell’ambito del giudizio di merito dell’attività espletata dal consulente tecnico – Cass. sez. 2 n. 234/11Cass. sez. 2 n. 7632/06 -, a seguito della declaratoria di nullità della consulenza, comporta la non liquidazione di alcun compenso da parte del Giudice che ebbe ad incaricare il professionista.

Nella specie, tuttavia la conseguenza della non utilizzabilità dell’opera espletata dal Dott. ing. (omissis) consegue all’accoglimento dell’istanza di ricusazione, siccome precisa nel provvedimento impugnato il Giudice orobico.

Ma è insegnamento di questa Corte – Cass. sez. 2 n. 28103/18 – cui questo Collegio intende dar conferma, che la questione afferente l’emissione di un provvedimento di ricusazione quando già avviata l’attività del consulente, ossia fuori dai termini perentori ex art. 192 c.p.c. – Cass. sez. 1 n. 3657/98 Cass. sez. 2 n. 8184/02 -, è pertinente proprio al procedimento speciale di liquidazione del compenso nei limiti dell’opera effettivamente prestata – arg. ex art. 2237 c.c., comma 1.

Difatti la disciplina processuale civile non conosce l’autonoma categoria dell’inutilizzabilità di dati probatori – siccome invece la disciplina del processo penale ex art. 191 c.p.p. -, bensì della nullità con conseguente esclusione di ogni valenza processuale dell’atto viziato.

Ma la regolamentazione codicistica della ricusazione del consulente non prevede alcuna nullità dell’opera da questi prestata, posto che la ricusazione è possibile esclusivamente entro il termine ex art. 192 c.p.c., ossia prima dell’affido incarico con conseguente impossibilità fattuale di esecuzione d’opera professionale da parte dell’ausiliario.

Dunque all’adozione di un provvedimento di ricusazione del consulente tecnico, assunto fuori dal termine prescritto, non consegue alcuna nullità positivamente prevista poichè emanato in contrasto con le disposizioni della legge processuale. Come insegna l’arresto del 2018, cui s’intende dar continuità, è possibile al Giudice del procedimento speciale, D.P.R. n. 150 del 2011, ex art. 15, giuridicamente inquadrare più correttamente il provvedimento di rimozione del consulente, adottato dal Giudice della lite nel cui ambito era espletata la consulenza, una volta accertato che il provvedimento di ricusazione risulta emesso al di fuori dei casi di legge.

Successivamente all’avvio dell’attività d’indagine peritale – come insegna costantemente questo Supremo Collegio – la parte interessata, anche se venuta tardivamente a conoscenza di causa di ricusazione, può solo sollecitare il Giudice ad avvalersi della facoltà di sostituzione a sensi dell’art. 196 c.p.c..

Dunque una volta correttamente qualificato il provvedimento di rimozione del consulente, adottato successivamente al termine stabilito dall’art. 192 c.p.c., lo stesso non può che esser ricondotto allo schema ex art. 196 c.p.c., cui non consegue alcuna nullità dell’attività svolta dall’ausiliario.

Quindi non v’è ragione acchè la questione circa la regolarità della ricusazione – motivo direttamente incidente sul diritto alla liquidazione del compenso nell’ambito del procedimento speciale -, sotto il profilo della corretta qualificazione del provvedimento di rimozione adottato, non possa esser esaminata dal Giudice adito D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 170, siccome nella specie rettamente richiesto dal ricorrente e negato dal Giudice orobico.

Peraltro questo Supremo Collegio già reputa possibile che il consulente tecnico, quando non soddisfatto del suo compenso con decreto adottato nel corso del procedimento in cui svolse la sua opera, proponga domanda in sede ordinaria – Cass. sez. 2 n. 20478/17Cass. sez. 3 n. 18204/08 – mediante azione fondata sul diritto del professionista al compenso nei riguardi delle parti, che ebbero a godere della sua opera, nella quale inevitabilmente sarà oggetto di discussione la legittimità della ragione fondante il rifiuto del Giudice di riconoscere il compenso. Appare soluzione maggiormente in linea con l’esigenza di evitare una superfetazione di procedure giudiziarie consentire già in sede di procedimento D.P.R. n. 150 del 2011, ex art. 15, l’esame della questione afferente il provvedimento di ricusazione tardivamente adottato, che si risolve – come visto – nel suo corretto inquadramento giuridico ai soli fini della liquidazione del compenso al consulente senza effetto riflesso alcuno sulla causa, nel cui ambito detto provvedimento fu adottato.

Pertanto, nella specie, posto che è dato pacifico che l’istanza di ricusazione venne proposta dopo che il consulente aveva da tempo avviato la sua attività, risulta errata la conclusione del Tribunale che la questione dell’esatto inquadramento giuridico del formale provvedimento di ricusazione adottato non rientra nell’ambito della sua cognizione.

Con la seconda ragione di doglianza il (omissis) lamenta violazione della disposizione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 56, comma 3, in relazione agli artt. 192 e 196 c.p.c., poichè negatogli anche il diritto al rimborso degli esborsi conseguiti per noleggiare dal suo collaboratore, ritualmente autorizzato dal Giudice del procedimento di merito, gli apparati necessari all’espletamento dell’opera professionale commessa sull’osservazione che proprio l’ausiliario era stato la ragione della ricusazione.

La censura risulta fondata una volta ritenuto che era compito del Giudice del procedimento speciale comunque rettamente qualificare il provvedimento, denominato formalmente, di ricusazione, posto che il Giudice orobico ha fondato la sua statuizione di rigetto proprio sull’osservazione che proprio condotta del collaboratore era stata la ragione fondante della ricusazione accolta.

L’ordinanza impugnata va quindi cassata e la causa rimessa al Tribunale di Bergamo che, in persona di altro Magistrato, provvederà a nuovo esame della richiesta di pagamento del compenso dovutogli, per l’attività concretamente svolta, formulata dall’ing. Dott. (omissis) secondo la regola di diritto dianzi enunciata.

Il Giudice del rinvio provvederà anche a disciplinare le spese di lite per questo giudizio di legittimità, ex art. 385 c.p.c., comma 3.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Bergamo, in persona di altro Magistrato, che anche provvederà a regolare le spese di questo giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 24 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2020

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