Il giudizio si svolse nel contraddittorio con (omissis), che si costituirono per resistere alla domanda.
La Corte d’Appello di Caltanissetta, per quel che rileva in questa sede, accolse per quanto di ragione la domanda di (omissis) e condannò i promissari acquirenti al pagamento del prezzo, con gli interessi decorrenti dal 16.9.2010, data in cui la promittente venditrice avrebbe comunicato ai promissari acquirenti la propria disponibilità a procedere al rogito; rigettò, invece, la domanda di risarcimento del danno derivante dal mancato impiego della somma che avrebbe ricavato dall’acquisto per carenza di prova.
(omissis) ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello sulla base di due motivi.
(omissis) hanno resistito con controricorso.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ.
In prossimità della camera di consiglio, le parti hanno depositato memorie illustrative.
Nell’esposizione del motivo, infatti, la ricorrente lamenta l’erronea decorrenza degli interessi, indicando, peraltro, le norme che si assumono violate.
L’orientamento di questa Corte è consolidato nel ritenere che il ricorso per cassazione, pur dovendo essere articolato in specifiche censure riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad uno dei cinque motivi di impugnazione previsti dall’art. 360, comma 1 c.p.c., non richiede la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione della norma violata purché le censure individuino con chiarezza i vizi prospettati (Cassazione civile sez. un., 08/11/2021, n. 32415).
Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. artt. 1219 c.c. e 1282 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per avere la Corte d’Appello stabilito la decorrenza degli interessi dal 16.9.2010, data in cui la promittente venditrice aveva comunicato ai promissari acquirenti la propria disponibilità a procedere al rogito e non alla scadenza del termine per concludere il contratto definitivo. La ricorrente richiama la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, in tema di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il contratto definitivo, la condanna al pagamento del prezzo si configura come un’azione di condanna ad ottenere l’adempimento di un’obbligazione avente ad oggetto una somma di denaro, con la conseguenza che gli interessi decorrerebbero dalla data in cui il credito era divenuto liquido ed esigibile.
Il motivo è infondato.
La Corte d’Appello ha correttamente riconosciuto la corresponsione degli interessi, ai sensi dell’art. 1282 c.c., con decorrenza dal momento in cui il credito è divenuto esigibile, con decorrenza dal momento in cui la promittente venditrice aveva comunicato la disponibilità di procedere al rogito, indicando il nome del notaio.
Solo in tale data, la venditrice ha manifestato la volontà di trasferire il bene oggetto del preliminare, a nulla rilevando la scadenza stabilita dal preliminare in presenza di un diverso accordo tra le parti.
Non è, pertanto, ravvisabile la violazione o falsa applicazione dell’art. 1218 c.c., avendo la Corte di merito qualificato gli interessi dovuti alla promittente venditrice come interessi compensativi, i quali sono dovuti sulla base del principio della naturale fecondità del denaro (Cassazione civile sez. VI, 14/05/2018, n. 11605; Cass. Sez. 1, 23/01/2008, n. 1377).
Il principio secondo cui gli interessi compensativi sono dovuti, ai sensi dell’art. 1499 c.c., per il periodo successivo alla data prevista per la stipulazione del definitivo, ancorché il promittente acquirente abbia ritardato il pagamento del saldo per causa a lui non imputabile, non opera ove una diversa scadenza per la conclusione del preliminare sia stato concordato tra le parti; in tal caso, il credito è esigibile con decorrenza dal nuovo termine e, nel caso di specie, dal momento in cui la venditrice ha manifestato la propria disponibilità a concludere il contratto definitivo, fissando la data innanzi al notaio.
Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1453 c.c. e 1224 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. perché la Corte di merito avrebbe erroneamente rigettato la richiesta di maggior danno consistito nel non aver potuto acquistare un altro immobile con il ricavato della vendita del bene oggetto di preliminare. La ricorrente sostiene di aver fornito in giudizio la prova del danno, e, in particolare deduce di aver articolato, nell’atto introduttivo, la prova testimoniale volta a provare di aver avviato trattative per l’acquisto di un altro immobile con il ricavato della vendita; deduce, inoltre, che avrebbe utilizzato dette somme per spese sanitarie e per ristrutturare la propria abitazione. La Corte d’Appello avrebbe errato, in presenza di un principio di prova sull’impiego del denaro ricavato dalla vendita dell’immobile a non liquidare il danno in via equitativa.
Il motivo è inammissibile.
La Corte d’Appello ha escluso il risarcimento del danno patrimoniale derivante dal mancato acquisto di un altro immobile commerciale con il ricavato della vendita dell’immobile ai promissari acquirenti perché la prova era generica, mancando l’indicazione dell’immobile da acquistare, del suo valore locativo e della tipologia di attività commerciale da avviare.
Il ricorrente deduce di aver articolato la prova testimoniale con l’atto introduttivo del giudizio, indicando il soggetto con cui aveva avviato le trattative e l’immobile da acquistare per avviare la propria attività commerciale ma omette di precisare ed allegare, ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 6 c.p.c., se la prova venne reiterata in sede di precisazione delle conclusioni e riproposta con la comparsa di costituzione in appello.
È consolidato il principio secondo cui la parte che si sia vista rigettare dal giudice di primo grado le proprie richieste istruttorie ha l’onere di reiterarle al momento della precisazione delle conclusioni poiché, diversamente, le stesse debbono intendersi rinunciate e non possono essere riproposte in appello (tra le tante Cassazione civile sez. III, 04/08/2016, n. 16290).
In ogni caso, la parte non ha nemmeno dedotto, in sede di ricorso per cassazione, di aver riproposto la richiesta di prova testimoniale innanzi al giudice (Cassazione civile sez. III, 13/09/2019, n. 22883).
Ne deriva la genericità del motivo di ricorso per cassazione, sia in relazione al mancato acquisto di altro immobile con il ricavato della vendita, sia a fortiori, degli ulteriori impieghi di dette somme.
Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 115/2002, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione Civile della Corte di cassazione, in data 1 ottobre 2024.
Depositata in Cancelleria il 18 ottobre 2024.