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Cassazione civile sez. II, 16/12/2024, n.32709

Massima

Il contratto di compravendita con cui viene trasferito il diritto di proprietà di un immobile sul quale il venditore abbia esercitato il possesso per un tempo sufficiente al compimento dell’usucapione non è affetto da nullità, anche se l’acquisto della proprietà da parte sua non sia stato giudizialmente accertato in contraddittorio con il precedente proprietario, ciò in quanto l’acquisto per usucapione avviene ipso iure per il semplice fatto del possesso protratto per venti anni e la sentenza con cui viene pronunciato l’acquisto per usucapione del diritto ha natura meramente dichiarativa e non costitutiva del diritto stesso.

Supporto alla lettura

USUCAPIONE

L’usucapione è un modo di acquisto a titolo originario della proprietà mediante il possesso continuativo del bene immobile o mobile per un periodo di tempo determinato dalla legge. L’istituto dell’usucapione, disciplinato dagli articoli 1158 e seguenti del codice civile, configura una delle ipotesi di acquisto di un diritto su beni mobili o immobili a titolo originario. Per il suo compimento infatti, a differenza degli acquisti a titolo derivativo, non necessita della collaborazione o del consenso di chi era in precedenza titolare del diritto usucapito. Per l’usucapione sono necessari i seguenti requisiti:

• La prima è l’“animus possidendi” cioè la a volontà di possedere un bene come si fosse titolari del diritto di proprietà o dell’altro diritto corrispondente.

• La seconda è l’“animus rem sibi habendi” cioè la volontà di tenere un bene esercitando i poteri corrispondenti a quelli del titolare del diritto reale.

• La terza è il “corpus possessionis”. Questo è lo stato di fatto che si configura in modo tale da far apparire il possessore quale titolare del diritto reale corrispondente.

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 5087, depositata il giorno 5 marzo 2014 riconoscono la possibilità di usucapire l’azienda con il possesso continuato ventennale. Secondo la Suprema Corte l’azienda, ai fini della disciplina del possesso e dell’usucapione, quale complesso di beni organizzati per l’esercizio dell’impresa, deve essere considerata come un bene distinto dai singoli beni che la compongono, e quindi suscettibile di essere unitariamente posseduta e, nel concorso degli altri elementi indicati dalla legge, usucapita. Secondo la Corte, se il possesso si esercita sulla cosa, e se si intende il termine “cosa” in senso economico-sociale, si possono considerare “cose” anche beni non corporei, come i beni immateriali (proprietà intellettuale, ad esempio) o complessi di beni organizzati, come ad esempio l’azienda, definita dal codice civile stesso come complesso organizzato di beni per l’esercizio di una impresa.

La Corte esprime una concezione “oggettivata” dell’azienda che, senza cancellare il suo collegamento organizzativo e finalistico con l’attività d’impresa, assume una propria autonomia di “cosa”, possibile oggetto di rapporti giuridici e di diritti. Occorre a tal fine separare l’azienda intesa come cosa, dall’insieme dei singoli beni e dall’esercizio dell’impresa.

I giudici in tal senso adducono quali esempi tipici di dissociazione tra proprietà dell’azienda intesa come “res” e esercizio dell’impresa il caso della successione mortis causa a favore di soggetti non imprenditori, l’affitto e l’usufrutto di azienda.

In tutti questi casi la proprietà della stessa è sganciata dal suo esercizio, in quanto l’azienda è nella disponibilità del proprietario della “cosa” senza che da parte dello stesso vi sia esercizio dell’attività di impresa.

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto
RILEVATO CHE:

1. Ai fini della migliore comprensione dei fatti di causa, è opportuno riassumere la vicenda sulla base della ricostruzione operata dalla Corte d’Appello, integrata con gli elementi risultanti dal ricorso.

Sa.Gi., cui succedette, in seguito al suo decesso nelle more del giudizio, Sa.An., convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Tempio Pausania, So.Ma., dante causa di Mu.Ma., Mu.An., Mu.Ca., Mu.Gr. e Mu.La., nonché, da una parte, Or.Ez. e Or.Ni., in proprio e quali eredi di Or.Fr., e, dall’altra, Ky.Le., St.Gi., Cl.Ma. e Ma.Ca., onde ottenere l’accertamento e la dichiarazione di avvenuto acquisto della proprietà per usucapione, ai sensi degli artt. 1158 e ss. cod. civ., dei terreni siti in S, località (Omissis), in catasto al fg. (Omissis), sostenendo di averli posseduti in modo pubblico, ininterrotto e pacifico fin dal 1965 attraverso lo svolgimento delle attività di coltivazione e di allevamento del bestiame e di essere diventato intestatario nel 1965 e nel 1983 dei terreni confinanti, distinti in catasto al Fg. (Omissis).

Costituendosi in giudizio, So.Ma., come detto dante causa di Mu.Ma., Mu.An., Mu.Ca., Mu.Gr. e Mu.La., eccepì che Mu.Sa., suo dante causa, aveva acquistato il bene conteso unitamente agli altri convenuti per utilizzarlo a fini edificatori, che tutti i comproprietari si erano attivati presso il Comune di S perché lo stesso venisse incluso nel programma di fabbricazione, inserendolo in zona F; avevano incaricato il padre di Mu.Sa., Mu.Ma., ad impiantarvi pini; avevano autorizzato Sa.An. e Sa.Gi. a utilizzarlo purché non danneggiassero le piante esistenti; e avevano incaricato, nel 1980, il geom. Og. di effettuare il relativo frazionamento, approvato poi dall’Ute di Sassari il (Omissis); e che, nel 1982, l’ESAF aveva notificato a Mu.Sa. il decreto di esproprio per la realizzazione di una condotta idrica, mentre il Comune aveva incluso il bene nella zona F.

Si costituirono anche Or.Ez. e Or.Ni., in proprio e quali eredi di Or.Fr., affermando che il bene era stato acquistato, assieme ad altri, da Or.Fr., era rimasto incolto nel periodo 1972-1992 ed era stato oggetto di programma di investimenti per la realizzazione di un complesso alberghiero e che, in ragione di ciò, il proprietario vi aveva fatto svariati sopralluoghi unitamente ad alcuni tecnici, e chiedendo, in via riconvenzionale, previo accertamento della piena ed esclusiva proprietà del terreno in capo a loro, la condanna di Sa.Gi. al suo rilascio.

Ky.Le., St.Gi., Cl.Ma. e Ma.Ca. si costituirono anch’essi in giudizio, eccependo che il terreno era stato da loro acquistato nel 1975, che nel periodo 1975-1981 i proprietari avevano dato incarico al geom. Og. di occuparsi del suo frazionamento onde procedere alla sua divisione, che nel 2005 lo St.Gi., anche a nome degli altri convenuti, aveva contattato tale So. per il reperimento di potenziali acquirenti e che il bene, in tutto questo periodo, era rimasto incolto, e chiedendo, in via riconvenzionale, l’accertamento della proprietà del bene in capo ai convenuti e la condanna del Sa.Gi. al suo rilascio.

Con sentenza n. 529/2014 del 24/07/2014, depositata il 24/07/2014, il Tribunale di Tempio Pausania rigettò le domande proposte da Sa.Gi. e Sa.An. e quelle riconvenzionali dei convenuti, ritenendo che i primi non avessero provato di avere usucapito il bene e i secondi di esserne proprietari.

Il giudizio di gravame, incardinato da Sa.An., si concluse – nella resistenza di Or.Ez. e Or.Ni., Ky.Le., St.Gi., Cl.Ma. e Ba.Gi., che proposero anche appello incidentale, e Mu.Ma., Mu.An., Mu.Ca., Mu.Gr. e Mu.La., che aderirono alla domanda proposta dal Sa.Gi., senza contestare l’usucapione, e nella contumacia di Mu.Fa. e Ba.Ma. – con la sentenza n. 416/2019, pubblicata il 13/9/2019, con la quale la Corte d’Appello di Cagliari-Sezione distaccata di Sassari, rigettò l’appello proposto da Sa.An. e quello incidentale proposto da Ky.Le., Cl.Ma., St.Gi., Ba.Gi. Or.Ez. e Or.Ni., sostenendo, per quanto qui interessa, che gli appellanti incidentali, che potevano vantare un titolo di acquisto nel quale la propria dante causa risultava avere a sua volta acquistato per usucapione, non avessero assolto alla probatio diabolica, dimostrando di avere usucapito a loro volta il bene, non potendosi considerare atti di possesso i sopralluoghi svolti sull’area tra il 1975 e il 1997, la lettera inviata da Or.Fr. allo studio M per la realizzazione di un complesso alberghiero e la lettera inviata a St.Gi. da tale So. nel 2005 per comunicare il proprio interesse all’acquisto.

2. Contro la predetta sentenza, Ky.Le., St.Gi., Cl.Ma., Ba.Gi., in qualità di unica erede di Ma.Ca., Or.Ez. e Or.Ni., in qualità di eredi di Or.Fr., propongono ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi, illustrati anche con memoria. Sa.An., Mu.Ma., Mu.An., Mu.Ca., Mu.Gr., Mu.La., in qualità di eredi di So.Ma., Mu.Fa. e Ba.Ma. sono rimasti intimati.

Diritto
CONSIDERATO CHE:

1. Con il primo motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 cod. civ. e 112 e 115 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., nonché la violazione dei principi giuridici elaborati dalla giurisprudenza con riguardo all’onere probatorio gravante su colui che agisce per ottenere l’accertamento della proprietà di un bene in via riconvenzionale, per avere i giudici di merito affermato che non vi fosse attenuazione dell’onere probatorio in capo agli appellanti incidentali, che, in via riconvenzionale, avevano agito per ottenere l’accertamento della proprietà del bene, in quanto il Sa.Gi. aveva allegato di esserne nel possesso dal 1965, mentre i convenuti avevano prodotto i rispettivi atti di acquisto sottoscritti nel 1975 e nel 1981. Ad avviso dei ricorrenti, i giudici avevano fondato la decisione su un dato fattuale errato, in quanto avevano dato per provato il possesso del bene da parte del Sa.Gi. fin dal 1965, benché la relativa domanda fosse stata respinta proprio per la mancata dimostrazione di questa circostanza e benché in quegli anni, ossia dal 1944 al 1974, fosse stata la sig.ra Az. a possedere il fondo, né avevano considerato che la domanda di mero accertamento della proprietà del bene non richiede la probatio diabolica, come quella di rivendicazione, ma solo l’allegazione del titolo del proprio acquisto quando la richiesta non sia finalizzata ad una modifica dello stato di fatto, ma alla sola eliminazione di uno stato di incertezza sulla legittimità del potere di fatto sulla cosa, che gli stessi attori non avevano mai contestato il loro titolo di proprietà, avendoli correttamente evocati in giudizio, e che il rigore probatorio di chi agisce in rivendica è attenuato dalla proposizione della domanda riconvenzionale di usucapione da parte del convenuto, quando sia mancata la contestazione sulla originaria intestazione del bene.

2. Con il secondo motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1158,1470,2908 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., nonché la violazione della giurisprudenza riguardo alla validità dell’atto di trasferimento dell’immobile, per avere i giudici di merito ritenuto che il titolo di proprietà della dante causa degli appellanti incidentali, Az., non fosse idoneo a trasmettere la proprietà, in quanto fondato sull’affermazione, contenuta negli atti, dell’acquisto del bene per usucapione non giudizialmente accertata, e ad essere opposto a terzi, con conseguente inefficacia dell’atto pubblico del (Omissis), col quale gli acquirenti aveva proceduto alla divisione del mappale (Omissis), e insussistenza del loro titolo ad ottenere il rilascio dei fondi. I ricorrenti hanno, sul punto, obiettato di avere, invece, dimostrato la proprietà dei beni attraverso la produzione in giudizio dei titoli propri e della propria dante causa, sostenendo che, per concorde giurisprudenza di legittimità, colui che acquista la proprietà per usucapione del bene può validamente disporne, essendone divenuto proprietario, senza necessità di un accertamento giudiziale sul punto, stante anche la natura dichiarativa della relativa sentenza.

3. Con il terzo motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la Corte d’Appello ritenuto inapplicabile l’attenuazione dell’onere probatorio, avendo il Sa.Gi. affermato di avere posseduto nel 1964 ed essendo i titoli degli appellanti principali successivi a tale data, e avere ritenuto non provato il possesso per il tempo utile all’usucapione degli appellanti incidentali, benché questi non avessero proposto alcuna domanda di usucapione.

4.1 I primi tre motivi, da trattare congiuntamente in ragione della stretta connessione, vertendo tutti sull’onere probatorio gravante su chi agisce con azione di accertamento volta ad ottenere il rilascio del bene, sono fondati.

Occorre innanzitutto chiarire come, differentemente da quanto sostenuto dai ricorrenti, l’azione di accertamento della proprietà e quella di rivendicazione, esercitate da chi non è nel possesso del bene, non divergono affatto rispetto all’ampiezza e rigorosità della prova sulla spettanza del diritto, essendo entrambe azioni a contenuto petitorio dirette al conseguimento di una pronuncia giudiziale utilizzabile per ottenere la consegna della cosa da parte di chi la possiede o la detiene (vedi Cass., Sez. 2, 3/8/2022, n. 24050; Cass., Sez. 2, 9/6/2000, n. 7894; Cass., Sez. 2, 27/4/1982, n. 2621; si veda anche Cass. n. 1481/1973), diversamente da quanto accade per l’azione di accertamento esercitata da chi è nel possesso del bene, tendendo essa non già alla modifica di uno stato di fatto, ma soltanto all’eliminazione di uno stato di incertezza circa la legittimità del potere di fatto sulla cosa di cui l’attore è già investito, attraverso la dichiarazione che esso risponde esattamente allo stato di diritto (Cass., Sez. 2, 9/6/2000, n. 7894; Cass., Sez. 2, 27/4/1982, n. 2621; Cass., Sez. 2, 29/3/1976, n. 1122; Cass., Sez. 2, 5/5/1973, n. 1182; Cass., Sez. 2, 9/10/1972, n. 2957).

Soltanto in quest’ultimo caso l’attore è soggetto a un minore onere probatorio, in quanto è tenuto ad allegare e provare esclusivamente il proprio titolo di acquisto, ma non anche i vari trasferimenti della proprietà sino alla copertura del tempo sufficiente ad usucapire (Cass., Sez. 2, 9/6/2000, n. 7894; Cass., Sez. 2, 4/12/1997, n. 12300; Cass., Sez. 2, 27/4/1982, n. 2621), mentre con l’azione di rivendicazione ex art. 948 cod. civ. e con quella di accertamento in assenza di possesso, quand’anche non accompagnate dalla domanda di rilascio (in questi termini Cass., Sez. 2, 7/4/1987, n. 3340), è imposto all’attore di fornire la c.d. probatio diabolica della titolarità del proprio diritto – che costituisce un onere da assolvere ogniqualvolta sia proposta un’azione fondata sul diritto di proprietà tutelato erga omnes -, dimostrando il titolo di acquisto proprio e dei suoi danti causa fino ad un acquisto a titolo originario ovvero il compimento dell’usucapione (Cass., Sez. 2, 3/8/2022, n. 24050, cit.; Cass., Sez. 2, 19/1/2022, n. 1569; Cass., Sez. 2, 10/9/2018, n. 21940; Cass. n. 1210/2017; Cass., Sez. 2, 21/2/1994, n. 1650; Cass., Sez. 2, 13/8/1985, n. 4430; Cass., Sez. 2, 2/2/1976, n. 330; Cass., Sez. 2, 13/3/1972, n. 732),

L’assolvimento di tale rigoroso onere probatorio può avvenire con qualsiasi mezzo, non necessariamente documentale, ma anche mediante un consulente tecnico (purché, in tal caso, il convincimento del giudice si ponga come conseguenza univoca e necessaria dei fatti emersi dall’indagine tecnica) o mediante le risultanze dei registri catastali, le quali, pur non valendo a dimostrare con precisione la proprietà di un immobile, sono tuttavia utilizzabili dal giudice di merito come indizi suscettibili di convincimento, se presi in considerazione con rigore logico di ragionamento e convalidati da altri elementi di causa (Cass., Sez. 2, 14/4/1976, n. 1314; vedi anche Cass., Sez. 2, 3/8/2022, n. 24050, cit., Cass., Sez. 2, 9/6/2000, n. 7894; Cass., Sez. 2, 21/2/1994, n. 1650; Cass., Sez. 24/6/1971, n. 2000).

Il suddetto rigore dell’onere probatorio, peraltro, non può che stabilirsi in relazione alla peculiarità di ogni singola controversia, sicché il criterio di massima secondo cui l’attore deve fornire la prova rigorosa della sua proprietà e dei suoi danti causa fino a coprire il periodo necessario per l’usucapione, può subire opportuni temperamenti secondo la linea difensiva adottata dal convenuto (Cass., Sez. 6-2, 19/1/2022, n. 1569), non nel senso che la mancata dimostrazione dell’usucapione da parte di quest’ultimo esoneri l’attore in rivendicazione dall’onere di provare il proprio diritto, ma nel senso che detto onere resta attenuato allorché il convenuto, nell’opporre l’usucapione, abbia riconosciuto, seppure implicitamente, o comunque non abbia specificamente contestato, l’appartenenza del bene al rivendicante o ad uno dei suoi danti causa all’epoca in cui assume di avere iniziato a possedere, ma non anche quando questi si limiti a dedurre un acquisto per usucapione il cui dies a quo sia successivo al titolo del rivendicante o di uno dei suoi danti causa, disgiunta dal riconoscimento o dalla mancata contestazione della precedente appartenenza, non comportando questo alcuna attenuazione del rigore probatorio a carico dell’attore, che a maggior ragione rimane invariato qualora il convenuto si dichiari proprietario per usucapione in forza di un possesso remoto rispetto ai titoli vantati dall’attore (Cass., Sez. 2, 3/8/2022, n. 24050; Cass., Sez. 2, 19/10/2021, n. 28865).

4.2 Nella specie, i giudici di merito, dopo avere premesso che gli appellanti incidentali avevano chiesto l’accertamento della piena proprietà delle particelle a ciascuno di essi intestate e la condanna del Sa.Gi. al loro rilascio e correttamente ricordato i principi sopra richiamati in ordine all’identità, sotto il profilo dell’onere probatorio, dell’azione di rivendicazione e di quella di accertamento, sono giunti a ritenere indimostrata la rivendicata proprietà, nonostante i titoli prodotti e debitamente descritti in sentenza, sulla base di un triplice ordine di considerazioni, ossia ritenendo, per un verso, 1) che la comune dante causa degli appellanti incidentali non fosse proprietaria del terreno, avendo la stessa dichiarato, nell’atto del (Omissis) (di trasferimento della quota del 27,14% a Or.Fr., Cl.Ma., St.Gi., Ma.Ca. e Ky.Le.) e nell’atto del (Omissis) (di trasferimento della quota de 72,86% a Or.Fr. e a Mu.Sa.), di esserlo in virtù di possesso pacifico e ininterrotto e senza opposizione da oltre trent’anni, in assenza di sentenza dichiarativa dell’avvenuto acquisto della proprietà per usucapione, e non potendo considerarsi titolo l’atto di notorietà del (Omissis), con conseguente improduttività di effetti dell’atto di divisione del (Omissis); 2) per altro verso che non sussistessero neppure i presupposti per l’attenuazione dell’onere probatorio, avendo il Sa.Gi. dichiarato di essere al possesso del bene dal 1965, prima che venissero stipulati gli atti di cessione del 1975 e 1981; 3) per altro verso ancora, che non fosse stata dimostrata l’usucapione del bene, non potendosi considerare possesso le attività compiute dagli appellanti incidentali sul bene.

La prima considerazione è senz’altro errata.

Questa Corte ha, infatti, avuto modo di affermare in più occasioni che il contratto di compravendita con cui viene trasferito il diritto di proprietà di un immobile sul quale il venditore abbia esercitato il possesso per un tempo sufficiente al compimento dell’usucapione non è affetto da nullità, anche se l’acquisto della proprietà da parte sua non sia stato giudizialmente accertato in contraddittorio con il precedente proprietario (Cass., Sez. 2, 29/3/2018, n. 7853; Cass., Sez., 2, 5/2/2007, n. 2485), ciò in quanto l’acquisto per usucapione avviene ipso iure per il semplice fatto del possesso protratto per venti anni e la sentenza con cui viene pronunciato l’acquisto per usucapione del diritto ha natura meramente dichiarativa e non costitutiva del diritto stesso (Cass., Sez. 2, 29/04/1982, n. 2717; Cass., Sez. 3, 21/10/1994, n. 8650).

Ciò comporta che erroneamente i giudici di merito hanno ritenuto inidoneo il titolo di proprietà della dante causa dei ricorrenti, avendolo individuato nell’atto notorio, richiamato negli atti di trasferimento del 1975 e del 1981, e non, come avrebbero invece dovuto fare, nell’acquisto per usucapione del bene, preceduto, peraltro, dall’atto pubblico del 26/2/1939, con il quale i fratelli Sa.An. e Sa.Il. avevano diviso, assieme a Sa.Gi., di cui la dante causa dei ricorrenti, Az., era figlia, i beni caduti in successione, ivi compreso il mappale (Omissis), ad essi assegnato per la quota indivisa di 1/3 ciascuno.

La terza considerazione, da esaminare prima della seconda che viene così assorbita, non valuta, invece, il fatto che l’accertamento dell’usucapione da parte dei rivendicanti e, dunque, del possesso da essi esercitato sul bene non deve essere valutato allorché sia data dimostrazione, con qualsiasi mezzo, dei titoli di proprietà dei predetti e dei loro danti causa fino ad un acquisto a titolo originario, titoli che, nella specie, sono stati effettivamente allegati, attraverso la produzione in giudizio, come si evince dalla sentenza impugnata, dell’atto pubblico del 26/2/1939, con il quale i fratelli Sa.An.,

Sa.Il. e Sa.Gi.avevano diviso i beni caduti in successione, ivi compreso il mappale (Omissis), ad essi assegnato per la quota indivisa di 1/3 ciascuno; dell’atto pubblico del (Omissis), col quale Az., avente causa di Sa.Gi., aveva dichiarato di essere proprietaria del mappale (Omissis) per averne goduto il possesso per trent’anni, come da atto notorio del (Omissis), e trasferito la quota di 27,14% a Or.Fr., Cl.Ma., St.Gi., Ma.Ca. e Ky.Le.; dell’atto pubblico del (Omissis), col quale Az. aveva trasferito la quota del 72,86 % del predetto mappale (Omissis) a Or.Fr. e Mu.Sa., previo suo frazionamento; dell’atto pubblico del (Omissis) col quale tutti i predetti acquirenti avevano diviso il mappale, attribuendo a ciascuno di essi la quota divisa.

Ciò comporta la fondatezza delle censure.

5. Il quarto motivo, riguardante le spese, resta assorbito dall’accoglimento dei primi tre.

6. In conclusione, dichiarata la fondatezza dei primi tre motivi e l’assorbimento del quarto, il ricorso deve essere accolto e la sentenza cassata, con rinvio alla Corte d’Appello di Sassari – Sezione distaccata di Cagliari che, in diversa composizione, dovrà statuire anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Sassari – Sezione distaccata di Cagliari, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 11 dicembre 2024.

Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2024.

Allegati

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