FATTI DI CAUSA
- S.O. conveniva in giudizio dinanzi il Tribunale di Trento i coniugi R.A. e C.G. chiedendo accettarsi l’irrisorietà del prezzo pattuito in una compravendita immobiliare tra loro intercorsa, nonché la condanna dei convenuti al versamento della somma di Euro 56.800 a titolo di integrazione del suddetto prezzo pattuito o in subordine chiedendo la nullità del contratto ex art. 1325,1418 e 1470 c.c., ovvero la rescindibilità del negozio medesimo per lesione ex art. 1448 c.c..
L’attrice deduceva di aver concluso con i convenuti l’11 ottobre del 2013 un contratto di compravendita avente ad oggetto due depositi, una tettoia ed una parte di cortile per un prezzo di Euro 10.000 con contestuale costituzione di una servitù di passaggio a carico della restante proprietà della venditrice.
Il prezzo suddetto, regolarmente versato dai convenuti, era soltanto una parte della somma realmente pattuita perché i contraenti si erano precedentemente accordati per il versamento di un importo maggiore, peraltro mai riscosso da parte attrice. La pattuizione del maggior prezzo sarebbe stata giustificata dal valore di mercato dei beni compravenduti, quantificati dal perito incaricato da parte attrice nell’importo di Euro 66.800 di gran lunga maggiore rispetto a quello effettivamente riscosso. L’attrice precisava di essersi trovata nelle more della contrattazione con i convenuti in stato di necessità e di aver accettato la somma di Euro 10.000 per un impellente bisogno di liquidità, concordando verbalmente con le controparti il versamento del maggiore importo. Deduceva, infine, che i convenuti, resi edotti della propria gravosa condizione economica, si sarebbero approfittati del suo stato di bisogno integrando i presupposti applicativi dell’art. 1848 c.c..
- I convenuti si costituivano chiedendo il rigetto di tutte le domande.
- Il Tribunale di Trento nel rigettare le domande formulate dall’attrice rilevava che la pretesa integrazione del prezzo di compravendita non poteva che fondarsi su di un patto ulteriore, recante forma scritta ad substantiam e, in assenza di un accordo siffatto, la prova orale della diversa volontà negoziale delle parti doveva dichiararsi inammissibile. Il giudice di primo grado rigettava anche la domanda di nullità del contratto atteso che il prezzo pattuito indicato nella stessa misura tanto nel preliminare quanto nel definitivo di compravendita non poteva dirsi privo di valore intrinseco. Del pari rilevava come emergesse dai documenti di causa che la parte venditrice aveva quantificato in maniera del tutto autonoma il prezzo dei beni compravenduti nel pieno esercizio dei propri poteri di autonomia negoziale. Il Tribunale escludeva, infine, che sussistessero i presupposti per l’esercizio dell’azione di cui all’art. 1448 c.c., atteso il difetto di prova dell’asserito stato di bisogno di parte attrice, nonché della volontà delle controparti di trarne profitto.
- S.O. proponeva appello avverso la suddetta sentenza.
- I convenuti si costituivano in appello chiedendone il rigetto.
- La Corte d’Appello di Trento rigettava l’appello. In particolare, il giudice del gravame evidenziava la correttezza della decisione di primo grado circa la necessità della forma scritta dell’accordo di integrazione del prezzo di vendita, tanto più collocandosi tale accordo tra la stipula del contratto preliminare e la sottoscrizione del testo del definitivo. Pertanto, in assenza di un documento scritto contenente l’indicazione di una diversa volontà negoziale dei contraenti era corretto desumere la volontà delle parti unicamente dal testo del contratto definitivo e andava condivisa anche la valutazione di inammissibilità della prova testimoniale, ai sensi dell’art. 2722 c.c..
Doveva rigettarsi anche il motivo di appello relativo alla nullità del contratto per mancanza di un elemento essenziale in conformità alla giurisprudenza di legittimità il prezzo pattuito di Euro 10.000 non poteva dirsi del tutto privo di valore intrinseco. Peraltro, sin dal conferimento dell’incarico all’agenzia immobiliare e nelle successive fasi di contrattazione e stipulazione dei negozi, la venditrice aveva manifestato chiaramente la propria volontà di cedere gli immobili di cui era proprietaria al prezzo di Euro 10.000 e simile manifestazione di volontà, espressione del principio di autonomia negoziale, portava ad escludere la ricorrenza delle condizioni per la dichiarazione di nullità del negozio. Infine, la Corte d’Appello rigettava la domanda di rescissione del contratto per lesione in quanto mancava la prova della volontà dell’acquirente di profittarsi dello stato di bisogno del venditore. Nella specie il fatto che la S. aveva manifestato agli acquirenti l’esigenza di procurarsi liquidità non era sufficiente, essendo necessaria la volontà di questi di trarre profitto dalla situazione di indigenza economica della parte venditrice.
- S.O. ha proposto ricorso per Cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di tre motivi di ricorso
- R.A. e C.G. hanno resistito con controricorso.
- S.O., con memoria depositata in prossimità dell’udienza, ha insistito nella richiesta di accoglimento del ricorso.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
- Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione degli artt. 2723,2722 e 2721 c.c., nella parte in cui la Corte d’Appello ha ritenuto inammissibili la prova testimoniale e l’interrogatorio formale sul patto di integrazione del prezzo.
La ricorrente ritiene errata la decisione della Corte d’Appello nella parte in cui ha ritenuto inammissibile la prova testimoniale sull’integrazione del prezzo di vendita in un momento successivo al contratto preliminare e prima del contratto definitivo. A parere della ricorrente doveva farsi applicazione dell’art. 2723 c.c., e non dell’art. 2722 c.c., trattandosi di un patto intervenuto successivamente alla stipula del preliminare. In tal caso la prova per testimoni non avrebbe dovuto essere esclusa, essendo ammissibile anche in considerazione della natura del contratto, oltre che della qualità delle parti e della circostanza che il prezzo fosse irrisorio. Inoltre, non poteva essere escluso l’interrogatorio formale dei convenuti essendo le norme ricavabili dagli artt. 2721 c.c. e segg., riferibili esclusivamente alla prova testimoniale.
1.1 Il primo motivo di ricorso è infondato per una pluralità di motivi.
In primo luogo, deve darsi continuità ai seguenti principi del tutto consolidati in tema di prova testimoniale: “In tema di prova testimoniale, ove il giudice di merito ritenga di non poter derogare al limite di valore previsto, per essa, dall’art. 2721 c.c., non è tenuto a esporre le ragioni della pronunzia di rigetto dell’istanza di prova, trattandosi di mantenere quest’ultima entro il suo fisiologico limite di ammissibilità. (Sez. 2, Ord. n. 8181 del 14/03/2022)”; “Il divieto, previsto dall’art. 2722 c.c., di dimostrare con testi la conclusione di accordi anteriori o contemporanei rispetto ad un contratto stipulato in forma scritta opera quando la prova si riferisce alla contrarietà tra ciò che si sostiene essere pattuito e quello che risulta documentato, ma non ove tenda solo a fornire elementi idonei a chiarire o interpretare il contenuto del documento” (Sez. 2, Sent. n. 28407 del 2018); “La valutazione delle circostanze, in presenza delle quali è consentita, a norma dell’art. 2723 c.c., l’ammissione della prova per testimoni di patti, aggiunti o contrari, posteriori alla formazione di un documento, è demandata al potere discrezionale del giudice di merito, il quale può anche attribuire, in negativo o in positivo, valore preminente ad una od alcune di esse, con apprezzamento che, se congruamente motivato, si sottrae al sindacato di legittimità” (Sez. 3, Sent. n. 11932 del 2006).
Richiamati i suddetti principi deve evidenziarsi che l’infondatezza delle censure emerge ictu oculi secondo la stessa prospettazione della ricorrente. Infatti, non si può provare per testimoni la pattuizione di un diverso prezzo rispetto a quello previsto nel contratto scritto, tanto più quando la forma scritta sia prevista ad substantiam. Inoltre, la presunta pattuizione del diverso prezzo sarebbe anteriore al preliminare ma successiva al definitivo che invece riportava il medesimo prezzo. Risulta evidente, pertanto, l’irrilevanza di una tale eventuale pattuizione posto che quando al preliminare segue il definitivo è quest’ultimo che regola integralmente i rapporti tra le parti.
La ricorrente non eccepisce neanche la simulazione del prezzo o l’errore nella stipulazione del contratto definitivo limitandosi ad affermare la sussistenza di una diversa volontà negoziale emersa successivamente al contratto preliminare e non confluita nel contratto definitivo del tutto corrispondente al preliminare.
Deve ribadirsi, infatti, che qualora le parti, dopo aver stipulato un contratto preliminare, concludano in seguito il contratto definitivo, quest’ultimo costituisce l’unica fonte dei diritti e delle obbligazioni inerenti al particolare negozio voluto e non mera ripetizione del primo, in quanto il contratto preliminare resta superato da questo, la cui disciplina può anche non conformarsi a quella del preliminare, salvo che i contraenti non abbiano espressamente previsto che essa sopravviva. La presunzione di conformità del nuovo accordo alla volontà delle parti può, nel silenzio del contratto definitivo, essere vinta soltanto dalla prova la quale deve risultare da atto scritto, ove il contratto abbia ad oggetto beni immobili – di un accordo posto in essere dalle stesse parti contemporaneamente alla stipula del definitivo, dal quale risulti che altri obblighi o prestazioni, contenute nel preliminare, sopravvivono, dovendo tale prova essere data da chi chieda l’adempimento di detto distinto accordo (Sez. 3, Sent. n. 17986 del 2014).
Ne consegue che oltre all’inammissibilità ex art. 2721 e 2722 c.c., della prova testimoniale del diverso prezzo la stessa era del tutto irrilevante essendoci stato, secondo lo stesso ricorrente, un successivo contratto definitivo. Le stesse argomentazioni valgono in relazione all’interrogatorio formale. Peraltro, anche con riferimento all’interrogatorio formale, deve ribadirsi che la simulazione del prezzo in un contratto di vendita immobiliare non può essere provata con il deferimento dell’interrogatorio formale volto a provocare la confessione giudiziale del diverso prezzo pattuito (per un caso di simulazione relativa soggettiva vedi Sez. 2, Sent. n. 6262 del 2017).
- Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione degli artt. 1418,1325,1470 c.c., per mancato accertamento della nullità del negozio traslativo della proprietà stante il difetto di causa contrattuale.
La ricorrente ha allegato che il prezzo di vendita di Euro 10.000 versato dalla controparte era palesemente inferiore al valore di mercato immobiliare del tempo e della zona ed era del tutto simbolico ed irrisorio, tanto da determinare la mancanza della causa del contratto come elemento essenziale di esso con conseguente nullità in radice del negozio posto in essere dai contraenti, trattandosi di una vendita senza corrispettivo. Sul punto la sentenza sarebbe erronea.
2.1 Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
La censura proposta, sotto l’ombrello del vizio di violazione di legge, tende ad un’inammissibile rivalutazione in fatto della vicenda intercorsa tra le parti come ricostruita attraverso l’istruttoria processuale.
Il giudice del merito, tanto in primo quanto in secondo grado, ha ritenuto che il prezzo di Euro 10.000 stabilito nel contratto non fosse un prezzo irrisorio tale da determinare la nullità del contratto per mancanza di un elemento essenziale. La ricorrente sostiene che il valore di mercato del bene fosse di molto superiore tanto che in via subordinata chiede anche la rescissione per lesione. Risulta evidente, pertanto, l’inammissibilità della censura non essendo sindacabile da questa Corte la valutazione fatta dal giudice del merito circa la non irrisorietà del prezzo pattuito tra le parti, valutazione congruamente motivata e corrispondente alle risultanze di causa.
- Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: Violazione e falsa applicazione dell’art. 1448 c.c., in materia di rescindibilità del contratto per lesione anche in relazione all’immotivato rigetto di ogni prova testimoniale e di interrogatorio formale sul punto per dare prova della violazione degli artt. 244 e 245 c.p.c..
La Corte d’Appello nel rigettare la domanda di rescissione per lesione ex art. 1448 c.c., ha fatto riferimento alla mancanza di prova della approfittamento dello stato di bisogno della controparte. La ricorrente lamenta che la mancata prova è dipesa dal rigetto delle sue istanze istruttorie per ritenuta superfluità delle prove testimoniali e per mancata ammissione della consulenza tecnica d’ufficio. Dal momento in cui sono state rigettate tutte le istanze istruttorie della ricorrente sia da parte del giudice di primo grado sia da parte della Corte d’Appello non si poteva motivare il rigetto della domanda sulla mancanza di prova fornita dalla ricorrente. Peraltro, vi era un principio di prova già in via documentale, quale l’estratto del conto corrente già prodotto nel giudizio di primo grado a riprova dello stadio di bisogno della ricorrente al momento del preliminare e del definitivo.
3.1 Il terzo motivo di ricorso è fondato.
La Corte d’Appello ha ritenuto che mancasse la prova della volontà dell’acquirente di profittarsi dello stato di bisogno del venditore. In particolare, il fatto che la parte venditrice avesse manifestato all’acquirente l’esigenza di procurarsi liquidità non era sufficiente essendo necessaria la volontà di trarre profitto dalla situazione di indigenza economica della parte venditrice.
Ciò premesso, risulta dagli atti che le richieste istruttorie formulate dalla ricorrente e volte a provare la sussistenza degli elementi per la rescissione del contratto per lesione ultra dimidium non sono state in alcun modo esaminate dalla Corte d’Appello. Infatti a pag. 5 del ricorso sono riportate le richieste istruttorie che il Tribunale ha rigettato in primo e grado e che la ricorrente ha riproposto, formulando una specifico motivo di appello avverso il loro rigetto ingiustificato. Inoltre, le medesime istanze istruttorie sono state reiterate anche nelle conclusioni delle S. (appellante) come riportate nella sentenza impugnata. Risulta, pertanto, ampiamente soddisfatto l’onere di specificità del motivo (Sez. 1, Sent. n. 23978 del 2015, Sez. 3, Sent. n. 9060 del 2003) il che permette di valutare positivamente l’astratta decisività delle prove richieste.
Come si è detto, la Corte d’Appello ha ritenuto che mancasse la prova della volontà dell’acquirente di profittarsi dello stato di bisogno del venditore senza motivare in alcun modo sulle istanze istruttorie proposte dall’allora appellante. A proposito del loro carattere astrattamente decisivo, deve richiamarsi l’orientamento di questa Corte secondo il quale: L’azione generale di rescissione per lesione richiede la simultanea esistenza dei requisiti di una sproporzione ultra dimidium fra le reciproche prestazioni del contratto, di uno stato di bisogno del contraente danneggiato e di un approfittamento di esso da parte dell’altro contraente: per stabilire se risultino integrati gli estremi della lesione nella compravendita di un immobile occorre, da un lato, far riferimento al valore che esso presumibilmente avrebbe avuto in una comune contrattazione al tempo della stipulazione e, dall’altro lato, tener presente che anche una semplice difficoltà economica o una contingente carenza di liquidità possono integrare lo stato di bisogno, purché siano in rapporto di causa ed effetto con la determinazione a contrarre, e che non è richiesta la prova di una specifica attività posta in essere dal contraente avvantaggiato allo scopo di promuovere o sollecitare la conclusione del contratto, occorrendo unicamente che, dall’istruzione della causa, emerga una situazione tale da consentire di ritenere, attraverso una motivata valutazione complessiva, che la conoscenza dello stato di bisogno della controparte abbia costituito la spinta psicologica a contrarre. (Sez. 2, Sentenza n. 5133 del 06/03/2007, Rv. 596232 – 01).
Deve, pertanto, farsi applicazione del seguente principio di diritto: “La mancata ammissione di un mezzo istruttorio (nella specie, prova testimoniale) si traduce in un vizio della sentenza se il giudice pone a fondamento della propria decisione l’inosservanza dell’onere probatorio ex art. 2697 c.c., benché la parte abbia offerto di adempierlo” (ex plurimis Sez. 3, Ord. n. 18285 del 2021).
- La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, rigetta i primi due, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Trento in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
PQM
La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, rigetta i primi due, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Trento in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 23 novembre 2022.
