FATTI DI CAUSA
1. – Il Tribunale di Tempio Pausania, con sentenza n. 447 del 2003, in accoglimento della domanda proposta da F.M.L., M.M., M.S. e Ma.Ma., ha dichiarato l’inefficacia nei confronti degli attori dell’atto di compravendita, avente ad oggetto un appartamento sito nel Comune di (OMISSIS), ai rogiti del notaio m.g. di Roma del 12 novembre 1998 – perché sottoscritto da persona, Ca.Ir., priva del potere di trasferire il bene stesso – e del contratto preliminare privo di data; in accoglimento della domanda proposta dalla convenuta C.T., ha condannato il notaio m. al risarcimento del danno, individuato nella misura delle spese sostenute dalla C. per la costituzione in giudizio; in accoglimento della domanda del notaio m., ha condannato la società Reale Mutua di Assicurazioni s.p.a. a manlevare il notaio per la somma eccedente il minimo di scoperto della polizza (Euro 10.329,14).
Il Tribunale di Tempio Pausania ha rigettato, perché tardivamente proposte, le domande delle parti attrici volte al rilascio dell’immobile, alla condanna della C. al pagamento di una indennità di occupazione e alla condanna del notaio m. al risarcimento del danno, nonché la domanda della C. di condanna del notaio m. a versare agli attori il saldo del prezzo pattuito per la vendita.
Il Tribunale, infine, ha rigettato, in ragione della mancanza di data nel contratto preliminare prodotto dalla C., la domanda proposta dalla stessa ex art. 2932 c.c., così come la domanda degli attori al risarcimento del danno nei confronti della C., perché condizionata all’accoglimento della domanda ex art. 2932 c.c..
2. – La Corte d’appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, con sentenza depositata in cancelleria il 10 marzo 2017, ha rigettato tutte le impugnazioni: l’appello principale proposto da C.T., l’appello incidentale sollevato da m.g., l’appello incidentale della società Reale Mutua.
2.1. – Per quanto qui ancora rileva, la Corte territoriale ha rilevato che la procura rilasciata dai proprietari al Ca. conferiva al rappresentante il potere di sottoscrivere il contratto preliminare di vendita dell’immobile, ma non di trasferire la proprietà dello stesso. Ha osservato inoltre che, in difetto di prova sulla certezza della data del contratto preliminare, non contenente data alcuna, non poteva essere accolta l’impugnazione mediante la quale l’appellante principale C. intendeva ottenere la sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c., la cui emanazione sarebbe stata in ogni caso preclusa dalla mancata prova da parte della C. di aver eseguito la sua prestazione. Infine, la Corte d’appello ha disatteso il motivo di impugnazione rivolto contro la pronuncia del Tribunale che aveva ritenuto proposta solo in sede di precisazione delle conclusioni (dunque, tardivamente) la domanda della C. di condanna del notaio m. a corrispondere alle originarie parti attrici il residuo del prezzo pagato al rogito al Ca..
3. – Per la cassazione della sentenza della Sezione distaccata di Sassari della Corte d’appello di Cagliari la signora C. ha proposto ricorso, con atto notificato il 23 maggio 2017, sulla base di tre motivi.
Hanno resistito, con controricorso, la signora F. con i signori M. nonché la società Reale Mutua, mentre il notaio m. è rimasto intimato.
4. – Il ricorso è stato avviato alla trattazione in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..
Tutte le parti hanno depositato memorie in prossimità dell’adunanza camerale.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Con il primo motivo (violazione e falsa applicazione dell’art. 1398 c.c.) la ricorrente deduce che la sentenza impugnata avrebbe dovuto statuire l’estensione dei poteri conferiti con la procura anche alla stipula del contratto definitivo, giacché, successivamente alla sottoscrizione del preliminare ed in vista della firma del definitivo, il rappresentante sarebbe da ritenere ormai limitato, da un lato, dal contenuto della procura e, dall’altro, dalle clausole del preliminare, di talché mai potrebbe concludere un affare in termini diversi rispetto a quelli delineati nella procura e già consacrati nel preliminare.
1.1. – Il motivo è infondato.
1.2. – La Corte d’appello ha osservato che con la scrittura privata autenticata del 3 settembre 1998 i M. e la F. hanno nominato il Ca. procuratore speciale “affinché in loro nome, conto e vece si obblig(asse) per il complessivo prezzo non inferiore a lire 425 milioni a vendere la piena proprietà e comunque ogni ragione e diritto agli stessi spettanti sulla porzione immobiliare posta in Comune di (OMISSIS)”, autorizzando “il nominato procuratore a concludere il relativo contratto preliminare di compravendita anche con se stesso” e conferendogli “ogni più ampia facoltà”.
La Corte territoriale ha quindi rilevato che l’interpretazione letterale del testo della procura speciale, per l’espresso riferimento al conferimento del potere di obbligarsi a vendere, consente di ritenere che l’oggetto della procura sia costituito dall’attribuzione del potere di sottoscrivere un contratto preliminare di compravendita del menzionato immobile, con esclusione del potere di trasferire la proprietà dell’immobile.
1.3. – La statuizione della Corte d’appello si sottrae alla censura della ricorrente.
Preme in primo luogo evidenziare la mancanza di correlazione tra la norma che con il motivo si assume violata e le conseguenze che la ricorrente intende trarre dalla prospettazione della doglianza.
Infatti, il motivo denuncia la violazione dell’art. 1398 c.c., il quale attiene alla rappresentanza senza potere e prevede la responsabilità del falsus procurator, in relazione al negozio compiuto in difetto di legittimazione, per il danno che il terzo contraente ha sofferto per avere confidato senza sua colpa nella “validità” del contratto.
In realtà, la sostanza della articolata censura si distacca dalla formale prospettazione e pone un problema di ambito oggettivo della procura, di oggetto e di perimetro della stessa, sollevando l’interrogativo se la procura rilasciata per il preliminare si estenda al definitivo.
Ma anche scrutinato sotto la lente dell’area dell’atto autorizzato, il motivo si appalesa privo di fondamento.
Invero, il potere di rappresentanza trova la sua fonte nella procura, sicché la legittimazione del rappresentante al compimento di uno o più atti in nome del dominus rinviene la relativa conformazione nella volontà manifestata nella procura.
Ciò, tuttavia, non esclude che, quando la manifestazione di volontà appaia bisognosa di essere integrata o presenti un significato che lascia spazio ad un margine di incertezza, possa intervenire la legge al fine di tracciare l’esatta estensione, secondo ragionevolezza, del potere rappresentativo.
Soccorre allora la regola – dettata per il mandato dall’art. 1708 c.c., comma 1 – secondo cui la procura speciale riferita a un certo atto copre anche gli atti, pur non espressamente indicati, che siano necessari per il compimento di quello autorizzato.
La citata disposizione consente di ritenere compresi, ad ogni effetto, nell’oggetto della procura speciale anche gli atti, sia preparatori che consequenziali rispetto a quello specificamente autorizzato, il compimento dei quali si riveli indispensabile ai fini della compiuta e precisa esecuzione dell’incarico conferito al rappresentante.
Il Collegio ritiene che, qualora sia limitata alla stipula del preliminare di vendita, la procura speciale non può intendersi allargata al potere di concludere anche il contratto definitivo e di trasferire la proprietà dell’immobile (v., in questi termini, Cass., Sez. III, 28 novembre 1981, n. 6353).
Rispetto al potere rappresentativo conferito al rappresentante, infatti, la stipula del contratto definitivo non può intendersi come un atto necessario e consequenziale per il compimento di quello specificamente previsto, ma ne costituisce, semmai, un ulteriore sviluppo, attraverso una dilatazione dell’oggetto.
Ne’ può indurre a diversa conclusione il rilievo della ricorrente circa il legame che intercorre tra contratto preliminare e definitivo, con la possibilità di qualificare la stipulazione di quest’ultimo “un vero e proprio atto dovuto, al pari di qualsiasi atto di adempimento di un’obbligazione”.
Infatti, benché legati tra loro in una sequenza concepita come operazione unitaria, con il definitivo caratterizzato anche da una causa solvendi, il preliminare e il definitivo sono due contratti distinti e separati nel tempo.
2. – Con il secondo motivo (violazione degli artt. 1398,1399 e 2932 c.c.) la ricorrente sostiene che l’esistenza e la validità della procura nonché la certezza e definitività dei poteri con essa conferiti renderebbero irrilevante la questione della data certa del preliminare. Infatti, o la procura è antecedente rispetto alla sottoscrizione del preliminare, ed allora il preliminare risulta sottoscritto dal rappresentante dotato dei pieni poteri conferitigli dai mandanti, oppure – si sostiene – la procura è successiva alla sottoscrizione del contratto preliminare, e quindi, se anche il rappresentante ha sottoscritto il preliminare senza averne il potere, la successiva procura – deduce la ricorrente – varrebbe certamente come ratifica dell’operato di quello che originariamente era un falsus procurator. Ad avviso della C., inoltre, seppure il contratto definitivo di compravendita venisse ritenuto non produttivo di effetti relativamente alla posizione degli attori F. – M., esso costituirebbe tuttavia prova dei fatti in esso riportati, ivi compreso l’integrale pagamento del prezzo da parte della ricorrente e, quindi, dell’adempimento, da parte sua, delle obbligazioni scaturenti dal preliminare.
2.1. – La censura deve essere disattesa.
La Corte territoriale ha confermato il rigetto della domanda ex art. 2932 c.c., azionata dalla C., sulla base di due rationes: per un verso, sottolineando il difetto di prova circa la data del contratto preliminare; per l’altro verso, evidenziando in ogni caso la mancata prova da parte della C. di avere eseguito la sua prestazione.
La ricorrente attacca entrambe le rationes.
Censura la prima ratio sostenendo che sarebbe, a suo avviso, irrilevante la questione della data del preliminare, in quanto posta al fine di accertare la sussistenza del potere di rappresentanza al momento della stipula. E deduce, per dimostrare l’assunto, che anche laddove la procura fosse stata rilasciata successivamente alla stipula dell’atto, la stessa assumerebbe il valore di ratifica dell’operato di quello che originariamente era un falsus procurator.
Il Collegio ritiene che la prima ratio non sia scalfita dall’argomento logico della ricorrente.
In generale, infatti, l’attribuzione del potere di rappresentanza per la stipulazione di un futuro preliminare di vendita non implica anche il conferimento della potestà di ratifica di un contratto preliminare già stipulato in difetto di potere rappresentativo e del quale, fra l’altro, si ignori l’esistenza. In tanto si può ratificare il negozio concluso dal falsus procurator, in quanto il dominus sia consapevole dell’esistenza dell’atto e manifesti l’intenzione di farne propri gli effetti. Se l’esistenza dell’atto è ignota, non è pensabile il conferimento di un tale potere, giacché non è concepibile che si possa manifestare l’intenzione di fare propri gli effetti di un negozio di cui si ignora l’esistenza (Cass., Sez. I, 22 aprile 1963, n. 1035).
Ciò posto, è evidente che la tesi della ricorrente presuppone un accertamento della volontà di ratifica dei mandanti, diversa da (ed ulteriore rispetto a) quella espressa nella procura conferita al rappresentante, non demandabile al giudice di legittimità.
Quanto alla censura formulata in relazione alla seconda ratio, preme osservare che la Corte d’appello ha evidenziato che non potrebbero giovare alla signora C. le dichiarazioni rese dalle parti nel contratto stipulato innanzi al notaio m. relativamente all’avvenuto pagamento integrale del prezzo, trattandosi di un contratto inefficace e, dunque, inopponibile, alle originarie parti attrici, proprietarie dell’immobile.
La ricorrente censura questa seconda ratio, deducendo che l’inefficacia del contratto non escluderebbe che i fatti in esso riportati, non costituendo effetti dell’atto, debbano in ogni caso essere considerati come veri ed accaduti, specie in quanto attestati da un pubblico ufficiale.
Si tratta di doglianza inammissibile, perché concernente il supposto errore nella ricognizione e nella valutazione della valenza, ai fini della prova dell’adempimento delle obbligazioni facenti carico alla ricorrente, delle dichiarazioni rese dagli stipulanti di un contratto inefficace: dichiarazioni rese, non dalle originarie parti attrici, proprietarie dell’immobile, ma, in luogo di queste, da un falsus procurator.
La censura è prospettata ipotizzandosi, genericamente, una veridicità ed esattezza del contenuto delle dichiarazioni rese dalle parti di un contratto inopponibile ai soggetti falsamente rappresentati, muovendo da una ricostruzione che non trova riscontro nella interpretazione delle norme evocate (gli artt. 1398,1399 e 2932 c.c.).
3. – Con il terzo motivo (violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.) la ricorrente censura la statuizione di rigetto della domanda della C. di condanna del notaio al pagamento, in favore degli originari attori, del residuo prezzo. Sarebbe sprovvista di fondamento la motivazione adottata, al riguardo, dalla Corte di Sassari, secondo cui non sarebbe dato accertare se la domanda sia stata proposta nell’atto di chiamata del terzo ovvero in sede di precisazione delle conclusioni. Tale affermazione sarebbe, ad avviso della ricorrente, sprovvista di fondamento, in quanto l’atto di chiamata del terzo era stato regolarmente depositato in atti successivamente alla sua notifica. Del resto, la prova ricercata dalla Corte d’appello – si sostiene – era fornita direttamente dalle affermazioni del destinatario delle conclusioni. La ricorrente deduce inoltre di non aver mai rassegnato conclusioni di condanna del notaio rogante nei confronti delle attrici in primo grado e sostiene che la statuizione della Corte di Sassari – là dove si afferma che alla censura mossa con il terzo motivo di impugnazione principale non segue, nelle conclusioni, la espressa formulazione di domanda di riforma della sentenza impugnata – sconterebbe un evidente eccesso di formalismo.
3.1. – Il motivo è inammissibile.
La Corte d’appello, nell’esaminare il motivo di impugnazione con il quale la C. aveva dedotto la tempestività della domanda proposta in primo grado nei confronti del notaio m., di condanna dello stesso al pagamento in favore delle originarie parti attrici del residuo prezzo, ritiene per un verso che gli argomenti offerti dall’appellante non consentono di modificare la statuizione di primo grado sul punto, non essendovi prova del fatto che la domanda sia stata spiegata all’atto della citazione del terzo, in quanto l’appellante principale non ha prodotto l’atto stesso nel quale sarebbe stata proposta la domanda nei confronti del notaio m.. In secondo luogo, la Corte d’appello ha evidenziato che la C., non avendo subito condanna alcuna nei confronti delle parti attrici, è priva di uno specifico interesse alla condanna del notaio nei confronti delle medesime parti attrici. In terzo luogo, la Corte distrettuale ha sottolineato che alla censura mossa con il motivo di impugnazione non segue, nelle conclusioni rassegnate con l’atto di appello, la formulazione espressa di una domanda di riforma della sentenza impugnata.
Poste tali premesse, è evidente che la sentenza impugnata affida il rigetto del motivo di appello a tre rationes, ciascuna delle quali sufficiente a sostenere il decisum.
Tornando alla seconda ratio, con la quale la Corte d’appello ha sottolineato che la C. è priva di uno specifico interesse alla condanna del notaio nei confronti delle originarie parti attrici per non aver ella subito condanna alcuna al pagamento del residuo prezzo in favore dei medesimi attori, il Collegio rileva che tale ratio è censurata soltanto genericamente dalla ricorrente.
La ricorrente si limita a dedurre che l’affermazione della Corte d’appello sarebbe priva di senso, rilevando di non aver mai rassegnato conclusioni di condanna del notaio nei confronti delle attrici in primo grado. Fa difetto il requisito della specificità della doglianza: si ipotizza, astrattamente, la violazione o la falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., che riguardano la disponibilità e la valutazione delle prove, e ci si limita a contestare, assertivamente, che mai l’odierna ricorrente avrebbe rassegnato conclusioni di condanna del notaio nei confronti degli attori in primo grado.
In questo contesto, l’inammissibilità della censura rivolta nei confronti di una delle tre rationes rende ultroneo l’esame delle ulteriori censure rivolte contro la prima e la terza ratio.
Trova allora applicazione il principio secondo cui qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta inammissibilità della censura mossa ad una delle rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività dell’altra, alla cassazione della decisione stessa.
4. – Il ricorso è rigettato.
Le spese processuali, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
5. – Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, ricorrono i presupposti processuali per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese processuali del giudizio di cassazione, che liquida, per i controricorrenti F. e M., in complessivi Euro 7.500, di cui Euro 7.300 per compensi, oltre alle spese generali nella misura del 15% e agli accessori di legge, e, per la controricorrente Reale Mutua, in complessivi Euro 5.500, di cui Euro 5.300 per compensi, oltre alle spese generali nella misura del 15% e agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 21 aprile 2022.
