Svolgimento del processo
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha proposto ricorso articolato in unico motivo avverso la sentenza della Corte d’appello di Genova n. 1140/2015, pubblicata il 7 ottobre 2015.
(omissis) ha notificato controricorso contenente altresì ricorso incidentale articolato in cinque motivi.
Per resistere al ricorso incidentale il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha notificato controricorso.
(omissis) con citazione del 5 febbraio 1998 convenne l’Amministrazione delle Finanze davanti al Tribunale di Genova, domandando l’accertamento dell’avvenuto acquisto per usucapione di un immobile compreso nel borgo di (omissis) del Comune di Sanremo, andato parzialmente distrutto in un terremoto del 1887 e posseduto dall’attore dall’anno 1973.
L’Amministrazione convenuta dedusse che l’immobile era stato acquisito al patrimonio disponibile dello Stato e che più volte ne era stato richiesto lo sgombero, sicchè avanzò domanda riconvenzionale per il rilascio del bene e per la condanna dell’attore a risarcire il danno per l’illegittima occupazione.
Il Tribunale pronunciò dapprima la sentenza n. 2834/2004 con cui rigettò la domanda di usucapione di (omissis), dichiarò l’avvenuto acquisto dell’immobile in favore dello Stato ex art. 827 c.c., condannò il convenuto al rilascio del bene ed alla rimozione delle opere abusivamente realizzate, e dispose come da separata ordinanza per il prosieguo istruttorio in ordine alla riconvenzionale risarcitoria. Di seguito il Tribunale di Genova rese la sentenza n. 1847/2010 con cui condannò l’attore a risarcire il danno subito dall’Amministrazione, pari ad Euro 89.411.92, a titolo di illegittima occupazione dal 1973 al 2007.
La Corte d’appello di Genova ha innanzitutto dichiarato inammissibile l’appello proposto da (omissis) contro la sentenza n. 2834/2004, al qual fine si invocava la rimessione in termini giustificata dall’errore del precedente difensore, che aveva omesso di indicare la data dell’udienza di comparizione nell’atto di gravame interposto, avendo ciò poi portato alla rinuncia all’impugnazione. La Corte di Genova ha invece accolto l’appello contro la sentenza n. 1847/2010 e così respinto la domanda di risarcimento dei danni in favore dell’Amministrazione delle Finanze ragguagliata al valore locativo del bene, avendo riguardo al grado di finitura dell’immobile ed in particolare agli interventi migliorativi operati dall’occupante, il cui valore (stimato dal CTU in Euro 688.575,00) supererebbe di gran lungo l’importo dell’indennità di occupazione. I giudici di secondo grado hanno affermato di dover operare una compensazione in senso lato, consistente in un criterio di valutazione del danno (cd. compensatio lucri cum damno). La sentenza impugnata ha pure ritenuto che l’operata compensazione non fosse preclusa dalla statuizione contenuta nella sentenza n. 2834/2004, la quale aveva riconosciuto l’obbligo risarcitorio dell’occupante abusivo, senza però accertare nè l’an nè il quantum dei danni.
Il ricorso è stato deciso in Camera di consiglio procedendo nelle forme di cui al D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, convertito con modificazioni dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176. Le parti hanno presentato memorie.
Motivi della decisione
1. Risulta preliminare, per ordine logico, l’esame dei motivi del ricorso incidentale.
1.1. Il primo motivo del ricorso incidentale di P.S. denuncia la violazione dell’art. 153 c.p.c., comma 2 e/o art. 184 bis c.p.c., avendo la Corte di Genova rigettato l’istanza di rimessione in termini per l’appello alla “sentenza non definitiva” di primo grado per cause imputabili ad errori materiali e omissioni dei suoi difensori (mancata indicazione della data dell’udienza di comparizione nell’atto di appello, impossibilità di iscrivere a ruolo la causa di impugnazione e conseguente mancata incolpevole formulazione della riserva di appello ex art. 340 c.p.c.).
1.1.1. Il primo motivo del ricorso incidentale è infondato.
La rimessione in termini per causa non imputabile, in entrambe le formulazioni che si sono succedute (artt. 184 bis, operante nella specie “ratione temporis”, e art. 153 c.p.c.), ossia per errore cagionato da fatto impeditivo estraneo alla volontà della parte, che presenti i caratteri dell’assolutezza e non della mera difficoltà e si ponga in rapporto causale determinante con il verificarsi della decadenza, non è invocabile in caso di errori imputabili al difensore dell’interessato, costituendo la negligenza o imperizia di quest’ultimo un evento esterno al processo, che può acquisire rilevanza soltanto ai fini di eventuali responsabilità nel rapporto contrattuale con il professionista investito del mandato, e non quindi spiegare effetti restitutori al fine del compimento di attività precluse alla parte (cfr. Cass. Sez. Unite, 12/02/2019, n. 4135; Cass. Sez. 1, 10/02/2021, n. 3340; Cass. Sez. 1, 08/07/2020, n. 14411; Cass. Sez. 1, 17/11/2016, n. 23430).
Il ricorrente incidentale invoca, a sostegno del proprio interesse a veder “restaurare i diritti processuali fondamentali”, la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, la quale ha, tuttavia, sempre affermato che l’art. 6 della Convenzione, nel tutelare l’accesso al giudice altresì per il tramite dei mezzi di impugnazione, può dirsi violato dalla regolamentazione interna delle formalità da osservare per proporre un ricorso, giustificate dalle esigenze di buona amministrazione della giustizia e di certezza del diritto, solo quando di esse si faccia una interpretazione troppo formalista, così da impedire, di fatto, l’esame nel merito della questione (da ultimo, Corte EDU, Terza Sezione, sentenza 30 marzo 2021, ricorso 4830/2013, Oorzhak c/Russia).
Peraltro, come considera lo stesso ricorrente incidentale, la nullità dell’atto di citazione in appello per mancata indicazione del giorno dell’udienza di comparizione è sanabile con effetto ex tunc ai sensi dell’art. 164 c.p.c., applicabile anche in appello in virtù del richiamo di cui all’art. 359 c.p.c. (cfr. ad esempio Cass. Sez. 3, 09/08/2007, n. 17474; Cass. Sez. 3, 16/10/2009, n. 22024), sicchè l’errore attribuito al difensore, cui si vorrebbe ora rimediare con la rimessione in termini, non aveva comportato alcuna irretrattabile decadenza dalla facoltà di proporre l’impugnazione.
1.2. Il secondo motivo del ricorso incidentale di P.S. deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 1150 c.c., per la mancata determinazione del maggior valore dell’immobile in contesa derivante dalle opere realizzate dal possessore di buona fede.
Il terzo motivo del ricorso incidentale di P.S. denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 1150 c.c. e l’omesso esame del fatto costituito dall’importo delle opere realizzate, che il CTU aveva rettificato nella parte finale della relazione in Euro 893.553,00, IVA esclusa.
1.2.1. Il secondo ed il terzo motivo del ricorso incidentale denotano profili di inammissibilità alla stregua dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6 e sono comunque infondati.
1.2.2. Come anche eccepito nel controricorso del Ministero dell’Economia e delle Finanze, il secondo ed il terzo motivo del ricorso incidentale si riferiscono alla determinazione dell’indennità ex art. 1150 c.c., spettante al possessore per riparazioni, miglioramenti e addizioni, ma il medesimo ricorso incidentale espone, a pagine 23-24, che una domanda a tal fine era contenuta nella comparsa conclusionale. Neppure nella sintesi dei fatti di causa il ricorrente incidentale specifica di aver proposto domanda ex art. 1150 c.c., nella citazione introduttiva, o al più tardi nell’udienza di trattazione, in conseguenza della domanda riconvenzionale spiegata dalla convenuta Amministrazione. Ancora nella memoria ex art. 378 c.p.c., il ricorrente incidentale richiama le allegazioni con cui era stato chiesto in sede di conclusioni del giudizio di appello e nella successiva comparsa conclusionale un supplemento di CTU allo scopo di valutare l’aumento di valore del compendio immobiliare a seguito delle migliorie.
Ai fini del diritto al rimborso delle spese per le riparazioni e all’indennità per i miglioramenti e le addizioni, a norma dell’art. 1150 c.c., il possessore deve, invero, avanzare espressa domanda (non bastando la formulazione di una mera eccezione o difesa in risposta all’avversa domanda di rivendica e di condanna alla restituzione).
Il secondo ed il terzo motivo del ricorso incidentale sono dunque carenti di specifica attitudine a giustificare la cassazione della sentenza impugnata, in quanto attengono alla consistenza del credito del P. per rimborsi ed indennità ex art. 1150 c.c., senza che sia indicata specificamente, e tanto meno dimostrata dall’esame degli atti dei pregressi gradi, la proposizione di esplicita e tempestiva domanda in tal senso. Va dunque affermato che, ai fini del diritto al rimborso delle spese per le riparazioni e all’indennità per i miglioramenti e le addizioni, a norma dell’art. 1150 c.c., il possessore deve avanzare espressa domanda, la quale, nel giudizio da lui intentato, come nella specie, per l’accertamento dell’avvenuta usucapione, cui sia seguita la formulazione di domanda riconvenzionale del convenuto volta alla rivendicazione ed alla restituzione del bene, va formulata a pena di inammissibilità, ai sensi dell’art. 183 c.p.c., comma 4 (nel testo di cui alla L. 26 novembre 1990, n. 353, vigente fino al 1 marzo 2006, qui applicabile “ratione temporis”), nella prima udienza di trattazione (arg. da Cass. Sez. Unite, 14/02/2011, n. 3567), con conseguente preclusione alla sua proposizione nell’ulteriore corso del giudizio (Cass. Sez. 3, 13/03/1998, n. 2747).
1.3. Il quarto motivo del ricorso incidentale allega la violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia sulla “contestazione nell’atto di appello della tempestività dell’eccezione di prescrizione dell’importo dell’indennità di occupazione”. Il Tribunale di Genova aveva ritenuto tardiva l’eccezione di prescrizione giacchè sollevata oltre il termine di cui all’art. 183 c.p.c.. Per il ricorrente incidentale la prova fornita del possesso ultraventennale dell’immobile valeva a paralizzare la pretesa risarcitoria dell’Amministrazione Finanziaria. Viene anche contestata la data iniziale dell’occupazione stimata ai fini della domanda di risarcimento, visto che la domanda di usucapione era stata rigettata sul presupposto che non era stato provato il possesso anteriore al 1982.
1.3.1. Il quarto motivo del ricorso incidentale è del tutto infondato.
La Corte d’appello di Genova ha accolto il gravame di P.S. contro la sentenza n. 1847/2010 e così ha integralmente respinto la domanda di risarcimento dei danni avanzata dall’Amministrazione delle Finanze. In tal senso, la questione inerente alla tempestività dell’eccezione di prescrizione della domanda risarcitoria è rimasta evidentemente assorbita dal rigetto nel merito della pretesa e non può perciò trovare ingresso nel giudizio di legittimità.
Basta solo precisare che l’esame di tale questione assorbita, in ipotesi di accoglimento del ricorso principale, attinente alla questione assorbente (la fondatezza nel merito della domanda di risarcimento per l’illegittima occupazione dell’immobile), resterà rimesso al giudice di rinvio.
1.4. Il quinto motivo del ricorso incidentale deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia su un fatto decisivo, e in particolare sulla “contestazione nell’atto di appello di una serie di osservazioni, giuridicamente e normativamente sopportate, in merito alla relazione peritale”. Tale censura, che si sviluppa da pagina 27 a pagina 36 del controricorso, contiene diffuse critiche alla CTU quanto ai criteri di determinazione dell’indennità di occupazione in rapporto alla stima dell’immobile secondo il valore locativo.
1.4.1. Anche questo motivo va respinto.
Il mancato esame da parte del giudice delle contestazioni alle valutazioni tecniche fatte dal CTU non è suscettibile di dar luogo al vizio di omissione di pronuncia, il quale si configura esclusivamente nel caso di mancato esame di domande od eccezioni di merito (ex multis, Cass. Sez. 2, 24/11/2020, n. 26709).
Circa il riferimento al parametro dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’interpretazione di questa Corte ha chiarito come la riformulazione di tale norma, operata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, abbia introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U., 07/04/2014, n. 8053). E’ quindi inammissibile l’invocazione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, per veicolare in sede di legittimità le critiche mosse alle risultanze della consulenza d’ufficio (critiche che comunque si sostanziano in semplici allegazioni difensive a contenuto tecnico).
D’altro canto, il quinto motivo del ricorso incidentale risente delle stesse carenze di immediata decisività già evidenziate a proposito dei precedenti motivi: esso concerne i parametri di calcolo del danno figurativo per la compressione del diritto di proprietà dell’immobile per cui è causa, secondo il criterio del valore locativo accertato in base alla superficie convenzionale, alla vetustà ed allo stato di conservazione e manutenzione del bene. La Corte d’appello di Genova, non dovendo pronunciare su una espressa domanda del (omissis) diretta a conseguire il rimborso delle spese per le riparazioni e l’indennità per i miglioramenti, ha tenuto conto del relativo credito spettante al possessore unicamente ai fini di un mero accertamento contabile delle reciproche condizioni di dare e di avere inerenti ad un unico rapporto risarcitorio, così da azzerare, in forza del saldo finale approssimativamente ottenuto, la pretesa dell’Amministrazione finanziaria all’indennità di occupazione, giacchè “di gran lunga” inferiore, senza neppure liquidare tale indennità in un importo certo.
2. Può ora passarsi all’esame del ricorso principale proposto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze.
2.1. L’unico motivo del ricorso principale deduce la violazione dell’art. 324 c.p.c. e dell’art. 2909 c.c., nonchè la violazione e falsa applicazione degli artt. 1150, 2043, 2056 e 2059 c.c.. Si assume che la Corte d’appello di Genova abbia violato i principi sottesi alla cosiddetta compensatio lucri cum damno, avendo ritenuto che l’Amministrazione, creditrice del danno per la illegittima occupazione dell’immobile, possa comunque beneficiare delle migliorie apportate all’immobile dal (omissis), aventi maggior valore, senza nemmeno tener conto che il giudicato formatosi sulla sentenza n. 2834/2004 del Tribunale di Genova recava altresì la condanna del convenuto alla rimozione delle opere abusivamente realizzate.
2.2. Va esclusa l’improcedibilità del ricorso principale, eccepita dal controricorrente (omissis) e dedotta dal pubblico ministero nelle sue conclusioni motivate ai sensi dell’art. 369, comma 2, n. 4, per il mancato deposito della sentenza non definitiva del Tribunale di Genova n. 2834/2004, atteso che lo scrutinio dell’unico motivo del ricorso proposto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze contro la sentenza della Corte d’appello di Genova n. 1140/2015 è possibile senza che in concreto occorra l’esame di quell’atto, che peraltro è stato prodotto nelle fasi di merito dallo stesso ricorrente e si trova nel fascicolo di esse, ed il cui contenuto è altresì indicato dalla sentenza impugnata.
Devono parimenti disattendersi le eccezioni di inammissibilità del ricorso principale sollevate dal controricorrente (omissis): il provvedimento impugnato non ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte; il medesimo ricorso per cassazione contiene una sufficiente esposizione dei fatti di causa, dalla quale risultano le posizioni processuali delle parti, nonchè gli argomenti dei giudici dei singoli gradi, e si connota in censure provviste di specificità, completezza e riferibilità alla decisione della Corte d’appello di Genova.
2.3. Il ricorso principale è fondato nei limiti di seguito precisati.
2.3.1. Il diritto all’indennità per i miglioramenti arrecati alla cosa ed esistenti al tempo della restituzione (che spetta al possessore in ogni caso, ex art. 1150 c.c., avendo la distinzione tra possessore di buona o mala fede rilevanza unicamente ai fini del calcolo della indennità medesima) si correla all’incremento attuale ed effettivo che si verifica, in conseguenza di tali miglioramenti, nel patrimonio del proprietario attore in rivendicazione. Ove, del resto, detti miglioramenti siano costituiti da addizioni, il proprietario, in virtù del disposto dell’art. 936 c.c., espressamente richiamato, può obbligare il terzo ad asportarli, salvo che costui le abbia fatte in buona fede o che il proprietario stesso ne fosse a conoscenza e non vi si fosse opposto. Il giudicato comunque formatosi sulla demolizione delle opere fatte dal possessore non può, allora, non riverberarsi sulla spettanza dell’indennizzo, in considerazione della precarietà dell’aumento di valore conseguito dal fondo rivendicato (arg. da Cass. Sez. 2, 14/11/2002, n. 16012; Cass. Sez. 2, 23/05/2012, n. 8156; Cass. Sez. 2, 22/08/2002, n. 12342).
A fronte del giudicato contenuto nella sentenza n. 2834/2004, che in dispositivo condannava (omissis) “alla rimozione delle opere abusivamente realizzate” (dopo aver riconosciuto in motivazione l’obbligo di “rimozione delle opere illegittimamente apportate”), lo stesso non ha più ragione di allegare, come fatto nella memoria ex art. 378 c.p.c., che l’Amministrazione avesse chiesto, piuttosto, la “rimozione di ogni opera illegittimamente apportata(vi)”, sia perchè l’eventuale ultrapetizione di quella pronuncia resta comunque coperta dal giudicato formatosi, sia perchè la domanda e la condanna alla demolizione di un’opera in base all’asserita illegittimità della stessa equivalgono alla domanda ed alla condanna volte alla riduzione in pristino mediante l’eliminazione dello stato di cose conseguito alla violazione di legge.
Neppure ha rilievo la conformità urbanistica delle opere, che espone nelle sue difese (omissis), trattandosi di profilo che attiene all’ambito del rapporto pubblicistico tra (omissis) e privato, e cioè all’aspetto formale dell’attività edificatoria, e che non è invece di per sè risolutivo del conflitto con il proprietario privato interessato in senso opposto alla costruzione.
2.3.2. Le ragioni per le quali si è già detto fondato il ricorso principale giustificano l’assorbimento della residua concorrente censura, parimenti formulata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze in ordine all’applicazione della “compensatio lucri cum damno” che ha fatto la sentenza della Corte d’appello di Genova con riguardo ai rapporti tra il vantaggio tratto dall’Amministrazione delle Finanze per l’esecuzione dei lavori di recupero, manutenzione e riqualificazione del fabbricato ed il danno per l’indisponibilità dell’immobile stesso arrecato dall’abusivo occupante. Gli argomenti per i quali il ricorso principale è stato accolto, esposti nel precedente punto 2.3.1., sono tali da escludere la permanenza dell’immediato rilievo decisorio dell’ulteriore questione sollevata con il medesimo motivo di impugnazione.
3. Conseguono l’accoglimento del ricorso principale proposto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze ed il rigetto del ricorso incidentale di (omissis).
La sentenza impugnata va cassata, nei limiti della censura accolta, con rinvio dalla causa alla Corte d’appello di Genova, in diversa composizione, che deciderà uniformandosi al principio di diritto enunciato e tenendo conto dei rilievi svolti, provvedendo anche alla pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – da parte del ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso principale del Ministero dell’Economia e delle Finanze, rigetta il ricorso incidentale di (omissis), cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia la causa alla Corte d’appello di Genova, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 5 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 14 dicembre 2021
