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Cassazione civile sez. II, 14/06/2018, n. 15626

Massima

Il termine breve di impugnazione decorre soltanto in forza di una conoscenza “legale” del provvedimento da impugnare, vale a dire di una conoscenza conseguita per effetto di un’attività svolta nel processo, della quale la parte sia destinataria o che ella stessa ponga in essere e che sia normativamente idonea a determinare da sé detta conoscenza o tale, comunque, da farla considerare acquisita con effetti esterni rilevanti sul piano del rapporto processuale. (Nella specie, la S.C. ha confermato l’impugnata decisione che aveva reputato irrilevante, ai fini della conoscenza della sentenza di primo grado, la pregressa trascrizione della sentenza stessa presso la Conservatoria dei registri immobiliari).

Supporto alla lettura

TERMINI PER LE IMPUGNAZIONI

Gli artt. 325 e ss. c.p.c. disciplinano i termini per proporre impugnazione, decorsi i quali la sentenza passa in giudicato.

Esistono due tipologie di termini:

  • termine breve: se si tratta di regolamento di competenza, appello, revocazione e opposizione di terzo sarà di 30 giorni; se si tratta di ricorso in cassazione sarà di 60 giorni. Il momento in cui il termine breve inizia a decorrere può essere individuato in tre distinte situazioni, che possono essere o la notificazione della sentenza, o la conoscenza di un certo fatto, o la comunicazione della sentenza, ma generalmente si fanno partire dal momento in cui viene notificata la sentenza (sia per il notificante che per il notificato). Per quanto riguarda, invece, le impugnazioni straordinarie (tranne per l’opposizione di terzo ordinaria per cui non è previsto alcun termine), i termini decorrono dal momento in cui è scoperto il vizio occulto della sentenza; mentre per il regolamento di competenza decorrono dal momento in cui viene comunicato il provvedimento.
  • termine lungo: indipendentemente dalla notificazione, i mezzi di impugnazione quali l’appello, il ricorso per cassazione e la revocazione derivante dal fatto che la sentenza è frutto di un errore di fatto risultante dagli atti o dai documenti della causa, o è contraria ad altra precedente avente tra le parti autorità di cosa giudicata, non possono essere proposti se non sono decorsi 6 mesi dalla sentenza. Ciò però non si applica qualora la parte sia rimasta contumace dimostrando di non aver avuto conoscenza del processo per nullità della citazione o della notificazione di essa, e per nullità della notificazione degli atti per i quali essa è prevista.

I termini possono essere interrotti quando la parte o il suo procuratore muoiano o perdano la capacità di stare in giudizio, in questi casi il termine breve riprenderà a decorrere dal giorno in cui la notificazione è rinnovata nei confronti degli eredi (impersonalmente o collettivamente nell’ultimo domicilio del defunto); il termine lungo, invece, se l’evento è sopravvenuto dopo sei mesi dalla pubblicazione della sentenza, sarà ulteriormente prorogato di 6 mesi dal giorno dell’evento e per tutte le parti (attualmente detto termine risulta inoperante).

Il potere di impugnare si perde anche per acquiescenza: consiste in un’accettazione espressa del provvedimento o nel compimento di atti incompatibili con la volontà di impugnare.

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto
RILEVATO IN FATTO

Con sentenza in data 18 gennaio 2010 il Tribunale di Lecce-sez. dist. di Gallipoli accoglieva la domanda proposta da (omissis) nei confronti di (omissis) (che rimaneva contumace) e, per l’effetto, dichiarava la risoluzione dell’atto di donazione per notar (omissis) del (omissis) (rep. N. (omissis) e n. (omissis)) per inadempimento dell’onere.

Decidendo sull’appello formulato dalla soccombente convenuta e nella resistenza dell’appellata (omissis), la Corte di appello di Lecce accoglieva l’avanzato gravame ritenendo fondato il motivo relativo alla dedotta nullità della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado (e, di conseguenza, di tutti gli atti processuali dipendenti), siccome eseguita secondo le formalità previste dall’art. 143 c.p.c., pur in difetto della sussistenza delle relative condizioni (essendo, in particolare, noto il luogo di residenza della convenuta), da cui derivava la rimessione della causa al primo giudice, ai sensi dell’art. 354 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Avverso la suddetta sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione (omissis), riferito a tre motivi, al quale ha resistito con controricorso l’intimata (omissis). La difesa della ricorrente ha anche depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 1, ma tardivamente.2. Con la prima censura la ricorrente ha dedotto – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – la violazione degli artt. 140 e 143 c.p.c., avendo, ad avviso della sua difesa, la Corte territoriale disatteso l’orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui deve valorizzarsi, al fine della individuazione delle diverse modalità di notificazione, la relazione del destinatario con il luogo in cui viene richiesta la notifica, evidenziandosi che il procedimento notificatorio di cui al citato art. 143 c.p.c., può essere utilizzato qualora la notifica presso l’ultima residenza risultante dal certificato anagrafico non sia andata a buon fine (come nel caso in cui il destinatario sia risultato sconosciuto, a nulla rilevando che i familiari si siano rifiutati di ricevere l’atto asserendo che il destinatario abiti altrove), considerandosi che – nella fattispecie – l’ufficiale giudiziario, nella relazione di notificazione eseguita il 4 maggio 2002 ai sensi dell’art. 139 c.p.c., non andata a buon fine, aveva attestato che non era stato possibile notificare l’atto perchè la destinataria risiedeva di fatto in Milano e che all’indirizzo in atti essa abitava solo nel periodo estivo.

3. Con il secondo motivo la ricorrente ha prospettato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – la violazione dell’art. 327 c.p.c., comma 2, e dell’art. 2655 c.c., sul presupposto dell’assunta erroneità della sentenza che non aveva tenuto conto che, essendovi stata la trascrizione della sentenza che aveva fatto retroagire il bene nel patrimonio della parte donante, l’appello tardivo non scalfiva la posizione dei terzi successori nella “res litigiosa”, ragion per cui da ciò avrebbe dovuto inferirsi la necessità ordinamentale di individuare il termine (lungo) di decorrenza per proporre appello in quello della intervenuta trascrizione della sentenza presso la Conservatoria dei RR.II..

4. Con la terza ed ultima doglianza la ricorrente ha denunciato – in ordine all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – la violazione dell’art. 91 c.p.c., perchè, in base al principio di causalità (non essendo ad essa V. riconducibile la condotta “ante causam” osservata dalla R.), il giudice di appello avrebbe dovuto quantomeno disporre la compensazione delle spese giudiziali.

5. Rileva il collegio che tutti e tre i motivi proposti nell’interesse della ricorrente sono infondati e devono, pertanto, essere rigettati.

6. La prima censura è destituita di fondamento poichè, diversamente da quanto prospettato dalla ricorrente, la Corte di appello salentina ha legittimamente ritenuto che la notificazione dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado nei confronti della (omissis) era stata irritualmente eseguita ai sensi dell’art. 143 c.p.c., non sussistendone le condizioni di legge (donde la conseguente dichiarazione della sua nullità), dal momento che era rimasto accertato come la destinataria non fosse propriamente irreperibile, in quanto la stessa non aveva mai modificato il suo indirizzo di residenza anagrafica, risultante ubicato in (omissis) (per come evincibile “ex actis”) nè, oltretutto, era ignoto il luogo in cui ella dimorava per alcuni periodi dell’anno (in Milano), pur non essendosi mai propriamente trasferita dal predetto indirizzo.

Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, infatti, solo la notificazione a persona di residenza, dimora o domicilio sconosciuti legittima l’applicabilità della forma di notificazione disciplinata dall’art. 143 c.p.c., ma a tal fine è necessario che ricorra propriamente l’impossibilità di individuare i detti luoghi, nonostante l’espletamento – a cura del soggetto che promuove la notificazione – delle indagini necessarie secondo l’ordinaria diligenza. E’ stato anche chiarito che i presupposti, legittimanti la notificazione a norma dell’art. 143 c.p.c., non sono solo il dato soggettivo dell’ignoranza, da parte del richiedente o dell’ufficiale giudiziario, circa la residenza, la dimora o il domicilio del destinatario dell’atto, nè il mero possesso del certificato anagrafico, dal quale risulti il destinatario stesso trasferito per ignota destinazione, essendo anche richiesto che la condizione di ignoranza non sia superabile attraverso le indagini possibili nel caso concreto, da compiersi ad opera del mittente con l’ordinaria diligenza. A tal fine, la relata di notificazione fa fede, fino a querela di falso, circa le attestazioni che riguardano l’attività svolta dall’ufficiale giudiziario procedente e limitatamente ai soli elementi positivi di essa, mentre non sono assistite da pubblica fede le attestazioni negative, come l’ignoranza circa la nuova residenza del destinatario della notificazione (cfr. Cass. n. 20971/2012 e Cass. n. 19012/2017, ord.).

Alla stregua di tali principi e delle univoche risultanze accertate dalla Corte territoriale, è evidente che, nella fattispecie, la temporanea assenza della convenuta dalla sua abitazione (in cui era fissata la sua residenza anagrafica) non avrebbe potuto essere qualificato come un trasferimento e, vieppiù, come un trasferimento in luogo ignoto (mentre dalla stessa relata di notificazione emergeva il luogo in cui dimorava in quel momento la destinataria), tale da comportare una condizione di “irreperibilità” della (omissis) e, quindi, da giustificare il legittimo ricorso alla notificazione di cui all’art. 143 c.p.c..

Sulla scorta dell’accertata nullità della notificazione della citazione introduttiva la Corte leccese ha, quindi, correttamente rimesso la causa al primo giudice ai sensi dell’art. 354 c.p.c., comma 1.

7. Anche la seconda doglianza è palesemente priva di pregio giuridico.

E’ pacifico che, ai fini dell’applicabilità dell’art. 327 c.p.c., comma 2, in base al quale il termine (prima) annuale di decadenza dalla facoltà di proporre impugnazione non si applica quando la parte contumace dimostri di non aver avuto conoscenza del processo, costituisce condizione essenziale che la parte contumace sia rimasta tale perchè, a causa del contenuto della citazione, del ricorso o della loro notificazione, non è stata messa in grado di prendere parte al giudizio.

E ciò è proprio quello che è stato legittimamente accertato dalla Corte di appello di Lecce con la sentenza impugnata, poichè la (omissis) – a causa della nullità della notificazione dell’atto di citazione in primo grado (per quanto già illustrato con riferimento al primo motivo) – era rimasta involontariamente contumace e solo con la successiva notificazione della sentenza di primo grado in forma esecutiva unitamente al pedissequo precetto (avvenuta in data 22 marzo 2013) era venuta a conoscenza della pregressa instaurazione del giudizio nei suoi confronti e dell’adottata sentenza da parte del Tribunale di Lecce – sez. dist. di Gallipoli, provvedendo ad impugnarla nel termine di cui all’art. 325 c.p.c., decorrente, tuttavia, per la stessa da quest’ultima intervenuta notificazione (cfr. Cass. Sez. U. n. 14570/2007 e Cass. n. 24763/2013), indipendentemente dalla circostanza che la sentenza risultasse essere stata pubblicata da più di un anno (v. Cass. 5962/2001 e Cass. n. 833/2007).

Altrettanto correttamente la Corte territoriale ha ritenuto l’irrilevanza – ai fini della potenziale conoscenza precedente dell’intervenuta emissione della sentenza da parte della R. (pur rimasta involontariamente contumace nel giudizio di primo grado) e, quindi, del decorso da tale momento del termine per appellare – della pregressa trascrizione della sentenza stessa nella Conservatoria dei RR.II, intervenuta il 23 gennaio 2012, assolvendo tale adempimento a tutt’altra funzione di pubblicità.

Del resto è consolidato l’indirizzo della giurisprudenza di questa Corte in base al quale il termine breve di impugnazione decorre soltanto in forza di una conoscenza “legale” del provvedimento da impugnare e cioè di una conoscenza conseguita per effetto di un’attività svolta nel processo, della quale la parte sia destinataria o che ella stessa ponga in essere, la quale sia normativamente idonea a determinare da sè detta conoscenza o tale, comunque, da farla considerare acquisita con effetti esterni rilevanti sul piano del rapporto processuale (v. Cass. n. 15359/2008). In altri termini, ai fini della decorrenza del termine breve per proporre impugnazione, la notificazione della sentenza, cui si riferisce l’art. 326 c.p.c., non può essere sostituita da forme di conoscenza equipollenti, quali la conoscenza di fatto del provvedimento impugnato.

8. Il terzo motivo del ricorso è anch’esso manifestamente infondato poichè il giudice d’appello ha legittimamente applicato il principio della soccombenza finale allo scopo della regolazione delle spese di entrambi i gradi di giudizio, ponendole a carico della (omissis), la quale, anche sotto il profilo del principio di causalità, aveva dato luogo all’instaurazione del giudizio di primo grado in base ad una notificazione nulla dell’atto introduttivo, aveva preannunciato l’inizio dell’esecuzione forzata notificando una sentenza formatasi all’esito di un giudizio in cui la convenuta era rimasta involontariamente contumace e ha resistito in appello, contestando le complessive doglianze della parte avversa, invece fondate e ritenute, per l’appunto, tali dal giudice del gravame.

E’, peraltro, incontroverso che il giudice di appello, allorchè riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata, deve procedere d’ufficio, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, ad un nuovo regolamento delle spese processuali, il cui onere va attribuito e ripartito tenendo presente l’esito complessivo della lite poichè la valutazione della soccombenza opera, ai fini della liquidazione delle spese, in base ad un criterio unitario e globale.

9. In definitiva, alla stregua delle ragioni complessivamente esposte, il ricorso deve essere integralmente rigettato, con la conseguente condanna della soccombente ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate nella misura di cui in dispositivo.

Ricorrono, infine, le condizioni per dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della stessa ricorrente, del raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. n. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 1.400,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario nella misura del 15% ed accessori come per legge.

Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, del raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile, il 21 marzo 2018.

Depositato in Cancelleria il 14 giugno 2018

Allegati

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