Fatto
(omissis) impugna per cassazione la sentenza 14.6.07 con la quale il tribunale di Firenze ne ha dichiarato inammissibile l’appello proposto avverso la sentenza 17.10.06 del G.d.P. del luogo che, a sua volta, ne aveva rigettato l’opposizione ad ordinanza-ingiunzione prefettizia n. (omissis) per violazione al C.d.S..
Sostiene il ricorrente, con un primo motivo, l’erroneità dell’impugnata sentenza per esservi stata ritenuta la decorrenza del termine breve d’impugnazione ex artt. 325 e 326 c.p.c., dal giorno in cui era stata richiesta all’ufficio del G.d.P. la copia della sentenza appellanda; con altri motivi, il ricorrente riprospetta le questioni dedotte nel giudizio di merito.
Parte intimata resiste con controricorso.
Il Consigliere relatore ha attivato procedura ex artt. 380 bis e 375 c.p.c., sulla considerazione che:
“L’appello è stato dichiarato inammissibile sulla base di un’interpretazione che richiama il termine di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 22, – trenta giorni dalla notificazione del provvedimento amministrativo – ritenendo che il giudizio di appello sia modellato come un procedimento del tutto identico a quello di primo grado e con un rito processuale del tutto speciale rispetto sia a quello civile ordinario di cognizione che a qualsiasi altro rito speciale. La critica a detta interpretazione, pur essendo manifestamente fondata, è stata proposta in modo inammissibile: infatti nel formulare il quesito e nell’illustrarlo, parte ricorrente non mostra di aver colto la ratio decidendi prescelta dal giudice, ma chiede che sia affermata la non applicabilità dell’art. 326 c.p.c., sulla scadenza del termine breve per le impugnazioni e che sia stabilito “se in caso di mancata notifica della sentenza, il termine lungo decorre comunque dal deposito della sentenza, ovvero dal termine breve decorrente dalla piena conoscenza della sentenza stessa”.
Poichè il quesito di diritto di cui all’art 366 bis c.p.c., deve essere risolutivo del punto della controversia e non può’ definirsi nella richiesta di declaratoria di un’astratta affermazione di principio (C 17108/07) che non sia conferente e non conduca ad alcuna conseguenza rispetto al caso di specie (C 11682/07), la causa va rimessa per la decisione in camera di consiglio.
Il ricorrente ha replicato con memoria.
Ritiene il Collegio di non condividere l’opinione espressa dal Consigliere relatore.
Il giudice a quo è senz’altro incorso, come rilevato dal relatore, in due errori, tanto nel ritenere che per l’introduzione del giudizio d’appello in materia di sanzioni amministrative operino gli stessi termini stabiliti per la proposizione dell’opposizione in primo grado, quanto nel ritenere che il dies a quo dal quale far decorrere il termine per l’impugnazione dovesse essere identificato in quello del rilascio all’appellante della copia della sentenza appellanda da parte della cancelleria del giudice di primo grado trattandosi di “ipotesi in tutto equivalente alla notificazione dall’odierno appellato all’odierno appellante, dovendosi tutto ricondurre al concetto di comprovata ed effettiva conoscenza dell’atto.
Tuttavia, l’uno, per il quale è estesa la specialità del rito di primo grado normativamente configurata anche alle impugnazioni ed ai loro termini pur in difetto di previsione normativa ed in contrasto con la disciplina di cui all’art. 325 c.p.c. e ss., di generale applicabilità salvo espresse deroghe, non risulta determinante ai fini della decisione adottata, poichè il termine di trenta giorni per la proposizione dell’opposizione all’ordinanza-ingiunzione di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 22, è identico a quello per la proposizione dell’appello di cui all’art. 325 c.p.c.; mentre l’errore saliente della detta decisione va ravvisato nella sopra riportata proposizione, con la quale s’identifica il dies a quo di decorrenza dei detti termini dalla “comprovata ed effettiva conoscenza dell’atto” conseguita dalla parte e, consequenzialmente, si dichiara inammissibile l’appello in quanto non proposto nei trenta giorni da tale evento.
La questione non è nuova ed, in casi analoghi, hanno escluso che l’avere l’interessato chiesto ed ottenuto dalla cancelleria copia del provvedimento da impugnare possa essere considerato equipollente alla ricevuta notificazione o ad altra modalità di acquisizione della conoscenza “legale” del provvedimento stesso, idonea a far decorrere il termine breve per l’impugnazione, recentemente, Cass. SS.UU. 9.6.06 n. 13431, Cass. 17.12.04 n. 23501, Cass. 18.6.02 n. 8858, ma già, e pluribus nel tempo, Cass. 5.11.84 n. 5590 e Cass. 9.7.76 n. 2606, ciascuna con ampi richiami di precedenti conformi.
D’altra parte, sebbene l’interesse dell’ordinamento nello stabilire il termine annuale per l’impugnazione delle sentenze non sia quello di garantire alle parti un adeguato spatium deliberandi, bensì quello di regolare temporalmente il regime di stabilità delle decisioni giurisdizionali, dalla disciplina posta dall’art. 327 c.p.c., deriva, in ogni caso, il diritto delle parti di giovarsi dell’intero arco temporale annuale per accettare il formarsi del giudicato oppure proporre impugnazione; al qual ultimo fine è necessario l’accesso al testo integrale della sentenza mediante la richiesta ed il rilascio della relativa copia, sì che, ove si dovesse ritenere che da tale richiesta e rilascio, ricompresi nell’ambito d’un’ attività conoscitiva interna svolta dalla parte, possa decorrere il termine breve di cui all’art. 325 c.p.c., pur in difetto dell’attività acceleratoria e sollecitatoria espressamente prevista con tale finalità dall’art. 326 c.p.c., o delle attività equiparabili, si verrebbe a ledere il richiamato diritto derivante dall’art. 327 c.p.c..
Vero è, per contro, che, esclusa la rilevanza d’una conoscenza di fatto del provvedimento impugnando quale quella testè esaminata, un’interpretazione estensiva e costituzionalmente orientata dell’art. 326 c.p.c., (cfr. Cass. 255.9.04 n. 19602 in motivazione e riferimenti ivi) porta ad affermare il seguente principio di diritto:
“costituisce circostanza idonea a provocare la decorrenza del termine breve d’impugnazione solo una conoscenza “legale” di esso, id est una conoscenza conseguita per effetto d’un’attività svolta nel processo, della quale la parte sia destinataria o ch’ella stessa ponga in essere, normativamente ritenuta idonea a determinare ex se detta conoscenza, o tale comunque da farla considerare acquisita con effetti esterni rilevanti sul piano del rapporto processuale.
Il proposto quesito è, pertanto, pertinente.
Gli altri motivi di ricorso, attinenti al merito, restano assorbiti.
Il primo motivo di ricorso va, dunque, accolto con annullamento dell’impugnata sentenza e la causa va rimessa ad altro giudice pari ordinato, che s’indica nel tribunale di Firenze in persona di diverso magistrato, il quale, nella decisione, s’atterrà all’enunziato principio di diritto ed al quale è anche demandato, ex art. 385 c.p.c., di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
LA CORTE accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, cassa l’impugnata sentenza in relazione al motivo e rinvia, anche per le spese, al tribunale di Firenze in persona di diverso magistrato.Così deciso in Roma, il 29 aprile 2008.
Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2008
