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Cassazione civile sez. II, 09/11/2017, n. 26557

Massima

Nel contesto condominiale, l’impugnazione di una delibera che mira a verificarne la legittimità come atto collettivo, anziché presupporre un rapporto giuridico intersoggettivo tra il Condominio e il singolo condomino, esclude la formazione di un giudicato implicito sulla validità della delibera stessa, anche qualora un precedente giudizio possessorio abbia accertato l’illegittimità delle opere oggetto della ratifica.

Supporto alla lettura

Condominio

1.La natura giuridica del Condominio.

Quella della natura giuridica del condominio è una questione che ha fatto sorgere numerosi contrasti in dottrina e in giurisprudenza. La giurisprudenza di legittimità si è più volte espressa sostenendo che il condominio non può considerarsi un soggetto giuridico distinto dai singoli condomini che lo compongono. Secondo la giurisprudenza di legittimità, il condominio è un ente di gestione sfornito di personalità distinta da quella dei suoi partecipanti.

In questo contesto dottrina e giurisprudenza hanno elaborato diverse teorie alle volte in contraddittorio tra loro. S’è detto che il condominio è:

a) un ente di gestione sprovvisto di personalità giuridica e autonomia patrimoniale distinta da quella dei suoi partecipanti (Cass n. 7891/2000);

b) un centro d’imputazione d’interessi distinto dai singoli partecipanti (Cass. 19 marzo 2009, n. 6665);

c) una organizzazione pluralistica (Cass. SS.UU. n. 9148/08).

La legge di riforma n. 220/2012 non ha preso posizione sul problema ma, come evidenziato dalle Sezioni unite della Suprema corte nella sentenza n. 19663/2014, ha introdotto una serie di disposizioni che sembrerebbero confermare la tendenza alla progressiva configurabilità “di una sia pur attenuata personalità giuridica”. In merito si rimanda all’ammissione della pignorabilità da parte dei fornitori del conto corrente condominiale, nonostante il nuovo disposto dell’art. 63 disp. att. c.c. sulla responsabilità dei singoli condomini per le obbligazioni comuni. Ma con la sentenza n. 10934/2019, le medesime Sezioni unite hanno escluso che il condominio possa configurarsi come un autonomo soggetto di diritto.

2. Condominio consumatore

È utile ricordare che ai sensi dell’art. 3 del codice del consumo (d.lgs n. 206/2005), consumatore o utente è “la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta” (art. 3 lett. a) Codice del consumo), mentre il professionista è “la persona fisica o giuridica che agisce nell’esercizio della propria attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale, ovvero un suo intermediario” (art. 3 lett. c) Codice del consumo).

L’orientamento che si è finora delineato, sia di merito che di legittimità, ha valorizzato in via pressoché esclusiva l’assunto secondo il quale, essendo il condominio ente di gestione privo di personalità giuridica, «l’amministratore agisce quale mandatario con rappresentanza dei vari condomini, i quali devono essere considerati consumatori in quanto persone fisiche operanti per scopi estranei ad attività imprenditoriale o professionale» (Cassazione, sentenze 10679/2015 e 452/2005). Di recente il tribunale di Milano, con ordinanza sospensiva del giudizio, ha rimesso alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la seguente questione pregiudiziale: “Se la nozione di consumatore quale accolta dalla direttiva 93/13/CEE osti alla qualificazione come consumatore di un soggetto (quale il condominio nell’ordinamento italiano) che non sia riconducibile alla nozione di “persona fisica” e di “persona giuridica”, allorquando tale soggetto concluda un contratto per scopi estranei all’attività professionale e versi in una situazione di inferiorità nei confronti del professionista sia quanto al potere di trattativa, sia quanto al potere di informazione …” (Trib. Milano, ord. 1 aprile 2019).

La corte di Giustizia si è pronunciata affermato che il Condominio è consumatore “L’articolo 1, paragrafo 1, e l’articolo 2, lettera b), della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che non ostano a una giurisprudenza nazionale che interpreti la normativa di recepimento della medesima direttiva nel diritto interno in modo che le norme a tutela dei consumatori che essa contiene siano applicabili anche a un contratto concluso con un professionista da un soggetto giuridico quale il condominio nell’ordinamento italiano, anche se un simile soggetto giuridico non rientra nell’ambito di applicazione della suddetta direttiva” (Corte giustizia UE , 02 aprile 2020, n.329, sez. I).

Ambito oggettivo di applicazione

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato in data 1 agosto 2002 (omissis) evocava, dinanzi al Tribunale di Lecco, il Condominio (omissis) chiedendo l’annullamento della delibera condominiale del 22 luglio 2002 nella parte in cui aveva approvato solo a maggioranza la ratifica dei lavori eseguiti dalla (omissis) s.a.s. nel 2001 per il superamento delle barriere architettoniche L. n. 13 del 1989, ex art. 2 e ss, che consentiva l’accesso dalla strada pubblica in via esclusiva ad unità adibite ad attività commerciale, di proprietà della stessa (omissis), opere realizzate a discapito di area verde condominiale, quale l’aiuola, e con abbattimento di muro perimetrale condominiale, di cui era stata modificata la linea architettonica; tutto ciò era stato realizzato nonostante il contratto di acquisto del suo dante causa, stipulato con la società costruttrice (sempre la (omissis) s.a.s. di (omissis)), prevedesse che l’area destinata a verde dovesse rimanere tale per sempre, al pari dell’art. 35, lett. d) del Regolamento condominiale che richiedeva l’unanimità dei consensi dei condomini in caso di modifiche dei beni condominiali che li rendessero inservibili all’uso. Aggiungeva che il medesimo Tribunale aveva respinto l’impugnazione della Delib. condominiale 16 maggio 2001 proposta dalla (omissis) per avere l’assemblea non autorizzato le opere già eseguite, oltre a non avere consentito la ultimazione della rampa; del pari era stato a lui favorevole, in primo grado, il giudizio possessorio da lui introdotto volto ad ottenere la condanna della (omissis) alla restituito in integrum dei luoghi.

Instaurato il contraddittorio, nella resistenza del Condominio, che assumeva la modestia del sacrificio al bene comune, riconducibile alla soppressione di una fioriera, che peraltro era già in uso esclusivo al condomino in questione, per cui doveva ritenersi legittima la delibera assunta con le maggioranze previste dall’art. 2 della L. n. 13 del 1989 e dall’art. 8, punto c) del Regolamento condominiale, spiegato intervento volontario dalla (omissis) s.a.s., la quale affermava che nel contratto di vendita vi era una clausola espressa che riservava l’uso del cortile antistante il negozio al proprietario dello stesso, il giudice adito, respingeva l’impugnazione proposta.

In virtù di rituale appello interposto dal (omissis), la Corte di appello di Milano, nella resistenza sia del Condominio sia della (omissis), accoglieva il gravame e per l’effetto – in riforma della decisione di prime cure – dichiarava la nullità della delibera condominiale de qua.

A sostegno della decisione adottata la corte territoriale evidenziava che nelle more del giudizio era passata in giudicato la sentenza pronunciata dal Tribunale di Lecco (n. 541 del 2005) in sede possessoria, per cui doveva ritenersi definitivamente accertata la illegittimità delle opere realizzate dalla (omissis), con conseguente soggezione della stessa agli obblighi di demolire le opere e di ripristinare lo stato dei luoghi comuni manomessi. Ne conseguiva la nullità della delibera di ratifica in esame per impossibilità dell’oggetto, non essendo suscettibile di esecuzione siccome contraria al giudicato relativo all’accertamento compiuto in merito alla (il)liceità della questione di fatto e di diritto costituente indispensabile premessa logica della situazione fatta valere.

Avverso la indicata sentenza della Corte di appello di Milano hanno proposto ricorso per cassazione le condomine (omissis) e (omissis), nonchè la (omissis), affidato a tre motivi, cui ha replicato il M. con controricorso.

Fissata pubblica udienza al 20.04.2016, con ordinanza interlocutoria del 28.09.2016, veniva disposta l’integrazione del contraddittorio ai sensi dell’art. 331 e 291 c.p.c. nei confronti del Condominio, adempimento che veniva effettuato in data 15/16.11.2016.

In prossimità della pubblica udienza le parti ricorrenti hanno depositato memoria illustrativa, oltre a produrre elenco e documenti depositati ai sensi dell’art. 372 c.p.c..

Motivi della decisione

E’ pregiudiziale l’esame della (in)ammissibilità del ricorso dedotta nel controricorso, per essere stato proposto da soggetti estranei al Condominio (omissis), nulla essendo stato allegato circa la qualità di condomini dei predetti. Quanto alla (omissis), inoltre, viene denunciata la invalidità della procura apposta a margine del ricorso per non essere stati specificati i soggetti che avrebbero rilasciato il mandato.

Del tutto preliminare rispetto alla valutazione delle censure come dianzi riportate si pone la questione concernente l’ammissibilità della produzione documentale curata dalle ricorrenti in prossimità dell’udienza, anche per l’incidenza sulla legitimatio ad causam delle (omissis).

In applicazione dell’art. 372 c.p.c., se ne deve dichiarare l’ammissibilità: è appena il caso di rammentare che questa Corte (fra le molte, Cass. n. 2125 del 2014) ha già chiarito che il divieto di cui all’art. 372 c.p.c. di produrre nuovi documenti nel giudizio di cassazione incontra la sola eccezione degli atti concernenti la nullità della sentenza impugnata e l’ammissibilità del ricorso e del controricorso, come nell’ipotesi in esame, in quanto riguardante la regolare costituzione del rapporto processuale, che attiene all’ordine pubblico e va, pertanto, rilevata e decisa anche di ufficio in ogni stato e grado del giudizio.

Ciò precisato, il giudizio di appello si è svolto tra (omissis) e il Condominio (omissis), intervenuta la (omissis) s.a.s. di (omissis) & C. (come si evince dall’intestazione della sentenza ora impugnata), mentre il ricorso per Cassazione risulta essere stato proposto oltre che dalla s.a.s., da (omissis) e (omissis) (come si evince dall’intestazione e dalla procura a margine del ricorso).

La documentazione prodotta è a comprova della qualità di condomine delle (omissis) per essere le eredi testamentarie di (omissis), deceduta il (omissis) (v. dichiarazione di successione), proprietaria di appartamento sito nello complesso condominiale (omissis) (v. atto notarile di compravendita).

Con la conseguenza che va affermato che le ricorrenti, le quali non risultano essere state parti nella precedente fase del giudizio, hanno offerto la necessaria prova di avere acquistato la legittimazione ad causam sulla base d’una sopravvenuta situazione giuridica idonea a fondarla. Quanto alla natura della situazione che le legittima al ricorso, osserva il Collegio che secondo orientamento consolidato di questa Corte, essendo il Condominio un ente di gestione sfornito di personalità distinta da quella dei suoi partecipanti, l’esistenza dell’organo rappresentativo unitario non priva i singoli condomini del potere di agire a difesa di diritti connessi alla detta partecipazione, nè, quindi, del potere di intervenire nel giudizio per il quale tale difesa sia stata legittimamente assunta dall’amministratore e di avvalersi dei mezzi d’impugnazione per evitare gli effetti sfavorevoli della sentenza pronunziata nei confronti dell’amministratore stesso che non l’abbia impugnata (vedi Cass. n. 6856 del 1993Cass. n. 2392 del 1994Cass. n. 8842 del 2001Cass. n. 12588 del 2002Cass. n. 9206 del 2006Cass. n. 10717 del 2011Cass. n. 14765 del 2012Cass. n. 16562 del 2015).

Nella fattispecie ritiene la Corte di dare continuità al citato indirizzo, non potendo seguire il diverso principio affermato talvolta in alcune decisioni di legittimità (v. Cass. n. 19223 del 2011 e Cass. n. 21444 del 2010; nonchè, con maggior apporto argomentativo: Cass. n. 9213 del 2005) – che escluderebbe la legittimazione del singolo condomino – in caso di inerzia dell’Amministratore – nelle ipotesi in cui si impugnino deliberazioni dell’assemblea che perseguano esclusivamente finalità di gestione di un servizio comune, in quanto non idonee ad incidere, se non in via mediata, sull’interesse esclusivo di uno o più partecipanti. Per contro osserva il Collegio che appare privo di un appagante fondamento normativo il distinguere tra incidenza immediata oppure mediata sulla sfera patrimoniale del singolo, derivante della caducazione di una decisione sulla gestione della cosa comune, al fine di identificare i soggetti legittimati alla relativa impugnativa (nell’inerzia del Condominio).

Infine non sussiste la dedotta nullità della procura speciale di cui all’art. 365 c.p.c. quanto alla s.a.s., poichè è validamente conferita da persona chiaramente identificabile, (omissis), che ha dichiarato la propria qualità di rappresentante dell’ente ricorrente, mentre spetta a colui che nega detta qualità di fornire la prova contraria (cfr. Cass. n. 2991 del 2001), ciò che non è avvenuto nel caso di specie.

Venendo al merito del ricorso, con il primo motivo le ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. in quanto la corte di merito avrebbe posto a fondamento del giudicato una pronuncia avvenuta in materia possessoria cui il Condominio era estraneo. Nè in detto giudizio era stato integrato il contraddittorio nei confronti di tutti i condomini, pure litisconsorti necessari per avere la domanda ad oggetto la remissione in pristino stato. Aggiunge la (omissis) che è stata la stessa sentenza posta a fondamento del c.d. giudicato riflesso, la n. 541 del 2005, a chiarire che si trattava di pronuncia finalizzata a tutelare il possesso del ricorrente “a prescindere e impregiudicata la esistenza, la titolarità ed il contenuto di diritti reali o di credito”.

Con il secondo motivo la società ricorrente nell’insistere nella violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., sottolinea come la corte di merito abbia statuito l’esistenza di un giudicato pure in presenza di giudizi con diversità assoluta sia di petitum sia di causa petendi, in quanto l’uno, quello in esame, tratta dell’impugnazione di delibera condominiale, l’altro, quello definito con sentenza n. 541 del 2005, con autorità di giudicato ha ad oggetto rapporto di natura possessoria.

I due motivi di ricorso – da trattare congiuntamente per la evidente connessione argomentativa – sono fondati.

Il caso in esame sollecita l’individuazione dei limiti oggettivi di ammissibilità del giudicato esterno per implicazione risalente, problema che si pone allorchè il giudicato si sia formato in maniera espressa su di una questione dipendente da altra, avente natura pregiudiziale, che forma oggetto della seconda causa. L’ipotesi di un giudicato esplicito sulla questione dipendente che possa condurre alla tesi di un giudicato implicito risalente rispetto alla questione pregiudiziale, deve confrontarsi con la scelta legislativa, di senso diverso, espressa dall’art. 34 c.p.c., norma che non riguarda soltanto le modificazioni della competenza per ragione di connessione, ma che attiene anche alla latitudine degli effetti della pronuncia emessa dal giudice (cfr. Cass. n. 6532 del 1995). Alla situazione speculare, in cui il rapporto di pregiudizialità – dipendenza registra, invece, il giudicato esplicito sulla questione pregiudiziale, provvede direttamente l’art. 2909 c.c., in base al quale la cosa giudicata fa stato a ogni effetto, secondo l’icastica espressione adoperata dalla norma, e dunque opera sulle successive questioni dipendenti mediante un’implicazione di carattere discendente.

Per comprendere la portata dell’art. 34 c.p.c. – come di recente puntualmente rilevato da pronuncia di questa Corte (Cass. n. 7405 del 2012) – occorre distinguere, secondo l’insegnamento tradizionale, tra punto, questione e causa pregiudiziale, a seconda che l’antecedente del merito oggetto di decisione sia, rispettivamente, incontroverso tra le parti, controverso e da decidere incidenter tantum ovvero controverso e da decidere, per volontà di legge o esplicita domanda di una delle parti, con efficacia di giudicato. A tale piana esegesi, strutturata intorno all’elemento volitivo calato nella realtà del processo – perchè fa dipendere il giudicato sulla pregiudiziale (salvo l’ipotesi di accertamento principaliter imposto dalla legge) dal grado di deduzione, trattazione e decisione su di essa – corrisponde la nozione di pregiudizialità in senso tecnico, che ricorre allorchè un diritto si configura come componente costitutiva di un diritto diverso, di modo che il nesso tra le due situazioni attive suppone una dipendenza giuridica di tipo normativo. Ad essa si giustappone, com’è noto, un’interpretazione sistematico – teleologica più articolata, che, a livello giurisprudenziale, si è tendenzialmente discostata dall’intento primigenio perseguito dalla dottrina processualcivilistica cui si deve la previsione dell’art. 34 c.p.c.. Ciò è dovuto dalla tensione tra il dato formale (o positivo) che predica la scelta normativa di escludere tendenzialmente il giudicato sulla pregiudiziale, e il dato sostanziale (o giuridico-primitivo) che esprime un’esigenza di coesione logica, e dunque di funzionalità, del sistema processuale, atteso che la circolarità fra giudicato e oggetto del giudizio crea nozioni interdipendenti e soluzioni pratiche di cui deve saggiarsi la tenuta e la ragionevolezza. Da tanto scaturisce la pregiudizialità in senso logico-giuridico, che sottrae spazio all’ambito applicativo dell’art. 34 c.p.c..

La giurisprudenza di questa Corte è solita affermare che nell’ipotesi di questione pregiudiziale in senso logico, l’efficacia del giudicato copre, in ogni caso, non soltanto la pronuncia finale, ma anche l’accertamento che si presenta come necessaria premessa o come presupposto logico-giuridico della pronuncia medesima, mentre con riguardo alla questione pregiudiziale in senso tecnico disciplinata dall’art. 34 c.p.c. ed indicante una situazione che pur rappresentando un presupposto dell’effetto dedotto in giudizio è tuttavia distinta ed indipendente dal fatto costitutivo sul quale tale fatto si fonda, detta situazione è oggetto solo di accertamento incidentale (inidoneo a passare in giudicato), tranne che una decisione con efficacia di giudicato sia richiesta per legge o per apposita domanda di una delle parti (cfr. ex pluribus, Cass. nn. 10027 del 2009Cass. n. 7667 del 2006Cass. n. 21490 del 2005; Cass. n. 17632 del 2002; Cass. n. 462 del 1999; Cass. n. 11195 del 1997 e Cass. n. 2645 del 1995). Se è chiaro che alla pregiudizialità in senso logico corrisponde il giudicato implicito, maggiori incertezze, nella giurisprudenza di questa Corte, si registrano riguardo all’oggetto di tale giudicato, talvolta espresso come presupposto logico-giuridico indispensabile della decisione o con altre perifrasi equipollenti, o ancora come elemento costitutivo della pretesa azionata; tal altra indicato con l’ausilio di una formula diversa, pure di largo uso, come quella per cui “il giudicato copre il dedotto e deducibile” (cfr. fra le tante e più recenti, Cass. n. 15343 del 2009Cass. n. 15093 del 2009Cass. n. 9544 del 2008 e Cass. n. 14055 del 2007). Espressione, quest’ultima, il cui accostamento al giudicato implicito è, tuttavia, criticato (con ragione) da una parte della dottrina, che ne sottolinea il riferimento alla diversa tematica della preclusione derivante dal giudicato, la quale riguarda le eccezioni e le domande che si sarebbero potute proporre nel giudizio precedente, e che non possono più essere fatte valere in altra e successiva causa in quanto il loro accertamento positivo condurrebbe a negare la statuizione in cui si sostanzia il giudicato esplicito formatosi nella prima controversia.

Un ulteriore avvicinamento ad un più esatto discrimine tra pregiudizialità in senso logico e in senso tecnico-giuridico, si coglie sia nelle sentenze che escludono il giudicato implicito relativamente alle questioni non espressamente decise che siano dotate di propria autonomia e individualità, per essere diversi i presupposti di fatto e di diritto rispetto alla questione decisa in maniera esplicita (v. Cass. n. 13452 del 2004Cass. n. 8515 del 2004Cass. n. 11412 del 2003Cass. n. 10252 del 2002Cass. n. 4628 del 2002Cass. n. 9619 del 1999; Cass. n. 2761 del 1984 e Cass. n. 2459 del 1981); sia nelle decisioni che sottolineano come l’art. 34 c.p.c. si riferisca al punto antecedente che assuma rilievo autonomo, in quanto destinato a proiettare le sue conseguenze giuridiche, oltre che sul rapporto controverso, su altri rapporti, al di fuori della causa, con la formazione, appunto, della cosa giudicata, a tutela di un interesse che trascende quello inerente alla soluzione della controversia nel cui ambito la questione è stata sollevata (v. Cass. n. 16995 del 2007Cass. n. 14578 del 2005Cass. n. 11083 del 2005Cass. n. 3248 del 2001Cass. n. 3839 del 1995 e Cass. n. 1173 del 1973). Il ricorso al concetto di rapporto giuridico (s’intende, sostanziale) si è mostrato utile anche per escludere che la pronuncia di rigetto costituisca giudicato implicito su questioni non trattate, laddove, in particolare, non siano state esaminate e valutate le questioni concernenti l’esistenza, la validità e la qualificazione del rapporto medesimo, come nelle ipotesi in cui la decisione abbia applicato il criterio della c.d. “ragione più liquida” (in base al quale la domanda può essere respinta sulla base della soluzione di una questione assorbente senza che sia necessario esaminare previamente tutte le altre) (v. Cass. n. 11356 del 2006). Con il che si impongono a contrario due deduzioni: (1) che la cosa giudicata si forma in maniera implicita su tutti gli aspetti del rapporto la cui valutazione sia necessaria al fine di pervenire alla decisione di merito; e (2) che, diversamente, il giudicato implicito non può prodursi oltre e a dispetto dell’oggettiva sua necessità affinchè la decisione produca, e conservi intatti, i propri effetti nel rapporto sostanziale che il processo restituisce, depurato dei suoi profili controversi, alle parti.

L’insegnamento tratto dalla tecnica di decisione in base al criterio della ragione più liquida ha il pregio di sottolineare i due elementi – rapporto sostanziale e decisione necessitata su di esso – da tenere specialmente in considerazione per distinguere tra pregiudiziale in senso logico e pregiudiziale in senso tecnico (l’attributo giuridico essendo comune ad entrambe, sia pure, per le considerazioni che seguono, con un portato distinto). Infatti, quando si afferma che il giudicato copre anche l’indispensabile presupposto logico-giuridico della pronuncia, altro non si vuol dire se non che è la logica interna al rapporto giuridico a qualificare come necessario il giudicato sui vari effetti che ne possono derivare, affrancandolo dall’esplicita richiesta della parte o dalla volontà di legge, sol che si consideri che la funzione del rapporto è, appunto, quella di tenere insieme conseguenze le quali, altrimenti, vivrebbero di vita autonoma nel mondo del diritto contraddicendosi e privandosi reciprocamente di giustificazione. Si tratta di un’implicazione di logica giuridica, che come tale per la sua intrinseca razionalità precede la stessa scelta legislativa di cui all’art. 34 c.p.c. limitandone ontologicamente l’ambito di applicazione.

La decisione, per contro, è parte della nozione di procedimento e dipende dalle cadenze e dai contenuti di questo. La sua efficacia oltre i limiti espliciti della domanda è necessitata solo dall’incidenza su di un rapporto giuridico e dalla coerenza dialettica che questo sottende. Pertanto, ove a monte non vi sia un rapporto giuridico fra le parti, ovvero se ne configuri altro estraneo alla causa petendi che assiste la pretesa azionata, non v’è ragione per ritenere che il giudicato esplicito formatosi a valle sulla questione dipendente possa risalire, per via implicita, alla questione pregiudiziale non espressamente trattata. Al contrario della pregiudiziale in senso logico, che nasce dalla nozione di rapporto giuridico sostanziale, quella in senso tecnico trae la propria giuridicità dal processo, che ne determina i gradi di rilevanza attraverso la scansione dell’art. 34 c.p.c..

Nel caso in esame il precedente giudicato si è formato in maniera espressa sull’illegittimità delle opere realizzate dalla (omissis) s.a.s. ottenuta nell’ambito del giudizio introdotto per l’illecito possessorio consumato dalla condomina società, senza, tuttavia, che in tale giudizio sia stata sollevata e trattata alcuna questione inerente la (in)validità della delibera condominiale relativa alla ratifica delle opere realizzate a discapito di area verde condominiale per contrasto con l’art. 35, lett. d) del regolamento di condominio.

Orbene, la causa petendi della domanda d’impugnazione di una delibera condominiale non presuppone un rapporto giuridico tra il condominio e il condomino, per difetto di intersoggettività e di connessione relazionale (del tipo diritto/obbligo) fra situazioni soggettive contrapposte, ma evidenzia una richiesta di tutela ad rem che si esaurisce nel riscontro di legittimità dell’atto collettivo che sulla cosa stessa pretende di operare.

Non essendovi rapporto, manca la ragione di logica giuridica che motiva il giudicato implicito sulla questione pregiudiziale di validità della norma regolamentare invocata, a sua volta potenzialmente destinata ad operare tra le stesse parti, per il suo carattere astratto, in casi ulteriori e diversi rispetto a quello dedotto.

La conseguenza è che nella fattispecie non può ritenersi prodotto alcun giudicato implicito sulla validità della delibera impugnata e della norma regolamentare la cui violazione aveva condotto a richiedere l’annullamento.

Con il terzo ed ultimo motivo la ricorrente denuncia la erronea motivazione, oltre a violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., assumendo che il giudicato formatosi in ambito possessorio non si porrebbe in contrasto con quanto stabilito dal primo giudice nel giudizio di impugnazione della delibera condominiale e comunque non sarebbe idoneo ad impedire una ratifica da parte dei condomini dei lavori eseguiti dalla (omissis) s.a.s., per essere successivamente alla pronuncia possessoria intervenuto – diversamente dalla fattispecie esaminata in ambito possessorio – il consenso dei condomini deliberato in assemblea circa le opere de quibus, consenso vincolante anche per i condomini dissenzienti.

La questione posta con la terza censura è assorbita dall’accoglimento dei primi due motivi.

In conclusione vanno accolti i primi due motivi, assorbito il terzo, e cassata la sentenza impugnata, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Milano, che nel decidere la controversia si atterrà al seguente principio di diritto: “il giudicato implicito su di una questione pregiudiziale rispetto ad altra, di carattere dipendente, su cui si sia formato il giudicato esplicito esterno, deve escludersi allorchè la prima abbia ad oggetto un antecedente giuridico non necessitato in senso logico dalla decisione e potenzialmente idoneo a riprodursi fra le stesse parti in relazione a ulteriori e distinte controversie”.

Il giudice di rinvio dovrà provvedere anche sulle spese del presente procedimento di cassazione.

P.Q.M.

La Corte, accoglie i primi due motivi di ricorso, assorbito il terzo;

cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione, a diversa Sezione della Corte di Appello di Milano.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione seconda civile, il 144 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2017

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