Fatto
RILEVATO CHE:
1. Con decreto n. 30823/2014, emesso il 14/09/2014, il Tribunale di Milano ingiunse alla società A2A AMBIENTE Spa di pagare alla società S.C.G. COSTRUZIONI Srl la somma di Euro 251.190,03 a saldo delle prestazioni rese in esecuzione del contratto d’appalto per la fornitura, trasporto e posa in discarica di diverse tipologie di materiali inerti del 20/12/2012 e successiva integrazione del 28/11/2013, oggetto delle fatture nn. 105, 106, 107, 108 e 109 del 2013.
La società A2A AMBIENTE Spa propose opposizione avverso il predetto decreto ingiuntivo, chiedendone la revoca per infondatezza della domanda, stante l’intervenuta risoluzione del contratto ai sensi della clausola di cui all’art. 11 per grave inadempimento dell’opposta, consistito nell’avere questa fornito materiali da scavo corredati da documentazione falsificata e riversati in discarica il 28/1/2014 e materiale da coltivo con caratteristiche difformi da quelle prescritte dalle specifiche tecniche contrattuali, come da accertamenti eseguiti su prelievi di campione del 30/1/2014 e del 26/2/2014, così da imporle onerosi lavori di rimozione al fine di non perdere la convenzione del 20/10/2010, intercorsa tra la S.A.P.N.A. Spa, l’Azienda Servizi Igiene di Napoli Spa e la Ecodeco Srl (divenuta in seguito A2A AMBIENTE Spa) per la gestione della discarica sita in T, e proponendo, in via riconvenzionale, domanda di accertamento dell’intervenuta risoluzione del contratto ovvero di declaratoria di risoluzione, con condanna dell’opposta alla restituzione della somma di Euro 128.417,00, pagata per la fornitura e la posa di terreno vegetale da coltivo, rimosso o da rimuovere in quanto non conforme, e al pagamento della somma di Euro 307.666,09, pari ai costi già sostenuti per spese di analisi, rimozione e smaltimento dei materiali non conformi forniti, dell’ulteriore somma di Euro 380.000,00 a titolo di costi futuri, della somma di Euro 510.250,00 a titolo di maggiori costi di cantiere (per le interruzioni e i rallentamenti subiti) e di maggiori costi di approvvigionamento e di posa sostenuti in ragione dell’inadempimento, domanda di condanna della stessa a tenerla indenne e manlevare degli importi non percepiti dalla concedente S.A.P.N.A. Spa e da quelli a cui eventualmente sarebbe stata tenuta nei confronti della concedente, qualora causalmente riconducibile all’inadempimento dell’appaltatore, ovvero, in subordine, domanda di compensazione tra quanto da essa dovuto all’opposta e quanto spettante in ragione delle predette domande riconvenzionali.
Costituitasi in giudizio, la S.G.C. Costruzioni negò il proprio inadempimento e propose, a sua volta, domanda riconvenzionale, con la quale chiese che venisse accertata l’insussistenza dei presupposti per il recesso dal contratto e la condanna della società opponente – che nel frattempo aveva fatto eseguire da altra società le prestazioni già ad essa appaltate e non ancora ultimate alla data del 28/01/2014 – al pagamento di quanto dovuto per il mancato guadagno ex art. 1671 cod. civ. e al risarcimento dei danni per il mantenimento improduttivo dei mezzi, maestranze e spese fisse di cantiere e al pagamento delle ulteriori prestazioni di cui al SAL 31/10/2013, a suo dire mai contestate.
Con sentenza n. 7252/2017, pubblicata il 28/6/2017, il Tribunale di Milano revocò il decreto ingiuntivo e condannò la A2A AMBIENTE Srl a pagare alla S.G.C. Costruzioni Srl la complessiva somma di Euro 258.304,59 a titolo di compensi per le fatture nn. 106, 107, 108 e 109 e per il trasporto di argilla di cui al S.A.L. del 31/10/2013, mentre rigettò la richiesta di pagamento degli importi indicati nella fattura n. 105 e quelli relativi al restante materiale di cui al S.A.L. del 31/10/2013, in ragione dell’inadempimento dovuto alla fornitura di materiale non conforme a quanto pattuito; respinse poi la domanda di risoluzione del contratto e condannò la S.G.C. Costruzioni Srl a pagare alla A2A AMBIENTE Srl, a titolo di risarcimento del danno (spese per analisi sui materiali forniti e per la rimozione e smaltimento del terreno da coltivo non conforme), la somma di Euro 667.652,00.
Il giudizio di gravame, interposto dalla società S.C.G. COSTRUZIONI Srl, si concluse, nella resistenza della A2A AMBIENTE Spa, che propose, a sua volta appello incidentale in merito alla reiezione della domanda di risoluzione e al rigetto della domanda di restituzione delle somme corrisposte alla società appellante, con la sentenza n. 1422/2019, pubblicata il 29/3/2019, con la quale la Corte d’Appello di Milano dichiarò risolto il contratto del 20/12/2012 per fatto e colpa della S.C.G. COSTRUZIONI Srl, confermando per il resto la sentenza impugnata e compensando le spese di lite.
I giudici di merito ritennero, in particolare, che la società S.C.G. COSTRUZIONI si fosse obbligata, tanto con il contratto del 2012, quanto con quello del 2013, a procurare alla A2A AMBIENTE terreno da coltivo e non ad occuparsi del solo trasporto, come da essa dedotto; che questo materiale avrebbe dovuto mantenere le specifiche tecniche concordate nel 2012, non rilevando la successiva individuazione del sito di provenienza del materiale; che tutto il terreno da coltivo fornito non rispettasse gli standard di qualità pattuiti, come accertato dal c.t.u. su campioni da esso direttamente prelevati dalla discarica; che detto inadempimento fosse grave, oltreché reiterato, così da giustificare la risoluzione del contratto e la condanna della società inadempiente al risarcimento del danno.
2. Contro la predetta sentenza, la Societa’ S.C.G. COSTRUZIONI Srl propone ricorso per cassazione affidato a cinque motivi. La società A2A AMBIENTE Spa si è difesa con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Diritto
CONSIDERATO CHE:
1. Con il primo motivo di ricorso, si lamenta la nullità del procedimento per omesso e insufficiente esame dei documenti, in relazione all’art. 360, n. 4, cod. proc. civ., con conseguente violazione dell’art. 1455 cod. civ. “sulla gravità dell’inadempimento (che, ove ravvisato in altro presupposto, questo però non legittima una richiesta di risarcimento danni ovvero essi, per tale aspetto, non sono mai stati richiesti o concessi), e connessi artt. 1218,1223 e 1227 cod. civ. (con conseguente necessaria pluriqualificazione del ricorso, da intendersi proposto anche ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.)”, perché i giudici di merito avevano considerato grave l’inadempimento della ricorrente, in quanto avevano ritenuto che tra le obbligazioni assunte dalla SCG Costruzioni con il contratto del 20/12/2012 vi fosse anche quella di garantire la rispondenza del terreno fornito agli standard qualitativi ivi previsti, senza invece considerare che l’art. 1 dell’allegato (OMISSIS) prevedeva che il terreno per la copertura della discarica avrebbe dovuto possedere “caratteristiche riconosciute idonee dalla Direzione Lavori”, l’art. 2 non prevedeva specifiche particolarmente rigorose, oltre a dare preminenza alla provenienza del terreno da coltivo e facoltà alla direzione dei lavori di accettare o meno quello conferito, e l’art. 2.1 stabiliva che il terreno riportato doveva “indicativamente presentarsi dotato dei seguenti parametri principali”, con la conseguenza che le specifiche tecniche del terreno, peraltro modificate in modo meno rigoroso nel prosieguo del rapporto, avrebbero dovuto essere individuate nel corso dell’esecuzione dell’appalto ovvero in concreto, rilevando all’uopo i comportamenti della committente in occasione delle varie fasi dell’adempimento, e che valori diversi da quelli delle specifiche tecniche non avrebbero precluso l’utilizzo dei materiali.
In ragione della non gravità dell’inadempimento, non vi era neppure alcun diritto al risarcimento dei danni per la rimozione del terreno, giacché quello riversato non avrebbe dovuto neppure essere rimosso in quanto accettato sulla base di numerose analisi e attestazioni di conformità o accettazione nel corso del tempo, con conseguente non debenza del danno dovuto al fatto del creditore, mentre quello trasportato il 28/1/2014 e interessato dalle false attestazioni contenute nella documentazione relativa non era stato mai posato in discarica, ma subito ritirato da S.G.C. Costruzioni.
2. Con il terzo motivo di ricorso, si lamenta la violazione dell’art. 1668 cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito pronunciato la condanna della ricorrente al pagamento della somma di Euro 667.652,40 a titolo di danni per i costi di rimozione del terreno da coltivo, benché questo terreno, alla stregua di quanto sopra dedotto, non avrebbe dovuto essere rimosso. Inoltre, alla stregua dell’art. 1668 cod. civ., la committente avrebbe dovuto al più far rimuovere il materiale considerato non conforme al disciplinare, con risarcimento del danno solo in caso di colpa.
3.1 Il primo e il terzo motivo, da trattare congiuntamente in quanto afferenti al medesimo thema dedicendum, sono infondati.
Il ricorrente lamenta l’erroneità della sentenza sotto due ordini di profili, afferenti, per un verso, alla reputata gravità dell’inadempimento, viziata per l’omesso esame dei contratti e per la violazione di legge, e, per altro verso, alla condanna al risarcimento dei danni, erroneamente avvenuta sulla base delle spese sostenute dalla controparte per la rimozione del materiale difforme, che, però, non sarebbe stato da rimuovere.
3.2 Quanto al primo punto, occorre innanzitutto osservare come il mancato esame di un documento possa essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui determini l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, segnatamente, quando il documento non esaminato offra la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento, sicché la denuncia in sede di legittimità deve contenere, a pena di inammissibilità, l’indicazione delle ragioni per le quali il documento trascurato avrebbe senza dubbio dato luogo a una decisione diversa (v. Cass., Sez. 6-1, 16/06/2022, n. 19466; Cass., Sez. 3, 26/06/2018, n. 16812; Cass., Sez. 6 – 5, 28/09/2016, n. 19150).
Nella specie, i giudici di merito hanno provveduto a ricostruire gli accordi intercorsi tra le parti, precisandone il contenuto e ritenendo che il contratto d’appalto intercorso tra le parti in data 20/12/2012, avente ad oggetto non solo la fornitura, il trasporto e la posa in opera presso la discarica di T di materiale di riempimento dei gabbioni in rete metallica, ma anche il trasporto e posa di “terreno vegetale di coltivo avente caratteristiche come da specifica tecnica allegata”, prevedesse espressamente l’obbligazione dell’appaltatrice di procurare all’appaltante un terreno da coltivo con le specifiche tecniche ad esso allegate e dunque la rispondenza del terreno conferito agli standard qualitativi previsti dal contratto, e che tale obbligazione non fosse mutata neanche dopo l’individuazione del sito di provenienza del materiale, non prevedendo i piani di utilizzo alcunché al riguardo, sicché non vi era stata alcuna rinuncia agli standard qualitativi, essendo stata mantenuta la validità ed efficacia delle altre condizioni contrattuali previste nell’ordine del 20/12/2012.
Né la situazione era mutata con l’integrazione contrattuale del 28/11/2013, posto che nella relativa appendice erano state mantenute tutte le condizioni già previste nel 2012 e, dunque, anche gli standard di qualità, mentre le deroghe ivi introdotte non avevano avuto riguardo alla fornitura e posa del materiale da coltivo.
Alla stregua di quanto esposto in sentenza, deve allora escludersi la dedotta omissione, con conseguente infondatezza della censura sul punto.
Va del resto ribadito come l’interpretazione di un atto negoziale sia tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell’ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui all’art. 1362 cod. civ., e segg., o di motivazione inadeguata (ovverosia, non idonea a consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito per giungere alla decisione), sicché, per far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d’interpretazione (mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti), ma altresì precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato; con l’ulteriore conseguenza dell’inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull’asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa (Cass. 26/10/2007, n. 22536).
D’altra parte, per sottrarsi al sindacato di legittimità, quella data dal giudice del merito al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni (tra le altre: Cass. 12/7/2007, n. 15604; Cass. 22/2/2007, n. 4178), con la conseguenza che non può trovare ingresso in sede di legittimità la critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca esclusivamente nella prospettazione di una diversa valutazione degli stessi elementi già dallo stesso esaminati; sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (Cass., Sez. 2, 15/5/2018, n. 11823; Cass. 7500/2007; 24539/2009).
3.3 Neppure può dirsi che vi sia stata la lamentata violazione di legge in relazione all’art. 1455 cod. civ. sulla gravità dell’inadempimento.
A tal proposito occorre ricordare come le espressioni violazione o falsa applicazione di legge, di cui all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., descrivano i due momenti in cui si articola il giudizio di diritto, a) quello concernente la ricerca e l’interpretazione della norma ritenuta regolatrice del caso concreto e b) quello afferente all’applicazione della norma stessa una volta correttamente individuata ed interpretata, investendo il primo immediatamente la regola di diritto, in quanto si risolve nella negazione o affermazione erronea dell’esistenza o inesistenza di una norma, ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non possiede, avuto riguardo alla fattispecie in essa delineata, e il secondo nell’assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addice, perché la fattispecie astratta da essa prevista – pur rettamente individuata e interpretata – non è idonea a regolarla, o nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione, mentre non vi rientra l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità (cfr. Cass., Sez. 1, 14/01/2019, n. 640; Cass., Sez. 3, 4/3/2022, n. 7187).
In tema di apprezzamento della gravità dell’inadempimento, ai sensi dell’art. 1455 cod. civ., la previsione di legge è falsamente applicata laddove il giudice non individui i parametri sulla base dei quali viene affermato che l’inadempimento non può essere giudicato di scarsa importanza, avuto riguardo all’interesse dell’altro contraente, senza poter prescindere dalle emergenze di causa, sicché un tal giudizio non può essere espresso in termini astratti o, comunque, incompatibili con esse (Cass., Sez. 2, 17/05/2024, n. 13784).
Ciò comporta che il giudice deve tener conto di tutte le circostanze, oggettive e soggettive, dalle quali sia possibile desumere l’alterazione dell’equilibrio contrattuale, tenendo preliminarmente distinte le violazioni delle obbligazioni costitutive del sinallagma contrattuale, che possono essere apprezzate ai fini della valutazione della gravità di cui alla norma citata, rispetto a quelle che incidono sulle obbligazioni di carattere accessorio, che non sono idonee, in sé sole, a fondare un giudizio di gravità dell’inadempimento (Cass., Sez. 3, 04/03/2022 , n. 7187; Cass., Sez. 6 – 3, 24/03/2021, n. 8220; Cass., Sez. 2, 09/07/2021, n. 19579).
Nella specie, i giudici di merito hanno ritenuto la gravità dell’inadempimento imputato alla società ricorrente, non soltanto evidenziando la difformità di tutto il terreno da coltivo conferito in discarica rispetto agli standard di qualità pattuiti, come accertato dal c.t.u. attraverso il diretto prelievo di campioni dalla discarica e non censurato in appello neppure dalla ricorrente, ma anche valorizzando più che il corrispettivo della fornitura viziata, l’incidenza dell’inadempimento sull’assetto complessivo degli interessi regolati dal contratto anche in relazione alla strumentalità dell’opera all’adempimento delle obbligazioni assunte dalla controricorrente – alle quali non erano estranei profili di natura pubblicistica, come quello della salvaguardia della salute – e alla potenziale lesione del vincolo fiduciario, di particolare rilievo in ragione della qualità delle prestazioni dedotte e della finalità dell’opera. A tal fine, hanno anche sottolineato la condotta della società obbligata laddove aveva consegnato in discarica notevoli quantità di materiali provenienti da sito diverso da quello indicato nel piano di utilizzo, accompagnato da DDT di trasporto pacificamente falsi, e aveva di seguito minimizzato l’accaduto imputando l’errore ai propri autisti, poco scolarizzati, e alla destinazione del materiale alla costruzione di una strada, allegazioni entrambe rimaste prive di riscontro probatorio e contraddette dalle foto prodotte e raffiguranti l’allocazione del materiale a ridosso di un sito in cui erano in corso i lavori di copertura.
Le questioni oggettive e soggettive evidenziate dai giudici di merito a fondamento della gravità dell’inadempimento, in quanto correlate alla sinallagmaticità del contratto e alla violazione del rapporto fiduciario, oltreché aggravate dalla valorizzata reiterazione delle condotte, impediscono di ravvisare la doluta falsa applicazione dell’art. 1455 cod. civ., stante la congruità e l’assenza di vizi logici e giuridici della motivazione, tenuto conto del fatto che il giudice di merito non deve analizzare e discutere ogni singolo dato acquisito al processo e adempie all’obbligo della motivazione quando giustifica compiutamente la propria decisione in base alle risultanze probatorie che ritiene risolutive ai fini della statuizione adottata (Cass., Sez. 1, 05/04/2005, n. 7086).
È allora evidente come la censura, ancorché presentata in termini di violazione di legge, sollevi questioni che restano confinate in un ambito esclusivamente fattuale, sollecitando una nuova lettura della già esaminata documentazione per addivenire ad un diverso apprezzamento della fattispecie concreta (Cass., Sez. 1, 27/3/2024, n. 8272), che, in quanto tale, è rimesso al prudente apprezzamento del giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità (in questi termini vedi Cass., Sez. 3, 30/03/2015, n. 6401; Cass., Sez. 3, 22/06/2020, n. 12182).
3.4 Quanto alla doglianza afferente alla liquidazione dei danni, deve osservarsi come questa, lungi dal denunciare un’effettiva violazione di legge, mira, nella sostanza, a contestare l’apprezzamento delle risultanze probatorie, come operato dai giudici di merito, con valutazione che invece soddisfa il requisito del minimo costituzionale della motivazione, e che, come tale, non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità.
Infatti, secondo il costante orientamento di questa Corte (cfr. Cass., Sez. 3, 25/1/2012 n. 1028; Cass., Sez. 6-3, 05/06/2018, n. 14358), l’accertamento dell’esistenza o dell’esclusione del rapporto di causalità tra i comportamenti dei singoli soggetti e l’evento dannoso, si concreta in un giudizio di mero fatto, che resta sottratto al sindacato di legittimità, qualora il ragionamento posto a base delle conclusioni sia caratterizzato da completezza, correttezza e coerenza dal punto di vista logico-giuridico (in tal senso Cass., Sez. 2, 30/06/2021, n. 1859, che cita Cass., Sez. 3, 23/2/2006 n. 4009; Cass., Sez. 1, 05/04/2005, n. 7086; Cass., Sez. 3, 16/5/2003, n. 7637; Cass., Sez. 3, 23/7/2003, n. 11453).
Con riguardo alla specifica responsabilità contrattuale, l’accertamento tanto del nesso di causalità tra l’inadempimento e il danno, quanto della prevedibilità del danno medesimo costituisce un apprezzamento di fatto, insindacabile in sede di legittimità, ove sorretto da motivazione adeguata e immune da errori (Cass., Sez. 2, 30/06/2021, n. 1859; conf. Cass., Sez. 3, 10/4/2019, n. 9985, secondo cui mentre l’errore compiuto dal giudice di merito nell’individuare la regola giuridica in base alla quale accertare la sussistenza del nesso causale tra fatto illecito ed evento è censurabile in sede di giudizio di legittimità ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., viceversa l’eventuale errore nell’individuazione delle conseguenze derivanti dall’illecito, alla luce della regola giuridica applicata, costituisce una valutazione di fatto, come tale sottratta al sindacato di legittimità se adeguatamente motivate; vedi anche Cass., Sez. 2, 08/09/2017, n. 20961).
Come osservato da Cass., Sez. 2, 30/06/2021, n. 1859, cit., tali principi, sebbene di norma applicati in tema di causalità materiale valgono anche al fine di verificare la corretta applicazione del nesso di causalità giuridica, alla luce della precisazione secondo cui (Cass., Sez. 3, 17/9/2013, n. 21255; Cass., Sez. 3, 25/2/2014, n. 4439) la ricostruzione del nesso di derivazione eziologica esistente tra la condotta del danneggiante e la conseguenza dannosa risarcibile implica la scomposizione del giudizio causale in due autonomi e consecutivi segmenti, il primo volto ad identificare – in applicazione del criterio del “più probabile che non” – il nesso di causalità materiale che lega la condotta all’evento di danno, il secondo essendo diretto, invece, ad accertare il nesso di causalità giuridica che lega tale evento alle conseguenze dannose risarcibili, accertamento, quest’ultimo, da compiersi in applicazione dell’art. 1223 cod. civ., norma che pone essa stessa una regola eziologica.
Nella specie, i giudici di merito hanno ritenuto infondata la denunciata violazione degli artt. 1218 e 1223 cod. civ. e dell’art. 1227 cod. civ., in quanto i danni liquidati costituivano conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento, avendo costretto la A2A AMBIENTE alla rimozione e allo smaltimento dei materiali non conformi perché privi per essa di obiettiva utilità, e in quanto le eccezioni formulate sulla sproporzione dei costi sostenuti erano rimaste prive di sostegno probatorio, non avendo la S.C.G. COSTRUZIONI dimostrato la presenza di un sito più vicino dove allocare i materiali e la scorrettezza delle modalità di smaltimento concretamente eseguite, ritenute, viceversa, congrue dal c.t.u.
Alla luce di tale motivazione, appare allora evidente come la ricorrente abbia inteso sollecitare una rivisitazione nel merito del compendio probatorio, senza peraltro attingere la ratio decidendi che, con particolare riferimento alla doluta violazione dell’art. 1227 cod. civ., era fondata sul difetto di prova.
4.1 Col secondo motivo, si lamenta la violazione dell’art. 1667 cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., perché, tenuto conto delle fasi di lavorazione e dei pagamenti previsti nell’appalto, eseguiti in seguito al benestare di A2A e SAPNA e dopo il rilascio di corretta esecuzione della prestazione da parte delle predette, nessuna garanzia poteva dirsi dovuta e neppure alcun inadempimento esistente, essendovi stata accettazione dell’opera.
4.2 Il secondo motivo è inammissibile.
Deve, infatti, osservarsi come i motivi con cui si denunzia il vizio della sentenza previsto dall’art. 360, primo comma, n. 3, cod. prov. civ., debbano essere dedotti, a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche mediante specifiche e intelligibili argomentazioni intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, e ad illustrare, in modo esauriente, le dedotte violazioni di norme o principi di diritto, diversamente impedendosi alla Corte di Cassazione di verificare il fondamento della lamentata violazione.
È dunque inammissibile la deduzione di “errori di diritto” individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati per mezzo di una circostanziata critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (Cass., Sez. 2, 19/1/2005, n. 1063; Cass., Sez. 1, 17/5/2006, n. 11501; Cass., Sez. 1, 8/3/2007, n. 5353; Cass., Sez. 1, 5/8/2020, n. 16700; Cass., Sez. 1, 29/11/2016, n. 24298), così come è inammissibile il motivo nel quale il vizio venga solo apoditticamente enunciato nell’intestazione senza precisare in qual modo (se per contrasto con la norma indicata o con l’interpretazione della stessa fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina), abbia avuto luogo la violazione nella quale si assume essere incorsa la pronuncia di merito (Cass., Sez. 3, 2/8/2002, n. 11530).
Nella specie, la ricorrente non ha sviluppato, nell’esposizione, alcun argomento in diritto volto a contestare, con specifico riferimento alla disposizione asseritamente violata, in relazione a quale determinato convincimento espresso dal giudice del merito possa essere ravvisata un’ altrettanto determinata applicazione erronea o falsa di quella singola norma o di quell’istituto, essendosi limitata a sostenere che nessuna garanzia poteva esserle addossata, con conseguente inammissibilità della censura.
5.1 Con il quarto motivo di ricorso, si lamenta la violazione dell’art. 1655 cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito rigettato la richiesta di condanna al pagamento di somme ulteriori rispetto agli Euro 258.304,59 riconosciuti, in uno con gli interessi moratori, sostenendo che nessuna prova del credito per altre fornitura era stata data, così non considerando che dette somme erano dovute in quanto corrispettivo ex art. 1655 cod. civ., essendo stata l’obbligazione della ricorrente regolarmente adempiuta, pur con la patologia derivante dall’evento del 28/1/2014 (ovvero del prelievo da T anziché da E), e potendosi gli importi dovuti determinarsi in base all’elaborato del c.t.u., sulla base dei documenti depositati in primo grado.
5.2 Il quarto motivo è inammissibile.
Occorre innanzitutto osservare come la Corte d’Appello abbia escluso che la società ricorrente avesse dimostrato di essere titolare dei rispettivi crediti, essendosi limitata a produrre soltanto fatture pro-forma respinte dalla committente e altri documenti che, attestando gli esiti delle analisi qualitative su alcuni materiali verosimilmente consegnati nel periodo 1/11/2013-28/1/2014, non comprovavano le quantità effettivamente riversate e posate in discarica.
Orbene, in disparte la non perspicuità delle argomentazioni contenute nella censura in ordine all’entità delle somme asseritamente dovute a titolo di corrispettivo delle prestazioni rese, appare evidente come la ricorrente solleciti una nuova lettura del compendio probatorio già esaminato dai giudici, al fine di addivenire ad un diverso apprezzamento della fattispecie concreta (Cass., Sez. 1, 27/3/2024, n. 8272), attività questa che è però preclusa al giudice di legittimità, costituendo la valutazione delle prove raccolte attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili con il ricorso per cassazione (Cass., Sez. 1, 3/7/2023, n. 18857; Cass. 29/10/2018, n. 27415; Cass. 19/07/2021, n. 20553).
6.1 Con il quinto motivo di ricorso, si lamenta la violazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., richiedendosi la revisione dei provvedimenti di determinazione delle spese del giudizio di primo e secondo grado, compensate, compresa la condanna della ricorrente al pagamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato.
6.2 Il quinto motivo è infondato.
In tema di spese processuali, il sindacato della Corte di Cassazione ai sensi dell’art. 360 primo comma, n. 3, cod. proc. civ., è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, che in quella di concorso di altri giusti motivi (Cass., Sez. 1, 14/4/2023, n. 10043; Cass., Sez. 6-3, 26/4/2019, n. 11329; Cass., Sez. 6-3, 17/10/2017, n. 24502; Cass., Sez. 1, 4/8/2017, n. 19613).
Nella specie, i giudici di merito hanno compensato le spese del giudizio in ragione della reciproca soccombenza, con la conseguente infondatezza della censura.
7. In conclusione, dichiarata l’infondatezza del primo, terzo e quinto motivo e l’inammissibilità del secondo e del quarto, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza e devono essere poste a carico del ricorrente.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 12.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente del contributo unificato previsto per il ricorso a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 29 gennaio 2025.
Depositato in Cancelleria il 6 febbraio 2025.
