Svolgimento del processo
che:
1. Con atto di citazione notificato in data 06.05.1983 P.S. ha convenuto in giudizio i fratelli (omissis), (omissis), (omissis) e (omissis), esponendo:
– che i medesimi (con esclusione del solo (omissis)) con scrittura privata del 09.03.1968 avevano provveduto alla divisione fra loro in parti uguali del fondo rustico di natura vigneto-oliveto di comune proprietà sito nel territorio di (omissis);
– che successivamente in data 08.11.1968 gli stessi (incluso anche il fratello (omissis)) avevano proceduto alla divisione di altri cespiti anch’essi siti nel medesimo territorio;
– che, a seguito delle suddette operazioni di divisione, gli interessati si erano immessi ciascuno nel possesso della propria quota, restando i documenti redatti in deposito presso il geom. (omissis), che aveva provveduto alla predisposizione del riparto.
Sulla base di quanto esposto (omissis) ha chiesto che – previi ordine di deposito in cancelleria degli originali dei documenti contrattuali con eventuali allegati e, se d’uopo, verificazione circa l’autenticità delle sottoscrizioni – fosse dichiarata l’avvenuta divisione dei cespiti così come risultante dalle predette scritture.
2. Si è costituito in giudizio (omissis), chiedendo verificarsi le misurazioni delle porzioni da attribuirsi a ciascun fratello, con eventuale restituzione agli aventi diritto delle porzioni di terreno occupate illegittimamente dagli altri condividenti. Gli altri convenuti sono stati dichiarati contumaci.
3. Espletata c.t.u. con avvicendamento di cinque diversi consulenti, al termine dell’istruttoria il tribunale di Foggia ha emesso dapprima sentenza non definitiva depositata in data 29.01.2006 (con riserva d’appello di (omissis) resa nel verbale d’udienza del 04.05.2006) e, in seguito, sentenza definitiva depositata in data 01.09.2010. Con le decisioni il tribunale ha statuito circa la divisione in base all’elaborato dell’ultimo c.t.u. incaricato, Dott. (omissis).
4. Avverso le predette decisioni ha proposto appello (omissis), eccependo in primo luogo la nullità del giudizio di primo grado per violazione dell’art. 51 c.p.c., comma 1, n. 4; ha esposto che in tale giudizio aveva partecipato in qualità di giudice istruttore il Dott. (omissis), il quale aveva fatto parte in precedenza del collegio chiamato a decidere in un procedimento penale a carico di (omissis), imputato di lesioni volontarie in danno dell’appellante (omissis) (il primo aveva sparato un colpo di fucile sul secondo, in quanto oltrepassava la linea di confine a suo dire “abusivamente ed illegittimamente” tracciata dal fratello, la quale gli impediva di raggiungere la sua porzione di terreno). Per il resto la parte appellante ha chiesto pronunciarsi ex novo sulla divisione dei cespiti, in conformità delle convenzioni stipulate e delle allegate planimetrie sottoscritte dalle parti, con esclusione di qualsivoglia documentazione successiva (quale la mera “proposta” di frazionamento redatta dieci anni dopo la sottoscrizione degli atti originali da parte del medesimo geom. (omissis) e presa a fondamento della sua relazione da parte del consulente tecnico officiato in primo grado).
5. Si sono costituiti quali appellati nel giudizio di gravame:
– (omissis) e (omissis), quali eredi di (omissis);
– (omissis), (omissis), (omissis), (omissis) e (omissis) (poi deceduta in data (omissis)), quali eredi di (omissis);
– (omissis), (omissis), e (omissis), quali eredi di (omissis).
Tutti gli appellati costituiti hanno dedotto preliminarmente l’inammissibilità dell’appello per omessa specificazione dei motivi e, in ogni caso, la sua infondatezza, chiedendone il rigetto.
Non si sono costituiti (omissis), (omissis), (omissis), (omissis) e (omissis), quali eredi di (omissis).
6. Con sentenza depositata in data 20.11.2013 la corte d’appello di Bari, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato che la strada di accesso alle varie porzioni di oliveto (ex particella (omissis) del foglio (omissis), partita n. (omissis)) è di proprietà comune dei quattro condividenti. Per il resto ha confermato le decisioni impugnate, compensando le spese del giudizio In particolare, in merito all’eccezione di nullità del giudizio di primo grado sollevata da parte appellante ai sensi dell’art. 51 c.p.c., comma 1, n. 4, per mancata astensione del giudice istruttore, la corte ha rilevato come non fosse ravvisabile l’ipotesi stessa, essendosi l’attività del giudice espletata in processo diverso per natura e per oggetto; la mancata proposizione di istanza di ricusazione da parte dell’appellante, a seguito dell’inosservanza del presunto obbligo di astensione, aveva comunque – secondo la corte precluso la possibilità di far valere il vizio in grado d’appello come motivo di nullità della sentenza.
Inoltre, in merito alla presunta non aderenza della divisione alle convenzioni originarie, la corte locale ha precisato che gli atti contenenti la “proposta” di frazionamento redatta del geom. (omissis) in data successiva erano stati regolarmente acquisiti nel giudizio di primo grado unitamente agli atti di divisione, e che non era stata in alcun modo lamentata l’irritualità del deposito della suddetta documentazione (essendo stata formulata la prima eccezione al riguardo soltanto nel verbale di udienza del 14.01.1993); in tal senso l’attività svolta dal consulente doveva – secondo la corte – ritenersi assolutamente legittima.
7. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso (omissis) sulla base di tre motivi illustrati da memoria. Hanno resistito con controricorso (omissis) e (omissis), eredi di (omissis), nonchè (omissis), (omissis) e (omissis), eredi di (omissis); anch’essi hanno depositato memoria, peraltro solo in data 4.7.2018 rispetto all’odierna camera di consiglio del 12.7.2018. Gli altri intimati in epigrafe non hanno svolto difese.
Motivi della decisione
che:
1. Con il primo motivo si lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 51 c.p.c., comma 1, n. 4, artt. 52, 53 e 54 c.p.c., per aver la corte locale ritenuto non configurabile nel giudizio di primo grado la fattispecie di astensione prevista dall’art. 51 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione alla posizione del giudice Dott. (omissis). Inoltre si lamenta la violazione dei medesimi articoli per non aver la corte d’appello, da un lato, dato avvio al prescritto procedimento di ricusazione nei confronti del giudice Dott. (omissis) a seguito dell’apposita istanza da parte dell’odierno ricorrente, con la prevista sospensione del procedimento, e, d’altro lato, per avere lo stesso giudice – irritualmente sostituito dal presidente del collegio che arbitrariamente si era autonominato relatore all’udienza del 15.06.2011 – comunque presenziato all’adunanza del collegio nell’udienza del 19.06.2013 (salvo essere poi dichiarato incompatibile, solo però alla fine dell’udienza stessa).
2. Con il secondo motivo si deduce la nullità della sentenza e del procedimento per aver lo stesso giudice Dott. (omissis) composto il collegio all’udienza del 19.06.2013 (nel quale, a detta della parte ricorrente, si era perfezionata una produzione documentale illegittima da parte degli appellati).
3. I due motivi devono essere esaminati congiuntamente, in quanto strettamente connessi. Essi sono infondati in ampia parte, salvo un profilo di inammissibilità.
3.1. L’art. 51 c.p.c., comma 1, n. 4, prevede l’obbligo di astensione per il giudice quando abbia conosciuto della causa come magistrato “in altro grado del processo”. La presunta situazione di incompatibilità sollevata dal ricorrente in merito alla posizione del giudice di primo grado Dott. (omissis), per aver egli fatto parte in precedenza di un collegio chiamato a decidere un procedimento penale a carico di (omissis), imputato di lesioni volontarie in danno di (omissis), non appare riconducibile al dettato dell’invocata disposizione in tema di astensione obbligatoria.
3.2. In tal senso non colgono nel segno le argomentazioni della parte ricorrente, che riporta alla nozione di “altro grado” di giudizio, rispetto a quello civile (di accertamento di una divisione) di cui trattasi, un precedente giudizio penale a carico di una parte: sul punto la giurisprudenza di questa corte è ferma nel ritenere che l’obbligo di astensione sancito dal n. 4 del citato comma 1 dell’art. 51 c.p.c. si impone solo al giudice che abbia conosciuto della stessa causa come magistrato in altro grado; la norma è rivolta ad assicurare la necessaria alterità del giudice chiamato a decidere, in sede di impugnazione, sulla medesima res iudicanda in un unico processo, per cui l’obbligo non può essere inteso nel senso di operare in un nuovo e distinto procedimento, ancorchè riguardante le stesse parti e pur se implicante – come peraltro non è nel caso di specie – la risoluzione di identiche questioni (cfr. ad es. Cass. n. 22930 del 2017).
3.3. Ad ogni modo la censura è infondata in quanto, non avendo l’odierna parte ricorrente proposto tempestivamente ricusazione nel giudizio di primo grado, era preclusa – come rettamente ritenuto dalla corte d’appello – la possibilità di eccepire successivamente in sede di impugnazione la nullità della sentenza emessa.
Come affermato anche recentemente da questa corte (cfr. ad es. Cass. n. 21094 del 11/09/2017) in difetto di ricusazione la violazione dell’obbligo di astenersi da parte del giudice non è deducibile in sede di impugnazione come motivo di nullità della sentenza, giacchè l’art. 111 Cost., nel fissare i principi fondamentali del giusto processo (tra i quali, appunto, l’imparzialità e terzietà del giudice), ha demandato al legislatore ordinario di dettarne la disciplina e, in considerazione della peculiarità del processo civile, fondato sull’impulso paritario delle parti, non è arbitraria la scelta del legislatore di garantire, nell’ipotesi anzidetta, l’imparzialità e terzietà del giudice tramite gli istituti dell’astensione e della ricusazione; nè detti istituti, cui si aggiunge quello dell’impugnazione della decisione nel caso di mancato accoglimento della ricusazione, possono reputarsi strumenti di tutela inadeguati o incongrui a garantire in modo efficace il diritto della parti alla imparzialità del giudice, dovendosi, quindi, escludere un contrasto con la norma recata dall’art. 6 della convenzione e.d.u., che, sotto l’ulteriore profilo dei contenuti di cui si permea il valore dell’imparzialità del giudice, nulla aggiunge rispetto a quanto già previsto dal citato art. 111 Cost..
3.4. Vanno poi esaminate le due ulteriori doglianze relative alla mancata sospensione del processo a seguito dell’istanza di ricusazione del giudice Dott. (omissis) e alla successiva presunta partecipazione del medesimo in udienza successiva nel giudizio d’appello.
3.5. In ordine al presunto vizio procedimentale lamentato per mancata adozione da parte del collegio giudicante degli adempimenti di rito conseguenti alla presentazione dell’istanza di ricusazione del componente del collegio d’appello che era stato anche componente del collegio giudicante di primo grado (adempimenti, in sostanza, concretantisi nella sospensione – peraltro ipso iure, seppure non ipso facto (cfr. infra) – del processo prevista dall’art. 52 c.p.c., u.c., essendo devoluta ogni altra decisione ad altro collegio), va ricordato che è pacifico che il magistrato sia stato, come la giurisprudenza ammette quale alternativa a una formale astensione (v. Cass. n. 24178 del 2009), “surrogato” da altro giudicante (il presidente assumendo poi la veste di relatore); ciò alla luce della giurisprudenza di questa corte, secondo la quale la composizione del collegio giudicante è immodificabile solo dopo l’inizio della discussione e, prima di tale momento, la sostituzione del giudice relatore può essere liberamente disposta e risultare anche da semplice annotazione nel verbale di udienza, pur senza comunicazione (Cass. n. 7285 del 2018).
3.6. Nel caso di specie, dunque, a seguito dell’istanza di ricusazione il giudice ricusato risulta – mediante formale cancellazione del suo nominativo dal verbale di udienza e dalla copertina del fascicolo d’ufficio, e annotazione corrispondente del nominativo del presidente, quale relatore, con integrazione del collegio da ulteriore giudicante “surrogato”; con conseguente diversa composizione collegiale rispetto a quella inizialmente officiata.
Si deve dunque sul punto ribadire l’indirizzo giurisprudenziale (v. ad es. Cass. n. 18066 del 09/09/2005 e n. 6257 del 02/05/2002) secondo il quale l’istanza di ricusazione ha carattere strumentale rispetto alla decisione di merito, sicchè, qualora sia stata rimossa la causa sulla quale è fondata, l’istanza è inammissibile.
Nel primo dei precedenti dianzi citati, del 2005, questa corte ha richiamato in argomento il principio generale (ricavabile anche dall’art. 39 c.p.p.) secondo il quale la ricusazione si considera non proposta quando il giudice, anche successivamente ad essa, dichiara di astenersi e l’astensione è accolta (caso cui, nel caso di specie, è pienamente parificata la predetta “surroga”).
3.7. Ciò posto, ogni altro profilo di dedotta irritualità del procedimento di ricusazione (quale, oltre alla sospensione, l’esigenza di investitura di altro collegio per la formale pronuncia di inammissibilità) perde consistenza alla luce del principio (Cass. sez. U n. 29294 del 2008) per cui la parte che abbia ricusato un giudice che per qualunque causa non abbia poi partecipato al processo e alla deliberazione della decisione non ha interesse ad impugnare quest’ultima per omessa o irregolare trattazione del ricorso per ricusazione perchè, anche ove accolto, lo stesso non avrebbe potuto assicurargli alcuna utilità maggiore di quella già derivatagli dalla mancata partecipazione del ricusato al giudizio. Ciò esime dal rilevare in maggior dettaglio (v. sul punto ad es. Cass. sez. U n. 5729 del 2002 e Cass. n. 26267 del 2011) che l’effetto sospensivo della proposizione dell’istanza di ricusazione non è automatico (non è cioè ipso facto), potendo l’organo innanzi al quale l’istanza viene proposta valutarne l’ammissibilità e, ove ritenga, in forza di una sommaria valutazione, che della ricusazione manchino ictu oculi i requisiti formali, disporre la prosecuzione del procedimento (come in sostanza è avvenuto nel caso di specie).
3.8. La parte ricorrente lamenta però ulteriormente, come già ricordato, che all’udienza del 19.06.2013, successivamente alla presentazione dell’istanza di ricusazione, il giudice Dott. Sa.Ma.An., già surrogato in precedenza adunanza collegiale, avrebbe nuovamente preso parte alla trattazione come componente del collegio; durante l’udienza si sarebbe realizzata una produzione documentale, secondo il ricorrente illegittima; solo alla fine dell’udienza stessa si sarebbe ravvisata nuovamente l’esigenza di sostituzione del giudice, in quanto incompatibile, allorchè si era già determinato un sovvertimento dell’impianto della prova documentale.
3.9. Tale deduzione è, con assorbimento di ogni altra questione, inammissibile, non avendo la parte ricorrente trascritto nell’ambito del motivo di ricorso (p. 46 e 47 del ricorso) le espressioni con cui la presunta nullità, consequenziale alla partecipazione di giudice già destinatario di istanza di ricusazione cui era seguita una prima “surroga” (altra, poi, secondo la tesi del ricorrente, si sarebbe verificata nell’ulteriore udienza), sia stata fatta tempestivamente valere nella prima difesa, dopo il verificarsi della nullità della presunta illegittima acquisizione documentale, ex art. 157 c.p.c., comma 2. Anche per gli atti processuali investiti da nullità, in quanto riconducibili a giudice destinatario di istanza di ricusazione, infatti, vale la sanatoria di cui all’art. 157 c.p.c., da ritenersi sussistente in mancanza di trascrizione della relativa eccezione nel motivo di ricorso (v. sul punto Cass. n. 14037 del 2013).
3.10. Tanto esime il collegio dal valutare se, nel caso di specie, a seguito dell’originaria “surroga”, fosse o non fosse necessaria (in questo secondo senso Cass. n. 24178 del 2009) una nuova istanza di ricusazione per far valere il vizio conseguente alla presenza nel collegio del giudice già “surrogato”.
3.11. I motivi dunque sono nel complesso infondati, fermo il profilo di inammissibilità rilevato quanto a una delle censure inserita nel secondo motivo.
4. Con il terzo motivo si lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, nonchè la violazione dell’art. 112 c.p.c.. Il ricorrente lamenta l’erroneità della decisione per aver essa esteso l’originario oggetto del giudizio (circoscritto a suo dire all’accertamento dell’oggetto delle convenzioni stipulate nel 1968) prendendo in considerazione altresì la documentazione successiva redatta dal geom. (omissis), contrastante con le predette convenzioni. Inoltre si lamenta l’irritualità di tale documentazione, la sua apocrifia, la sua mancanza di pregio probatorio, contestandosi altresì i profili anche tecnici delle valutazioni effettuate dalla corte d’appello (da p. 47 a 67 del ricorso). Sempre nell’ambito del motivo si contesta, poi, la carenza di interesse ex art. 100 c.p.c., in capo a (omissis), (omissis) e (omissis), essendo a dire del ricorrente stata devoluta, per scoperta di testamento intervenuta dopo l’avvio dell’appello, l’eredità di (omissis) alla sola (omissis); si deduce che, pur proposta la questione, il giudice dell’appello nulla avrebbe pronunciato. Infine, sempre nel corpo del motivo, si deduce l’erronea decisione sulle spese di lite, compensate in luogo che ispirate al criterio della soccombenza.
4.1. Le diverse censure conglobate in un unico motivo vanno esaminate partitamente. Esso sono parzialmente infondate e parzialmente inammissibili.
4.2. Non sussiste, anzitutto, alcuna pronuncia in ultrapetizione, con infondatezza della censura per violazione dell’art. 112 c.p.c.. Invero, la norma dell’art. 112 c.p.c., va interpretata nel senso che il giudice non può attribuire alle parti un diritto non richiesto o, comunque, emettere una pronuncia che non trovi corrispondenza nella domanda; ma è certamente consentito – come nel caso di specie la stessa parte ricorrente chiarisce – di ricostruire i fatti, in base alle risultanze processuali, in maniera diversa dalla prospettazione delle parti e di emettere quindi la pronuncia richiesta sulla base di un’autonoma versione dei fatti di causa (tenendo conto, in particolare, oltre che delle divisioni convenzionali, anche di altri atti e fatti dedotti, in particolare, dalla controparte). In particolare, la corte d’appello ha fondato il proprio apprezzamento sulle risultanze di c.t.u., che si è basata su documentazione acquisita in giudizio unitamente agli altri atti.
4.3. Sono, poi, inammissibili le censure mediante le quali si contestano, nel merito, le risultanze di c.t.u. fatte proprie dalla corte d’appello. Sotto la veste di censure per ultrapetizione e per omesso esame di fatti decisivi il ricorrente, in sostanza si sottopone a questa corte di legittimità – con dette estese argomentazioni (pp. da 47 a 67 del ricorso) – una istanza di revisione delle valutazioni del materiale probatorio già compiutamente oggetto di disamina, anche in rapporto ai sottostanti fatti storici, da parte dei giudici di merito, con apprezzamenti incensurabili in cassazione.
4.4. E’ inammissibile, ancora, la censura rubricata per violazione dell’art. 100 c.p.c. (e che appare meglio qualificabile come contestazione della legittimazione, per mancanza della veste di eredi in capo a talune controparti) in quanto, tra l’altro, essa non contiene rituale trascrizione dei luoghi in cui detta eccezione sia stata proposta nel giudizio di appello, con produzione del testamento (che anch’esso, nelle parti rilevanti, avrebbe dovuto essere trascritto e richiamato nei dati identificativi nel motivo di ricorso).
4.5. La corte d’appello, con la sentenza definitiva, ha motivato in ordine alla collocazione a carico della massa delle spese processuali di primo grado e compensazione di quelle d’appello in base alla “complessità delle questioni dibattute”, alle “incertezze probatorie” e all'”esito complessivo del giudizio” anche alla luce della natura divisoria della causa e dei “rapporti di parentela tra le parti”. Tale statuizione – tenendo conto che la causa è stata avviata nel 1983 con applicabilità dell’art. 92 c.p.c., nel testo allora vigente risulta pienamente rispettosa di detta disposizione codicistica. Sul punto va data continuità alla giurisprudenza (v. ad es. Cass. n. 7763 del 2012) per la quale ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2, nel testo applicabile ratione temporis prima delle modifiche introdotte negli anni 2005-2009, la scelta di compensare le spese processuali è riservata al prudente ma comunque motivato, apprezzamento del giudice di merito, la cui statuizione può essere censurata in sede di legittimità solo quando siano illogiche o contraddittorie le ragioni poste alla base della motivazione, e tali da inficiare, per inconsistenza o erroneità, il processo decisionale.
5. In definitiva, il ricorso va rigettato, con condanna del ricorrente alle spese come in dispositivo (senza che si possa tener conto, quale attività defensionale valutabile, della memoria tardiva dei controricorrenti). Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto del sussistere dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13 cit., comma 1-bis.
P.Q.M.
La corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione a favore dei controricorrenti delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 200 per esborsi ed Euro 5.600 per compensi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto del sussistere dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13 cit., comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 12 luglio 2018.
Depositato in Cancelleria il 5 giugno 2019