…omissis…
Rilevato
1. XX chiedeva al Giudice di Pace di Milano l’annullamento del verbale di accertamento notificatole il 5 aprile 2018 elevato dalla Polizia Locale del Comune di Milano, con il quale le veniva contestata – sulla base dei rilievi svolti in occasione di un sinistro stradale, a seguito del quale riportò lesioni fisiche – la violazione dell’art. 143, comma 13, D. Lgs. 30 aprile 1992, n. 285 (Codice della Strada, CdS), per non avere la stessa circolato sulla parte destra della carreggiata in prossimità del margine destro a bordo del suo velocipede, utilizzando, invece, illegittimamente l’attraversamento pedonale.
Il Giudice di Pace rigettava l’opposizione con sentenza n. 9121/2018.
2. Avverso detta pronuncia XX proponeva appello innanzi al Tribunale di Milano, il quale lo rigettava, confermando integralmente la pronuncia di prime cure.
A giudizio del Tribunale, poiché i velocipedi sono considerati veicoli ai fini dell’applicazione delle norme del codice della strada (ex art. 47, comma 1, lett. c), è possibile escludere che ricorra la previsione di cui al comma 2 dell’art. 2054 c.c. (che stabilisce, fino a prova contraria, la presunzione di colpa in pari misura, tra i conducenti, nella collisione tra veicoli) quando sia possibile accertare in concreto – come nel caso di specie – le cause e il grado delle colpe, dovendosi considerare, inconferente il richiamo dell’appellante all’art. 182, comma 4, CdS e all’art. 3, n. 53-bis, CdS, posto che la prima delle norme citate regolamenta la diversa ipotesi del velocipede che percorre tratti di strada inibiti ad altri veicoli riservati ai soli pedoni, mentre la seconda inserisce i ciclisti tra gli utenti deboli della strada.
3. Avverso la suddetta sentenza di appello XX proponeva ricorso per cassazione, affidandolo a cinque motivi.
Resisteva il Comune di Milano depositando controricorso.
In prossimità dell’adunanza camerale entrambe le parti depositavano memorie.
Considerato
1. Preliminarmente, deve essere disattesa l’eccezione di inammissibilità sollevata dal controricorrente con riguardo al primo, secondo e quinto motivo del ricorso, sull’asserito presupposto della mancanza di qualunque riferimento al tipo di censura dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., senza cioè rispettare puntualmente il canone della specificità del motivo: contrariamente a tale assunto, le censure dedotte con il ricorso sono sufficientemente motivate nell’esposizione delle relative doglianze e i tipi di violazioni riconducibili ai vizi dell’art. 360 c.p.c. – ancorché non individuati nel riferimento numerico – si evincono chiaramente dal loro distinto svolgimento, rispondendo, nel resto, le stesse alle prescrizioni dell’art. 366, comma 1, c.p.c.
2. Con il primo motivo si deduce violazione o falsa applicazione delle norme di diritto in materia di circolazione dei velocipedi di cui agli artt. 182, comma 4, CdS e 377, comma 2, del regolamento di esecuzione e di attuazione del CdS (d.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495). Si sostiene che l’art. 143 CdS si occupa della posizione dei veicoli sulla carreggiata, mentre l’art. 182 CdS riguarda la circolazione dei velocipedi, al di là della definizione del conducente quale pedone o ciclista: ciò sarebbe avvalorato dall’art. 377 Reg. esec. e att. CdS, che impone anch’esso di tenere il velocipede a mano durante l’attraversamento delle strisce quando il traffico sia particolarmente intenso ovvero le circostanze del traffico lo richiedano.
La ricostruzione delle norme citate, confermata da un orientamento della Cassazione penale, permetterebbe – secondo la prospettiva della ricorrente – di affermare che è consentito attraversare le strisce pedonali in sella ad una bici, fatte salve le limitazioni espressamente indicate dalla legge (quando, per le condizioni della circolazione, i velocipedi siano di intralcio o di pericolo per i pedoni).
3. Con il secondo motivo si deduce violazione o falsa applicazione degli artt. 143, comma 13, e 47, comma 1, lett. b (recte: c), CdS.
Si adduce che il giudice di appello ha errato nella ricerca e nell’interpretazione delle norme ritenute regolatrici del caso concreto, incorrendo nel vizio di falsa applicazione di legge, consistita nel sussumere la fattispecie al suo esame sotto norme non pertinenti e, quindi, inidonee a regolarla. Si aggiunge che il perimetro applicativo delle norme menzionate è errato, come errate sono le conseguenze ermeneutiche alle quali il giudice di seconde cure è approdato, confermando la legittimità dell’irrogazione di una sanzione nei suoi confronti per un fatto da considerarsi lecito, ossia l’attraversamento in sella a velocipede di strisce pedonali in assenza delle condizioni che impongano la circolazione con il mezzo condotto a mano.
4. I due motivi possono essere esaminati congiuntamente, in quanto riferibili alla medesima questione, ossia l’identificazione e l’interpretazione delle norme del codice della strada idonee a disciplinare la fattispecie in esame, al fine di stabilire l’eventuale illiceità della condotta ascritta alla ricorrente, ossia l’attraversamento in sella a velocipede di un passaggio pedonale, in assenza delle condizioni che impongano l’attraversamento con veicolo condotto a mano.
Entrambi i motivi sono infondati per le ragioni che seguono.
4.1. Per agevolare la comprensione della loro portata, è opportuno riportare le norme di riferimento vigenti ratione temporis:
– Art. 47 CdS (Classificazione dei veicoli), comma 1: “I veicoli si classificano, ai fini del presente codice, come segue: …c) velocipedi”.
Ai veicoli, anche ai velocipedi in quanto rientranti in tale definizione, sono imposte norme di comportamento definite nel Titolo V; tra queste:
– Art. 143, comma 2, CdS (Posizione dei veicoli sulla carreggiata): “I veicoli sprovvisti di motore e gli animali devono essere tenuti il più vicino possibile al margine destro della carreggiata”. In violazione delle quali il comma 13 della stessa norma recita: “Chiunque viola le altre disposizioni del presente articolo è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da Euro 41,00 a Euro 169,00”.
– Art. 182, comma 4, CdS (Circolazione dei velocipedi): “I ciclisti devono condurre il veicolo a mano quando, per le condizioni della circolazione, siano di intralcio o di pericolo per i pedoni. In tal caso sono assimilati ai pedoni e devono usare la comune diligenza e la comune prudenza”.
– Art. 377, comma 2, Reg. esec. e att. CdS (Circolazione dei velocipedi): “Nel caso di attraversamento di carreggiate a traffico particolarmente intenso e, in generale, dove le circostanze lo richiedano, i ciclisti sono tenuti ad attraversare tenendo il veicolo a mano”.
4.2. Le riportate norme di comportamento stabilite nel Titolo V CdS presentano, dunque, questa sequenza: i velocipedi (veicoli sprovvisti di motore, la bicicletta tra questi) devono viaggiare a destra sulla carreggiata, il più possibile vicino al suo margine destro; quando per le condizioni di circolazione (ad es., in caso di affollamento pedonale, traffico veicolare intenso, ecc.) il velocipede condotto in sella sia d’intralcio o di pericolo per i pedoni, esso deve essere portato a mano (art. 182, comma 4); il comportamento sarà identico anche nel corso di un attraversamento di carreggiata su strisce pedonali (art. 377 Reg. esec. e att. CdS), ovvero in qualunque altra situazione in cui il velocipede occupi spazi dedicati ai pedoni (per es., i marciapiedi). Quindi, l’errore logico in cui è incorsa la ricorrente consiste nel traslare il comportamento ordinario del conducente del velocipede, in virtù del quale è tenuto a procedere in sella sul margine destro della carreggiata, alla diversa situazione in cui egli si trovi ad occupare spazi della strada destinati ai pedoni, quali appunto le strisce pedonali oppure i marciapiedi, nella quale è, invece, obbligato all’attraversamento portando il velocipede a mano.
4.3. In definitiva, al contrario di quanto ritenuto dalla ricorrente, le norme menzionate devono essere interpretate nel senso che consentono al ciclista di occupare spazi altrimenti dedicati ai soli pedoni – comportamenti consentiti solo in situazioni di affollamento pedonale ovvero di traffico veicolare intenso – purché il velocipede sia condotto a mano, e non in sella, risultando, in ogni caso, obbligatorio che quando è condotto in sella debba essere tenuto sempre il più vicino possibile al margine destro della carreggiata.
5. Con il terzo motivo si deduce omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti e/o violazione e falsa applicazione degli artt. 200 e 201 CdS e dell’art. 384 reg. esec. e att. CdS.
La ricorrente lamenta l’omessa indicazione, da parte degli agenti accertatori, di una valida giustificazione della contestazione differita, essendosi essi limitati ad asserire che l’infrazione fosse stata accertata “a seguito di incidente stradale con feriti”; su tale punto, peraltro, il Tribunale non si è pronunciato.
5.1. Il motivo è inammissibile, poiché ricorre l’ipotesi di “doppia conforme”, prevista dall’art. 348-ter, comma 5, c.p.c. (applicabile, ai sensi dell’art. 54, comma 2, del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla legge n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012, e quindi applicabile anche al giudizio in esame). In tale ipotesi, il ricorrente per cassazione, al fine di evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, n. 5), c.p.c. per difetto di specificità, deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (ex plurimis: Cass. Sez. 6-2, n. 8320 del 2022-Rv. 664432 – 01; Cass., Sez. 3, 14.07.2022, n. 22244; Cass., Sez. L, 20.07.2022, n. 22782; Cass., Sez. 6-2, 15.03.2022, n. 8320; Cass., Sez. L, 06.08.2019, n. 20994). Nella specie, la ricorrente non ha indicato le ragioni di diversità motivazionali fra le due pronunce.
In ogni caso, ai fini della ravvisata legittimità della contestazione differita della violazione oggetto di accertamento e della conseguente irrogazione della correlata sanzione, è sufficiente che il Tribunale abbia dato atto che la stessa era stata riferita ad un incidente in cui vi era stata una collisione tra un autoveicolo ed un velocipede e che – solo previa verifica dell’accaduto, nella cui imminenza si era reso necessario dar corso alle più urgenti attività d’ufficio, e degli accertamenti eseguiti sulla base delle acquisizioni probatorie – era rimasto riscontrato (e tanto era stato attestato nel verbale stesso) che la XX, conducendo in sella il suo velocipede, aveva, in quella circostanza, attraversato illegittimamente le strisce pedonali, così violando la prescrizione sancita dall’art. 143, comma 2, CdS (laddove viene affermato che “i veicoli sprovvisti di motore….devono essere tenuti il più vicino possibile al margine destro della carreggiata”).
6. Con il quarto motivo si deduce nullità della sentenza ex art. 360, commi 1 e 4, c.p.c., per inesistenza della motivazione circa la liquidazione delle spese di lite in relazione agli artt. 111 Cost., 91 e 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e del D.M. 55/2014.
La ricorrente denuncia l’abnormità e l’ingiustificatezza dell’entità delle spese di lite, tenuto conto del valore della causa (Euro 41,00) e del fatto che tale liquidazione afferisce al solo grado di appello: si sostiene che il Tribunale ha applicato l’incremento massimo consentito dall’art. 4 del D.M. n. 55 del 2014 in alcun modo motivando circa la quantificazione dei valori massimi e, quindi, dello scostamento apprezzabile dai valori medi della tabella allegata al predetto DM. Lamenta, altresì, l’illegittima liquidazione del compenso avvenuta unitariamente e indistintamente per tutte le fasi, benché non sia stata svolta la fase istruttoria.
6.1. Il motivo è infondato.
Occorre innanzitutto chiarire che l’obbligo di apposita e specifica motivazione è imposto al giudice del merito solo nel caso in cui egli ritenga di dover scendere anche al di sotto o salire al di sopra dei limiti risultanti dall’applicazione delle massime percentuali di scostamento (cfr., tra le tante, Cass. n. 14198/2022; Cass. n. 19989/2021; Cass. n. 2386/2017). Pertanto, resta affidata al prudente apprezzamento del giudice l’applicazione degli incrementi consentiti dall’art. 4 del D.M. n. 55 del 2014. In parte qua il motivo è, dunque, privo di fondamento.
6.1.1. Con particolare riferimento, poi, all’addotta illegittimità della liquidazione del compenso per la fase istruttoria, si osserva che il parametro tabellare di cui al D.M. n. 55 del 2014 è riferito alla “fase istruttoria e/o di trattazione”, discendendone che l’eventuale mancato svolgimento della fase istruttoria in sé e per sé considerata (ossia di alcuna delle attività che in tale fase sono da intendersi comprese secondo l’indicazione esemplificativa contenuta nel comma 5, lett. c, dell’art. 4 d.m. n. 55 del 2014) non vale ad escludere il computo, ai fini della liquidazione giudiziale dei compensi, dell’importo spettante per la fase così come complessivamente considerata nelle tabelle, restando questo comunque riferibile anche solo alla diversa fase della trattazione (come dimostra l’uso, nella descrizione in tabelle della corrispondente voce, della congiunzione disgiuntiva “o”, sia pure in alternativa alla congiunzione copulativa “e”: “e/o”: v. Cass. n. 28627/2023).
6.2. La doglianza è, altresì, infondata nella parte in cui la ricorrente censura la pronuncia per aver liquidato unitariamente e indistintamente tutte le fasi, con ciò non consentendo il controllo al giudice di legittimità. Individuata la fascia di valore (scaglione 1, relativo al valore fino a Euro 1.100,00) e le quattro fasi in essa previste, è agevole concludere che il Tribunale ha correttamente applicato l’aumento dell’80% per le tre fasi di studio, introduttiva del giudizio e decisionale, nonché del 100% per quella di trattazione e/o istruttoria, come consente l’art. 4, comma 1, ultimo inciso del D.M. n. 55 del 2014, vigente ratione temporis.
7. Con il quinto motivo si deduce violazione o falsa applicazione dell’art. 1, comma 208, legge n. 266/2005, e dell’art. 112 c.p.c.
La ricorrente censura l’illegittima maggiorazione dei compensi con la liquidazione delle spese generali, IVA e CPA, considerato che l’avvocatura comunale, difesa non da avvocati esterni bensì interni all’Amministrazione stessa, non aveva richiesto la liquidazione degli oneri accessori, previdenziali e fiscali, e che l’opposto Comune di Milano si era costituito in giudizio senza proporre domande riconvenzionali e senza sostenere alcuna anticipazione. Inoltre, la XX deduce la violazione del principio della domanda in ordine alla disposta liquidazione delle spese non imponibili nella misura di euro 100,00, pur non essendo state chieste né documentate dall’Amministrazione comunale.
7.1. Quest’ultimo motivo è fondato per quanto di ragione.
Preliminarmente, si conviene con la prospettazione della ricorrente sulla permanenza dell’interesse all’impugnazione del capo delle spese come argomentata in memoria, posto che la disposizione del Tribunale in tema di accessori, laddove utilizza l’espressione “se dovuta”, riguarda solo l’IVA. Quanto, invece, alla CPA e alle spese generali, alla fattispecie in esame trova applicazione ratione temporis, la legge 23 dicembre 2005, n. 266 (entrata in vigore il 1 gennaio 2006) che, all’art. 1, comma 208, per la dichiarata esigenza di contenimento della spesa pubblica, ha introdotto una deroga all’art. 2115, comma 3, del codice civile (in virtù del quale è nullo qualsiasi patto diretto ad eludere gli obblighi relativi alla previdenza o all’assistenza posti a carico del datore di lavoro), disponendo che “le somme finalizzate alla corresponsione di compensi professionali comunque dovuti al personale dell’avvocatura interna delle amministrazioni pubbliche sulla base di specifiche disposizioni contrattuali sono da considerare comprensive degli oneri riflessi a carico del datore di lavoro”. La disposizione citata ha, quindi, previsto l’accollo contributivo a integrale carico del lavoratore, per la parte relativa ai compensi professionali (norma peraltro ritenuta legittima dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 33 del 2009; v. Cass. Sez. L, Ordinanza n. 27315/2021).
Dunque, condividendosi quanto sostenuto sul punto dalla ricorrente, l’applicazione della norma in esame al caso di specie comporta che i compensi liquidati a favore dei difensori del Comune di Milano comprendono anche gli oneri previdenziali.
La sub-censura attinente alla supposta violazione dell’art. 112 c.p.c. per la disposta liquidazione d’ufficio della somma di euro 100,00 in favore del Comune di Milano a titolo di spese vive è, invece, priva di fondamento, dal momento che – in caso di esito vittorioso della causa – non occorre che la parte risultata vincitrice abbia chiesto espressamente anche la liquidazione degli esborsi, essendo essi connaturali all’espletamento della difesa in giudizio e dovendo il giudice quantificarli sulla base di quanto emergente dagli atti del processo, anche considerando le istanze di cui alla nota, ove depositata.
La giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 21244/2006 e Cass. n. 2719/2015) ha, sul punto, chiarito che la condanna al pagamento delle spese del giudizio (ivi compresi gli esborsi), in quanto consequenziale ed accessoria, può essere legittimamente emessa a carico del soccombente anche d’ufficio, in mancanza di un’esplicita richiesta della parte vittoriosa, sempreché quest’ultima non abbia manifestato un’espressa volontà contraria, evenienza non ricorrente nella fattispecie qui venuta in rilievo.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la sentenza impugnata può essere cassata limitatamente all’accoglimento del quinto motivo nei termini appena riportati, con conseguente relativa decisione nel merito (ai sensi dell’art. 384, comma 2, c.p.c.), consistente nel disporre l’elisione – dalla sentenza stessa – della pronuncia relativa al riconoscimento della liquidazione degli importi imputabili a CPA, spese generali e IVA (se, in ipotesi, dovuta) in favore dell’appellato Comune di Milano.
8. In definitiva, il Collegio rigetta i primi quattro motivi del ricorso, accoglie – per quanto di ragione – il quinto motivo e, decidendo nel merito su quest’ultimo, elide dalla sentenza impugnata la pronuncia sul riconoscimento degli importi imputati a CPA, spese generali e IVA.
8.1. In virtù dell’assenza di precedenti specifici di questa Corte sulla peculiare questione esaminata con riferimento ai primi due motivi di ricorso e stante la parziale reciproca soccombenza tra le parti, si ravvisano giuste ed oggettive ragioni per disporre l’integrale compensazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie, per quanto di ragione, il quinto motivo di ricorso e rigetta i restanti; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito sullo stesso, elide dalla sentenza impugnata il riconoscimento degli importi imputati a CPA, contributo forfettario per spese generali e IVA in favore del Comune di Milano.