Svolgimento del processo
L’attuale ricorrente, con ricorso ai sensi dell’art. 702-bis c.p.c., ha chiesto, nei confronti della Banca Monte dei Paschi di Siena Spa e dell’avv. (omissis), curatore dell’eredità giacente di (omissis), accertarsi la propria qualità di erede puro e semplice del defunto, deceduto il (omissis). Il Tribunale ha rigettato la domanda, rilevando che il ricorrente era decaduto dal diritto di accettare, avendo lasciato decorrere invano il termine ex art. 481 c.c., accordato su istanza del Monte dei Paschi di Siena: da qui, avendo l’altro chiamato già rinunciato all’eredità, l’apertura dell’eredità giacente. Il Tribunale ha aggiunto che non poteva ritenersi sussistente l’ipotesi di accettazione tacita dell’eredità, in assenza della prova di atti idonei ad integrare la fattispecie di cui all’art. 476 c.c..
La Corte d’appello ha confermato la decisione. Dopo avere premesso che l’appellante aveva invocato l’istituto di cui all’art. 485 c.c., ha riconosciuto che lo stesso avrebbe avuto ragione se avesse dimostrato di essere al possesso del bene ereditario al momento e immediatamente dopo la morte del padre, essendo incontroversa la mancata formazione dell’inventario. Tuttavia, gli elementi documentali attestavano che il possesso era iniziato in epoca successiva, prevalentemente dal 2015 in poi. A tali rilievi, la corte di merito ha aggiunto che il ricorrente, gravato del relativo onere, non aveva fornito la prova di essere divenuto erede puro e semplice in data antecedente al deposito del ricorso da parte del creditore, avvenuto nel mese di ottobre 2014.
Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione (omissis), depositando anche la memoria. Si difende la banca Monte dei Paschi di Siena con controricorso, illustrato da memoria. Si difende con controricorso anche il Condominio di via (omissis), intervenuto volontariamente già nel giudizio di primo grado.
Restano intimati gli altri destinatari della notificazione del ricorso.
Motivi della decisione
La ricorrente censura la sentenza impugnata sulla base di due motivi, come segue riassunti:
1) violazione e/o falsa applicazione di norma di diritto e in particolare degli artt. 476 e 485 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Gli elementi acquisti al giudizio dimostravano che il ricorrente aveva il possesso dell’immobile in Milano. La Corte d’appello, pur riconoscendo la valenza probatoria dei documenti prodotti dal ricorrente ai fini della prova del possesso dell’immobile ereditario, ha poi negato la rilevanza degli stessi elementi nella fattispecie concreta, in quanto riprodurrebbero attività e situazioni “troppo” successive rispetto alla morte, occorsa nel 2014, del de cuius.
2) violazione e/o falsa applicazione di norma di diritto e in particolare dell’art. 481 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 Si denuncia l’errore in cui era incorsa la Corte d’appello nel non considerare che l’art. 481 c.c. si applica nel caso in cui l’erede non abbia ancora accettato, e quindi non sia neanche nel possesso dei beni ereditari. Nel caso che qui occupa (omissis), al momento della morte del padre, e quindi, al momento dell’apertura della successione, era già nel possesso dei beni ereditari, per come sopra ampiamente spiegato. Inoltre, vi era una quota del bene del quale era già proprietario per averla ricevuta in eredità a seguito della morte della madre.
Il primo motivo è fondato. Esso deve ritenersi correttamente fatto valere come violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. In tale ambito debbono farsi rientrare anche le ipotesi nella quali il giudice di merito, senza apparentemente prendere posizione sul significato della norma, dimostri, nel risolvere la questione di fatto sulla base degli elementi istruttori, di essere stato guidato da una inesatta interpretazione di essa. Ciò è certamente avvenuto nel caso concreto, laddove la Corte d’appello, nella valutazione degli elementi di prova, dopo avere riconosciuto di dover fare applicazione dell’art. 485 c.c., così testualmente si esprime: “Indubbiamente, rileva la Corte, se (omissis) avesse fornito la prova di trovarsi nel possesso dei beni ereditari al momento ed immediatamente dopo la morte del padre, avrebbe potuto essere valutata la sussistenza dell’ipotesi prevista dalla norma sopra richiamata, poichè appare circostanza pacifica e non contestata che il (omissis) non abbia effettuato l’inventario nel termine di tre mesi dal decesso del padre avvenuto il (omissis). Tuttavia, gli elementi documentali offerti col ricorso ex art. 702-bis attestano il possesso solo in epoca successiva, ossia prevalentemente dal 2015 in poi, essendo riferite a tale annualità ed a quelle successive le spese condominiali, le utenze e il pagamento delle bollette o il canone Rai. Anche le sentenze penali o i provvedimenti giudiziali prodotti, comprovano che il (omissis) fosse domiciliato in (omissis) solo dal 2015 in poi, non essendovi alcun documento che attesti la sua permanenza presso l’immobile dal mese di Aprile 2014. Lo stesso certificato di residenza prodotto al doc 13 prova che il ricorrente ha trasferito la propria residenza in Milano dal 2016 (…)”.
Le osservazioni che precedono rendono palese che la Corte d’appello ritiene rilevante, agli effetti dell’art. 485 c.c., solo il possesso del chiamato già esistente all’apertura della successione o acquisito immediatamente dopo. Ma tale presupposto, da cui la Corte territoriale è stata guidata nella valutazione delle prove, non trova riscontro nella nell’art. 485 c.c. Questo stabilisce, al comma 1, che il chiamato in possesso deve fare l’inventario entro tre mesi che decorrono dall’apertura della successione o dalla notizia della medesima, altrimenti è erede puro e semplice. Sebbene la norma si riferisca letteralmente proprio al caso che il chiamato sia già, al momento dell’aperta successione, nel possesso dei beni ereditari a qualsiasi titolo, ciò non vuol dire che, a questi effetti, sia insignificante il possesso acquisito successivamente. Invero, nel concorso delle condizioni previste dalla norma l’acquisto ex lege opererebbe ugualmente, ma il trimestre accordato per il compimento dell’inventario decorrerebbe non dalla apertura della successione, ma dal momento di inizio del possesso (Cass. n. 15690/2020; n. 1438/2020).
In contrasto con tali principi, la Corte d’appello, seppure abbia considerato la possibilità che le prove offerte dimostrassero il possesso del bene ereditario in epoca successiva all’apertura della successione, ha poi trascurato del tutto di considerare gli eventuali riflessi di tale situazione agli effetti dell’applicazione dell’art. 485 c.c., arbitrariamente ristretto all’ipotesi di possesso già esistente al tempo di apertura della successione o acquistato immediatamente dopo. E’ stato chiarito che la norma, salva la diversa decorrenza, si applica allo stesso modo nell’ipotesi di possesso acquisito in un secondo tempo.
E’ fondato anche il secondo motivo. Con riferimento al procedimento ai sensi dell’art. 749 c.p.c. e art. 481 c.c. la Corte d’appello così si esprime: “Il ricorrente non ha fornito la prova che, antecedentemente al deposito del ricorso ex art. 481 c.c., ossia nel mese di ottobre 2014, egli fosse già divenuto erede puro e semplice ex art. 485 c.c. per essere stato nel possesso dei beni ereditari e non aver redatto l’inventario entro il mese di luglio 2014″.
Anche in questo caso l’affermazione tradisce un errore di diritto in cui è incorsa la Corte di merito. Secondo l’art. 481 c.c., chiunque vi ha interesse (sono interessati i chiamati ulteriori, i coeredi nei confronti dei quali operi l’accrescimento, i legatari ed creditori, tanto del de cuius, quanto del chiamato, i beneficiari di oneri e in genere di tutti coloro che abbiano un diritto sui beni relitti e verso l’eredità), può ricorrere al giudice perchè fissi un termine entro il quale il chiamato deve dichiarare se accetta o rinuncia; trascorso il quale la legge riconnette la perdita del diritto di accettare (la c.d. actio interrogatoria). Il procedimento è quello previsto dall’art. 749 c.p.c..
Essendo indubbio che scopo dell’actio interrogatoria sia l’abbreviazione del termine previsto dall’art. 480 c.c., la dottrina riconosce che essa non è applicabile al chiamato in possesso dei beni ereditari. Come appena chiarito, se il chiamato è nel possesso dei beni ereditari, egli deve, ex art. 485 c.c., conformarsi alle disposizioni sul beneficio di inventario, entro il termine di tre mesi dall’apertura delle successioni o dalla notizia della devoluta eredità, salvo quanto sopra detto per il caso in cui sia entrato nel possesso di beni ereditari dopo l’apertura della successione. Se non compie l’inventario entro questo termine acquista la qualità di erede puro e semplice. Sulla base dello stesso rilievo si spiega la ragione per cui, se il chiamato è nel possesso dei beni, l’art. 528 c.c. esclude il ricorso alla curatela dell’eredità giacente.
Consegue da quanto sopra che l’actio interrogatoria può essere proposta solo contro il chiamato non possessore.
In contrasto con tali principi la corte di merito ha riconosciuto l’applicabilità dell’art. 481 c.c., con il conseguente maturarsi dei presupposti della decadenza in danno dell’intimato, sulla base della considerazione che il chiamato non avesse dato la prova di essere divenuto erede puro e semplice prima del deposito del ricorso ai sensi dell’art. 481 c.c. Al contrario in base a quanto sopra detto, al fine di rendere inapplicabile l’art. 481 c.c. bastava la prova che il chiamato fosse già in quel momento nel possesso dei beni ereditari, essendo pertanto già in corso il termine per fare l’inventario, che non può essere ulteriormente abbreviato attraverso l’actio interrogatoria. Questa, come sopra chiarito, è invece volta a ridurre il termine dell’art. 480 c.c..
La sentenza impugnata va dunque cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, perchè riesamini il materiale probatorio sulla base dei principi di cui sopra.
Alla stessa Corte d’appello di Milano si demanda anche la liquidazione delle spese di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata; rinvia la causa alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione anche per la pronuncia sulle spese di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda sezione civile, il 9 febbraio 2023.
Depositato in Cancelleria il 1 giugno 2023