• Home
  • >
  • Cassazione civile sez. I, 31/03/2022, n.10483

Cassazione civile sez. I, 31/03/2022, n.10483

Massima

In tema di amministrazione di sostegno, le caratteristiche dell’istituto impongono, in linea con le indicazioni provenienti dall’art. 12 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, che l’accertamento della ricorrenza dei presupposti di legge sia compiuto in maniera specifica e focalizzata rispetto alle condizioni di menomazione del beneficiario ed anche rispetto all’incidenza di tali condizioni sulla capacità del medesimo di provvedere ai propri interessi, perimetrando i poteri gestori dell’amministratore in termini direttamente proporzionati ad entrambi i menzionati elementi, di guisa che la misura risulti specifica e funzionale agli obiettivi individuali di tutela, altrimenti implicando un’ingiustificata limitazione della capacità di agire della persona.

Supporto alla lettura

Le ragioni sottese all’introduzione dell’amministrazione di sostegno (avvenuta, come è noto, ad opera dell’art. 3, legge 9 gennaio 2004, n. 6  vanno rinvenute nelle avvertite esigenze di tutela dell’individuo e dei correlati interessi, patrimoniali e non. Oltre cioè alla gestione del patrimonio dell’incapace, l’istituto, disciplinato dagli artt. 404 ss. c.c., mira infatti a tutelare la sfera personale dell’incapace e a consentirne lo sviluppo. L’amministratore di sostegno viene nominato dal giudice tutelare del luogo in cui il soggetto beneficiario ha la residenza o il domicilio, su ricorso proposto dallo stesso soggetto infermo o menomato, dal coniuge, dal tutore, dal P.M., dal curatore, dai parenti entro il quarto grado, dagli affini entro il secondo grado, dalla persona stabilmente convivente. Nello scegliere la persona da nominare amministratore di sostegno, il giudice deve preferire un soggetto familiare al beneficiario.
Il beneficiario conserva la capacità di agire per gli atti che non richiedono l’assistenza necessaria o la rappresentanza esclusiva dell’amministratore di sostegno.
Gli atti che l’amministratore di sostegno può compiere in nome e per conto del beneficiario sono stabiliti dal giudice tutelare con il decreto di nomina.
E’ fondamentale l’ascolto dell’interessato prima dell’adozione di un provvedimento che lo concerne direttamente (e non potrebbe essere altrimenti).
Mentre nel processo di interdizione, l’esame dell’interdicendo serve a saggiarne la capacità di intendere e volere; maggiormente ampia e complessa risulta la funzione esplicata dall’audizione del beneficiario nella procedura di amministrazione di sostegno. Non si tratta tanto o solamente di saggiare il tasso di autonomia della persona in correlazione alla disabilità, ma piuttosto di “ascoltare” l’interessato per raccoglierne “i bisogni e le richieste”, individuandone le effettive, concrete esigenze esistenziali e personali.
Le indicazioni fornite dal beneficiario in sede di ascolto sono estremamente significative ed il giudice ne deve “tener conto” agli effetti, ad es., della designazione dell’amministratore di sostegno, per la determinazione degli atti che l’amministratore di sostegno può compiere in sostituzione o in assistenza al disabile e che quest’ultimo non è in grado di effettuare in modo autonomo; come pure agli effetti dell’istituzione di un’amministrazione di natura prettamente patrimoniale, ovvero, anche (o esclusivamente) di tipo personale, volta alla protezione di esigenze esistenziali, ovvero, alla cura della salute personale.
Appare chiara la centralità e rilevanza dell’audizione del beneficiario della procedura, ben maggiore rispetto all’essenzialità dell’esame dell’interdicendo, nel processo di interdizione.
Può concludersi sul punto affermando che l’atto istruttorio più importante dell’intera procedura è appunto l’audizione del beneficiario.

Ambito oggettivo di applicazione

RITENUTO CHE

C.A. ha proposto ricorso per cassazione con due mezzi avverso il decreto della Corte di appello di Ancona che ha respinto il reclamo, proposto dallo stesso C., avverso il decreto del Giudice Tutelare presso il Tribunale di Ancona del 3/9/2020 con cui era stata dichiarata l’apertura dell’amministrazione di sostegno con durata indeterminata in suo favore, nominando l’avv. P.M.M. quale amministratore di sostegno. Le controparti sono rimaste intimate.

C., con il reclamo, aveva lamentato la insussistenza dei presupposti di fatto e di diritto per l’adozione del provvedimento impugnato, dolendosi in subordine che non fosse stata nominata la sorella nell’incarico di amministratore di sostegno.

La Corte di appello, con il decreto impugnato, ha affermato che era stata accerta la incapacità di C. di attendere autonomamente ai suoi interessi, sulla scorta di elementi clinici che ne evidenziavano la fragilità. A tal fine, ha rimarcato l’esistenza di una diagnosi di “disturbo bipolare di II tipo” – caratterizzato da alternanza di fasi di recrudescenza, connesse alla mancata assunzione della terapia psicofarmacologica-; le condotte di “accumulo patologico” di materiale musicale in varie stanze dell’abitazione, rese impraticabili; una situazione di evidente difficoltà economica dei fratelli C. evidenziata nella relazione dei Servizi sociali. Ha, inoltre, rappresentato che la convivenza con la sorella era connotata da forti tensioni ed eteroaggressività verbale.

Ha ritenuto, infine, che le questioni circa la individuazione della persona incaricata di svolgere la funzione di amministratore di sostegno, avrebbero dovuto essere oggetto di reclamo proposto dinanzi al Tribunale, trattandosi di provvedimento di carattere gestorio.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.1. Con il primo motivo si denuncia la violazione dell’art. 404 c.c. e ss., deducendo l’apertura dell’amministrazione di sostegno in mancanza dei presupposti di legge.

Il ricorrente si duole che la Corte di appello abbia rigettato il reclamo sulla scorta dell’esame della sola relazione del Dipartimento di Salute Mentale dell’ASL, che aveva diagnosticato un “disturbo bipolare di II tipo”, senza considerare che la patologia era tenuta sotto controllo mediante terapia farmacologica e che il medico curante del ricorrente ne aveva dichiarato la piena capacità di intendere e di volere. Osserva che il disturbo comportamentale in questione non è idoneo ad escludere la propria capacità di attendere alle esigenze fisiche ed economico/finanziarie e di autodeterminazione.

Sostiene di non essere un soggetto debole perché, come riferito dai Servizi sociali, avrebbe sperperato il patrimonio, circostanza che contesta, e non di non essere in condizioni di precarietà economica ma di godere di una florida situazione economica, riveniente da proprietà immobiliari, rendite e pensioni che gestisce con la sorella, lamentando che ciò non sia stato considerato dalla Corte di appello.

Ammette la necessità di assistenza fisica per i malanni dovuti all’età, ma non per la condizione psichica e rivendica il diritto di gestire e liquidare il patrimonio immobiliare per le personali esigenze di vita, non avendo figli da accudire o familiari a cui pensare, tranne la sorella con cui convive.

1.2. Con il secondo motivo si denuncia la violazione dell’art. 13 Cost., per avere omesso la Corte di appello di tenere in considerazione un diritto fondamentale della persona, costituzionalmente tutelato, e cioè la volontà del C. contraria all’attivazione dell’amministrazione di sostegno e la libertà di autodeterminazione dello stesso e della dignità personale.

2.1. Preliminarmente va affermata la ricorribilità in cassazione del decreto impugnato, stante il contenuto decisorio dello stesso, concernente l’accertamento della ricorrenza dei presupposti di fatto e di diritto per l’apertura dell’amministrazione di sostegno; ciò alla luce del recente arresto delle Sezioni Unite (Cass. Sez.U. n. 21985/2021) che hanno precisato che i decreti del giudice tutelare in materia di amministrazione di sostegno sono reclamabili ai sensi dell’art. 720 bis c.p.c., comma 2, unicamente dinanzi alla Corte d’appello, quale che sia il loro contenuto (decisorio ovvero gestorio), mentre, ai fini della ricorribilità per cassazione dei provvedimenti assunti in tale sede, la lettera della legge impone in ogni caso la verifica del carattere della decisorietà, quale connotato intrinseco delle statuizioni suscettibili di essere sottoposte al vaglio del giudice di legittimità.

2.2. Il ricorso, i cui motivi vanno trattati congiuntamente per connessione, è fondato e va accolto.

2.3. L’amministrazione di sostegno, introdotta dalla L. n. 6 del 2004, art. 3 innovando il sistema delle tutele previste in favore dei soggetti deboli, persegue la finalità di offrire, a chi si trovi – all’attualità – nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi per una qualsiasi “infermità” o “menomazione fisica” non necessariamente di ordine mentale (Cass. n. 12998/2019), uno strumento di assistenza che ne sacrifichi nella minor misura possibile la “capacità di agire” e che – a differenze dell’interdizione e dell’inabilitazione – sia idoneo ad adeguarsi alle esigenze del beneficiario, in ragione della sua flessibilità e della maggiore agilità della relativa procedura applicativa.

L’amministrazione di sostegno, ancorché non esiga che la persona versi in uno stato di vera e propria incapacità di intendere o di volere, nondimeno presuppone una condizione attuale di menomata capacità che la ponga nell’impossibilità di provvedere ai propri interessi, mentre è escluso il ricorso all’istituto nei confronti di chi si trovi nella piena capacità di autodeterminarsi, pur in condizioni di menomazione fisica, in funzione di asserite esigenze di gestione patrimoniale, in quanto detto utilizzo implicherebbe un’ingiustificata limitazione della capacità di agire della persona, tanto più a fronte della volontà contraria all’attivazione della misura manifestata da un soggetto pienamente lucido (Cass. n. 29981/2020).

Invero, come è stato già affermato da questa Corte, la valutazione della congruità e conformità del contenuto dell’amministrazione di sostegno alle specifiche esigenze del beneficiario, riservata all’apprezzamento del giudice di merito, richiede che questi tenga essenzialmente conto, secondo criteri di proporzionalità e di funzionalità, del tipo di attività che deve essere compiuta per conto dell’interessato, della gravità e durata della malattia o della situazione di bisogno in cui versa l’interessato, nonché di tutte le altre circostanze caratterizzanti la fattispecie, in modo da assicurare che il concreto supporto sia adeguato alle esigenze del beneficiario senza essere eccessivamente penalizzante (v. Cass. n. 13584/2006, n. 22332/2011; Cass. n. 18171/2013; Cass. n. 6079/2020; nel senso che l’ambito dei poteri dell’amministratore debba puntualmente correlarsi alle caratteristiche del caso concreto, v. Corte Cost. n. 4 del 2007).

2.4. La lettura dell’istituto, come si andata delineando nelle recenti pronunce di legittimità di cui si è dato conto, appare in linea, ed anzi è confortata, dal rilievo che, con L. 3 marzo 2009, n. 18, entrata in vigore il successivo 15 marzo 2009, l’Italia ha ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con disabilità (adottata il 13 dicembre 2006). Confermata la valutazione di compatibilità tra la disciplina normativa dell’amministrazione di sostegno e la Convenzione anzidetta (Cass. n. 18320/2012), è opportuno ricordare, come precisato all’art. 1, che la Convenzione ha l’obiettivo di promuovere, proteggere ed assicurare alle persone con disabilità il pieno godimento dei diritti umani e delle libertà fondamentali nel rispetto della dignità umana e riguarda non soltanto le persone cd. inferme di mente, ma tutte quelle che presentano minorazioni fisiche, mentali, intellettuali o sensoriali a lungo termine “che in interazione con varie barriere possono impedire la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su una base di eguaglianza con gli altri”. Si tratta di una disciplina che supera la logica della protezione tipicamente patrimoniale della persona, a favore di un modello sociale fondato sui diritti umani, che si pone in linea di evidente novità rispetto agli odierni ordinamenti giuridici. Una disciplina nella quale scompare ogni riferimento alla incapacità, per dare spazio alla disabilità, come condizione complessiva della persona, che non può limitare né deve incidere sulla sua capacità di agire e che, all’art. 12, prescrive a tutti gli Stati l’obbligo di riconoscere che le persone con disabilità godono della piena capacità in tutti gli aspetti della vita e di assumere tutte le misure per assicurare e garantire che le persone con disabilità godano della piena capacità legale (Cass. n. 3462/2022, in motivazione).

Segnatamente, l’art. 12 della Convenzione, sotto la rubrica “Uguale riconoscimento di fronte alla legge”, stabilisce che: “l. Gli Stati Parti riaffermano che le persone con disabilità hanno il diritto di essere riconosciute ovunque quali persone di fronte alla legge. 2. Gli Stati Parti dovranno riconoscere che le persone con disabilità godono della capacità legale su base di eguaglianza rispetto agli altri in tutti gli aspetti della vita. 3. Gli Stati Parti prenderanno appropriate misure per permettere l’accesso da parte delle persone con disabilità al sostegno che esse dovessero richiedere nell’esercizio della propria capacità legale. 4. Gli Stati Parti assicureranno che tutte le misure relative all’esercizio della capacità legale forniscano appropriate ed efficaci salvaguardie per prevenire abusi in conformità della legislazione internazionale sui diritti umani. Tali garanzie assicureranno che le misure relative all’esercizio della capacità legale rispettino i diritti, la volontà e le preferenze della persona, che siano scevre da ogni conflitto di interesse e da ogni influenza indebita, che siano proporzionate e adatte alle condizioni della persona, che siano applicate per il più breve tempo possibile e siano soggette a periodica revisione da parte di una autorità competente, indipendente ed imparziale o di un organo giudiziario. 5. Queste garanzie dovranno essere proporzionate al grado in cui le suddette misure toccano i diritti e gli interessi delle persone. 6. Sulla base di quanto previsto nel presente articolo, gli Stati Parti prenderanno tutte le misure appropriate ed efficaci per assicurare l’eguale diritto delle persone con disabilità alla propria o ereditata proprietà, al controllo dei propri affari finanziari e ad avere pari accesso a prestiti bancari, mutui e altre forme di credito finanziario, e assicureranno che le persone con disabilità non vengano arbitrariamente private della loro proprietà”. Trattasi di norma che i primi commentatori hanno definito “il massimo standard di protezione dei diritti umani della persona con disabilità, con lo scopo di assicurare il diritto alla eguaglianza e alla non discriminazione in relazione al godimento e all’esercizio della sua capacità”.

2.5. Ad oltre un decennio, ormai, dal momento in cui la menzionata Convenzione delle Nazioni Unite è stata ratificata dalla nostra Repubblica – ritenuta la compatibilità della disciplina nazionale dell’amministrazione di sostegno rispetto alla Convenzione – occorre interrogarsi, allora, sulla necessità di valorizzare, nell’ambito della disciplina nazionale, le disposizioni e le soluzioni interpretative potenzialmente coerenti con i principi espressi in questo strumento internazionale.

2.6. In questa prospettiva, decisivo rilievo è destinato ad assumere, compatibilmente con il tipo ed il grado di disabilità dell’amministrando, l’audizione della persona cui il procedimento di apertura dell’amministrazione di sostegno si riferisce. Invero, – a differenza di quanto previsto per il procedimento di interdizione o inabilitazione (art. 419 c.c.) – il giudice tutelare non solo deve sentire la persona ma, con previsione peculiare propria dell’istituto di protezione in esame, “deve tener conto, compatibilmente con gli interessi e le esigenze di protezione della persona, dei bisogni e delle richieste di questa” (art. 407 c.c., comma 3). L’audizione del beneficiario risulta, invero, centrale nell’ambito del procedimento in esame (Cass. n. 6861/2013) per l’adozione di un provvedimento congruo e commisurato alle concrete esigenze dell’amministrando, anche se la volontà espressa dal beneficiario non appare decisiva in relazione all’esito del procedimento di apertura della amministrazione di sostegno. Se, infatti, la circostanza che il beneficiario abbia chiesto o accettato il sostegno ovvero abbia indicato la persona da nominare o i bisogni concreti da soddisfare non costituisce condizione necessaria per l’applicazione di tale misura (v. Cass. n. 4866/2010; anche secondo Corte Cost. n. 4 del 2007), così come, in senso opposto, al dissenso del beneficiario, ai sensi degli artt. 407 e 410 c.c., non è attribuita una efficacia paralizzante ai fini dell’attivazione della misura dell’amministrazione di sostegno, a meno che – come è stato già affermato – il giudice non accerti che i suoi interessi sono comunque tutelati, sia in via di fatto dai familiari che per il sistema di deleghe attivato autonomamente dall’interessato (Cass. n. 22602/2017), va tuttavia rimarcato che la volontà contraria all’attivazione della misura dell’amministrazione di sostegno, ove provenga da persona pienamente lucida (come si verifica allorquando la limitazione di autonomia si colleghi ad un impedimento soltanto di natura fisica), non può non essere tenuta in debito conto da parte del giudice, che deve garantire l’equilibrio della decisione, tenendo conto della necessità di privilegiare il rispetto dell’autodeterminazione della persona interessata, così da discernere le fattispecie, a seconda dei casi (Cass. n. 29981/2020).

2.7. Ugualmente, costituiscono punti di forza dell’istituto, l’intrinseco dinamismo e la strumentale flessibilità che lo connotano, desumibili dalla previsione normativa, non formale, del dovere dell’amministratore di sostegno di riferire periodicamente al giudice tutelare non solo in ordine alle attività svolte con riguardo alla gestione del patrimonio, ma anche in ordine ad ogni mutamento delle condizioni di salute e delle condizioni di vita personale e sociale dell’amministrato (art. 405 c.c., comma 5, n. 6) e, soprattutto, dalla possibilità che il provvedimento che ha dichiarato aperta la procedura sia sempre suscettibile di adeguamento e modifiche anche d’ufficio (art. 407 c.c., comma 4; art. 411 c.c., comma 4). Questo strumentario, sintonico all’obiettivo di una individualizzata rispondenza tra il provvedimento e la sua effettiva e perdurante adeguatezza alle esigenze di assistenza del beneficiario, merita di essere valorizzato, anche nei sensi indicati dall’art. 12 della Convenzione.

2.8. Le caratteristiche proprie dell’amministrazione di sostegno impongono, quindi, in linea con le indicazioni rivenienti dall’art. 12 della Convenzione delle Nazioni Unite, che l’accertamento della ricorrenza dei presupposti di legge sia compiuto in maniera specifica, circostanziata e focalizzata sia rispetto alle condizioni di menomazione del beneficiario – da accertare anche mediante CTU, ove necessario-, sia rispetto alla incidenza della stesse sulla capacità del beneficiario di provvedere ai propri interessi personali e patrimoniali, anche eventualmente avvalendosi, in tutto o in parte, di un sistema di deleghe dallo stesso approntato; inoltre, il perimetro dei poteri gestori ordinari attribuibili all’amministratore di sostegno va delineato in termini direttamente proporzionati ad entrambi gli anzidetti elementi, di guisa che la misura risulti specifica e funzionale agli obiettivi individuali di tutela, altrimenti implicando un’ingiustificata limitazione della capacità di agire della persona.

In questo quadro, le dichiarazioni del beneficiario e la sua eventuale opposizione, soprattutto laddove la disabilità si palesi solo di tipo fisico, devono essere opportunamente considerate, così come il ricorso a possibili strumenti alternativi dallo stesso proposti, ove prospettati con sufficiente specificità e concretezza.

2.9 La decisione impugnata non risulta essere adottata nel solco dei principi anzidetti e va, pertanto, cassata.

2.10. Nel caso di specie, infatti, non risulta evidenziato in che misura la patologia di cui soffre il ricorrente abbia inciso in concreto sulla sua capacità psico/fisica ed abbia intralciato la gestione della amministrazione patrimoniale, circostanza rilevante al fine di definire in termini di proporzionalità, adeguatezza e pertinenza gli specifici poteri attribuiti all’amministratore di sostegno; ciò nonostante – come si evince dal decreto impugnato (fol. 2) – all’amministratore di sostegno risultano essere stati attribuiti tutti i poteri relativi ai rapporti bancari e postali del ricorrente, con autorizzazione all’apertura di un nuovo conto corrente intestato al solo amministratore di sostegno su cui accreditare tutti i proventi; inoltre, all’amministratore è stato consentito di operare in via esclusiva anche in ordine alle spese ordinarie, senza che emergano concrete indicazioni circa i compiti per la cura della persona amministrata, il suo benessere e la sua incolumità.

Inoltre, nonostante C. abbia dedotto, anche mediante produzione di documentazione medica, la sussistenza della propria capacità di intendere e di volere, non si evince dal decreto impugnato che sia stata disposta CTU per accertare le sue reali condizioni psico/fisiche e le modalità di sostegno più appropriate; non si dà conto della certificazione del medico curante da questi prodotta; non si illustra in che modo si sia desunto che il ricorrente non segue la cura farmacologica; non si dà conto, sulla scorta di concrete evidenze, della differente prospettazione della condizione economica rappresentata dal ricorrente – florida, piuttosto che indigente -; non si prende in esame la volontà dello stesso, contraria alla istituzione dell’amministrazione di sostegno e, in subordine, favorevole alla nomina della sorella convivente, che non risulta nemmeno essere stata ascoltata, di guisa che la misura adottata non risponde ai requisiti legali previsti per la sua applicazione.

  1. In conclusione, il ricorso va accolto; il decreto impugnato deve essere cassato con rinvio alla Corte di appello di Ancona in diversa composizione per il riesame alla luce dei principi espressi, oltre che per la liquidazione delle spese anche del presente grado.

Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

PQM

– Accoglie il ricorso; cassa il decreto impugnato con rinvio alla Corte di appello di Ancona in diversa composizione, anche per le spese;

– Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52;

Così deciso in Roma, il 16 febbraio 2022.

 

 

 

 

Allegati

    [pmb_print_buttons]

    Accedi