Massima

La pretesa di applicazione degli interessi moratori ex D.Lgs. n. 231/2002, il quale disciplina il ritardo nei pagamenti delle “transazioni commerciali” tra imprese e pubbliche amministrazioni (definite come contratti), presuppone la sussistenza di una fonte negoziale del rapporto obbligatorio.

Supporto alla lettura

RICORSO PER CASSAZIONE

Il ricorso per cassazione (artt. 360 e ss. c.p.c.) è un mezzo di impugnazione ordinario che consente di impugnare le sentenze pronunciate in unico grado o in grado d’appello, ma solo per errori di diritto, non essendo possibile dinanzi alla Suprema Corte valutare nuovamente il merito della controversia come in appello. Di solito è ammessa solo la fase rescindente in quanto il giudizio verte sull’accertamento del vizio e sulla sua eventuale cassazione, il giudizio rescissorio spetta al giudice di rinvio. Solo nel caso in cui non dovessero risultare necessari ulteriori accertamenti in cassazione, avvengono entrambi i giudizi.

La sua proposizione avviene nel termine (perentorio) di 60 giorni (c.d. termine breve), è previsto un ulteriore termine (c.d. lungo) che scade 6 mesi dopo la pubblicazione della sentenza.

Per quanto riguarda i motivi di ricorso l’art. 360 c.p.c dispone che le sentenze possono essere impugnate:

  • per motivi attinenti alla giurisdizione,
  • per violazione delle norme sulla competenza, quando non è prescritto il regolamento di competenza;
  • per violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro;
  • per nullità della sentenza o del procedimento;
  • per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

Inoltre può essere impugnata con ricorso per cassazione una sentenza appellabile del tribunale se le parti sono d’accordo per omettere l’appello (art. 360, c. 1, n. 3, c.p.c.), mentre non sono immediatamente impugnabili per cassazione le sentenze che decidono di questioni insorte senza definire, neppure parzialmente, il giudizio, in questo caso il ricorso può essere proposto senza necessità di riserva quando sia impugnata la sentenza che definisce, anche parzialmente il giudizio.

Il ricorso per cassazione è inammissibile (art. 360 bis c.p.c) quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa, oppure quando è manifestamente infondata la censura relativa alla violazione dei principi regolatori del giusto processo.

A pena di inammissibilità sono previsiti determinati requisiti di forma:

  • la sottoscrizione da parte di un avvocato iscritto in apposito albo e munito di procura speciale;
  • l’indicazione delle parti;
  • l’illustrazione sommaria dei fatti di causa;
  • l’indicazione della procura se conferita con atto separato e dell’eventuale decreto di ammissione al gratuito patrocinio;
  • l’indicazione degli atti processuali, dei contratti o accordi collettivi o dei documenti sui quali si fonda il ricorso;
  • i motivi del ricorso con l’indicazione delle norme di diritto su cui si fondano.

Il ricorso va depositato, a pena di improcedibilità, entro 20 giorni dall’ultima notifica fatta alle parti contro le quali è proposto.

Chi intende resistere al ricorso per cassazione può depositare controricorso e deve essere fatto entro 40 giorni dalla notificazione del ricorso, insieme agli atti e ai documenti, e con la procura speciale se conferita con atto separato.

Ambito oggettivo di applicazione

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto ingiuntivo emesso in data 03/06/2018, il Tribunale di Napoli ha ingiunto all’ASL Napoli 1 Centro di pagare in favore della (Omissis) Spa (mandataria all’incasso della Eredi Ri.Ma. Srl) la somma di Euro 12.055,55, a titolo di interessi su compensi per prestazioni sanitarie, consistenti nella fornitura di ausili ortopedici.

Con atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo del 20/12/2018, la ASL ha convenuto in giudizio la società.

Con sentenza n. 8473/2021, il Tribunale di Napoli ha revocato il decreto ingiuntivo, ritenendo carente il presupposto per riconoscere gli interessi moratori ex D.Lgs. n. 231/2002, e cioè che sia intercorsa tra le parti una transazione commerciale.

La società ha interposto gravame, che è stato respinto con sentenza del 22/05/2023 dalla Corte d’Appello di Napoli, sul rilievo che la fonte del rapporto non fosse negoziale, richiamando la giurisprudenza di legittimità in materia di rapporti di assistenza tra il Servizio nazionale e le farmacie pubbliche e private.

Avverso tale sentenza la società ha proposto ricorso per cassazione, affidato a un motivo, resistito con controricorso dall’ASL Napoli 1 Centro. Le parti hanno depositato memorie.

Questa Corte, in esito alla adunanza camerale del 17/12/2024, ha rimesso la causa alla pubblica udienza.

Il Procuratore Generale ha depositato requisitoria scritta concludendo per l’accoglimento del ricorso. Le parti hanno depositato ulteriori memorie, e all’udienza pubblica del 9 luglio 2025 la causa è stata discussa. Il Procuratore Generale ha concluso come da requisitoria scritta.

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La società ricorrente denuncia, con unico articolato motivo ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione delle disposizioni di cui al D.Lgs. n. 231/2002, nonché la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 17 n. 4 del Regio Decreto n. 2440/1923. Deduce la sussistenza del rapporto contrattuale, formalizzato per iscritto e concluso a distanza, e la natura commerciale della transazione, e di conseguenza assume dovuti gli interessi moratori ex D.Lgs. n. 231/2002. Ad avviso della ricorrente, nella specie ricorre la tipologia del contratto a distanza, disciplinato dall’art 17 R.D. 2440/1923, poiché i contratti con la P.A. sono stipulabili anche “per mezzo di corrispondenza, secondo l’uso del commercio, quando sono conclusi con ditte commerciali”. Richiama la giurisprudenza di questa Corte (Cass. S.U. n. 6827/2010 e Cass. n. 270/2015) e deduce che il caso di specie (riguardante presidi ortopedici) è simmetrico a quelli scrutinati nelle citate pronunce, poiché è stato dimostrato che per ogni attività fatturata veniva redatto un preventivo specifico per il singolo articolo protesico, con la corrispondente e successiva autorizzazione, in uno a tutti gli allegati di legge afferenti alla esecuzione delle attività oggetto del preventivo autorizzato, seguendo alla consegna del presidio ortopedico all’assistito beneficiario l’emissione della relativa fattura, quale atto finale conclusivo della articolata procedura. In dette ipotesi si realizza una deroga non alla forma scritta ad substantiam, ma alla consacrazione dell’accordo in unico atto. Rileva poi la ricorrente che non vi è alcuna negoziazione neppure in relazione all’attività svolta in favore degli assistiti del SSN, che è per definizione attività disciplinata da regole predisposte dalla P.A. per la tutela degli interessi pubblici alla stessa connessi, se non quella di scegliere se eseguire o meno la prestazione in relazione alle condizioni date, ma tali condizioni non hanno impedito alla giurisprudenza di legittimità di pervenire al logico riconoscimento della applicabilità degli interessi moratori alle prestazioni eseguite da imprenditori commerciali in favore delle ASL per l’attività sanitaria svolta in favore degli assistiti del SSN. Rimarca che l’unica attività di libera negoziazione nel settore di specie è quella di non contrarre con la P.A., ma tanto non esclude il carattere contrattuale della fonte dell’obbligazione. Infine, la ricorrente censura la sentenza impugnata in ordine alla presunta mancata statuizione da parte del legale rappresentante dell’ente, sia perché la ASL non aveva mai contestato l’intervenuta autorizzazione all’erogazione dei presidi ortopedici, provvedendo anche al pagamento della sorte capitale delle forniture, essendo tale contegno incompatibile con una diversa tesi processuale, sia perché sono proprio le modalità regolamentari citate dal giudice del secondo grado a non prevedere tale specifica formalità ai fini del perfezionamento della procedura prevista.

 

2. Secondo il Procuratore Generale, nel caso di specie può parlarsi di un contratto, e precisamente di un contratto a distanza. Rileva che la sequenza procedimentale si articola attraverso l’invio di un preventivo specifico da parte della società fornitrice, la successiva autorizzazione all’acquisto da parte dell’ASL (comunicata presumibilmente per iscritto o telematicamente), e la successiva consegna del bene con emissione di fattura. La volontà contrattuale dell’ASL si manifesta attraverso un atto formale (l’autorizzazione) in risposta alla proposta del fornitore (il preventivo), utilizzando mezzi di comunicazione a distanza, e l’avvenuto pagamento della sorte capitale da parte dell’ASL rappresenta un comportamento concludente di indubbia rilevanza giuridica.

 

3. La controricorrente eccepisce il difetto di legittimazione ad impugnare in capo alla società ricorrente, in quanto essa avrebbe agito, in questo grado di giudizio, in proprio – e non nella qualità di procuratrice speciale e mandataria all’incasso della società Eredi A.A. Srl, come nei precedenti gradi di merito: ed infatti, tanto nel ricorso per cassazione quanto nella procura conferita al difensore, non vi è menzione alcuna della qualità in cui agisce la società. Nel merito, osserva che la fornitura di protesi non ha la sua fonte in un contratto, ma trova la sua completa regolamentazione nel decreto ministeriale n. 332 del 27/08/1999, rilevando inoltre la insussistenza del potere di concludere contratti in nome e per conto dell’ASL in capo al soggetto che autorizza la fornitura, ossia il responsabile dell’unità operativa riabilitazione.

 

4. Il motivo è infondato.

 

4.1. Preliminarmente, va respinta la eccezione di inammissibilità del ricorso. La qualità nella quale ha agito la società ricorrente (procuratrice speciale e mandataria all’incasso della società Eredi A.A.) è stata spesa e precisata anche in questa sede, anche se non nella intestazione del ricorso, ma si ricava dal contesto dell’atto e dalla stessa procura conferita per impugnare la sentenza della Corte d’appello del 22/05/2023, e si riferisce, pertanto, inequivocabilmente a questo rapporto.

 

5. Nel merito, è condivisibile il rilievo della Corte d’appello sul difetto di fonte negoziale.

 

5.1. Il diritto delle strutture private accreditate e convenzionate con il Servizio sanitario nazionale ad aver corrisposti dal soggetto pubblico gli interessi di mora, nella misura prevista dal D.Lgs. n. 231 del 2002, sorge qualora, in data successiva all’8 agosto 2002, sia stato concluso, tra l’Ente pubblico competente e la struttura, un contratto avente forma scritta a pena di nullità, sussumibile nella nozione di “transazione commerciale” di cui all’art. 2, comma 1, lett. a, del citato decreto, con il quale l’Ente abbia assunto l’obbligo, nei confronti della struttura privata, di retribuire, alle condizioni e nei limiti ivi indicati, determinate prestazioni di cura da essa erogate (Cass. n. 17665/2019; Cass. n. 7019/2020).

 

5.2. Il D.Lgs. n. 231/2022, all’art. 2, stabilisce che per “transazioni commerciali” si debbano intendere i contratti, comunque denominati, tra imprese ovvero tra imprese e pubbliche amministrazioni, che comportano, in via esclusiva o prevalente, la consegna di merci o la prestazione di servizi contro il pagamento di un prezzo. Il termine “contratti” è proprio della Direttiva 2000/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 giugno 2000, che il D.Lgs. n. 231 recepisce, traducendone alla lettera l’art. 2; l’intera Direttiva è focalizzata sulla necessità di contrastare i ritardi nei pagamenti in un particolare tipo di contratti, e cioè quelli relativi alle transazioni commerciali, poiché i ritardi di pagamento rappresentano un intralcio sempre più grave per il successo del mercato unico (considerando 5).

 

5.3. La fonte negoziale del rapporto è quindi la condicio sine qua non per la applicabilità degli interessi commerciali al ritardo nel pagamento, dovuto in virtù di un rapporto obbligatorio tra le parti che possa definirsi transazione commerciale. Non tutte le obbligazioni, tuttavia, hanno la loro fonte nel contratto, posto che ai sensi dell’art. 1173 c.c. le obbligazioni derivano da contratto, da fatto illecito o da ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico.

 

6. Il tipo di prestazione di cui ci occupiamo trova la sua regolamentazione nel d.m. n. 332/1999 (emanato ai sensi dell’art. 8 – sexies, comma 7, del D.Lgs. n. 502/1992, come modificato dal D.Lgs. n. 229/1999), il quale ha dichiaratamente lo scopo di individuare le prestazioni di assistenza protesica che comportano l’erogazione dei dispositivi riportati negli elenchi nn. 1, 2 e 3 del nomenclatore di cui all’allegato 1, erogabili nell’ambito del Servizio sanitario nazionale (SSN), e di definirne le modalità di erogazione.

Nel regolamento si prevedono le seguenti fasi: a) prescrizione del presidio ortopedico da parte del medico del Servizio sanitario nazionale, b) autorizzazione alla fornitura del dispositivo protesico da parte della ASL competente previa verifica dello stato di avente diritto del richiedente (anche per silenzio assenso), c) fornitura del dispositivo al paziente da parte di un’azienda iscritta nell’apposito elenco di quelle convenzionate, d) collaudo del dispositivo da parte dell’ASL (anche per silenzio assenso), e) le tariffe e i prezzi sono fissati in sede di prima applicazione dalle Regioni e per i dispositivi protesici e gli apparecchi inclusi, rispettivamente, negli elenchi nn. 2 e 3 del nomenclatore allegato, sono determinati mediante procedure pubbliche di acquisto espletate secondo la normativa vigente.

 

6. Non può quindi parlarsi di un contratto a distanza, perché manca la manifestazione di una volontà negoziale, dal momento che la autorizzazione alla fornitura del dispositivo è – come rileva la controricorrente – una autorizzazione tecnica rilasciata dal responsabile della U.O. della Riabilitazione e non dal legale rappresentante della Azienda. Né diversamente deduce la ricorrente, la quale anzi si premura di precisare che “sono proprio le modalità regolamentari citate dal giudice del secondo grado a non prevedere tale specifica formalità ai fini del perfezionamento della procedura ivi prevista”, così inavvertitamente utilizzando un argomento contra se: una cosa è, infatti, il perfezionamento del contratto, che richiede la manifestazione di volontà da parte del soggetto a ciò abilitato, un’altra il perfezionamento di una procedura normativamente regolata.

 

6.1. L’autorizzazione è infatti rilasciata previa verifica dello stato di avente diritto del richiedente, della corrispondenza tra la prescrizione medica ed i dispositivi codificati del nomenclatore, nonché, nel caso di forniture successive alla prima, del rispetto delle modalità e dei tempi di rinnovo; essa può anche essere tacita (per mancata risposta entro 20 giorni: in caso di silenzio della Azienda, trascorso tale termine, l’autorizzazione alla prima fornitura si intende concessa).

 

6.2. Pertanto, sebbene l’art. 9 del d.m. n. 332/1999 richiami espressamente l’art. 8 – quinquies del D.Lgs. n. 502/1992, che disciplina gli accordi contrattuali con le strutture private accreditate ai sensi dell’art. 8 – quater del medesimo decreto, la sequenza procedimentale prevista dal d.m. n. 332/1999 non è quella che nella dottrina amministrativa è stata definita come il regime delle tre A (autorizzazione-accreditamento-accordo), perché, anche a non voler rilevare che i fornitori non sono propriamente accreditati, ma soltanto iscritti in un albo (per l’erogazione dei dispositivi su misura), manca in ogni caso la terza A, vale a dire l’accordo manifestato dai soggetti legittimati a disporre del diritto e a rappresentare la volontà della Azienda, nonché la forma scritta richiesta ad substantiam, essenziale per i contratti con la Pubblica Amministrazione, che non si possono stipulare per comportamento concludente (Cass. n. 12316/2015).

L’autonomia della disciplina dettata per l’assistenza protesica, rispetto a quella prevista per i soggetti operanti in regime di accreditamento, trova d’altronde conferma nella diversità della disposizione di legge che costituisce il fondamento del potere regolamentare esercitato attraverso l’emanazione del d.m. n. 332/1999 e cioè nell’art. 8 – sexies, comma 7, del D.Lgs. n. 502/1992, il quale attribuisce al Ministro della sanità, d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni, il potere di disciplinare le modalità di erogazione e di remunerazione dell’assistenza protesica, compresa nei livelli essenziali di assistenza, anche prevedendo il ricorso all’assistenza in forma indiretta.

 

6.3. E’ noto, peraltro, che la giurisprudenza di questa Corte, pur ammettendo che i contratti con la Pubblica Amministrazione possano essere stipulati anche a distanza, ha sempre richiesto che la manifestazione di volontà provenga dall’organo rappresentativo esterno dell’ente – ed è questa una regola generale che vale per tutti gli enti – ed inoltre che avvenga in forma scritta. Si è così affermato che i contratti con la Pubblica Amministrazione devono essere redatti, a pena di nullità, in forma scritta e – salva la deroga prevista dall’art. 17 del R.D. 18 novembre 1923, n. 2440 per i contratti con le ditte commerciali, che possono essere conclusi a distanza, a mezzo di corrispondenza “secondo l’uso del commercio” – con la sottoscrizione, ad opera dell’organo rappresentativo esterno dell’ente, in quanto munito dei poteri necessari per vincolare l’Amministrazione (Cass. n. 6555/2014).

 

6.4. Nel caso che ci occupa, vi è una sequenza procedimentale regolata direttamente dalla fonte normativa (secondaria). Lo scambio di corrispondenza tra le parti (invio del preventivo e autorizzazione alla fornitura), quando avviene, poiché come sopra si è detto l’autorizzazione può anche essere tacita, è meramente attuativo di detta disciplina e comunque non esaurisce la sequenza procedimentale e non la perfeziona, perché è necessario che intervengano la consegna, il rilascio di ricevuta da parte dell’assistito e il collaudo, affinché sorga il diritto al pagamento.

 

7. Ciò rende evidente che ci troviamo di fronte ad una fattispecie a formazione progressiva, in virtù della quale si costituisce un rapporto obbligatorio tra le parti; il rapporto si costituisce non in ragione della manifestazione di volontà, ma in quanto le parti compiono tutti gli atti della sequenza procedimentale, ai quali la normativa (secondaria) riconnette l’effetto di far sorgere la obbligazione. Si tratta quindi della ipotesi residuale prevista dall’art. 1173 c.c., e cioè del rapporto obbligatorio che sorge non in virtù di contratto ma “per ogni altro atto o fatto idoneo a produrle (le obbligazioni n.d.r.) in conformità all’ordinamento giuridico”.

 

8. Parte ricorrente, al fine di superare il rilievo che l’autorizzazione alla fornitura non è data dal legale rappresentante dell’ente, osserva che l’ASL non ha mai contestato che detta autorizzazione sia stata data, ha regolarmente pagato le fatture e che non è richiesto dalla normativa in questione che l’autorizzazione venga data dal legale rappresentante. Si tratta di argomenti deboli, perché, a parte quanto sopra rilevato, la non contestazione e il pagamento delle fatture non valgono a perfezionare un rapporto negoziale quando è richiesta la forma scritta ad substantiam.

Inoltre, non si discute qui della sussistenza del debito per la sorte capitale, ma dell’individuazione della sua fonte, se negoziale o meno. La ASL è comunque tenuta al pagamento del debito per sorte capitale, quale che sia la fonte dell’obbligazione, ed è inoltre tenuta al pagamento agli interessi per il ritardo nella prestazione; la misura degli interessi dipende dalla fonte del rapporto obbligatorio, potendosi pretendere gli interessi commerciali solo se la fonte è negoziale e integra una “transazione commerciale”, termine invero ampio ma i cui confini sono comunque circoscritti dal necessario requisito, richiesto dall’art. 2 lett. a) del D.Lgs. n. 231/2002, in conformità alla Direttiva UE, che si tratti di “contratti”.

 

9. Resta da ribadire, come già questa Corte ha esplicitato nella ordinanza interlocutoria, la peculiarità della fattispecie in esame, non riconducibile all’ipotesi scrutinata dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 35092/2023, non concernente il servizio di fornitura di protesi, presidi e dispositivi medici, ma le prestazioni sanitarie delle strutture private accreditate col SSN, erogate agli assistiti in base ad un contratto successivo all’accreditamento, concluso in forma scritta con la Pubblica Amministrazione dopo l’8 agosto 2002. In quella sentenza, le Sezioni Unite hanno delineato innanzitutto l’ambito oggettivo della operatività del D.Lgs. n. 231/2002, mediante la precisazione che il rapporto tra le parti deve trarre origine da una “transazione commerciale”, che il D.Lgs. stesso definisce all’art. 2, primo comma, lett. a) con nozione ampia, atta ad identificare qualsiasi operazione contrattuale, comunque denominata, tra imprese ovvero tra imprese e Pubbliche Amministrazioni, che comporti, in via esclusiva o prevalente, la consegna di merci o la prestazione di servizi, contro il pagamento di un prezzo, ovvero lo scambio di prestazioni di beni o di servizi remunerato mediante il pagamento di un corrispettivo in denaro. Le Sezioni Unite hanno poi rilevato che l’accreditamento non è la fonte diretta del rapporto contrattuale, ma è condizione di legittimità degli accordi successivamente stipulati tra le parti, i quali hanno le caratteristiche del contratto a favore di terzi, ad esecuzione continuata e a prestazioni corrispettive. Dal che si trae la considerazione che, ove manchi l’accordo delle parti, inteso come una espressione di volontà comune su tutti gli elementi sia principali che secondari e accessori del contratto, nonché la forma scritta, non possono riconoscersi i c.d. interessi commerciali previsti dal D.Lgs. n. 231/2002. E ciò senza necessità di equiparare la posizione dei fornitori di ausili medici a quella dei farmacisti, per i quali è stata invece ritenuta prevalente la funzione pubblicistica sulla struttura di società commerciale (Cass. S.U. n. 26496/2020), perché non si tratta qui di verificare se il fornitore abbia o meno la qualifica di imprenditore, ma – a monte – di prendere atto della fonte non negoziale del rapporto.

 

10. Ed è in questi termini che il Collegio intende dare seguito all’orientamento delle Sezioni Unite del 2023, laddove si afferma che “per le strutture accreditate, dunque, gli accordi contrattuali sono l’ultimo e decisivo passaggio per dar vita al rapporto tra le parti e all’attività di assistenza svolta appunto dalle strutture accreditate. E, in tale contesto, anche i pagamenti vengono eseguiti sulla base di tali contratti”. Poiché gli accordi contrattuali sono “l’ultimo e decisivo passaggio”, deve rimarcarsi la differenza con il caso di specie, ove il sorgere del rapporto obbligatorio, comunque vincolante per le parti, è invece l’effetto del perfezionamento della sequenza procedimentale, e non perché abbia rilievo il comportamento concludente, bensì perché la norma (secondaria) riconnette tale effetto al compimento degli atti da essa indicati.

 

11. In sintesi, deve dirsi che non possono riconoscersi gli interessi moratori ex D.Lgs. n. 231/2002 per le prestazioni consistenti in fornitura di ausili ortopedici, poiché manca la fonte negoziale del rapporto obbligatorio, che in questo caso si costituisce non per manifestazione di volontà delle parti, ma per effetto del perfezionamento di una sequenza procedimentale, secondo quanto previsto e disciplinato dal d.m. n. 332/1999 emanato ai sensi dell’art. 8 – sexies, comma 7, del D.Lgs. n. 502/1992, come modificato dal D.Lgs. n. 229/1999.

Resta assorbita, pertanto, la questione della differenza di tipologia dei dispositivi come prevista dall’art. 3 del d.m. 332/1999 (su misura o in serie, inclusi negli elenchi 2 e 3 del nomenclatore di cui all’allegato 1, in ragione della necessità, quanto ai secondi, della stipulazione di contratti con i fornitori aggiudicatari delle procedure pubbliche di acquisto) prospettata nella ordinanza interlocutoria.

Ne consegue il rigetto del ricorso.

In ragione della parziale novità della questione, le spese del giudizio di legittimità si compensano tra le parti.

 

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Compensa interamente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1 – bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.

 

Conclusione

Così deciso in Roma, il 9 luglio 2025.

 

Depositata in Cancelleria il 30 settembre 2025.

Allegati

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