Massima

Nonostante l’erronea motivazione del provvedimento impugnato, la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso della madre contro il decreto che affidava la figlia minore in via “superesclusiva” al padre. La Corte ha riconosciuto che la madre, sebbene sospesa dalla responsabilità genitoriale in via provvisoria, conserva la legittimazione ad agire in giudizio. Tuttavia, la Corte ha ritenuto che la misura cautelare applicata alla madre, a seguito della condotta di reato a lei attribuita, imponga ulteriori accertamenti sulla sua capacità genitoriale, al fine di tutelare il miglior interesse della minore. La madre potrà quindi contestare il provvedimento di affidamento in futuri ricorsi, alla luce dell’evoluzione della sua situazione.

Supporto alla lettura

AFFIDAMENTO

Il termine affidamento è un sintagma giuridico, attinente alle persone ovvero ai rapporti giuridici.

Nel diritto di famiglia, può assumere due significati diversi ed autonomi, attinenti in ogni caso alla persona del figlio.

L’affidamento familiare è un provvedimento temporaneo che assegna la custodia di bambini e ragazzi fino ai diciotto anni, di nazionalità italiana o straniera, che si trovano in situazione di instabilità familiare, a persone diverse dalla famiglia di origine.

L’affidamento dei figli nei casi di separazione personale, divorzio, originaria assenza di matrimonio o di non coabitazione dei coniugi, consiste in un provvedimento rivolto a regolare l’esercizio della responsabilità genitoriale. Sono previste diverse tipologie:

  • affidamento condiviso: istituto giuridico presente in diversi ordinamenti nazionali che regola l’affidamento dei figli e l’esercizio della responsabilità genitoriale in caso di cessazione della convivenza dei genitori (ad esempio in caso di separazione o divorzio),
  • affidamento congiunto: istituto che previsto nell’ordinamento italiano prima della Riforma dell’Affidamento Condiviso del 2006.
    Il figlio, in caso di separazione o divorzio dei coniugi, viene affidato ad entrambi i genitori, ai quali viene richiesto di cooperare nella gestione dei minorenni, condividendo la responsabilità genitoriale.
    Si contrapponeva all’affidamento esclusivo.
    L’introduzione dell’affidamento condiviso ha superato la normativa precedentedell’affidamento congiunto.
    Prima della Riforma, l’istituto dell’affidamento congiunto anche se non era previsto dalla normativa vigente in materia di separazione personale, era ammesso espressamente dall’articolo 6 della Legge sul Divorzio (L.01/12/1970 n.898) e la giurisprudenza di legittimità in passato si era espressa ammettendo l’applicazione analogica dello stesso articolo anche alle ipotesi di separazione personale (Cass. Civ. 28/02.2000/n.2210 e Cass. Civ.13/12/ n. 127775),
  • affidamento esclusivo: meccanismo con il quale i figli sono affidati a uno dei due genitori, che resta titolare della patria potestà, definita dal legislatore all’articolo 316 del codice civile responsabilità genitoriale. L’affidamento esclusivoviene di solito ritenuto non conveniente per i bambini, a meno che non sussistano ragioni valide per preferirlo all’affidamento condiviso. La legge in vigore in Italia considera come soluzione normalel’affidamento condiviso. Nonostante la vigente normativa , il Tribunale può adottare l’affidamento esclusivo a uno dei genitori se dovesse corrispondere agli interessi del minorenne.

Ambito oggettivo di applicazione

RILEVATO CHE
Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, decidendo sul ricorso proposto da (omissis), in data 16.9.22, ha disposto: l’affidamento superesclusivo della minore (omissis), nata il (omissis) dalla sua relazione con (omissis), al padre; tale decisione era stata adottata a seguito dell’aggressione perpetrata dalla ricorrente ai danni dello (omissis) e della compagna, culminata nell’accoltellamento dello stesso padre della minore; la sospensione della ricorrente dall’esercizio del diritto di visita, in ragione dell’applicazione nei confronti dell'(omissis) della misura cautelare della custodia in carcere, con conseguente possibilità per la medesima ricorrente di effettuare videochiamate alla figlia in modalità assistita, con l’ausilio dei Servizi sociali; che il contributo dovuto dall’istante per il mantenimento della figlia fosse determinato nella somma di Euro 1000,00 mensile, oltre al contributo per le spese straordinarie per il 30%.

Con decreto del 3.4.23 la Corte d’appello di Napoli ha rigettato il reclamo proposto dalla (omissis), osservando che: con precedente decreto del 27.10.22, il Tribunale per i minorenni di Napoli aveva disposto, in via provvisoria, la sospensione dell'(omissis) e dello (omissis) dalla responsabilità genitoriale sulla figlia, nominando un curatore speciale, e l’avvio della coppia al percorso di verifica e rafforzamento delle competenze del ruolo; con successivo provvedimento del 13.12.22, il Tribunale minorile, preso atto della pronuncia reclamata, reintegrava lo (omissis) nella responsabilità genitoriale sulla figlia, disponendo il collocamento di quest’ultima presso l’abitazione paterna; in ragione della sospensione dalla responsabilità genitoriale sulla minore, l'(omissis) non era legittimata a richiedere la modifica del provvedimento impugnato, ma solo quando fosse stata reintegrata nella funzione.

(omissis) ricorre in cassazione con unico motivo. (omissis) resiste con controricorso, illustrato da memoria.

Le parti intimate non hanno svolto difese.

RITENUTO CHE
L’unico motivo critica il decreto impugnato in quanto la Corte d’appello di Napoli non ha rilevato che il Tribunale per i minorenni, chiamato a decidere successivamente al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, preso atto della pendenza del reclamo innanzi alla Corte d’appello, avrebbe dovuto dichiararsi incompetente, richiamando al riguardo la norma di cui all’art. 38 disp. att. c.c.La ricorrente assume altresì che il decreto impugnato sia illegittimo perché non tiene conto della circostanza che il provvedimento al quale la Corte d’appello ha fatto riferimento, ritenendolo legittimante il rigetto del reclamo, non le è stato notificato, sicché tale decreto è stato adottato nell’erroneo convincimento che il provvedimento richiamato fosse divenuto definitivo.

Anzitutto, va osservato che è contestata la competenza del Tribunale dei minori in quanto previamente promossa dalla ricorrente, innanzi al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, un’azione diretta a regolare i rapporti economici e personali tra genitori e figli.

L’art. 38, comma 1, disp. att. c.c. (come modificato dall’art. 3, comma 1, della l. n. 219 del 2012, applicabile ai giudizi instaurati a decorrere dall’1 gennaio 2013), si interpreta nel senso che, per i procedimenti di cui agli artt. 330 e 333 c.p.c., la competenza è attribuita in via generale al Tribunale dei minorenni, ma, quando sia pendente un giudizio di separazione, di divorzio o ex art. 316 c.c., e fino alla sua definitiva conclusione, in deroga a questa attribuzione, le azioni dirette ad ottenere provvedimenti limitativi o ablativi della responsabilità genitoriale, proposte successivamente e richieste con unico atto introduttivo dalle parti (così determinandosi un’ipotesi di connessione oggettiva e soggettiva), spettano al giudice del conflitto familiare, individuabile nel Tribunale ordinario, se sia ancora in corso il giudizio di primo grado, ovvero nella Corte d’appello in composizione ordinaria, se penda il termine per l’impugnazione o sia stato interposto appello (Cass., n. 3490/21).

Nella specie, dal provvedimento impugnato non si evince che l’eccezione d’incompetenza sia stata sollevata innanzi al Tribunale dei minori, per cui il giudizio si è legittimamente svolto innanzi al Tribunale ordinario, ai sensi degli artt. 330, 333, c.p.c.

Premesso ciò, la doglianza fondata sull’asserita non definitività del provvedimento sul cui presupposto è stato emesso il decreto impugnato è inammissibile, sebbene la motivazione sia da modificare. Invero, la Corte d’appello ha affermato che “l'(omissis) è stata sospesa, seppur in via temporanea e dopo l’emissione del decreto reclamato, dalla responsabilità genitoriale sulla piccola Sofia, non è legittimata a richiedere, allo stato, la modifica dell’impugnato provvedimento, ma solo qualora, all’esito del procedimento minorile, sia reintegrata nella funzione”.

Al riguardo, va premesso che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, nei giudizi aventi ad oggetto la limitazione o ablazione della responsabilità genitoriale, il genitore è litisconsorte necessario, munito del pieno potere di agire, contraddire e impugnare le decisioni che producano effetti provvisori o definitivi sulla titolarità o sull’esercizio della detta responsabilità (Cass., n. 4099/18; n. 23633/16; n. 6051/12).

4. In particolare, la Corte ha affermato che il giudizio sulla responsabilità genitoriale non può che svolgersi con i genitori o il genitore superstite, nella qualità di parte in quanto titolare ex lege, in virtù dello status filiationis, del complesso di diritti e doveri di cui essa si compone; d’altra parte, il provvedimento di primo grado, ancorché provvisoriamente esecutivo, è privo di definitività se tempestivamente impugnato e, conseguentemente, è del tutto inidoneo a far perdere al genitore la titolarità della legittimazione ad agire nel giudizio in cui si mette in discussione il proprio esclusivo diritto-dovere di conservare la titolarità e di esercitare la responsabilità genitoriale sul figlio non ancora maggiorenne (Cass. n. 4099/18).

Nella specie, dagli atti non emerge se il provvedimento emesso dal Tribunale per i minorenni in data 27.10.2022, che sospendeva la ricorrente dalla responsabilità genitoriale, richiamato nel decreto impugnato, sia stato comunicato alla stessa ricorrente; la denunciata omissione non è stata peraltro contestata dal controricorrente.

Pertanto, è da ritenere, in virtù del richiamato orientamento di questa Corte, che il provvedimento impugnato sia erroneo nella parte nella quale è stato ritenuto che la ricorrente fosse priva della legittimazione ad impugnare il provvedimento di affidamento “superesclusivo” della minore al padre e di sospensione del diritto di visita, atteso che non risulta, allo stato, caducato lo status di genitore. In tale ambito, va sicuramente emendata l’erronea motivazione del provvedimento in questa sede impugnato. Ciò che però non ne comporta certo l’accoglimento, come richiesto, in ragione della fluida situazione sulla quale si è basata la decisione giudiziale, liquidata erroneamente come difetto di legittimazione della genitrice a far valere il proprio progetto (o come ora si dice, il proprio piano) di responsabilità genitoriale.

Il ricorso, infatti, da un lato non esplicita tale progetto rispetto all’assetto dal dato dal giudice, e dall’altro non tiene conto del mutamento dello stato delle persone a cominciare dalla detenzione materna in fase cautelare (e non di espiazione pena).

Tale provvedimento è stato fondato sull’applicazione della misura cautelare penale degli arresti domiciliari nei confronti della ricorrente in ordine al delitto ascrittole in danno del padre della figlia.

Al riguardo, va anzitutto osservato che – come suggerito da antica e autorevole dottrina – la c.d. correzione della motivazione non si concreta tanto nella riconduzione a una norma, piuttosto che a un’altra, della soluzione giuridica del caso, quanto piuttosto nel fondare la decisione su un fatto diverso da quello assunto come decisivo dal giudice di merito, che però porta alle medesime conseguenze, donde il rigetto del ricorso per cassazione (Cass., n. 41008/21).

Orbene, il provvedimento impugnato, come detto, è diretta conseguenza della condotta di reato attribuita alla ricorrente, con conseguente applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari nella fase delle indagini preliminari, ciche costituisce atto non definitivo, revocabile e modificabile in ogni tempo, nell’ambito del procedimento penale; nel contempo, esso concretizza, di per sé, allo stato, un fatto che rende opportuni ulteriori accertamenti sulla capacità genitoriale della ricorrente, in vista del miglior interesse della minore, quantunque nella fattispecie venga in rilievo il solo diritto di visita (considerando altresì l’affermato e perdurante diritto alla video-chiamata della minore), dato che la ricorrente era stata già sospesa dalla responsabilità genitoriale con il predetto decreto del Tribunale per i minorenni in data 27.10.2022.

Ne consegue che il provvedimento impugnato, in quanto emesso rebus sic stantibus, fa salvo necessariamente il diritto della ricorrente di contestare (in quali termini, non è però detto) il “superaffido” della figlia al padre in successivi ricorsi, che non può essere travolto o limitato dalla suddetta vicenda penalistica che, di per sé, non ha comportato, allo stato, nessuna ulteriore conseguenza sullo status genitoriale.

In particolare, non si tratta tanto di invocare l’intrinseco disvalore della misura cautelare penale, in quanto fondata su gravi indizi di colpevolezza, in attesa della sentenza definitiva nel giudizio pendente, ma di effettuare ulteriori e perspicui accertamenti della personalità della ricorrente, alla luce della condotta aggressiva perpetrata, in ordine allo scrutinio finale relativo all’idoneità della sua capacità genitoriale, nell’ottica della realizzazione del miglior interesse della minore.

In altri termini, l’evoluzione della situazione connessa al procedimento penale implica la salvezza di ogni ragione della ricorrente circa la contestazione del predetto decreto di “superaffido” che, giova rilevarlo, è finalizzata comunque a evidenziare questioni che trovano la loro esclusiva fonte nel miglior interesse della minore.

Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida nella somma di Euro 2.200,00 di cui 200,00 per esborsi, oltre alla maggiorazione del 15% per rimborso forfettario delle spese generali, iva ed accessori di legge.Così deciso nella camera di consiglio del 15 novembre 2023.

Depositata in Cancelleria il 30 maggio 2024.

Allegati

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