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Cassazione civile sez. I, 29/08/2024, n.23320

Massima

In tema di dichiarazione di adottabilità di minori, la dichiarazione dello stato di abbandono morale e materiale richiede un accertamento in concreto e nell’attualità dei suoi presupposti, all’esito di un attento monitoraggio delle figure genitoriali e dei parenti entro il quarto grado disponibili ad accudire il bambino, al fine di stabilire se il best interest del minore sia quello di crescere nella famiglia di origine o altrove, valutando, poi, ove i genitori risultino inidonei, le capacità vicarianti dei menzionati familiari, anche con l’ausilio di interventi di supporto, ovvero la possibilità di procedere a un’adozione mite, eventualità queste ultime in grado di impedire la dichiarazione di adottabilità, e, comunque, verificando la presenza delle condizioni per mantenere, sempre nell’interesse del minore, incontri tra il medesimo e detti familiari, pur a seguito della dichiarazione di adottabilità.

Supporto alla lettura

ADOZIONE

L’ adozione è il rapporto di filiazione giuridica costituito fra soggetti non legati da filiazione di sangue.

La Legge n. 184 del 1983, riformata dalla Legge n. 149/2001, disciplina l’ istituto giuridico dell’ adozione, ponendo in primo piano l’interesse del minore abbandonato e il suo diritto ad avere una famiglia.

Sono previste le seguenti tipologie di adozione:

  • ADOZIONE NAZIONALE: l’adozione di un bambino in stato di abbandono sul territorio italiano.
  • ADOZIONE INTERNAZIONALE:A l’adozione di un bambino in stato di abbandono che si trova all’estero, in paesi con cui sono in vigore trattati internazionali o bilaterali con l’Italia e in cui operano associazioni autorizzate e certificate che fanno da tramite tra la coppia e le istituzioni del paese stesso (Enti Autorizzati).
  • ADOZIONE DI MAGGIORENNE: riguarda persone maggiori di età (e quindi giuridicamente autonome) che entrano a far parte degli interessi prevalentemente patrimoniali anche della famiglia dell’adottante;
  • ADOZIONE IN CASI PARTICOLARI:  tutela il rapporto che si crea nel momento in cui il minore viene inserito in un nucleo familiare con cui in precedenza ha già sviluppato legami affettivi, o i minori che si trovino in particolari situazioni di disagio (art. 44 lettere a, b, c e d della legge 184/83). Le ipotesi in cui si può far ricorso a questo tipo di istituto sono tassativamente previste dalla legge e di norma, tranne alcune eccezioni, l’adottato antepone al proprio il cognome dell’adottante. Presupposto fondamentale è che i genitori dell’adottando prestino il proprio assenso, qualora siano in condizioni tali da fornirlo.

I requisiti essenziali al fine di dar luogo all’ adozione sono:

  • la dichiarazione dello stato di abbandono di un minore
  • l’idoneità dei coniugi ad adottare.

Competente a emettere entrambi i provvedimenti è il tribunale per i minorenni nel cui distretto si trova il bambino abbandonato.

L’adozione vera e propria è preceduta dall’affidamento preadottivo e, una volta intervenuta, spezza ogni vincolo di parentela fra il minore e i suoi familiari naturali, conferendo al bambino lo stato di figlio legittimo degli adottanti.

L’art.6 della Legge n. 184/83 stabilisce che l’adozione è consentita a coniugi uniti in matrimonio da almeno tre anni, o per un numero inferiore di anni se i coniugi abbiano convissuto in modo stabile e continuativo prima del matrimonio per un periodo di tre anni, e ciò sia accertato dal Tribunale per i minorenni.
Tra i coniugi non deve sussistere e non deve avere avuto luogo negli ultimi tre anni separazione personale neppure di fatto. L‘età degli adottanti deve superare di almeno diciotto e di non più di quarantacinque anni l’età dell’adottando, con la possibilità di deroga in caso di danno grave per il minore.
Non è preclusa l’adozione quando il limite massimo di età degli adottanti sia superato da uno solo di essi in misura non superiore a dieci anni.

Decorso un anno dall’affidamento, con possibilità di proroga di un anno, il tribunale, se ricorrono tutte le condizioni, pronuncia l’adozione, con la quale  cessano i rapporti dell’adottato con la famiglia di origine e l’adottato acquista lo stato di figlio legittimo degli adottanti ed il loro cognome.

N.B. La legge 184 del 1983 afferma che “il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia”, e che devono essere “disposti interventi di sostegno e aiuto” per favorire tale diritto. A tal proposito, la cd. adozione mite  mira a preservare il diritto del minore a mantenere un rapporto con la famiglia di origine ( difatti il minore, pur affidato legalmente ad altre persone, conserva il rapporto con i propri genitori e fratelli/sorelle biologici) ed è un istituto riconducibile all’art 44 lett. d) della Legge 184/1983, applicabile nei casi di semiabbandono, o abbandono ciclico o semipermanente.

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Co.Ba., nonna materna del minore Ta.Ke., ha proposto appello contro la sentenza del Tribunale per i minorenni di Milano che aveva dichiarato lo stato di adottabilità del minore, seguita dall’appello incidentale della figlia, Sa.Am. Il padre del minore, Ta.Wa., e il curatore speciale hanno, invece, chiesto la conferma della pronuncia di primo grado.

Espletata CTU, al fine di valutare, tra l’altro, le competenze genitoriali della madre e della nonna materna del minore, esaminate le risultanze dell’istruttoria espletata e delle audizioni effettuate, richiamate le relazioni dei servizi coinvolti e i relativi aggiornamenti, la Corte territoriale ha respinto il gravame.

In particolare – accertata l’inadeguatezza dei genitori ad occuparsi del minore, dato il perdurante stato di tossicodipendenza di entrambi, dal quale non hanno mostrato potersi discostare, in una con la sottoposizione nel tempo a misure cautelari personali per reati – la Corte ha escluso che la nonna materna potesse svolgere una funzione vicariante ed anche che la scelta di un’adozione “mite” potesse tutelare l’interesse del minore.

La Corte di merito ha dato rilievo alla relazione dei servizi sociali dell’11/11/2021, dalla quale emergeva: l’esistenza di diverse criticità da parte della Co. nell’assolvere al proprio ruolo genitoriale con le due figlie Am., madre di Ke., e Fr.; l’incapacità della Co. di cogliere aspetti emotivi ed emancipativi della figlia, comportamento che riproduceva con Ke.; l’assunzione da parte della Co. di un atteggiamento difensivo e assolutorio nei confronti di Am.; la dimostrazione di toni litigiosi e inopportuni della Co. durante le visite in spazio neutro con Ke.; la generale difficoltà di tutti i parenti nel sintonizzarsi con i bisogni del minore; l’incertezza dell’assetto familiare della Co., per tale motivo non rispondente ai bisogni di crescita e di sicurezza del minore. Dalla relazione dei servizi del 20/04/2021, inoltre, emergeva un grave episodio, sintomo della condotta minimizzante della nonna materna della condizione psico – emotiva del minore, la quale aveva fatto incontrare il bambino con la madre durante la vigenza del regime divieto di incontri (la nonna riceveva una telefonata e dava precise indicazioni su dove si trovava e una ragazza con il cappuccio e un cane si avvicinava alla recinzione), in relazione al quale la Co. aveva dimostrato di non cogliere la gravità della propria condotta, assumendo un atteggiamento aggressivo e difensivo verso gli operatori.

Inoltre, la Corte d’appello ha ritenuto decisive le osservazioni contenute nella CTU, che aveva evidenziato come quest’ultima non potesse assumere un ruolo vicariante indipendente, dal momento che era, per un verso, implicata nel conflitto genitoriale con la figlia Am. e, per altro verso, tesa a minimizzare circostanze importanti, quali l’uso di sostanze stupefacenti da parte della figlia, anche durante la gravidanza, sorvolando sulle conseguenze di tali comportamenti e sui danni alla salute del minore.

La menzionata Corte ha, quindi, ritenuto di non poter accogliere la richiesta di affido del minore alla Co., ritenuta non sorretta da ragioni adeguate, ma dalla mera volontà di tenere il bambino in famiglia per il legame di sangue, richiamando le risultanze peritali dalle quali era emerso che la donna era molto concentrata su sé stessa e faticava a mettersi in relazione con il bambino, così escludendo la percorribilità di una “adozione mite”, che avrebbe finito per disorganizzare Ke. e la sua necessità di avere riferimenti stabili e continuativi.

Ha aggiunto che tali conclusioni erano supportate dalle relazioni dei Servizi Sociali e, in particolari, da quella del 17/07/2020 dalla quale emergeva la non empatizzazione da parte della nonna materna per il vissuto del piccolo Ke.

Avverso la pronuncia della Corte d’appello, la nonna materna del minore ha proposto ricorso per cassazione, affidato a un motivo di impugnazione.

Solo il curatore speciale del minore si è difeso con controricorso.

La ricorrente ha depositato memoria difensiva in cui ha richiamato gli argomenti spesi nel ricorso per cassazione.

Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso è dedotta la violazione dell’art. 7 l. n. 184 del 1983, in ordine alla ritenuta sussistenza dei presupposti per la dichiarazione di adottabilità del minore Ke.

La ricorrente ha evidenziato che la dichiarazione di adottabilità costituisce una extrema ratio, poiché il diritto del minore a crescere all’interno della propria famiglia d’origine va sacrificato soltanto in presenza di una situazione che denota carenze significative, e non semplicemente un’inadeguatezza superabile dei genitori e dei familiari, che sia tale da pregiudicare in modo grave e non transeunte lo sviluppo psico-fisico del minore, tenuto conto dei tempi e dei meccanismi evolutivi della personalità minorile. Negli altri casi è necessario optare per il ricorso a forme di sostegno della famiglia e dell’affidamento familiare, ovvero, considerare l’ipotesi dell’adozione mite o, comunque, il mantenimento di rapporti aperti con i genitori o familiari.

Secondo la ricorrente, nella specie, occorreva tenere conto che il minore non si era mai trovato in una condizione di abbandono, né morale, né materiale ed era sempre stato circondato dall’amore e dall’affetto della famiglia d’origine sin dai primi giorni di vita. I nonni, sia materni che paterni, a turno, si erano recati in visita ogni sera, presso il reparto TIN dell’Ospedale Manzoni di Lecco, preoccupati della salute del piccolo e volenterosi di fargli sentire il proprio affetto, quantomeno sino al momento in cui non è intervenuto il Tribunale per i minorenni, che aveva limitato l’accesso dei parenti al nosocomio. Parimenti, la decisione di interrompere gli incontri del minore con i genitori e i familiari era stata unicamente dettata dall’intervento della sentenza di primo grado dichiarativa dell’adottabilità. A nulla valevano, poi, le asserzioni sia della Corte d’appello che della CTU, che affermavano l’incapacità della nonna materna di comprendere il vissuto di Ke. o di avere un rapporto sano con lo stesso, poiché il consulente del giudice non aveva mai avuto alcun incontro con la ricorrente e con Ke. contemporaneamente, pertanto, le sue valutazioni si fondavano unicamente su quanto già relazionato dai servizi sociali in primo grado e quanto appreso in tre incontri di un’ora con la sola Co., che aveva dimostrato sin da subito la volontà di partecipare attivamente alla vita del minore, giungendo fino a chiederne l’affido del bambino. La stessa si era resa disponibile a seguire un percorso psicologico ed a collaborare coi servizi, seppur talvolta non comprendendone appieno le ragioni e, anzi, percependo di non venir tutelata abbastanza.

La ricorrente ha aggiunto che la metodologia degli incontri, soprattutto quelli iniziali (peraltro, interrottisi a causa del Covid, quando il bambino aveva circa 8 mesi) in cui erano presenti più familiari contemporaneamente, ha di fatto contrastato, più che agevolato l’instaurazione, di un rapporto affettivo fra Ke. e la propria famiglia ma, nonostante ciò, la signora Co. non si era mai arresa, essendo desiderosa di fornire tutto il proprio affetto al nipote e di farlo crescere nell’amore della propria famiglia d’origine.

2. Il motivo di ricorso è fondato, sia pure nei termini di seguito evidenziati.

2.1. Com’è noto, la dichiarazione dello stato di adottabilità di un minore è consentita solo in presenza di fatti gravi, indicativi, in modo certo, dello stato di abbandono, morale e materiale, che devono essere specificamente dimostrati in concreto e nell’attualità, senza possibilità di dare ingresso a giudizi sommari di incapacità genitoriale, seppure espressi da esperti della materia, non basati su precisi elementi fattuali idonei a dimostrare un reale pregiudizio per il figlio e di cui il giudice di merito deve dare conto (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 7391 del 14/04/2016).

Come ribadito dalle Sezioni Unite di questa Corte, infatti, la dichiarazione di adottabilità è una misura estrema, che si fonda sull’accertamento dell’irreversibile non recuperabilità della capacità di assistenza morale e materiale, in presenza di fatti gravi, indicativi in modo certo dello stato di abbandono, morale e materiale, a norma dell’art. 8 l. n. 183 del 1984, che devono essere dimostrati in concreto, senza dare ingresso a giudizi sommari di incapacità non basati su precisi elementi di fatto (Cass., Sez. U, Sentenza n. 35110 del 17/11/2021).

L’accertamento va compiuto tenendo conto dei genitori e dei familiari entro il quarto grado, che si sono dichiarati disposti ad accudire il minore. L’irreversibile non recuperabilità della capacità genitoriale deve essere, infatti, effettuata, tenendo conto che il legislatore, all’art. 1 l. n. 184 del 1983, ha stabilito il prioritario diritto del minore di rimanere nel nucleo familiare, anche allargato, di origine, quale tessuto connettivo della sua identità. La natura non assoluta, ma bilanciabile, di tale diritto impone un esame approfondito, completo e attuale delle condizioni di criticità non solo dei genitori, ma anche dei familiari entro il quarto grado disponibili a prendersi cura del minore, da effettuarsi sempre nell’attualità e in concreto, considerando le loro capacità di recupero e cambiamento, ove sostenute da interventi di supporto adeguati anche al contesto socioculturale di riferimento (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 24717 del 14/09/2021; cfr. Cass., Sez. 1, Sentenza n. 3915 del 16/02/2018).

In particolare, ove i genitori siano considerati privi della capacità genitoriale, la natura personalissima dei diritti coinvolti e il principio secondo cui l’adozione ultrafamiliare costituisce l’extrema ratio impongono di valutare anche le figure vicariali dei parenti più stretti, tra i quali non possono non essere considerati i nonni, se hanno rapporti significativi con il bambino e si sono resi disponibili alla cura e all’educazione del minore (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 4746 del 14/02/2022).

In tale ottica, questa Corte ha specificato che l’indagine sulla condizione di abbandono morale e materiale del minore sia completa e non trascuri alcun rilevante profilo inerente i diritti del minore, verificando, in particolare, se l’interesse di quest’ultimo a non recidere il legame con la famiglia di origine debba prevalere o recedere rispetto al quadro deficitario delle capacità dei genitori o dei parenti in grado di assisterlo, che potrebbe essere integrato, almeno in via temporanea, da un regime di affidamento extrafamiliare potenzialmente reversibile o sostituibile da un’adozione “mite” ex art. 44 l. n. 184 del 1983 (cfr. Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 3643 del 13/02/2020Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 1476 del 25/01/2021; Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 20322 del 23/06/2022; Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 21024 del 01/07/2022).

Occorre, inoltre, considerare che la Corte costituzionale, in una recente sentenza (Corte cost., Sentenza n. 183 del 28/09/2023), ha dichiarato infondata la questione di costituzionalità dell’art. 27, comma 3, l. n. 184 del 1983, sollevata da questa Corte di legittimità (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 230 del 05/01/2023), proprio con riferimento alla parte in cui è stabilito che il minore adottato non può mantenere legami con la famiglia di origine, operando, tuttavia, una lettura costituzionalmente orientata della norma richiamata.

Dopo aver ricostruito l’istituto dell’adozione e la sua ratio, nel chiarire l’infondatezza delle questioni, la menzionata Corte ha fornito un’interpretazione adeguatrice dell’articolo 27, comma 3, l. n. 184 del 1983, rispetto al perseguimento in concreto del superiore interesse del minore, affermando che la perdita dei legami di sangue non implica necessariamente quella dei legami sociali e di fatto.

La Corte costituzionale ha valutato la legittimità costituzionale della norma censurata in riferimento agli artt. 2,30 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 8 CEDU e agli artt. 3, 20, comma 3, e 21 della Convenzione sui diritti del fanciullo, informati alla tutela del prioritario interesse del minore e alla difesa della sua identità personale. Operando un’interpretazione conforme a Costituzione dell’art. 27, comma 3, l. n. 184 del 1983, il Giudice delle leggi ha ritenuto che tale norma, anche nel caso in cui debba procedersi all’adozione piena, non esclude la possibilità per il giudice di ravvisare un preminente interesse del minore a mantenere talune positive relazioni socio – affettive con componenti della famiglia di origine.

Secondo la Corte costituzionale, infatti, la cessazione dei rapporti con la famiglia biologica, prevista dalla norma in esame, attiene al solo piano delle relazioni giuridico-formali. Quanto, invece, alla interruzione dei rapporti di natura socio-affettiva, la norma racchiude una presunzione solo iuris tantum che il distacco di fatto dalla famiglia d’origine realizzi l’interesse del minore. Simile presunzione non esclude che, sulla scorta degli indici normativi desumibili dalla stessa legge n. 184 del 1983, letti nella prospettiva costituzionale della tutela del minore e della sua identità, il giudice possa accertare che la prosecuzione di significative, positive e consolidate relazioni socio-affettive con alcuni componenti della famiglia d’origine realizzi il migliore interesse del minore e, per converso, la loro interruzione sia tale da poter cagionare allo stesso un pregiudizio.

La combinazione di indici astratti e di accertamenti di fatto consente, pertanto, al giudice di vincere la presunzione, sottesa all’art. 27, comma 3, della legge n. 184 del 1983, che la cessazione delle relazioni socio – affettive, in conseguenza della rottura del legame giuridico – parentale, sia in concreto nell’interesse del minore.

Questa Corte di legittimità ha già precisato come la statuizione della Corte costituzionale, che ha certamente valenza rilevante ai fini interpretativi, si riferisca al disposto dell’art. 27, comma 3, l. n. 184 del 1983, il quale si colloca in una fase successiva alla pronuncia di adottabilità, perché attiene alla pronuncia di adozione, essendo tuttavia evidente che, laddove risulti conforme all’interesse del minore mantenere rapporti affettivi con alcuni dei componenti della famiglia di origine, tale esigenza non può non essere assecondata già al momento della dichiarazione di adottabilità (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 10278 del 16/04/2024).

In sintesi, anche ove il giudice di merito ritenga la sussistenza dei presupposti per una pronuncia di adottabilità, l’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 27, comma 3, l. n. 184 del 1983, di cui alla sentenza della Corte costituzionale n. 183 del 2023, impone al giudice di valutare se la cessazione delle relazioni socio – affettive con la famiglia biologica, in conseguenza della rottura del legame giuridico – parentale, sia in concreto conforme all’interesse del minore (così da ultimo Cass., Sez. 1, Sentenza n. 11138 del 24/04/2024; v. anche Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 12223 del 06/05/2024).

2.2. Nella specie, la sentenza impugnata non risulta conforme ai principi sopra illustrati.

La valutazione d’inadeguatezza della funzione vicariante di Co.Ba. è fondata, nella sentenza impugnata, su tre relazioni dei servizi sociali e sulla relazione del CTU.

La relazione dei servizi sociali dell’11/11/2021, redatta circa dieci mesi prima della sentenza della Corte d’appello, è richiamata nella parte in cui sono espressi giudizi del tutto vaghi sulla ricorrente, sul suo ambiente familiare e, in generale, sui familiari del minore, non accompagnati dall’indicazione di fatti e circostanze in grado di giustificare tale valutazione (p. 14 della sentenza impugnata).

La relazione dei servizi sociali del 17/07/2020, redatta quando il minore aveva poco più di un anno, è menzionata dalla Corte di merito nella parte in cui è espressa una ritenuta non empatizzazione della nonna materna in relazione al vissuto del piccolo Ke., in riferimento a opinioni da quest’ultima espresse o ad atteggiamenti genericamente riportati, senza alcuna contestualizzazione degli stessi, e senza l’indicazione della sperimentazione di eventuali interventi di sostegno (p. 16 – 17 della sentenza impugnata).

È, inoltre, dato rilievo a quanto riferito nella relazione dei servizi sociali del 20/04/2021, ove è rappresentato che la ricorrente, violando le prescrizioni all’epoca vigenti, ha consentito che la madre del minore incontrasse il bambino durante una visita da lei effettuata in spazio neutro, mostrando, poi, un atteggiamento oppositivo nei confronti degli operatori che avevano stigmatizzato tale condotta (p. 14 – 15 della relazione peritale). A tale episodio, senza dubbio significativo, non è, però, seguita l’indicazione di successivi analoghi episodi specifici, in grado di supportare, nell’attualità, un giudizio sull’idoneità della donna ad accudire il minore. Né, tanto meno, è stato evidenziato dalla Corte territoriale un ipotetico pregiudizio, derivato al minore da tale condotta.

La CTU disposta avrebbe dovuto, poi, espletare un attento monitoraggio della relazione tra nonna e nipote, verificando, in fatto e nell’attualità, le dinamiche relazionali, per contro, il consulente d’ufficio, come dedotto dalla ricorrente, non ha effettuato nessun incontro, non solo tra la madre ed il minore, ma neppure tra la nonna – incontrata tre volte sempre da sola – ed il minore, per cui l’inidoneità della medesima a svolgere un ruolo vicariante risulta fondata sulle osservazioni dei servizi sociali, senza essere stata approfondita come dovuto nei termini di concretezza e attualità sopra menzionati.

La possibilità per nonna materna di svolgere funzioni vicarianti è stata dalla Corte d’appello esclusa, riportando valutazioni del CTU operate senza un effettivo confronto della donna con il minore, e sulla base di giudizi dei servizi sociali, fondati su elementi generici e secondari – riguardanti soprattutto la nonna come persona o i sui rapporti con le figlie – che, in difetto di una seria ed attenta osservazione dei rapporti tra la nonna ed il minore finiscono per rivelarsi apodittici e, quindi, non in grado di fondare il giudizio di irreversibile inadeguatezza.

La valutazione in ordine all’impraticabilità dell’adozione “mite” risente delle stesse menzionate carenze di accertamento e la decisione impugnata è, comunque, mancante ogni considerazione in ordine alla possibilità di mantenere incontri tra la nonna e il minore, anche a seguito della dichiarazione di adottabilità, pur richiesti dalla ricorrente (p. 3 della sentenza impugnata e p. 8 del ricorso per cassazione).

2.3. Per effettuate un giudizio concreto ed effettivo circa lo stato di abbandono del minore, la Corte d’appello avrebbe dovuto basarsi su un attento monitoraggio, effettuato in concreto e nell’attualità, delle tre figure principali della vicenda, la nonna materna, la madre ed il minore (essendo incontroversa l’inidoneità del padre), nelle loro dinamiche relazionali, anche verificando quanto il rapporto della madre con la nonna materna potesse, sempre in concreto e nell’attualità, influire sulle capacità vicarianti di quest’ultima, al fine di stabilire se il best interest del bambino fosse quello di crescere nella famiglia di origine o altrove, valutando in particolare, sempre in concreto e nell’attualità, le capacità della nonna materna, disposta ad accudire il minore, anche con l’ausilio di interventi di supporto, ovvero la possibilità di procedere a un’adozione mite, e comunque verificando la possibilità di mantenere, nell’interesse del minore, incontri tra il minore e la nonna, come richiesto, pur a seguito della dichiarazione di adottabilità.

3. In conclusione, il ricorso va accolto in applicazione del seguente principio:

“In tema di dichiarazione di adottabilità di minori, la dichiarazione dello stato di abbandono morale e materiale richiede un accertamento in concreto e nell’attualità dei suoi presupposti, all’esito di un attento monitoraggio delle figure genitoriali e dei parenti entro il quarto grado disponibili ad accudire il bambino, al fine di stabilire se il best interest del minore sia quello di crescere nella famiglia di origine o altrove, valutando, poi, ove i genitori risultino inidonei, le capacità vicarianti dei menzionati familiari anche con l’ausilio di interventi di supporto, ovvero la possibilità di procedere a un’adozione mite, eventualità queste ultime in grado di impedire la dichiarazione di adottabilità, e comunque verificando la presenza delle condizioni per mantenere, sempre nell’interesse del minore, incontri tra il medesimo e detti familiari, pur a seguito della dichiarazione di adottabilità”.

La sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, la quale è chiamata a statuire anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

4. In caso di diffusione, devono essere omesse le generalità delle parti e dei soggetti menzionati nella decisione, a norma dell’art. 52 D.Lgs. n. 196 del 2003.

P.Q.M.

la Corte

accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, la quale è chiamata a statuire anche sulle spese del presente giudizio di legittimità;

dispone che, in caso di diffusione della presente ordinanza, siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti menzionati, a norma dell’art. 52 D.Lgs. n. 196 del 2003.

Così deciso in Roma il 31 maggio 2024.

Depositata in Cancelleria il 29 agosto 2024.

Allegati

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