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Cassazione civile sez. I, 29/07/2024, n.21105

Massima

In tema di pagamenti eseguiti a mezzo bonifico bancario, l’art. 25 del d.lgs. n. 11 del 2010 – di attuazione della direttiva 2007/64/CE relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno – attribuisce all’IBAN la funzione di filtro per determinare i casi in cui la responsabilità della mancata o inesatta esecuzione è attribuibile all’utente e quelli in cui occorre accertare quale degli intermediari coinvolti nel procedimento abbia causato il malfunzionamento dell’operazione, con la conseguenza che se un pagamento risulta eseguito secondo un IBAN erroneamente indicato dal solvens, non sussiste responsabilità degli intermediari che hanno partecipato all’operazione (pur avendo gli stessi l’obbligo di attivarsi e collaborare per il recupero delle somme), indipendentemente dal fatto che l’ordine contenga ulteriori informazioni per individuare il beneficiario e/o il suo conto di accredito.

Supporto alla lettura

RESPONSABILITA’ DELLA BANCA

Nel settore bancario, l’obbligo di diligenza è valutato tenendo conto del ruolo assunto dalla banca, che, sul piano funzionale, risulta preminente.

E’ stato ritenuto che, per il carattere dell’attività svolta dalle banche, a queste è richiesto un maggior grado di attenzione e prudenza nonché l’adozione di ogni cautela utile o necessaria richiesta dal comportamento diligente dell’accorto banchiere, ovverosia la cd. diligenza del bonus argentarius, che deve trovare applicazione non solo in riferimento ai contratti bancari in senso stretto ma anche nel compimento di ogni altro atto od operazione posta in essere dalla banca nello svolgimento della propria attività.

Particolarmente importante è l’obbligo di informazione gravante sulla banca, in quanto l’informazione serve a identificare con precisione cosa la banca vuole dal cliente e permette a quest’ultimo di compiere consapevolmente le proprie scelte.

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto
RILEVATO CHE
Con sentenza del 12.6.18, il Tribunale di Milano respingeva le domande proposte dalla (omissis), che aveva chiesto la condanna della (omissis) Spa, per la mancata esecuzione di un bonifico di Euro 30.000,00 a favore della (omissis) a pagamento di una fattura datata 17.5.17.

Con sentenza del 14.7.20, la Corte territoriale rigettava l’appello della (omissis), osservando che: preliminarmente, in punto di diritto, in ordine all’interpretazione dell’art. 24 D.Lgs. n. 11/10, se un ordine di pagamento era eseguito conformemente all’identificativo unico, esso si riteneva eseguito correttamente circa il beneficiario e il conto indicato dallo stesso identificativo unico; se invece quest’ultimo fosse stato indicato dall’utente in maniera inesatta, il prestatore di servizi di pagamento non era responsabile, ex art. 25, della mancata o inesatta esecuzione di pagamento; tuttavia, in tal caso, il prestatore di servizi di pagamento era tenuto a collaborare, anche comunicando al prestatore di servizi di pagamento del pagatore ogni informazione utile; tale disposizione era stata oggetto di molteplici pronunce dell’ABF e, in particolare, del collegio di coordinamento n. 162 del 12.1.17 che aveva composto il contrasto esistente tra il collegio di Roma e quello di Milano; il primo aveva infatti interpretato in modo restrittivo l’esonero da responsabilità stabilito per l’intermediario che esegue un’operazione di bonifico in conformità ad un Iban senza rilevare l’incongruenza con il nome del beneficiario, ritenendo che il comma 3 del predetto art. 24, pur non distinguendo tra prestatore di servizi di pagamento dell’utilizzatore e del beneficiario, dovesse riferirsi solo al prestatore di servizi di pagamento dell’utilizzatore, ciò in quanto l’intermediario di partenza della disposizione della disposizione non conosceva per definizione la titolarità del conto di accredito e, di conseguenza, non poteva rispondere di condotte che non ricadono sotto la di lui sfera di controllo; al contrario, l’intermediario di arrivo del bonifico conosceva l’intestazione del conto d’accredito e agevolmente poteva accertare la difformità con il nominativo del beneficiario; ragione per la quale espletare un simile controllo costituiva estrinsecazione del dovere di diligenza professionale, volto a tutelare situazioni originate dal semplice contatto sociale; il collegio di Milano riteneva invece che l’esecuzione del bonifico in conformità all’identificativo unico fornito dal cliente dovesse implicare l’esclusione di responsabilità del prestatore di servizi di pagamento, anche nel caso in cui l’utilizzatore avesse fornito informazioni ulteriori, come quella del tutto normale relativa al nome del beneficiario; il collegio di coordinamento aveva compiutamente analizzato la matrice comunitaria della disposizione in esame, attuativa della direttiva 2007/647CE concernente i servizi di pagamento nel mercato interno; al riguardo, l’art. 24 non poneva distinzioni, ma era da interpretare alla luce della ratio della creazione di un mercato comunitario integrato dei pagamenti, ispirato ad una drastica riduzione dei tempi di esecuzione, posto che l’intermediario di pagamento deve assicurare l’accredito del bonifico sul conto del beneficiario entro la fine della giornata operativa successiva a quella di ricezione dell’ordine ex art. 69 della direttiva e art. 20 D.Lgs. n. 11/10; per conseguire tali risultati il diritto europeo ha uniformato le prassi sulle procedure di trasferimento-fondi previste dallo schema SEPA basate sul principio secondo cui il conto di destinazione del bonifico s’individuava solo tramite Iban, in modo da consentire il trattamento completamente automatizzato dell’ordine di bonifico secondo gli standards elaborati dal primo “considerando” del regolamento UE n. 260/12 in materia di pagamento SEPA, tendente ad offrire ai cittadini ed alle imprese dell’Unione servizi di pagamento concorrenziali, facili ed affidabili; laddove la richiesta di pagamento non automatizzato nella realizzazione dell’operazione di pagamento comporta necessariamente il rallentamento dei tempi esecutivi; del resto, anche le normative d’attuazione della direttiva in altri Stati membri attribuiscono i maggiori doveri di controllo all’intermediario di partenza del bonifico, che inerisce alla verifica della correttezza dell’Iban; ulteriore riscontro della finalità semplificatrice della norma era desumibile dalla nuova direttiva UE n. 2015/2366 il cui art. 88 ha ripreso lo stesso schema del citato art. 74 con l’ulteriore “considerando” (“è opportuno che la responsabilità del prestatore di servizi di pagamento sia limitata all’esecuzione corretta dell’operazione di pagamento conformemente all’ordine di pagamento dell’utente di servizi di pagamento. Qualora i fondi di un’operazione di pagamento arrivino al destinatario a causa di un identificativo unico inesatto fornito dal pagatore, i prestatori di servizi di pagamento del pagatore e del beneficiario non dovrebbero essere responsabili, ma dovrebbero cooperare, con ragionevoli sforzi per recuperare i fondi, comunicando informazioni pertinenti”); pertanto, alla luce del predetto art. 88 l’esonero di responsabilità opera a favore di tutti i prestatori di pagamento coinvolti nell’esecuzione del bonifico e li autorizza ad eseguire l’operazione in conformità dell’Iban fornito dall’utilizzatore, senza tener conto di ulteriori informazioni contenute nell’ordine, quale appunto l’indicazione del nominativo del beneficiario.

La Corte d’Appello osservava altresì che in attuazione dei suddetti principi, la Banca d’Italia, con provvedimento del 5.7.11, aveva specificato che nel bilanciamento di obblighi tra prestazioni e utilizzatori di servizi di pagamento l’identificativo unico assolveva alla funzione d’indirizzamento dei pagamenti, consentendone l’esecuzione interamente automatizzata e pertanto, i prestatori di servizio di pagamento dovevano adottare accorgimenti idonei a richiamare l’attenzione degli utilizzatori sulle conseguenze derivanti dall’utilizzo di un codice identificativo inesatto, mentre l’esecuzione in conformità con l’identificativo unico fornito dall’utilizzatore faceva scattare la presunzione di esecuzione corretta dello stesso ordine, escludendo la responsabilità del prestatore di servizi di pagamento in caso di mancata o inesatta esecuzione del pagamento, presunzione operante anche nel caso in cui se l’utilizzatore abbia fornito al proprio prestatore di servizi di pagamento informazioni aggiuntive rispetto all’identificativo unico, al riguardo, la CGE, con decisione del 21.3.2019, pronunciandosi sulla domanda pregiudiziale ex art. 267 TFUE proposta dal Tribunale di Udine, ha osservato che il tenore letterale del citato art. 74, par. 2, c.1, della direttiva 2007/64 utilizzava l’espressione “prestatore di servizi di pagamento”, non operando alcuna distinzione tra i diversi prestatori dei servizi di pagamento, riguardando dunque anche il prestatore dei servizi del beneficiario del pagamento; tale interpretazione era avvalorata dal fatto che l’art. 74, par. 2, c.2, imponeva al solo prestatore di servizi di pagamento del pagatore l’obbligo di compiere sforzi ragionevoli per recuperare i fondi oggetto del pagamento. Alla luce delle suesposti argomentazioni, la Corte territoriale riteneva che la società attrice, aveva eseguito il bonifico facendo affidamento su una mail ricevuta dalla finta controparte, ossia dal presunto truffatore, rilevando che: l’appellante non aveva evidenziato un collegamento causale tra l’apertura del conto corrente presso (omissis) da parte del presunto truffatore e la vicenda in esame, né aveva mosso contestazioni in ordine alla doverosa condotta successiva rispetto a quella riguardante l’esecuzione del bonifico, tanto che neppure in secondo grado aveva formulato una tale doglianza, per cui il richiamo all’art. 2043 cc afferiva esclusivamente alla fase della disposizione di pagamento.

(omissis) ricorre in cassazione con tre motivi, illustrati da memoria, nei confronti di Unicredit Spa, contro la suddetta sentenza d’appello del 14 luglio 2020.

L'(omissis) resiste con controricorso, illustrato da memoria.

Diritto
RITENUTO CHE
Il primo mezzo denuncia violazione dell’articolo 24 del decreto legislativo numero 11 del 2010 nonché dell’articolo 2043 c.c., per aver la Corte d’Appello ritenuto applicabile l’art. 24 D.Lgs. n. 11/10 anziché l’art. 2043 c.c.

Al riguardo, la ricorrente assume che la ratio del “Considerando” 34 della direttiva 2007/64/CE consisteva sia nella rapidità dei pagamenti, sia nel “mantenere gli attuali livelli di tutela dei consumatori… promuovendo la fiducia nella sicurezza del pagamento”, mentre il “Considerando 46”, nel rimarcare la responsabilità del prestatore di servizi di pagamento, faceva salvo il caso delle circostanze anormali e imprevedibili, non ricorrenti nella specie, trattandosi di pagamento a favore di beneficiario diverso da quello indicato dal pagatore. Pertanto, la ricorrente richiamava quanto disposto nel “considerando 46” circa la distinzione tra la responsabilità della banca, quale prestatore di servizi di pagamento, e quella relativa agli atti e omissioni del prestatore dei servizi del beneficiario, e lamentava che la Corte territoriale avesse male interpretato il “Considerando 46”, escludendo che a carico del prestatore dei servizi del beneficiario del pagamento vi fosse l’obbligo di rilevare l’incoerenza dell’Iban con il nominativo (se fosse occorso un intervento manuale), mentre il prestatore dei servizi del pagatore ignorava se l’iban del conto fosse coerente con il nominativo del beneficiario del bonifico.

Il secondo mezzo denuncia nuovamente violazione dell’articolo 2043 c.c., nonché di un provvedimento della Banca d’Italia del 5 luglio 2011. In particolare, la ricorrente lamenta che la Corte d’Appello abbia deciso, riportando correttamente il provvedimento della Banca D’Italia del 5.7.2011, ma travisandone però il testo.

Sul punto, la ricorrente richiama quanto la Banca d’Italia ha disposto, al paragrafo 2.1. della sezione IV del suddetto provvedimento, secondo cui: “il prestatore dei servizi del beneficiario consapevole contatterà..il prestatore di servizi dell’ordinante prima di decidere se respingere il pagamento..ovvero di eseguirlo sulla base del solo codice identificativo unico in caso di discordanza tra questo e i riferimenti indicati nell’ordine di pagamento; ciascun prestatore di servizi di pagamento è interamente responsabile nei confronti del proprio cliente”. Rilevato ciò, la ricorrente si duole che la Corte d’Appello non abbia ritenuto la responsabilità di Unicredit, in difformità delle suddette disposizioni impartite dalla Banca d’Italia, in quanto l’osservanza delle stesse avrebbe consentito di verificare che il destinatario era sconosciuto.

Il terzo motivo denuncia violazione degli articoli 115 c.p.c., 2043 c.c., e 24 D.Lgs. n.10/11, per non aver il giudice di secondo grado ritenuto che il conto apocrifo era intestato alla ASI e, in subordine, per non aver ammesso l’istanza istruttoria avente ad oggetto l’ordine di esibizione del conto corrente aperto presso Unicredit, avendo ciò precluso alla ricorrente di accertare il soggetto che aveva acceso il conto e, dunque, il beneficiario del bonifico in questione, al fini della prova della negligenza della banca. Il primo motivo è infondato.

La tesi della società ricorrente, che lamenta l’erroneità della sentenza impugnata nell’aver escluso che a carico del prestatore dei servizi del beneficiario del pagamento vi fosse l’obbligo di rilevare l’incoerenza dell’Iban del conto corrente con il nominativo (necessitando in tal caso un intervento manuale) non è plausibile.

Come rilevato dal provvedimento del collegio di coordinamento dell’ABF, 12 gennaio 2017 numero 162, citato dalla Corte d’Appello, la questione di diritto dibattuta è se l’intermediario di destinazione del bonifico avrebbe dovuto riscontrare l’esistenza di un’anomalia nell’operazione, a causa della non coincidenza fra beneficiario e titolare del conto da accreditare e, di conseguenza, astenersi dal portare a compimento l’ordine di pagamento irregolare.

Il collegio dell’ABF, in applicazione dell’art. 24 D.Lgs. n. 11/10, ha affermato che il prestatore dei servizi di pagamento è responsabile solo dell’esecuzione dell’operazione di pagamento in conformità con l’identificativo unico fornito dall’utilizzatore, anche qualora quest’ultimo abbia fornito al suo prestatore di servizi di pagamento informazioni ulteriori rispetto allo stesso identificativo. In tal caso, si è ritenuto corretto il bonifico, con conseguente esclusione di responsabilità del prestatore dei servizi di pagamento, anche nel caso in cui l’utilizzatore abbia fornito indicazioni ulteriori come quella, consueta, relativa al nome del beneficiario; si è escluso, pertanto, che l’intermediario che riceve il bonifico sia tenuto ad effettuare il cd. controllo di congruità, vale adire ad incrociare l’informazione sul beneficiario con quella del titolare del conto d’accredito.

Ora, la Corte osserva che l’art. 24, c.3, D.Lgs. n.11 (secondo il cui disposto il prestatore di servizi di pagamento è responsabile solo dell’esecuzione dell’operazione di pagamento in conformità con l’identificativo unico fornito dall’utilizzatore anche qualora quest’ultimo abbia fornito ai suo prestatore di servizi di pagamento informazioni ulteriori rispetto all’identificativo unico), invocato dalla ricorrente per confutare l’interpretazione restrittiva della stessa norma circa l’esonero da responsabilità per l’intermediario che effettui il bonifico in conformità con l’identificativo unico fornito dall’utilizzatore, senza rilevare l’incongruenza con il nome del beneficiario, non specifica se intenda riferirsi al prestatore dei servizi dell’utilizzatore, a quello del beneficiario o entrambi.

Tuttavia, considerazioni di ordine sistematico indurrebbero a limitare la previsione al solo prestatore dei servizi dell’utilizzatore, il quale non conosce la titolarità del conto di accredito e pertanto nessuna colpa può essergli addebitata per non aver riscontrato l’anomalia nelle istruzioni impartite dal cliente, mentre l’intermediario di arrivo del bonifico possiede l’informazione relativa all’intestazione del conto d’accredito e potrebbe facilmente accertare la difformità con il nominativo del beneficiario.

Al riguardo, secondo l’orientamento espresso dal collegio di coordinamento di Roma dell’ABF, l’intermediario di arrivo del bonifico risponderebbe in tali casi in virtù dei doveri di diligenza e protezione nei confronti del proprio cliente (titolare del conto d’accredito), e del disponente in forza del particolare contatto sociale radicatosi con l’esecuzione dell’operazione di pagamento.

Tale teoria esprime il principio che il suddetto art. 24, c.3, fissa una regola di responsabilità già ricavabile dai principi generali in tema di mandato e segnatamente dal criterio di diligenza del mandatario; dall’altra parte, l’orientamento del collegio di Milano dell’ABF (fatto proprio dal collegio di coordinamento), secondo cui la norma in esame ha la finalità di semplificare le procedure di esecuzione dei bonifici, esonera tutti gli intermediari coinvolti nell’operazione dal verificare la corrispondenza tra Iban e nominativo del beneficiario. Il collegio di coordinamento, dunque, per risolvere il prospettato problema interpretativo, risale alla genesi e alle finalità della disciplina in questione, introdotta dalla direttiva 2007/64/CE relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno. In particolare, il predetto art. 24, c.3-che ha trasposto nel nostro ordinamento l’art. 74 della citata direttiva-è norma, di per sé, non univoca, sul punto oggetto di causa, se la si applichi anche all’intermediario di destinazione del bonifico; tuttavia, questa norma va collocata nel più generale disegno della direttiva, che è volto a ridurre i tempi e i costi d’esecuzione delle operazioni di pagamento e a promuovere l’affermazione di un mercato comunitario dei pagamenti efficiente e concorrenziale.

Per raggiungere tali risultati, il diritto europeo ha effettuato una scelta esplicita nel senso di uniformare le prassi in uso nell’industria dei servizi di pagamento sulle procedure di trasferimento dei fondi previste dallo schema SEPA, basate sul principio che il conto di destinazione del bonifico s’individua tramite il solo IBAN, al fine di consentire il trattamento completamente automatizzato dell’ordine di bonifico secondo gli standards elaborati dal consorzio interbancario SWIFT. Al riguardo, continuare a richiedere l’esecuzione del controllo di congruità tra Iban e titolare del conto d’accredito implicherebbe ancora un intervento manuale nella realizzazione dell’operazione di pagamento, poiché un funzionario dell’intermediario ricevente dovrebbe verificare gli ordini recanti informazioni incoerenti bloccati dal sistema informatico, al fine di verificare se l’incongruità sia irrilevante, oppure costituisca effettivamente un indice di anomalia (altrimenti, si avrebbe lo storno sistematico di tutti i bonifici in cui il nome del beneficiario presenti una qualsiasi differenza con i dati anagrafici posseduti dalla banca di destinazione, con inconvenienti non trascurabili se tale prassi fosse adottata in modo generalizzato in tutti gli Stati membri. Sulla base di queste considerazioni sistematiche, è diffuso convincimento che la direttiva in questione abbia introdotto un nuovo standard di comportamento per tutti gli intermediari coinvolti nell’esecuzione di un bonifico, volto a promuovere l’operazione esclusivamente sulla base dell’identificativo unico fornito dall’ordinante, senza necessità di effettuare alcun riscontro con le ulteriori informazioni eventualmente contenute nell’ordine; un ulteriore e significativo riscontro sulle finalità semplificatrici della norma in esame proviene dallo stesso legislatore comunitario il quale di recente ha provveduto ad aggiornare la normativa in tema di servizi di pagamento, sostituendo la direttiva del 2007 con altra (2015/2366 del 25.11.2015 o PSD2), in fase di recepimento nel nostro ordinamento; le disposizioni dell’art. 74 della precedente direttiva sono state trasposte nell’art. 88 della PSD2 senza sostanziali modifiche: l’ordine di pagamento eseguito conformemente all’identificativo unico si ritiene eseguito correttamente; se l’identificato sia inesatto, il prestatore di servizi di pagamento non è responsabile della mancata o inesatta esecuzione dell’ordine di pagamento; se l’utente fornisce ulteriori informazioni, il prestatore è responsabile solo dei pagamenti conformi all’identificativo unico; tuttavia, la PSD2 contiene anche un “considerando”, n.88, secondo il quale è opportuno che la responsabilità del prestatore di servizi di pagamento sia limitata all’esecuzione corretta dell’operazione di pagamento conformemente all’ordine di pagamento dell’utente; qualora i fondi di un’operazione di pagamento arrivino al destinatario sbagliato, a causa di identificativo inesatto fornito dal pagatore, i prestatori dei servizi di pagamento del pagatore e del beneficiario non dovrebbero essere responsabili, ma dovrebbero cooperare compiendo ragionevoli sforzi per recuperare i fondi, comunicando le informazioni pertinenti.

Pertanto, risulta chiaro che l’art. 88 PSD2 (come l’art. 74 PSD) contempla un’esenzione da responsabilità a favore di tutti i prestatori di servizi di pagamento coinvolti nell’esecuzione del bonifico, e li autorizza ad eseguire l’operazione in conformità dell’Iban fornito dall’utilizzatore senza tenere conto di eventuali ulteriori informazioni contenute nell’ordine, quale il nome del beneficiario; tali norme avevano avuto conferma nelle disposizioni d’attuazione del D.Lgs. n. 11/10 emanate dalla Banca D’Italia circa il fatto che tale decreto sollevava il prestatore dall’obbligo di effettuare il controllo di congruità tra l’IBAN e gli elementi identificativi della titolarità del conto del destinatario, vincolandolo alla mera esecuzione dell’ordine di bonifico in conformità dell’Iban indicato.

Il collegio di coordinamento dell’ABF ha altresì rilevato che sarebbe diverso il caso in cui l’intermediario, senza esservi tenuto, abbia comunque effettuato il controllo di congruità sui dati dell’ordine di bonifico, o sia in altro modo a conoscenza dell’inesattezza dell’identificativo (per esempio, operazione realizzata manualmente da funzionario in mala fede), poiché, in tal caso, la disciplina d’attuazione della Banca D’Italia specifica che i prestatori dei servizi d’investimento devono adoperarsi, sulla base degli obblighi di diligenza professionale, affinché l’operazione di pagamento venga eseguita correttamente. Tali conclusioni sono state avvalorate dalla pronuncia della Corte di Giustizia Europea 21 marzo 2019 – C-245/2018 (interpellata dal Tribunale di Udine circa la corretta interpretazione degli artt. 74 e 75 della Direttiva 2007/64/CE, detta Corte ha sottolineato che la disposizione dell’art. 74, riferendosi genericamente al prestatore di servizi di pagamento, non ha inteso porre una distinzione tra il prestatore di servizi del pagatore e quello del beneficiario. Pertanto “l’art. 74, par. 2, della Direttiva 2007/64/CE relativa ai servizi di pagamento dei mercato interno deve essere interpretato nei senso che, ove un ordine di pagamento sia eseguito conformemente all’identificativo unico fornito dall’utente dei servizi di pagamento che non corrisponde al nome del beneficiario specificato dall’utente stesso, la limitazione di responsabilità del prestatore di servizi di pagamento, prevista dalla disposizione in parola, si applica sia al prestatore di servizi di pagamento del pagatore sia al prestatore di servizi del beneficiario”) a cui si sono adeguate le pronunce di tutti i Collegi ABF degli anni successivi e, poi, la giurisprudenza di merito. Orbene, sia il collegio di coordinamento che la Corte di Giustizia hanno accolto l’interpretazione secondo la quale il comma 3 dell’art. 24 esonera entrambi gli intermediari dall’eseguire il controllo di congruità e, di conseguenza, esclude la loro responsabilità per tutte quelle operazioni eseguite secondo l’IBAN indicato dal pagatore, gravando, invece, su quest’ultimo l’onere di controllare la correttezza dei dati dell’operazione e, in particolare, dell’IBAN, unico elemento necessario per la sua regolare esecuzione.

La Corte di Giustizia, facendo anche riferimento a quanto statuito nella decisione del collegio di coordinamento, ha affermato altresì che la norma deve essere letta alla luce dei principi ispiratori e degli obiettivi perseguiti dalle due Direttive europee. Infatti, la creazione di un mercato unico dei pagamenti efficiente e competitivo è obiettivo conseguibile attraverso la riduzione drastica dei tempi di esecuzione dei pagamenti e la semplificazione delle relative procedure, così come auspicato anche dal Considerando n. 88 della PSD2. Per giungere a tali risultati, il diritto europeo ha deciso di uniformare le procedure di trasferimento fondi dell’area unica dei pagamenti (SEPA) sulla base del principio secondo il quale il destinatario del pagamento deve essere individuato tramite un solo elemento, comune a tutti gli intermediari. Il legislatore, quindi, ha disposto l’adozione di una procedura completamente automatizzata basata sull’identificativo unico e ha eliminato il controllo di congruità che, prevedendo una verifica ex ante circa la correttezza dell’operazione, avrebbe determinato un rallentamento nei pagamenti e, in particolare, inficiato la rapidità di quelli elettronici.

In proposito, bisogna ricordare che, – come opportunamente rimarcato in dottrina – prima dell’introduzione della SEPA, i sistemi utilizzati per l’esecuzione di un’operazione di pagamento registravano i movimenti effettuati dagli utenti e verificavano automaticamente la congruità dei dati inseriti per l’esecuzione di un’operazione di pagamento e, in particolare, la coincidenza tra nominativo e IBAN del beneficiario. Se il sistema riscontrava un’irregolarità o un’incongruenza tra le informazioni, l’operazione veniva bloccata automaticamente e l’accredito sospeso; l’irregolarità veniva, quindi, segnalata al personale dell’intermediario che comunicava al cliente l’errore o sbloccava l’operazione. Il mancato intervento da parte del personale addetto determinava lo storno del pagamento. Pertanto, questa procedura permetteva all’intermediario di riscontrare l’errore dell’utente e ciò giustificava la posizione della giurisprudenza secondo la quale l’intermediario era responsabile per l’ipotesi in cui aveva dato seguito ad un pagamento pur avendo riscontrato l’errore, violando così i propri obblighi di diligenza e correttezza e pregiudicando gli interessi del proprio cliente.

Dalle nuove regole successivamente introdotte consegue – secondo la Corte predetta – che, se l’operazione risulta essere viziata a causa della sua esecuzione secondo un IBAN errato, non sussiste la responsabilità degli intermediari che hanno partecipato al procedimento, indipendentemente dal fatto che l’ordine contenga ulteriori informazioni per individuare il beneficiario e/o il suo conto di accredito. Né tale soluzione può essere considerata una penalizzazione della posizione dell’utente del servizio, visto che la seconda parte del comma 2, dell’art. 24, impone all’intermediario del pagatore di compiere tutti gli sforzi ragionevoli (peraltro, nel nuovo testo della citata norma, in vigore dal 13 gennaio 2018, nella specie, però, inapplicabile ratione temporis, anche con la collaborazione di quello del beneficiario), per recuperare le somme oggetto dell’operazione.

L’appena riferita interpretazione è condivisa anche da questo collegio, perché in linea con la ratio dell’intera disciplina sui servizi di pagamento, che, come sottolineato in dottrina, tende sia a conseguire il necessario bilanciamento degli interessi delle parti coinvolte nel procedimento di pagamento, sia a realizzare l’obiettivo – a cui si richiama espressamente il Considerando n. 85 della PSD2 (33) – di efficienza del sistema di pagamento; efficienza che costituisce un vantaggio non solo per lo sviluppo del mercato dei pagamenti ma anche per gli stessi utenti del servizio.

Può ritenersi, dunque, che la disciplina specifica sui servizi di pagamento, per quanto riguarda la responsabilità dell’intermediario ai sensi dell’art. 25 del D.Lgs. n. 11/2010, attribuisce all’IBAN la centrale funzione di filtro per determinare i casi in cui la responsabilità della mancata o inesatta esecuzione è attribuibile all’utente e quelli in cui si può procedere per accertare quale degli intermediari coinvolti nel procedimento abbia causato il malfunzionamento dell’operazione e, quindi, ne sia responsabile. Il legislatore comunitario (poi eurounitario), come quello nazionale, ha adottato una soluzione tesa a migliorare l’efficienza e la rapidità dei pagamenti, eliminando così l’obbligo degli intermediari di controllare la congruenza dei dati bancari forniti dall’utente; tale scelta, coerente con i principi ispiratori della normativa, sebbene sembri sacrificare la tutela dell’utente rispetto a quella che gli garantirebbero i principi di diritto comune in tema di diligenza e buona fede nell’esecuzione del contratto, viene controbilanciata dall’obbligo degli intermediari di agire per cercare di recuperare la somma erroneamente trasferita.

Per quanto esposto, la Corte ritiene infondata l’obiezione della ricorrente secondo la quale l’interpretazione propugnata che predicava la responsabilità dell’intermediario di ricezione del bonifico nel caso di mancato controllo di congruità del nominativo del beneficiario, sarebbe stata avvalorata dal fatto che l’art. 74, par. 2, c.2, imponeva al solo prestatore di servizi di pagamento del pagatore l’obbligo di compiere sforzi ragionevoli per recuperare i fondi oggetto del pagamento. Il secondo motivo è inammissibile perché denuncia violazione di un provvedimento amministrativo, quale quello della Banca d’Italia. Tuttavia, anche se si ritenga che il richiamo alle disposizioni della Banca D’Italia del 5.7.2011 sia stato fatto per invocare il “considerando 34” della direttiva del 2011 circa la finalità di mantenere gli attuali livelli di tutela dei consumatori (e che, dunque, la doglianza, relativa anche alla violazione dell’art. 2043 c.c., sia ammissibile), il motivo sarebbe comunque infondato, in quanto relativo alla mancata osservanza, da parte dell’intermediario di ricezione del bonifico, dei doveri di comportamento (che s’assumono vincolanti in virtù del suddetto provvedimento della Banca D’Italia) del medesimo intermediario di contattare il prestatore di servizi dell’ordinante prima di decidere se respingere il pagamento, per le argomentazioni sviluppate in ordine al primo motivo.

Invero, per quanto sopra esposto, l’unico obbligo gravante sull’intermediario di ricezione consiste nella verifica dell’esattezza dell’ordinativo unico Iban, come indicato dall’ordinante. Il terzo motivo è inammissibile, nella prospettazione della violazione dell’art. 115.

Invero, per dedurre la violazione dell’articolo 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c.

In tema di ricorso per cassazione, deve ritenersi inammissibile il motivo di impugnazione con cui la parte ricorrente sostenga un’alternativa ricostruzione della vicenda fattuale, pur ove risultino allegati al ricorso gli atti processuali sui quali fonda la propria diversa interpretazione, essendo precluso nel giudizio di legittimità un vaglio che riporti a un nuovo apprezzamento del complesso istruttorio nel suo insieme (Cass., n. 10927/14).

Il ricorrente per cassazione non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, in quanto, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione del giudice di merito, a cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra esse, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass., n. 32505/23). Nella specie, la ricorrente tende a rimettere in discussione l’apprezzamento in fatto della Corte d’Appello, sollevando questioni che sono estranee alla domanda spiegata: e cioè, a mente dell’articolo 24 Unicredit avrebbe dovuto prestare collaborazione alla richiesta della Gianair di sapere chi aveva aperto il conto (falso) intestato ad ASI (essendo stato allegato che il conto era stato inserito nella falsa fattura), per dedurne la negligenza della banca nel non aver verificato il legale rappresentante della società, ma tutto questo non ha nulla a che vedere con la domanda in concreto proposta, secondo cui la banca risponde del pagamento pur effettuato all’IBAN indicato dal soggetto che effettua il pagamento, quando il pagatore è vittima di truffa. Al riguardo, come detto in sede di esegesi del predetto art. 24- e come confermato dalle citate disposizioni attuative della Banca D’Italia- la banca intermediaria di ricezione del bonifico risponde solo nel caso di pagamento eseguito non conformemente all’identificativo unico Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio che liquida nella somma di Euro 5.200,00 di cui 200,00 per esborsi, oltre alla maggiorazione del 15% quale rimborso forfettario delle spese generali ed accessori di legge.Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, ove dovuto.

Così deciso nella camera di consiglio in data 7 giugno 2024.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2024.

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