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Cassazione civile sez. I, 29/07/2009, n. 17548

Massima

La Corte di Cassazione, mutando il proprio precedente orientamento e in adesione alla più recente giurisprudenza delle Sezioni Unite (sent. n. 4466 del 25.2.2009), ha affermato che, per effetto delle sentenze della Corte Costituzionale n. 87 del 1975 e n. 30 del 1983 e dei principi costituzionali di parità tra i sessi e di uguaglianza giuridica e morale tra i coniugi (artt. 3 e 29 Cost.), la cittadinanza italiana deve essere riconosciuta in sede giudiziaria dal 1° gennaio 1948 ai figli nati prima di tale data da madre che l’abbia perduta ai sensi dell’art. 10 della L. n. 555 del 1912 per aver contratto matrimonio con cittadino straniero anteriormente al 1° gennaio 1948. Tale riconoscimento avviene indipendentemente dalla dichiarazione di riacquisto prevista dall’art. 219 della L. n. 151 del 1975, poiché la privazione illegittima della cittadinanza, dovuta a norma dichiarata incostituzionale, continua a produrre effetti anche dopo l’entrata in vigore della Costituzione, e lo status di cittadino ha natura permanente e imprescrittibile, essendo azionabile in ogni tempo.

Supporto alla lettura

CITTADINANZA

Il termine “cittadinanza” indica il rapporto tra un individuo e lo Stato, ed è in particolare uno status, denominato civitatis, al quale l’ordinamento giuridico ricollega la pienezza dei diritti civili e politici.  In Italia il moderno concetto di cittadinanza nasce al momento della costituzione dello Stato unitario ed è attualmente disciplinata dalla L. 91/1992.

La cittadinanza italiana si acquista iure sanguinis, cioè se si nasce o si è adottati da cittadini italiani.  Esiste una possibilità residuale di acquisto iure soli, se si nasce sul territorio italiano da genitori apolidi o se i genitori sono ignoti o non possono trasmettere la propria cittadinanza al figlio secondo la legge dello Stato di provenienza. Si può diventare cittadini italiani anche per matrimonio (iure matrimonii), la quale è riconosciuta dal prefetto della provincia di residenza del richiedente.

La cittadinanza può essere richiesta anche dagli stranieri che risiedono in Italia da almeno dieci anni e sono in possesso di determinati requisiti. In particolare il richiedente deve dimostrare di avere redditi sufficienti al sostentamento, di non avere precedenti penali, di non essere in possesso di motivi ostativi per la sicurezza della Repubblica.

La legge prevede alcuni casi in cui può venir meno lo status di cittadino italiano, si può riacquistare su domanda, e il D.L. 113/2018, convertito con L. 132/2018 ha introdotto all’art. 10 bis della L. 91/1992 l’istituto della revoca della cittadinanza nei casi espressamente previsti dall’art. 10 bis della citata L. 91/1992.

Diverso è parlare di “cittadinanza europea” che non è uno status che si acquisisce, infatti ogni cittadino di un Paese membro della Ue, oltre alla cittadinanza del paese di origine, gode della cittadinanza europea. Secondo la testuale dizione del trattato di Maastricht (TUE), è cittadino dell’Unione chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro.

La cittadinanza dell’Unione europea comporta una serie di norme e diritti ben definiti, che si possono raggruppare in quattro categorie:

  • la libertà di circolazione e di soggiorno su tutto il territorio dell’Unione;
  • il diritto di votare e di essere eletto alle elezioni comunali e a quelle del Parlamento europeo nello Stato membro di residenza;
  • la tutela da parte delle autorità diplomatiche e consolari di qualsiasi Stato membro in un paese terzo nel quale lo Stato di cui la persona in causa ha la cittadinanza non è rappresentato;
  • il diritto di presentare petizioni al Parlamento europeo e ricorsi al mediatore europeo.

 

Il D. Lgs. 36/2025, conv. L. 74/2025, ha modificato la legge sulla cittadinanza italiana, soprattutto in merito allo ius sanguinis. Il fine è quello di limitare la trasmissione automatica della cittadinanza per discendenza, introducendo requisiti più stringenti e valutando il “vincolo effettivo e attuale con la comunità nazionale”. Le nuove disposizioni non si applicano a chi ha presentato domanda di riconoscimento della cittadinanza entro il 27 marzo 2025 (data di entrata in vigore del decreto); è prevista invece una finestra temporale, dal 1 luglio 2025 al 31 dicembre 2027, per il riacquisto della cittadinanza italiana da parte di cittadini che siano nati in Italia o che abbiano risieduto in Italia per almeno 2 anni, o che abbiano perso la cittadinanza prima del 16 agosto 1992.

Ambito oggettivo di applicazione

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione regolarmente notificato, (omissis) e (omissis) esponevano:

– di essere fratello e sorella, nati da madre cittadina italiana ((omissis), nata al (omissis)) e da padre libanese;

– di avere la (omissis) riacquistato la cittadinanza italiana ai sensi della L. n. 151 del 1975.

Evidenziavano che, alla luce di ciò e alla stregua della statuizione della Corte Costituzionale n. 87/75, al momento della nascita degli istanti, la madre, non avendo perso la cittadinanza italiana, aveva trasmesso iure sanguinis la cittadinanza ai figli sin dalla nascita.

(omissis) e (omissis), quindi, convenivano in giudizio il Ministero degli Interni, dinanzi al Tribunale di Roma, chiedendo di essere dichiarati cittadini italiani dalla nascita.

Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 10906/05, respingeva la domanda, compensando le spese tra le parti.

Contro tale sentenza, (omissis) e (omissis) adivano la Corte d’Appello di Roma, lamentando che non era stato tenuto conto delle seguenti circostanze:

la madre dei richiedenti aveva riacquistato la cittadinanza italiana, avendone fatta espressa domanda;

il riacquisto della cittadinanza avrebbe dovuto essere considerato ex nunc e non ex tunc, con la conseguenza che la donna doveva essere dichiarata cittadina italiana al momento della nascita dei figli; una diversa valutazione sarebbe stata discriminatoria e incostituzionale;

– la Convenzione di New York del 18.12.1979 aveva stabilito l’eliminazione di ogni discriminazione nei confronti delle donne;

– lo Stato italiano aveva ratificato la Costituzione Europea contenente il divieto di ogni forma di discriminazione verso le donne.

Sottolineavano altresì che dopo l’ultima sentenza delle SS.UU. della Cassazione l’Avvocatura dello stato aveva lasciato passare in giudicato, senza appellarle, domande identiche a quella del caso di specie, accolte in primo grado dal Tribunale di Roma.

Il Ministero si costituiva chiedendo il rigetto dell’appello perchè infondato.

La Corte d’Appello di Roma, in data 02/26.02.07, respingeva l’appello di (omissis) e (omissis) perchè infondato. Osservava la Corte che le SS.UU. della Corte di Cassazione con la sent. n. 3331/04 avevano affermato che la perdita per matrimonio con lo straniero della cittadinanza da parte della donna in base alla L. n. 555 del 1912, art. 10, doveva considerarsi come “…conseguenza automatica, sicchè avendo tale evento esaurito la sua efficacia nello stesso momento del cui verificarsi, la pronuncia di incostituzionalità successivamente intervenuta non è idonea ad incidere su tale effetto, trattandosi di legge anteriore all’entrata in vigore della Costituzione, in mancanza della dichiarazione di cui alla L. n. 151 del 1975, art. 219, comma 1, da parte della madre stessa…”.

Anche le precedenti statuizioni della Suprema Corte avevano stabilito che in caso di matrimonio stipulato prima del 1.01.48, come nella specie, la perdita della cittadinanza doveva intendersi validamente verificatesi, senza che le successive pronunce della Corte Costituzionale potessero altrimenti incidere, se non nel caso di riacquisto volontario della cittadinanza (Cass. nn. 87/1975, 30/1993, 12071/98). Nel caso di specie la cittadinanza era stata riacquistata, ma, stante l’effetto costitutivo ex nunc dell’atto, i fratelli (omissis) e (omissis) non potevano acquisire la cittadinanza iure sanguinis, poichè nati quando la madre aveva perso la cittadinanza. Il collegio romano non ravvisava profili di incostituzionalità in tale disciplina. Avverso la sentenza ricorrevano per cassazione (omissis) e (omissis), articolando cinque motivi di censura (ricorso notificato in data 8.06.07), illustrati da memoria.

Il Ministero degli Interni notificava controricorso in data 6.07.07 per resistere al ricorso proposto dagli (omissis).

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1 – (omissis) e (omissis) esordivano nel ricorso con la ricostruzione dei fatti di causa.

Formulavano poi il seguente quesito di diritto: “dica codesta Suprema Corte se lo straniero nato prima del 1.01.1948 da cittadina italiana che abbia perso la cittadinanza italiana a seguito di matrimonio con straniero, possa acquistare la cittadinanza fin dalla nascita a seguito della dichiarazione L. n. 151 del 1975, ex art. 219, con cui la madre abbia espresso la volontà di acquistare la cittadinanza italiana”. Chiedevano che la Corte volesse ritenere:

– la retroattività delle norme costituzionali in materia di status civitatis, essendo il diritto imprescrittibile, e l’irrilevanza delle norme vigenti in epoca anteriore alla Costituzione, che prevedevano disparità di trattamento tra uomini e donne di materia di perdita della cittadinanza in seguito a matrimonio con stranieri;

– la non manifesta infondatezza della eccezione di incostituzionalità della L. n. 151 del 1975, art. 219, nella parte in cui poneva a carico delle donne la dichiarazione di voler riacquistare la cittadinanza quale condizione per il riacquisto stesso della cittadinanza a seguito di matrimonio con uno straniero, in forza delle norme vigenti in epoca anteriore alla Costituzione;

l’applicabilità dello ius superveniens di cui al D.L. n. 198 del 2006, a norma della L. n. 246 del 2005, art. 6.

1.2. – Come primo motivo di ricorso, deducevano la violazione e la falsa applicazione di legge e l’insufficiente/omessa motivazione circa i punti decisivi della controversia.

La Corte romana aveva erroneamente ritenuto che la fattispecie in oggetto rientrasse in quella della decisione della Corte di Cassazione a SS.UU. n. 3331/04, resa in una controversia differente da quella in oggetto.

Tale sentenza aveva rigettato la domanda dei ricorrenti sul presupposto dell’inesistenza della espressa domanda di riacquisto della cittadinanza allorchè l’interessata era ancora in vita all’entrata in vigore della L. n. 151 del 1975.

Nel caso di specie era stato prodotto l’atto di riacquisto della cittadinanza idoneo e conforme a quanto richiesto.

1.3. – Come secondo motivo di ricorso, deducevano la violazione e la falsa applicazione di legge e l’insufficiente/omessa motivazione circa i punti decisivi della controversia.

Il collegio romano aveva errato nel ritenere che gli effetti retroattivi delle sentenze di incostituzionalità non fossero applicabili al caso di specie trattandosi di un rapporto esaurito.

Tale valutazione non aveva tenuto conto della natura imprescrittibile dello status civitatis.

1.4. – Come terzo motivo deducevano la violazione e falsa applicazione di legge.

La Corte aveva errato nel ritenere che l’atto di riacquisto della cittadinanza avesse efficacia ex nunc. La non efficacia ex tunc di tale atto avrebbe comportato la permanenza nell’ordinamento giuridico italiano di una norma discriminatoria nei confronti delle donne nate italiane, che avevano sposato uno straniero prima del 1948.

L’efficacia ex nunc del riacquisto della cittadinanza avrebbe dovuto portare alla dichiarazione di incostituzionalità della L. n. 151 del 1975, art. 219.

1.5. – Come quarto motivo di ricorso veniva dedotta la violazione degli artt. 9 e 10 Cost., per il mancato accoglimento della richiesta di dichiarare non manifestamente infondata l’eccezione di incostituzionalità relativamente agli artt. 3 – 10 Cost., della L. n. 151 del 1975, art. 219, comma 1, la cui applicazione era stata fatta salva dalla successiva L. n. 91 del 1992.

Era da ritenersi incostituzionale la decisione di impossibilità del riacquisto della cittadinanza per mancanza della dichiarazione richiesta. Era, infatti, contraria sia agli artt. 3 – 10 Cost., sia alle disposizione della Convenzione di New York, in quanto non era giusto che una donna che aveva sposato uno straniero prima del 1948, per riacquistare la propria cittadinanza, doveva farne richiesta, mentre un uomo sposato con una straniera prima del 1948 manteneva la cittadinanza, rendendo questa trasmettibile ai figli.

I ricorrenti si chiedevano come potesse fare una donna morta prima del 1975 a fare la dichiarazione, se non era stata prevista prima di tale anno.

Sottolineavano poi che la stessa Corte di Cassazione con sent. n. 15062/00, aveva enunciato il principio secondo cui per effetto delle sentenze della Corte Costituzionale nn. 87/5 e 30/83, dalla data di entrata in vigore dalla Costituzione, la titolarità della cittadinanza italiana andava riconosciuta anche alle donne che l’avevano perduta, in quanto coniugate con cittadino straniero prima di tale data, nonchè ai figli di madre cittadina che non l’avevano riacquistata perchè nati anteriormente al 1948.

1.5. – Come quinto motivo di ricorso i ricorrenti deducevano la mancata applicazione dello ius superveniens. Per i ricorrenti, infatti, la loro richiesta era da accogliere anche alla luce del D.Lgs. n. 198 del 2006 (Codice delle Pari Opportunità tra Uomo e Donna) a norma della L. n. 246 del 2005, art. 6.

Concludevano, quindi, chiedendo la cassazione della sentenza della Corte di Roma, con la dichiarazione della cittadinanza italiana dei ricorrenti.

In via subordinata, chiedevano la cassazione con rinvio della causa ad altra Corte d’Appello.

In via ancora più subordinata, chiedevano di dichiarare non manifestamente infondata e rimettere alla Corte Costituzionale l’eccezione di incostituzionalità, relativamente agli artt. 3 – 10 Cost., della L. n. 91 del 1992, art. 219, nella parte in cui prevedeva che il riacquisto della cittadinanza fosse necessariamente richiesto con particolare riguardo alla decorrenza degli effetti di tale dichiarazione e tenuto conto del lungo lasso di tempo intercorso tra il 01.01.48 e la L. n. 151 del 1975.

2.1. – Il Ministero degli Interni nel proposto controricorso sottolineava che la Corte Costituzionale si era pronunciata sulla illegittimità costituzionale di tale normativa (perdita della cittadinanza a seguito di matrimonio con straniero e trasmissione della cittadinanza iure sanguinis) con le sentenze nn. 87/75 e 30/83, rilevando che il trattamento riservato alla donna era gravemente discriminatorio rispetto a quello dell’uomo e che, pertanto, dette disposizioni erano da considerarsi incostituzionali.

Riferiva che le sentenze del Tribunale di Roma, che avevano accordato lo status di cittadinanza in casi simili, erano già state impugnate in quanto fondate su presupposti errati e inficiate da errori di diritto. Tali sentenze non tenevano conto della distinzione tra “fatto giuridico generatore dello status” e “status giuridico”. Era lo status civitatis del genitore al momento della nascita ad assumere rilievo per l’ordinamento giuridico.

Il problema era da ricercarsi nei limiti della retroattività della dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma relativa alla perdita di cittadinanza della madre del soggetto reclamante lo status civitatis italiano dalla nascita.

Le sentenze di illegittimità costituzionale ponevano nella data dell’entrata in vigore della Costituzione il limite di retroattività della dichiarazione.

In ogni caso, il riacquisto era sottoposto alla richiesta, avente effetti costitutivi, della donna di voler mantenere o riacquistare la cittadinanza italiana.

Ne conseguiva che, in mancanza della dichiarazione di cui alla L. n. 151 del 1975, art. 219, non poteva essere considerato cittadino iurie sanguinis il figlio della donna che aveva perso la cittadinanza per matrimonio con straniero.

Simmetricamente, il figlio nato prima del 1.1.48 da madre non cittadina/non più cittadina, non poteva aver acquisito automaticamente la cittadinanza iure sanguinis, in quanto al momento della nascita mancava il presupposto giuridico della cittadinanza italiana della genitrice.

Il Ministero chiedeva, quindi, il rigetto del ricorso con ogni consequenziale pronuncia anche in ordine alle spese.

3 – Questo Collegio ritiene che i motivi di censura possano essere congiuntamente esaminati e che gli stessi risultino fondati.

Ed invero, abbandonando il precedente orientamento, alla luce di una più attenta lettura dei principi costituzionali e degli impegni internazionali circa la parità fra uomini e donne, la più recente giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte (sent. n. 4466 del 25.2.2009) ha affermato che, per effetto delle sentenze della Corte costituzionale n. 87 del 1975 e n. 30 del 1983, la cittadinanza italiana debba essere riconosciuta in sede giudiziaria alla donna che l’abbia perduta L. n. 555 del 1912, ex art. 10, per aver contratto matrimonio con cittadino straniero anteriormente al 1 gennaio 1948, e ciò indipendentemente dalla dichiarazione resa ai sensi della L. n. 151 del 1975, art. 219.

Nel caso di specie i ricorrenti affermano che detta dichiarazione vi sarebbe comunque stata ed il Ministero, ancorchè nelle sue difese faccia riferimento anche all’ipotesi in cui una simile dichiarazione sia carente, non smentisce l’assunto in fatto.

In ogni caso, secondo il principio di diritto enunciato dalla citata pronuncia a Sezioni Unite, che si ritiene di confermare anche in relazione al caso di specie, l’illegittima privazione dovuta alla norma dichiarata incostituzionale non si esaurisce con la perdita non volontaria della cittadinanza, dovuta al sorgere del vincolo coniugale, ma continua a produrre effetti anche dopo l’entrata in vigore della Costituzione, in violazione del principio fondamentale della parità tra i sessi e dell’uguaglianza giuridica e morale tra i coniugi, contenuti negli artt. 3 e 29 Cost.. Ne consegue che la limitazione temporale dell’efficacia della dichiarazione d’incostituzionalità al 1 gennaio del 1948 non impedisce il riconoscimento dello “status” di cittadino, che ha natura permanente ed imprescrittibile ed è azionabile in sede giudiziaria in ogni tempo, salva l’estinzione per effetto della rinuncia del richiedente. In applicazione di tali principi, quindi, può affermarsi che riacquista la cittadinanza italiana dal 1 gennaio 1948, non solo la donna che l’abbia persa per effetto della norma divenuta incostituzionale, ma anche il figlio di donna nella situazione descritta, nato prima di tale data e nel vigore della L. n. 555 del 1912. Tale diritto si trasmette anche ai suoi figli, determinando il rapporto di filiazione, dopo l’entrata in vigore della Costituzione, la trasmissione dello “status” di cittadino, che sarebbe loro spettato di diritto in assenza della legge discriminatoria.

Pertanto, potendosi ritenere i quesiti formulati nell’interesse dei ricorrenti ammissibili, in relazione ai richiamati motivi di ricorso, in accoglimento del ricorso medesimo, si deve disporre la cassazione della pronuncia della Corte d’appello di Roma. Non essendovi ostacoli alla decisione nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., si può procedere a dichiarare (omissis) e (omissis) cittadini italiani, con le conseguenti pronunce nei confronti dell’Ufficiale di Stato Civile competente.

Al riconoscimento devono seguire le formalità di legge da disporsi in via accessoria.

La successione delle leggi nel tempo, le pronunce di incostituzionalità intervenute e le incertezze della giurisprudenza inducono a compensare le spese dell’intero giudizio fra le parti.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., accoglie la domanda di (omissis) e (omissis), e li dichiara cittadini italiani; ordina al Ministero dell’Interno e, per esso, all’Ufficiale di Stato Civile competente, di procedere alle iscrizioni, trascrizioni e comunicazioni alle autorità consolari competenti; compensa le spese dell’intero giudizio tra le parti.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 maggio 2009.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2009

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