SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Ritenuto che:
Con sentenza nr 618/2020 la Corte di appello di Catania dichiarava cessata la materia del contendere sull’appello proposto da C.V.F. nei confronti di T.C.M.R.L., T.V.V. e T.M.B. in relazione alla pronuncia del Tribunale di Catania pubblicata il 13.11.2017, che aveva pronunciato lo scioglimento del loro matrimonio.
Il giudice del gravame rilevava che, nel giudizio di divorzio, la sopravvenuta morte del coniuge determina la cessazione della materia del contendere, con riferimento sia al giudizio sullo status che alle domande aventi ad oggetto il mantenimento dei figli e l’assegno divorzile.
Osservava che il decesso travolgeva tutte le precedenti pronunce emesse e non passate in giudicato, anche con riferimento alle istanze accessorie circa la regolamentazione dei rapporti patrimoniali attinenti alla cessazione della convivenza. Avverso tale sentenza, T.C.M.R.L., T.V.V. e T.M.B., quali eredi del defunto T.A., propongono ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, illustrati da memoria, cui resiste C.V.F., con controricorso.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
Considerato che:
Con il primo motivo si denuncia la nullità della sentenza per avere la Corte di appello dichiarato la cessazione della materia del contendere, pur in assenza dei relativi presupposti in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.
Con un secondo motivo si deduce la nullità del procedimento per avere la Corte di appello dichiarato la cessazione della materia del contendere nonostante l’evidente inammissibilità dell’impugnazione della sentenza di primo grado.
Con un terzo motivo si critica la decisione nella parte in cui, in violazione dell’art. 276 c.p.c., comma 2, è stato invertito l’ordine di esame e di decisione delle questioni (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).
Con un quarto motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., comma 1, per non avere il giudice di appello dichiarato inammissibile il gravame avversario nonostante ne ricorressero le condizioni in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Con il quinto motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c., per avere la Corte di appello ritenuto che fosse venuto meno l’interesse allo scioglimento del matrimonio.
Il primo motivo è infondato.
Il problema controverso concerne le sorti del giudizio di divorzio quando intervenga, nel corso del suo svolgimento, la morte di una parte sia con riferimento al rapporto di coniugio, sia a tutti i profili economici connessi.
Nel caso che ci occupa, in assenza del passaggio in giudicato della sentenza non definitiva che ha pronunciato lo scioglimento del rapporto coniugale, la questione generale è stata risolta da questa Corte a S.U., con la sentenza nr 20494/2022.
In proposito, è stato affermato il principio di diritto secondo cui “Nell’evenienza che il giudice statuisca solo sullo status e, con separata ordinanza, dia disposizioni per la prosecuzione del giudizio relativamente agli effetti patrimoniali, se la sentenza sullo status è impugnata in via immediata (l’unica impugnazione ammessa ex art. 4, comma 12, secondo periodo), mentre, nelle more, prosegua in primo grado il giudizio sull’assegno, il decesso sopravvenuto impedisce qualsiasi giudicato al riguardo: il processo si concluderà con la declaratoria, da parte del giudice dell’impugnazione, della cessazione della materia del contendere, in conseguenza del venir meno, per ragioni naturali, dello status, ai sensi dell’art. 149 c.c.; ed il giudizio relativo all’assegno, ancora in istruttoria, subisce la stessa sorte, non essendovi più la parte contro cui pretendere alcunché“.
L’impugnazione da parte del coniuge soccombente dell’intera decisione, sia della parte relativa allo status che della parte riguardante gli aspetti patrimoniali, sulla base del richiamato principio a cui viene data continuità in questa sede, pertanto impedendo il formarsi di ogni giudicato, fa rimanere vivo l’oggetto del processo, interamente controverso.
Ove sopravvenga il decesso di una delle parti nel corso di giudizio di impugnazione, nessuno status si è consolidato e nessun diritto all’assegno può più essere vantato, mancando l’unico legittimato attivo al riguardo, né una situazione si è consolidata in capo al de cuius prima dell’evento.
Il processo si estingue, per cessazione della materia del contendere, difettando il titolo presupposto dal quale far derivare l’eventuale accertamento di obbligazioni conseguenti.
Ciò posto, nel caso di specie, la signora V.F. aveva impugnato la sentenza nr 4730/2017 non definitiva (ovvero definitiva parziale) del Tribunale che aveva pronunciato unicamente sullo status, sicché anche solo su questo punto non si era formato alcun giudicato.
In questo quadro, correttamente, la Corte di appello ha dichiarata cessata la materia del contendere.
Le altre questioni veicolate con i rimanenti motivi restano assorbite.
Alla stregua delle considerazioni sopra esposte, il ricorso va rigettato.
Le spese di legittimità vanno compensate, tenuto conto dell’evoluzione della richiamata giurisprudenza.
Va disposto che, in caso di diffusione della presente sentenza, siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti menzionati, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
PQM
La Corte rigetta il ricorso; compensa le spese tra le parti in giudizio.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello da corrispondere per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Dispone che, in caso di diffusione della presente sentenza, siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti menzionati, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2022.
Depositato in Cancelleria il 28 dicembre 2022
