Massima

Il diritto al riconoscimento del figlio nato fuori dal matrimonio può essere sacrificato solamente in presenza di motivi gravi ed irreparabili tali da pregiudicare in modo irreversibile lo sviluppo psico- fisico del minore. Questo è il discrimen che il giudice deve filtrare in concreto al fine di valutare il bilanciamento tra opposti interessi, quali l’esigenza di affermare la verità biologica e l’interesse di conservare i rapporti familiari nonché lo sviluppo del minore. Il suddetto principio trova fondamento nella distinzione dei concetti giuridici di riconoscimento ed esercizio della responsabilità genitoriale. Il riconoscimento inteso come status genitoriale non può essere mai eluso, a meno che il minore non possa subire un pregiudizio gravissimo – da accertarsi in concreto – da parte del padre, dato ad esempio dal “suo inserimento in un ambiente di criminalità organizzata ed attualmente detenuto per tali gravi reati. Non sono sufficienti mere pendenze penali né la sola valutazione del rischio di un eventuale distacco del minore dall’attuale contesto di affidamento deve costituire interferenza ostativa al riconoscimento, posto che non vi è alcun nesso con l’esercizio del diritto alla genitorialità, potendo invece tale valutazione costituire oggetto di giudizio in diverso procedimento ad hoc. La titolarità dell’esercizio della responsabilità genitoriale, al contrario, può essere – successivamente al riconoscimento effettuato – soggetta a limitazione fino alla decadenza, ove venga evidenziata una situazione di pregiudizio grave o comunque di interferenza negativa con il benessere del minore.

Supporto alla lettura

RICONOSCIMENTO FIGLI 

Con l’entrata in vigore della L. 219/2012 si è stabilito il superamento di ogni ineguaglianza normativa tra figli legittimi e figli naturali in virtù del principo dell’unicità dello status di figlio. Pertanto i figli nati fuori dal matrimonio sono equiparati a tutti gli effetti ai figli nati in costanza di matrimonio.

Quando nasce un bambino i cui genitori sono uniti fra loro da un matrimonio valido agli effetti civili la denuncia di nascita può essere resa indifferentemente dalla mamma o dal papà.

Quando invece il bambino nasce da genitori non sposati è necessario che venga riconosciuto da entrambi ai fini della attribuzione della maternità e paternità, e ciò avviene tramite l’atto di riconoscimento o la dichiarazione giudiziale da parte del Tribunale a seguito di procedimento attivato da parte interessata.

Il genitore che riconosce il figlio deve aver compiuto il sedicesimo anno di età, salvo che il giudice, valutate le circostanze e avuto riguardo all’interesse del figlio, li autorizzi.

Il figlio nato fuori dal matrimonio può essere riconosciuto da uno solo o da entrambi i genitori congiuntamente al momento della nascita. Nel caso in cui il bambino, alla nascita, sia stato riconosciuto da un solo genitore, sarà sempre possibile, nel futuro, il riconoscimento da parte dell’altro con apposita dichiarazione posteriore alla nascita davanti all’ufficiale dello stato civile, al Giudice Tutelare o ad un Notaio. (Atto Pubblico o Testamento).

Se il figlio riconosciuto ha compiuto il quattordicesimo anno di età deve dare il suo assenso al riconoscimento, se invece il figlio riconosciuto ha meno di 14 anni il genitore che per primo lo ha riconosciuto deve esprimere il suo consenso al riconoscimento successivo.

Altra situazione particolare è quella in cui si procede al riconoscimento di un figlio nascituro che viene utilizzata nel caso in cui i genitori, al momento della dichiarazione di nascita non possano essere entrambi presenti, oppure nel caso di professioni pericolose, in questa eventualità, può essere effettuato il riconoscimento del bambino prima della nascita da parte della madre o di entrambi i genitori.

Esiste inoltre la possibilità che un bambino non venga riconosciuto dai genitori, in questo caso la dichiarazione di nascita verrà resa da chi ha assistito al parto e il cognome viene attribuito dall’ufficiale dello stato civile che deve seguire le indicazioni e i limiti indicati dall’ordinamento vigente.

Se ad effettuare il riconoscimento è un solo genitore (generalmente la madre), al figlio verrà attribuito il suo cognome, se invece il riconoscimento viene effettuato da entrambi i genitori congiuntamente al momento della denuncia di nascita, il cognome attribuito sarà quello del padre, salvo richiesta da parte degli stessi di attribuzione anche del cognome materno in aggiunta a quello paterno.

Se il figlio viene riconosciuto prima dalla madre e solo successivamente dal padre, acquisisce al momento della denuncia di nascita il cognome materno. Il successivo atto di riconoscimento paterno è determinante ai fini dell’attribuzione del cognome ma lo è altrettanto l’età del figlio:

  • se il figlio è minorenne il cognome viene deciso dal Tribunale Ordinario competente per territori e la richiesta al giudice ordinario di attribuzione del cognome conseguente al successivo riconoscimento paterno del minore deve essere inoltrata dagli stessi genitori;
  • se il figlio è maggiorenne può scegliere se assumere il cognome del padre in aggiunta a quello della madre, assumere il cognome paterno in sostituzione di quello della madre o mantenere quello della madre.

Ambito oggettivo di applicazione

FATTO

La Corte d’appello di Torino, con sentenza n. 31/2021, pubblicata il 13/12/2021, ha confermato la decisione del Tribunale di Aosta del dicembre 2020, con la quale, sulla base della situazione di pregiudizio per la minore, era stata respinta una azione di riconoscimento ex art. 250 c.p.c., promossa da (omissis), cittadino russo, che assumeva di essere padre biologico della minore (omissis), nata a (omissis), riconosciuta alla nascita dalla sola madre (omissis), in quanto, finita la relazione sentimentale tra il ricorrente e la madre della minore, il primo era stato avvisato, mentre si trovata in carcere, della nascita della bambina dalla (omissis), e, dopo la scarcerazione aveva effettuato il test di paternità, dal quale era emerso il legame biologico.

Un primo ricorso, promosso nel luglio 2019, nella contumacia della madre, si era concluso con sentenza del Tribunale di rigetto della domanda, sentenza annullata dalla Corte d’appello, per mancata nomina di un Curatore speciale della minore. Nel frattempo, era iniziato un procedimento per la dichiarazione di adottabilità della minore e la madre era stata sospesa dall’esercizio della responsabilità genitoriale, giudizio conclusosi con sentenza del Tribunale di declaratoria dello stato di adottabilità della minore, con affidamento della stessa “a rischio giuridico” ad una coppia, ma la decisione era stata appellata, dal padre, dalla nonna e dalla zia paterne e il giudizio era stato, dalla Corte d’appello, sospeso, essendosi ritenuta pregiudiziale a tale giudizio la pronuncia sul possibile riconoscimento da parte del padre.

In particolare, i giudici di appello, nel presente giudizio ex art. 250 c.c., hanno rilevato che, pur documentata la prova della paternità della minore in capo all’appellante con la produzione di una perizia stragiudiziale che la accertava “in termini percentuali pari al 99,9999%”, era stato ormai superato il vecchio indirizzo giurisprudenziale secondo cui il riconoscimento del secondo genitore costituisce, in linea di principio, un vantaggio per la prole, occorrendo vagliare quale fosse il concreto interesse del minore e, nella specie, non sussisteva alcun concreto interesse in capo alla minore al riconoscimento da parte dell’appellante e, anzi, da tale genitorialità sarebbe potuta derivare alla bambina, con un giudizio di forte probabilità, una grave ed irreversibile compromissione dello sviluppo psico-fisico, essendo il padre “portatore di una personalità criminale, pericolosa, violenta, e prevaricatrice, che si è esplicitata in tali forme anche nei riguardi della stessa madre e della nonna materna” (emergendo dal certificato penale: due condanne definitive per procacciamento ad altri di sostanze stupefacenti continuato, fatto commesso nel 2016, e guida in stato di ebbrezza, fatto commesso nel 2017; con decreto definitivo del Tribunale di Torino del 27/2/2019 lo stesso era stato sottoposto a sorveglianza speciale per anni 1 e mesi 6; l’arresto nel febbraio 2018 e una condanna, non definitiva, alla pena di anni due di reclusione per atti persecutori ai danni della (omissis) e della di lei madre, nonché per danneggiamento seguito da incendio, ai danni di altro soggetto; nuovo arresto per il reato di rapina aggravata in concorso e condanna, confermata in appello, del GIP Tribunale di Aosta del 2019, alla pena di anni quattro di reclusione; una nuova misura cautelare, applicatagli nel gennaio 2020, dal GIP di Aosta per un diverso fatto di rapina aggravata, commesso nel giugno 2019, per il quale veniva in primo grado assolto, con appello, pendente, proposto dal PM; nuovo arresto, nell’aprile 2020, per maltrattamenti e lesioni; la condanna, non definitiva, con sentenza del febbraio 2020 del Tribunale di Aosta alla pena di anni uno di reclusione e multa di Euro 300,00 per i reati di furto aggravato, furto in abitazione, l. 110 del 1975, art. 4 fatti commessi nel (omissis)), nonché affetto da una “radicata condizione di dipendenza”, insorta sin dall’età di (omissis), per uso di eroina (e non era stato valutato, durante la carcerazione, come soggetto idoneo all’inserimento nella comunità interna al carcere).

La Corte territoriale rilevava poi l’assenza di rapporti del padre con la minore (nata allorché il padre si trovava in carcere e da lui vista solo a (omissis), nella comunità che ospitava la madre e la bambina, la quale poi, a (omissis), era stata inserita da sola in comunità, in quanto la madre aveva avuto pesanti ricadute nell’uso di sostanze stupefacenti ed aveva violato le regole della comunità) e della minore con la rete parentale paterna (la nonna paterna, sentita dal Tribunale per i Minorenni nel settembre 2019, aveva riferito di non avere mai incontrato la minore) e che l’evoluzione della minore (all’esito della consulenza tecnica d’ufficio del luglio 2019, depositata avanti il Tribunale per i minorenni, dalla quale emergeva che la minore, che, nel 2019, mostrava “ritardo nelle tappe evolutive ed un alto rischio evolutivo”, si era positivamente inserita in famiglia affidataria a rischio giuridico nel giugno 2021), era incompatibile con l’attribuzione della paternità al (omissis).

Avverso la suddetta pronuncia, (omissis) propone ricorso per cassazione, notificato tra l’11/2/2022 e il 22/2/2022 (ex art. 143 c.p.c. alla (omissis)), affidato a quattro motivi, nei confronti di Avv.to (omissis), in qualità di Curatore speciale della minore (omissis), (che resiste con controricorso, notificato il 18/3/22) e di (omissis) (che non svolge difese). Parte controricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta: a) con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, della Cost., artt. 250 c.c. e 2 e 30 e 8 della CEDU, in riferimento all’asserita personalità criminale pericolosa e violenza del ricorrente; b) con il secondo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, della Cost., artt. 250 c.c. e 2 e 30 e 8 della CEDU, in riferimento alla dichiarata assenza del rapporto del padre con la minore; c) con il terzo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, della Cost., artt. 250 c.c. e 2 e 30 e 8 della CEDU, in relazione all’asserita influenza negativa del ricorrente sulla madre della bambina; d) con il quarto motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, degli artt. 250 c.c. e Cost., 2 e 30 e 8 della CEDU, per asserita impossibilità di scindere la questione della titolarità della paternità dagli aspetti del concreto esercizio della genitorialità.

2. Le censure, da esaminare unitariamente in quanto connesse, sono fondate.

Il diritto al riconoscimento del figlio nato fuori dal matrimonio può essere sacrificato solamente in presenza di motivi gravi ed irreparabili tali da compromettere in modo irreversibile lo sviluppo psico-fisico del minore. Tale è il discrimen che il giudice deve vagliare in concreto al fine di valutare il bilanciamento tra opposti interessi, quali l’esigenza di affermare la verità biologica e l’interesse di preservare i rapporti familiari nonché lo sviluppo del minore.

Il suddetto principio trova fondamento nella distinzione dei concetti giuridici di “riconoscimento” ed “esercizio della responsabilità genitoriale”. Il riconoscimento inteso come status genitoriale non può essere mai eluso, a meno che il minore non possa subire un pregiudizio gravissimo – da accertarsi in concreto – da parte del padre, dato ad esempio dal “suo inserimento in un ambiente di criminalità organizzata ed attualmente detenuto per tali gravi reati” (cfr. Cass. 23074/2005). Non sono sufficienti mere pendenze penali né la sola “valutazione del rischio di un eventuale distacco del minore dall’attuale contesto di affidamento deve costituire interferenza ostativa al riconoscimento, posto che non vi è alcun nesso con l’esercizio del diritto alla genitorialità, potendo invece tale valutazione costituire oggetto di giudizio in diverso procedimento “ad hoc” ” (Cass. 2645 del 2011).

La titolarità dell’esercizio della responsabilità genitoriale, al contrario, può essere – successivamente al riconoscimento effettuato – soggetta a limitazione fino alla decadenza, ove venga evidenziata una situazione di pregiudizio grave o comunque di interferenza negativa con il benessere del minore (nell’ipotesi in cui si adottino provvedimenti conformativi).

Sul tema, la Suprema Corte si è poi espressa ritenendo che “nel giudizio volto al riconoscimento del figlio minore di anni quattordici da parte del secondo genitore, nell’ipotesi di opposizione del primo che lo abbia già effettuato, occorre procedere ad un bilanciamento, il quale non può costituire il risultato di una valutazione astratta, ma deve procedersi ad un accertamento in concreto dell’interesse del minore nelle vicende che lo riguardano, con particolare riferimento agli effetti del provvedimento richiesto in relazione all’esigenza di un suo sviluppo armonico, dal punto di vista psicologico, affettivo, educativo e sociale” (Cass. 18600/2021). Nella fattispecie con cui si è misurata la sentenza, veniva in questione “l’abituale condotta violenta e prevaricatrice del padre biologico nei confronti della madre e dei suoi familiari, frutto di un modello culturale di rapporti di genere, che doveva invece essere posta in evidenza nell’operazione di bilanciamento”: bilanciamento – quello tra l’esigenza di affermare la verità biologica e l’interesse alla stabilità dei rapporti familiari (sostanzialmente equivalente a quello tra il diritto soggettivo di colui che vuole riconoscere il figlio e l’interesse del minore a non subire una forte compromissione del proprio sviluppo psico-fisico, di cui si è in precedenza detto) – che la pronuncia postula non poter essere declinato in astratto, come, invece, accaduto nella motivazione della sentenza di appello impugnata in quel giudizio.

Nella successiva sentenza n. 24718/2021, questa Corte ha ulteriormente precisato che “Il diritto, come quello alla vita familiare, stabilito all’art. 8 Cedu, non presenta carattere assoluto ma, al contrario, può essere sacrificato all’esito di un giudizio di bilanciamento con il concreto interesse del minore a non subire per effetto del riconoscimento un grave pregiudizio per il proprio sviluppo psico fisico. L’accertamento da svolgersi, tuttavia, deve essere rigoroso perché non qualsiasi turbamento può incidere sull’indicato diritto costituzionalmente e convenzionalmente protetto ma solo il pericolo, fondato su un giudizio prognostico concretamente incentrato sulla situazione personale e relazionale del genitore e del minore che abbia ad oggetto la verifica del pericolo per lo sviluppo psico-fisico non traumatico del minore stesso, derivante dal riconoscimento richiesto. Non può essere assunto come elemento di comparazione il concreto esercizio della responsabilità genitoriale, per modulare il quale vi sono strumenti di tutela diversi, ma deve trattarsi di un grave pregiudizio causalmente determinato dall’esistenza sopravvenuta dello status genitoriale. Poiché la corretta e veritiera rappresentazione della genitorialità costituisce elemento costitutivo dell’identità del minore e del suo equilibrato sviluppo psico-fisico, la sottrazione radicale del rapporto giuridico paterno o materno, conseguente al diniego di riconoscimento ex art. 250 c.c., può essere giustificata soltanto dalla valutazione prognostica di un pregiudizio superiore al disagio psichico indubitabilmente conseguente dalla mancanza e non conoscenza di uno dei genitori, da correlarsi alla pura e semplice attribuzione della genitorialità” (in applicazione di tale principio, questa Corte ha cassato con rinvio la sentenza impugnata che, nel rigettare la domanda proposta ex art. 250 c.c., aveva del tutto omesso di effettuare il predetto bilanciamento, limitandosi a considerare i vari precedenti penali del padre e l’intervenuta revoca del permesso di soggiorno).

Di recente (Cass. 8762/2023), si è ribadito che “nel giudizio volto al riconoscimento del figlio naturale, l’opposizione del primo genitore che lo abbia già effettuato non è ostativa al successivo riconoscimento, dovendosi procedere ad un accertamento in concreto dell’interesse del minore nelle vicende che lo riguardano, con particolare riferimento agli effetti del provvedimento richiesto in relazione all’esigenza di un suo sviluppo armonico, dal punto di vista psicologico, affettivo, educativo e sociale; del pari, è ammissibile l’attribuzione del cognome del secondo genitore in aggiunta a quello del primo, purché non arrechi pregiudizio al minore in ragione della cattiva reputazione del secondo e purché non sia lesiva della identità personale del figlio, ove questa si sia già definitivamente consolidata, con l’uso del solo primo cognome, nella trama dei rapporti personali e sociali” (cfr. anche Cass. 5634/2023).

In definitiva, nel caso in cui l’altro genitore (che abbia già effettuato il riconoscimento) non presti il consenso, il giudice deve operare un bilanciamento tra il diritto soggettivo di colui che vuole riconoscere il figlio e l’interesse del minore a non subire una forte compromissione del proprio sviluppo psico-fisico, da compiersi operando un giudizio prognostico, che valuti non già il concreto esercizio della responsabilità genitoriale, per modulare il quale vi sono diversi strumenti di tutela, ma la sussistenza, nel caso specifico, di un grave pregiudizio per il minore che derivi dal puro e semplice acquisto dello status genitoriale e che si riveli superiore al disagio psichico conseguente alla mancanza o non conoscenza di uno dei genitori.

Il giudice di secondo grado non ha fatto buon governo dei principi sopra esposti, confermando la decisione di primo grado che aveva respinto la domanda di riconoscimento della figlia naturale da parte del padre.

La Corte di merito, dopo avere descritto, sulla base delle informative assunte, la personalità del padre biologico, dando atto che lo stesso, tossicodipendente (e la condizione di tossicodipendenza non risultava, all’epoca, risolta, come emergeva dalla relazione del Servizio Dipendenze del carcere di (Omissis)), aveva già riportato, nonostante la giovane età, molteplici condanne in sede penale (anche per atti persecutori ai danni della madre della minore di cui è chiesto il riconoscimento e danneggiamento seguito da incendio all’autovettura della di lei madre), si è soffermata, dovendo verificare l’interesse in concreto della minore al riconoscimento da parte del ricorrente, su questioni concernenti l’esercizio della responsabilità genitoriali, estranee al giudizio de quo, e costituenti oggetto di separato giudizio (sospeso) di dichiarazione dello stato di adottabilità della minore.

La Corte d’appello ha dato atto, infatti, che, anzitutto, anche a causa del riavvicinamento del (omissis) alla (omissis), nel (omissis), già la madre della minore aveva deciso di interrompere il percorso comunitario in atto con la figlia e qualche mese dopo si allontanava anche dalla comunità, con conseguente fallimento del tentativo di recupero delle capacità genitoriali della stessa e che, alla luce di quanto rilevato dal consulente tecnico d’ufficio, in una consulenza, acquisita agli atti del primo grado, nel luglio 2019, vi era l’urgente necessità di inserimento della bambina in adeguato ambiente famigliare e la stessa, in comunità dai primi mesi di vita e ivi rimasta da sola da (omissis), era stata positivamente inserita nel (omissis) in una famiglia affidataria “a rischio giuridico”, con la quale aveva ormai costruito un legame di fiducia e di attaccamento ed aveva recuperato una condizione di benessere, costituendo ormai un rapporto identitario e familiare in abito diverso da quello biologico: a fronte dell’assenza di rapporti significativi della bambina con il padre e la rete parentale paterna (dovuti, peraltro, alla storia stessa della bambina, nata allorché il padre era in carcere e collocata in comunità sin dai primi mesi di vita), l’evoluzione della minore (che, nel 2019, mostrava “ritardo nelle tappe evolutive ed un alto rischio evolutivo”) doveva ritenersi incompatibile con l’attribuzione della paternità al (omissis), risolvendosi in una frattura nel difficile equilibrio e nei progressi nello sviluppo psico-fisico raggiunti.

La Corte d’appello, dunque, ha negato il diritto al riconoscimento da parte del padre – in assenza del consenso della madre, che non si è espressa, rimanendo contumace – tenendo conto prevalentemente dei precedenti penali dei quali è gravato (uno soltanto in danno della madre e della nonna della minore), da alcuni dei quali egli risulta, peraltro, essere stato assolto.

E’ mancato qualsiasi accertamento in concreto – da espletarsi anche mediante consulenza tecnica d’ufficio – in ordine al pregiudizio effettivo che possa derivare alla minore dal puro e semplice acquisto dello status genitoriale, che – nel bilanciamento con il diritto soggettivo del padre al riconoscimento – risulti effettivamente prevalente, e che si riveli anche superiore al disagio psichico conseguente alla mancanza o non conoscenza di uno dei genitori.

3. Per tutto quanto sopra esposto, in accoglimento del ricorso, va cassata la sentenza impugnata con rinvio della causa alla Corte d’appello di Torino, in diversa composizione. Il giudice del rinvio provvederà alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Torino in diversa composizione, anche in ordine alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.Dispone che, ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52 siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 3 ottobre 2023.

Depositato in Cancelleria il 28 novembre 2023

Allegati

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