– la Corte di appello ha riferito, per quanto interessa in questa sede, che l’azione di responsabilità esercitata nei confronti dell’odierno ricorrente si fondava sull’inadempimento dei doveri derivanti dall’assunzione della carica di sindaco nella predetta società, non avendo questi adottato alcuna iniziativa in presenza di una gestione “disinvolta” delle risorse della società da parte dell’amministratore unico e della mancata convocazione dell’assemblea da parte di quest’ultimo finalizzata alla ricapitalizzazione della società o alternativamente al suo scioglimento;
– ha dato atto che il giudice di primo grado aveva accertato la responsabilità dei sindaci in relazione al parere favorevole all’approvazione del bilancio chiuso al 31 dicembre 2007, malgrado questo registrasse l’anomala risultanza di un credito della società nei confronti del socio (omissis) per € 496.214,25 per prelevamenti effettuati e mai autorizzati dall’assemblea, anche solo a compensazione dei crediti per finanziamenti, e alla condotta inerte in presenza di prelievi da parte dell’amministratore di ulteriori ingenti somme a titolo di rimborso finanziamento soci o ad altro titolo, dell’omesso pagamento dei ratei dei mutui intestati alla società e dell’omesso pagamento delle imposte;
– dopo aver rilevato che gli appellanti (omissis) e (omissis), componenti anch’essi il collegio sindacale, avevano transatto la vertenza con la curatela, per cui si imponeva la dichiarazione di cessazione della materia del contendere tra tali parti (nonché con la (omissis) Assicurazioni Spa, chiamata in causa dal predetto (omissis)), ha disatteso il gravame dell’odierno ricorrente, confermando la decisione del giudice di primo grado;
– il ricorso è affidato a tre motivi;
– resiste con controricorso, il Fallimento della (omissis) Srl;
– le parti depositano memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ.;
– con il secondo motivo deduce la violazione degli artt. 2407, 2697 e 2729 cod. civ. e 115 e 116 cod. proc. civ. e, comunque, la illogicità della motivazione in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., per aver la Corte di appello fatto discendere la sua responsabilità dalla mancata adozione delle iniziative conseguenti alle irregolarità gestorie poste in essere dall’amministratore e, per l’esattezza, per non aver convocato l’assemblea ex art. 2406 cod. civ., per non aver effettuato la denunzia al Tribunale ex art. 2409 cod. civ. e per non aver deliberato l’esercizio dell’azione sociale di responsabilità nei confronti dell’amministratore ex art. 2393, secondo comma, cod. civ.;
– evidenzia, sul punto, che la convocazione dell’assemblea ex art. 2406 cod. civ. in una società, quale quella in esame, a socio unico, coincidente con l’amministratore, è totalmente inutile o inefficace e che nelle società a responsabilità limitata non si applicano gli artt. 2409 e 2393, terzo comma, cod. civ.;
– aggiunge che aveva sempre adempiuto, anche oltre i termini della propria carica sindacale, al dovere di vigilanza segnalando le irregolarità riscontrate non appena rilevate, come reso evidente dai rilievi contenuti della relazione al bilancio 2008 e dall’invito ivi rivolto all’amministratore a prendere i provvedimenti di cui all’art. 2446 cod. civ.;
– con il terzo motivo si duole della violazione degli artt. 2385, 2400, 2477, 2448, 2697 e 2729 cod. civ. e 115 e 116 cod. proc. civ. e, comunque, della illogicità della motivazione in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., per aver la sentenza impugnata ritenuto che dopo la manifestazione del recesso dall’incarico di sindaco fosse suo onere verificare i conseguenti provvedimenti adottati dalla società e, eventualmente, chiedere la rettifica dei verbali assembleari e procedere alla loro impugnazione;
– critica, altresì, tale sentenza per aver ritenuto che la cessazione della carica di sindaco non fosse opponibile ai terzi prima della sua iscrizione nel Registro delle imprese;
– il primo e il terzo motivo possono essere esaminati congiuntamente e sono inammissibili;
– la Corte di appello ha accertato che l’intero collegio sindacale non aveva mai provveduto a ufficializzare le proprie dimissioni e che, con particolare riferimento alla posizione dell’odierno ricorrente, l’affermazione della effettività delle sue dimissioni all’8 gennaio 2009
– in un’epoca antecedente al compimento di gran parte delle distrazioni – “non è compatibile non solo con la redazione e sottoscrizione in data 14/03/2009 della relazione del collegio sindacale al bilancio chiuso al 31/12/2008 e non è neppure compatibile con la partecipazione all’assemblea dei soci da parte dei sindaci tenutasi il 28/09/2009”, oltre a non trovare riscontro nella documentazione acquisita al giudizio;
– ha, poi, aggiunto, quale ulteriori e autonome rationes decidendi sul punto, che le affermate dimissioni – quand’anche fossero state rassegnate alla data indicata dal ricorrente – non sarebbero idonee a provocare la cessazione dalla carica per operatività del regime di prorogatio e che la cessazione della carica non era opponibile al terzo prima dell’avvenuta iscrizione al Registro delle Imprese e, dunque, quantomeno fino alla data del primo marzo 2010;
– orbene, le doglianze non si confrontano la prima ratio decidendi, consistente nell’accertata sussistenza della carica di sindaco quanto meno sino al 28 settembre 2009, desunta dalla mancata prova della dedotta avvenuta rassegnazione delle dimissioni, e, per tale motivo, non possono essere prese in esame, muovendo da un presupposto fattuale che non trova riscontro nella sentenza impugnata (cfr., in tema, Cass., Sez. Un., 12 novembre 2020, n. 25573; Cass. 13 marzo 2018, n. 6035);
– sotto altro profilo, esse si risolvono, in una critica alla valutazione delle risultanze probatorie effettuate dal giudice di merito che è a questi riservata (cfr. Cass., Sez. Un., 27 dicembre 2019, n. 34476);
– la resistenza di tale ratio decidendi osta all’esame delle critiche mosse avverso le ulteriori rationes in quanto inidonee a condurre, stante l’intervenuta definitività della prima, alla cassazione della decisione;
– il secondo motivo è, del pari, inammissibile;
– come accennato in precedenza la Corte territoriale ha ritenuto che l’odierno ricorrente, quale componente il collegio sindacale della Carmel Magazzini Srl, aveva osservato una condotta inerte e violativa dei propri doveri di vigilanza in relazione alle gravi irregolarità gestionali poste in essere dell’amministratore, esprimendo parere favorevole al bilancio relativo all’esercizio sociale chiuso al 31 dicembre 2007, mancando di evidenziare nelle relazioni trimestrali le anomalie desumibili dalle verifiche delle scritture contabili e omettendo di adottare iniziative, quali la denunzia al Tribunale ai sensi dell’art. 2409 cod. civ. ovvero la proposizione dell’azione sociale di responsabilità ai sensi del 2393, secondo comma, cod. civ., che avrebbero potuto evitare o almeno limitare i danni subiti dai creditori sociali e dalla società;
– orbene, si rammenta che il sistema di diritto societario configura in capo ai sindaci una responsabilità per fatto proprio omissivo, da correlarsi alla condotta degli amministratori e che i doveri di controllo imposti ai sindaci sono contraddistinti da una particolare ampiezza, poiché si estendono a tutta l’attività sociale, in funzione della tutela e dell’interesse dei soci e di quello, concorrente, dei creditori sociali;
– ne consegue che al fine dell’affermazione della responsabilità dei sindaci non occorre l’individuazione di specifici comportamenti dei medesimi, ma è sufficiente che questi non abbiano rilevato una macroscopica violazione o non abbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità, omettendo di porre in essere gli atti necessari all’assolvimento dell’incarico con diligenza, correttezza e buona fede (cfr. Cass. 11 dicembre 2019, n. 32397; Cass. 3 luglio 2017, n. 16314; Cass. 13 giugno 2014, n. 13517; Cass. 11 novembre 2010, n. 22911);
– la doglianza in esame non investe la ratio della decisione consistente nell’accertata violazione dell’obbligo di vigilanza, limitandosi a evidenziare che le possibili iniziative lui cui omissione la Corte di appello contesta al ricorrente (convocazione dell’assemblea ex art. 2406 cod. civ., denuncia al Tribunale ex art. 2409 cod. civ. e esercizio dell’azione sociale di responsabilità ex art. 2393, terzo comma, cod. civ.) non avrebbero sortito effetti utili e/o non rientravano erano nei suoi poteri;
– tuttavia, avuto riguardo ai riferiti principi, la deduzione della inutilità o impraticabilità di siffatte iniziative non risulta concludente, attesa la mancata contestazione dell’accertamento in ordine alla violazione del dovere di diligenza, in relazione agli atti gestori illeciti compiuti dall’amministratore;
– pertanto, per le indicate considerazioni, il ricorso non può essere accolto;
– le spese processuali seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo
condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi € 7.000,00, oltre rimborso forfettario nella misura del 15%, € 200,00 per esborsi e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, t.u. spese giust., dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 2 ottobre 2024.
Depositata in Cancelleria il 28 ottobre 2024.
