Massima

In materia di circolazione dei diritti di utilizzazione economica della fotografia (diritti connessi, Art. 107 L. n. 633/1941), qualora il fotografo (attore) abbia ceduto il diritto esclusivo di riproduzione a terzi e agisca in giudizio contro un ulteriore soggetto che ne contesti la titolarità, affermando la permanenza in capo a sé di un diritto esclusivo (ad esempio, per una cessione limitata o con esclusiva), incombe sull’attore l’onere di dimostrare, ai sensi dell’Art. 2697 c.c., l’oggetto e gli eventuali limiti della cessione del diritto esclusivo. Tale prova è richiesta anche in considerazione dell’Art. 110 L. n. 633/1941, che impone la forma scritta ad probationem per la trasmissione dei diritti di utilizzazione. In assenza di tale prova, e dato che la legge rimette l’oggetto della cessione all’autonomia privata (Art. 1322 c.c., richiamato da Art. 107 e 109 L.D.A.), si deve presumere la cessione integrale del diritto esclusivo.

Supporto alla lettura

PROPRIETA’ INTELLETTUALE 

La proprietà intellettuale consiste in un sistema di tutela giuridica dei beni immateriali che sono il risultato dell’attività inventiva e creativa dell’uomo. In particolare, si tratta di un insieme di diritti esclusivi riconosciuti sulle creazioni intellettuali, articolandosi, da un lato, nella proprietà industriale relativa a invenzioni (brevetti), marchi, disegni e modelli industriali e indicazioni geografiche e, dall’altro, nei diritti d’autore a copertura delle opere letterarie e artistiche.

Sebbene regolamentati da diverse normative nazionali e internazionali, i diritti di proprietà intellettuale (DPI) sono anche disciplinati dalla legislazione dell’Unione europea.

Ambito oggettivo di applicazione

Svolgimento del processo

…(omissis)

1.1. Con citazione del 17 febbraio 1989, (omissis), titolare dell’Agenzia fotogiornalistica “(omissis)” di Vigevano, convenne dinanzi al Tribunale di Milano la “(omissis)” di (omissis) & C. S.n.c. e – premesso che sul mensile “(omissis)” era stata pubblicata una fotografia di proprietà della sua agenzia, raffigurante il Sindaco di Trezzano; e che nessuna autorizzazione era stata richiesta e rilasciata per tale pubblicazione, ripresa indebitamente dal giornale “Cronaca mese”, cui la fotografia era stata regolarmente ceduta per la pubblicazione in via esclusiva – chiese la condanna della Società convenuta al risarcimento di tutti i danni per l’abusiva pubblicazione della fotografia.

Costituitosi, nella qualità, (omissis) eccepì, preliminarmente, la carenza di legittimazione attiva dell’attore e la mancanza delle condizioni della protezione legale della fotografia ai sensi dell’art. 90 della legge n. 633 del 1941.

Il Tribunale adito, con sentenza del 28 novembre 1991-13 gennaio 1992, respinse la domanda, accogliendo l’eccezione di difetto di legittimazione attiva, sul presupposto che si era perfezionata una regolare cessione della fotografia dal Viale al giornale “Cronaca mese”.

1.2. Impugnata tale decisione dal (omissis) dinanzi alla Corte d’Appello di Milano, questa, in contraddittorio con la Società appellata, con sentenza del 13-23 giugno 1995, confermò integralmente la decisione di primo grado.

In particolare, la Corte ha ritenuto che l’ammissione, da parte della Società “(omissis)”, in ordine alle modalità di acquisizione della foto in contestazione, seguita dalla eccezione di carenza di interesse del (omissis) a far valere in giudizio il diritto azionato, non ha valore confessorio, posto che “il fatto ammesso è di per sé neutro, nel senso che nella sua mera essenza non può ritenersi sfavorevole al presunto confitente e favorevole alla controparte, sicché manca quel requisito fondamentale, previsto dall’art. 2730 c.c., perché l’ammissione possa assurgere alla dignità della prova contemplata in quell’articolo”. Così come – ha aggiunto la Corte – non ha valore confessorio il comportamento del (omissis) – che avrebbe offerto alla controparte la somma di L. 500.000 per transigere la controversia – in quanto “tale ipotesi transattiva si è concretata prima del processo ed è rimasta, pertanto, al di fuori di esso, sicché non può costituire oggetto della materia del contendere”.

Nel merito, i giudici d’Appello hanno ritenuto che il (omissis) non ha fornito alcuna prova del fatto che la cessione della fotografia al periodico “Cronaca mese” fosse avvenuto “per la pubblicazione in via esclusiva” – nel senso che la foto, ceduta eccezionalmente al periodico, solo autorizzato a pubblicarla, una volta pubblicata sarebbe dovuta tornare nella giuridica disponibilità del suo autore – in quanto una clausola siffatta avrebbe dovuto essere prevista espressamente dal contratto di cessione, del quale, appunto, non è stata data dimostrazione.

Infine, la Corte milanese ha affermato che “si appalesa giuridicamente fondato il rilievo espresso dal Tribunale a proposito del difetto nella specie delle condizioni tutte che possono far ritenere abusiva la pubblicazione della fotografia, quali tratte dall’art. 90 della legge n. 633 del 1941“.

1.3. Avverso tale decisione (omissis) ha proposto ricorso per cassazione, deducendo tre motivi di censura.

Resiste, con controricorso, la “(omissis)” di (omissis) & C. S.n.c.

Motivi della decisione

2.1. Con il primo motivo (con cui deduce: “Violazione e falsa applicazione delle norme sulla confessione – artt. 2730 e segg. cod. civ. – nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia – art. 360 c.p.c., n. 3 e n. 5″), il (omissis) – premesso che il “fatto” sarebbe costituito “dall’avvenuta riproduzione e pubblicazione, sul mensile ‘Il Giornale di Trezzano’ edito dalla convenuta, di una fotografia di cui è autore e proprietario l’attore (omissis), senza autorizzazione alcuna di quest’ultimo e ripresa dall’editore ‘(omissis)’ da un altro mensile (‘Cronaca mese’) di un editore diverso dove la foto medesima era stata pubblicata”; e che “l’editore ‘(omissis)’ ha offerto la somma di L. 500.000 prima del processo nonché in via subordinata nelle conclusioni formulate ne giudizio di Appello” – sostiene che la Corte milanese avrebbe errato nel negare valore confessorio a tali “fatti”.

Con il secondo motivo (con cui deduce: “Violazione e falsa applicazione degli artt. 12 e segg., art. 88 e segg. della legge 22 aprile 1941, n. 633, dell’art. 20 della legge D.A. citata, dell’art. 100 c.p.c., omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia – art. 360 c.p.c., n. 3 e n. 5″), il ricorrente critica la sentenza impugnata, laddove ha ritenuto presunta – in assenza di prova contraria con onere gravante sull’attore – la “cessione totale” dei diritti di utilizzazione economica, sostenendo che la legge speciale prevede specifiche ipotesi, non ricorrenti nella specie, di cessione totale dei diritti di utilizzazione economica della fotografia, e che, in ogni caso, la prova della cessione totale dovrebbe esser data da chi l’afferma.

Infine, con il terzo motivo (con cui deduce: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 90 L.D.A., nonché omessa, insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia – art. 360 n. 3 e n. 5 c.p.c.”), il Viale lamenta la mancanza di motivazione della sentenza impugnata, laddove afferma la natura non abusiva della pubblicazione ai sensi dell’art. 90 della legge n. 633 del 1941.

2.2. Il ricorso dev’essere respinto, previa parziale correzione della motivazione della sentenza impugnata.

Il primo motivo è palesemente infondato. Infatti – posto che costituiscono costanti orientamenti di questa Corte (cfr., e pluribus, sentt. n. 11635 e 712 del 1997 e n. 6059 del 1990), condivisi dal Collegio, quelli secondo cui, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2730 cod. civ., la confessione giudiziale o stragiudiziale deve avere per oggetto fatti obiettivi e non opinioni, valutazioni o giudizi; secondo cui, per fatto sfavorevole al dichiarante e favorevole all’altra parte, al fine di stabilire se la dichiarazione dalla quale esso risulta abbia i caratteri della confessione, deve intendersi quello che, avuto riguardo all’oggetto della controversia ed ai termini della contestazione, è in concreto idoneo a produrre conseguenze giuridiche svantaggiose per colui che volontariamente e consapevolmente ne riconosce la verità; e secondo cui, il riconoscimento di un fatto a sé sfavorevole e favorevole all’altra parte non ha natura confessoria, per mancanza di animus confitendi, ove costituisca l’oggetto di una delle reciproche concessioni di un contratto di transazione, poiché non integra una dichiarazione di scienza che sia fine a se stessa, ma si inserisce nel contenuto del contratto transattivo ed è strumentale rispetto al raggiungimento dello scopo di questo, il che fa venir meno, nella rappresentazione interna che l’autore si forma della propria dichiarazione, la basilare caratteristica che alla confessione conferisce forza probante – il “fatto” (individuato dallo stesso ricorrente nella “riproduzione da un altro giornale di una foto di cui è autore il (omissis) senza autorizzazione di questi e senza pagamento di alcun compenso con successiva offerta risarcitoria” a titolo transattivo: cfr. pag. 6 del ricorso), come giustamente osservato dalla Corte milanese, non può definirsi “sfavorevole” al dichiarante e favorevole alla controparte. E ciò, in quanto – tenuto conto che il (omissis) ha fondato la propria domanda di risarcimento del danno sul fatto della pubblicazione, da parte della Società convenuta, di una fotografia ripresa da altro periodico, senza autorizzazione dell’autore; che lo stesso ha sostenuto la natura abusiva della pubblicazione medesima, deducendo che la cessione del diritto di riproduzione della fotografia al predetto periodico era avvenuta “con esclusiva”; e che la Società convenuta ha basato la sua principale difesa, di non illiceità della pubblicazione della fotografia, proprio sulla circostanza, dedotta dall’attore, della cessione del diritto di utilizzazione economica, ritenuta peraltro “senza esclusiva” – è evidente che la mera ammissione, da parte della Società resistente, di aver pubblicato la fotografia in questione senza autorizzazione del (omissis) costituisce soltanto il presupposto della controversia, il cui oggetto, invece, è costituito dall’accertamento del carattere abusivo o non (affermato dal ricorrente e negato dalla Società) della riproduzione de qua; e che la mera offerta transattiva stragiudiziale di una somma di denaro (quale, nella specie, formulata dalla Società “(omissis)” al (omissis)), fatta all’unico fine di evitare la controversia, non è assolutamente idonea, di per se sola, ad integrare i caratteri della confessione per le suindicate ragioni d’ordine generale.

Con riferimento al secondo motivo – che è parimenti infondato – occorre premettere che la sentenza impugnata si fonda, a ben vedere (cfr., supra, Svolgimento del processo n. 1.2), su una doppia ratio decidendi: la domanda del (omissis) è stata respinta per carenza di legittimazione attiva, non avendo egli provato l’oggetto ed i limiti della cessione del diritto di riproduzione della fotografia dallo stesso fatta al periodico “Cronaca mese”, e, in particolare, il fondamento della pretesa permanenza, in capo a lui, nonostante la cessione, della titolarità dei diritti di utilizzazione economica della fotografia; ma la domanda stessa è stata respinta anche perché, mancando la fotografia in questione delle indicazioni di cui al comma 1 dell’art. 90 della legge n. 633 del 1941, la riproduzione della stessa non può considerarsi abusiva ai sensi del secondo comma dello stesso articolo.

Ciò posto, il secondo motivo deve essere respinto per l’assorbente ragione che, siccome – si ribadisce – il (omissis) ha fondato la propria pretesa risarcitoria sulla permanente titolarità, in capo allo stesso, del diritto esclusivo di utilizzazione economica della fotografia, nonostante la cessione – dal medesimo pur affermata, fin dall’atto introduttivo – del diritto al periodico “Cronaca mese”; e siccome, sulla base di tale affermazione, la Società convenuta ha eccepito il difetto di legittimazione attiva del (omissis), incombeva su quest’ultimo, secondo i normali canoni che disciplinano la distribuzione dell’onere della prova (art. 2697 cod. civ.), la dimostrazione della permanente sussistenza, in capo a sé, della predetta titolarità. In altri termini – essendo già acquisito al processo, per stessa ammissione dell’attore, che questi aveva ceduto a terzi il diritto esclusivo alla riproduzione della fotografia (e, quindi, il conseguente diritto al risarcimento del danno da illecita pubblicazione della stessa) fatto valere in giudizio, perdendone conseguentemente la titolarità – a fronte dell’eccezione di carenza di legittimazione attiva sollevata dalla Società convenuta (che, in realtà, rappresentava la mera constatazione della natura “confessoria” della circostanza dedotta, idonea, di per sé, a risolvere la controversia senza necessità di ulteriore prova), incombeva sul (omissis) l’onere di dimostrare, ai sensi dell’art. 2697 cod. civ., comma 1, oggetto ed eventuali limiti della cessione del diritto esclusivo, dallo stesso affermata, e, conseguentemente, contenuto e limiti del (residuo) diritto fatto valere in giudizio. Infatti – dal momento che spetta al fotografo il diritto esclusivo di riproduzione, diffusione e spaccio della fotografia c.d. “semplice” (per distinguerla dall’opera fotografica creativa protetta ai sensi dell’art. 2, n. 7, della legge n. 633 del 1941, aggiunto dall’art. 1 del D.P.R. n. 19 del 1979; cfr. art. 88, comma 1, della stessa legge, e le eccezioni stabilite dagli art. 88, commi 2 e 3, e art. 98); che il contenuto di tale diritto comprende sicuramente molteplici facoltà, connesse all’utilizzazione economica della fotografia, delle quali riproduzione, diffusione e spaccio costituiscono soltanto mera esemplificazione; che, in materia di circolazione dei diritti di utilizzazione economica della fotografia, la legge (art. 107, nella parte in cui prevede che “…i diritti connessi aventi carattere patrimoniale possono essere acquistati, alienati o trasmessi in tutti i modi e forme consentiti dalla legge…”) pone quale fonte primaria dei relativi rapporti l’autonomia privata delle parti (art. 1322 cod. civ.), come è dimostrato, ad esempio, da quanto disposto negli artt. 89, 98 e 109, nelle fattispecie previste dai quali la determinazione del concreto oggetto della cessione dei predetti diritti è sempre rimessa, in ultima istanza (con la formula “salvo patto contrario”), a quanto convenuto dalle parti; e che, pertanto, quando l’art. 110 della legge n. 633 del 1941 (sicuramente applicabile anche alla disciplina dei “diritti connessi” all’esercizio del diritto d’autore, nei quali sono compresi quelli relativi alle fotografie, in virtù della previsione contenuta nel già citato art. 107, che fa “salva l’applicazione delle norme contenute in questo capo”) dispone che “la trasmissione dei diritti di utilizzazione deve essere provata per iscritto”, il legislatore, nell’imporre la forma ad probationem, ha inteso prevenire equivoci (e, quindi, controversie) fra le parti circa l’oggetto della cessione, tenuto conto delle predette, molteplici facoltà contenute nel diritto esclusivo dell’autore della fotografia, e, comunque, porre una regola probatoria a tutela degli interessi delle parti e dei terzi – nel caso in cui, come nella specie, sia intervenuta una cessione della fotografia senza ulteriori specificazioni e il fotografo, ciononostante, faccia valere in giudizio, nei confronti di soggetto diverso dal cessionario che ne contesti la titolarità in capo all’attore, il diritto esclusivo alla riproduzione della fotografia medesima, affermando di averla ceduta unicamente per la pubblicazione, spetta al fotografo stesso dimostrare, attraverso la produzione del documento di cessione, ovvero negli altri modi consentiti dalla legge, la permanente titolarità, in capo a sé, del diritto stesso, dovendosi, altrimenti, presumere la cessione integrale del diritto esclusivo, in ragione delle suesposte esigenze sottese al regime probatorio nella materia de qua.

Le considerazioni che precedono risultano assorbenti rispetto a tutti gli altri profili di doglianza contenuti nel motivo in esame.

3. Il terzo motivo di censura è inammissibile per difetto di interesse. Infatti, dal momento che sono state respinte le argomentazioni di critica alla prima ratio decidendo, anche se il motivo stesso fosse, in ipotesi, meritevole di accoglimento, la sentenza impugnata resterebbe fondata sulla ratio ritenuta legittima.

4. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in lire 150.000, oltre L.3.000.000 per onorari.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Prima Sezione Civile, il 23 gennaio 1998.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 27 APRILE 1998.

Allegati

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