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Cassazione civile sez. I, 26/06/2023, n. 18148

Massima

Gli interventi di sostegno pubblico alle imprese, inclusa la concessione di garanzie, danno diritto al privilegio in caso di escussione, ma la domanda di ammissione al passivo non può essere modificata in via definitiva con fatti sopravvenuti che ne alterino la causa petendi.

Supporto alla lettura

CRISI D’IMPRESA

Lo stato di crisi di un’impresa viene definito in relazione allo stato di insolvenza come una situazione connotata da minore gravità e riguarda tutte quelle situazioni degenerative economico-finanziarie dell’impresa potenzialmente idonee a sfociare nell’insolvenza medesima. In ottica aziendalistica, la crisi si identifica come il venir meno delle condizioni di equilibrio economico e finanziario dell’impresa capaci di compromettere la prospettiva di continuità aziendale.

La nozione di crisi d’impresa sotto il profilo giuridico costituisce il presupposto per l’attivazione degli strumenti di composizione negoziale volti a scongiurare il fallimento.

L’evoluzione normativa intervenuta negli ultimi anni ha cambiato gradualmente l’approccio verso il concetto di crisi d’impresa. Con le ultime riforme, infatti, sono stati introdotti nel nostro ordinamento strumenti prevalentemente negoziali per consentire all’imprenditore di disporre di un buon numero di alternative per affrontare una situazione economica sfavorevole e tutelare maggiormente i creditori sociali.

Ambito oggettivo di applicazione

RILEVATO CHE:
– la (omissis) s.p.a. propone ricorso per cassazione avverso il decreto del Tribunale di Treviso del 22 giugno 2016, che ha dichiarato inammissibili le sue domande di ammissione in via definitiva e di ammissione in via condizionata allo stato passivo del Fallimento della (omissis) s.r.l. del credito, di importo pari a Euro 71.754,21, oltre interessi legali, chiesto in via privilegiata ex D.Lgs. n. 31 marzo 1998, n. 123, art. 9, comma 5;

– dall’esame degli atti si evince che la pretesa creditoria era fondata sul rilascio di una garanzia in favore della Banca (omissis) s.p.a. prestata, in relazione all’adempimento delle obbligazioni nascenti dalla conclusione di un contratto di mutuo con la società fallita, quale misura di sostegno pubblico per lo sviluppo delle attività produttive;

– il Tribunale ha respinto l’opposizione osservando, quanto alla domanda di ammissione del credito in via definitiva, che la stessa fosse inammissibile in quanto nuova, atteso che era fondata su una circostanza di fatto, consistente nell’avvenuto pagamento a seguito dell’escussione della garanzia, che esulava dalla domanda di ammissione in via condizionata originariamente proposta;

– quanto a quest’ultima, ne ha sancito l’inammissibilità in considerazione del fatto che il pagamento rappresentava un fatto costitutivo del credito fatto valere, la cui sua assenza “preclude(va) la configurabilità della fattispecie legale”;

– il ricorso è affidato a quattro motivi;

– resiste con controricorso il Fallimento della (omissis) s.r.l.;

– le parti depositano memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..

CONSIDERATO CHE:
– con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione dell’art. 1950 c.c., per aver il decreto impugnato affermato che il diritto fatto valere fosse un credito futuro, in ragione della natura fideiussoria della garanzia prestata e del mancato pagamento del debito garantito, senza considerare che nel caso in esame veniva in rilievo un credito di firma, come tale idoneo a integrare la fattispecie costitutiva del credito vantato, sia pure sottoposto alla condizione sospensiva del pagamento;- censura sostanzialmente analoga è formulata con il secondo motivo con cui si deduce la violazione degli artt. 55 e 99 L. Fall.;

– i motivi, esaminabili congiuntamente, sono fondati;

– giova rammentare che il D.Lgs. n. 123 del 1998, avente ad oggetto “disposizioni per la razionalizzazione degli interventi di sostegno pubblico alle imprese”, si propone di individuare “i principi che regolano i procedimenti amministrativi concernenti gli interventi di sostegno pubblico per lo sviluppo delle attività produttive, ivi compresi gli incentivi, i contributi, le agevolazioni, le sovvenzioni e i benefici di qualsiasi genere, di seguito denominati “interventi”, concessi da amministrazioni pubbliche, anche attraverso soggetti terzi” (art. 1);

– il successivo art. 7, dedicato alle “procedure di erogazione”, prevede espressamente che “I benefici determinati dagli interventi sono attribuiti in una delle seguenti forme: credito d’imposta, bonus fiscale, concessione di garanzia, contributo in conto capitale, contributo in conto interessi, finanziamento agevolato”;

– è stato evidenziato che le diverse forme d’intervento pubblico costituiscono espressione di un disegno d’impianto unitario, inteso alla razionalizzazione e riorganizzazione dell’intero settore, nonché di una disciplina di segno unitario che, pur nel rispetto delle rilevanti differenze che possono eventualmente manifestarsi tra le diverse misure, non giustificano trattamenti differenziati a seconda delle modalità di attuazione dell’intervento (così, Cass 18 gennaio 2022, n. 1485; Cass. 18 gennaio 2022, n. 1453);

– ciò conduce a riconoscere il privilegio previsto dal D.Lgs. n. 123 del 1998, art. 9, comma 5, al credito “per le restituzioni” delle somme oggetto dell’intervento di sostegno pubblico derivanti dalla revoca delle misure non al credito nascente da finanziamenti concessi mediante erogazione diretta di somme di danaro in favore del beneficiario, ma anche di crediti nascenti dall’escussione della garanzia mediante la cui prestazione si è concretizzato tale sostegno da parte dell’istituto di credito che ha erogato il finanziamento (cfr., altresì, Cass. 13 dicembre 2021, n. 39433; Cass. 9 marzo 2020, n. 6508; Cass. 30 gennaio 2019, n. 2664);

– infatti, attesa anche l’assenza di una costante e univoca definizione del concetto di finanziamento nell’ordinamento giuridico, lo stesso va individuato nel senso che racchiude tutte le forme in cui si realizza l’intervento di sostegno per lo sviluppo delle attività produttive previste dal D.Lgs. n. 123 del 1998, ivi inclusa, dunque, quella rappresentata dalla concessione di garanzie;

– a sostegno di tale approdo ermeneutico milita anche il D.M. n. 2 aprile 2015, n. 53, art. 2, comma 1, (“Regolamento recante norme in materia di intermediari finanziari in attuazione del decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385, artt. 106, comma 3, 112, comma 3, e 114, nonché della L. 30 aprile 1999, n. 130, art. 7-ter, comma 1-bis”), il quale stabilisce che “Per attività di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma si intende la concessione di crediti, ivi compreso il rilascio di garanzie sostitutive del credito e di impegni di firma”, e, per l’esattezza, il “rilascio di fideiussioni, avallo, apertura di credito documentaria, accettazione, girata, impegno a concedere credito, nonché ogni altra forma di rilascio di garanzie e di impegni di firma”;

– in quest’ottica, l’intervento di sostegno a mezzo di garanzia personale sembra proporre, per qualità, una tipologia di rischio imprenditoriale non diversa da quella propriamente portata dalla concessione dei mutui o comunque dalle erogazioni dirette di somme all’impresa beneficiaria della protezione accordata dalla legge in discorso, con obbligo di restituzione delle somme medesime;

– la diversità, sotto il profilo strutturale, delle diverse misure agevolatrici determina, in caso di revoca, laddove l’intervento abbia assunto la forma dell’erogazione diretta di denaro, l’immediata insorgenza dell’obbligo di restituzione, secondo le regole dell’indebito oggettivo, mentre, laddove l’intervento abbia assunto la forma della concessione della garanzia, l’ente concedente è tenuto al pagamento in favore dell’istituto mutuante del debito del beneficiario e quest’ultimo è tenuto alla restituzione del relativo importo in favore dell’istituto;

– in quest’ultimo caso, l’azione spettante all’ente concedente, pur mirando al medesimo risultato economico di quella di surrogazione o di regresso, ovverosia alla neutralizzazione della diminuzione patrimoniale conseguente all’esborso effettuato, si distingue dalle stesse, non costituendo esercizio del diritto precedentemente spettante al creditore garantito nel quale l’ente concedente subentra a seguito dell’escussione della garanzia, né di un nuovo diritto derivante dal pagamento effettuato in favore del creditore garantito, ma trovando fondamento nell’atto di concessione della misura di sostegno o della relativa convenzione, che costituiscono il presupposto della garanzia e postulando la revoca del beneficio che comporta, non diversamente da quanto accade in caso di finanziamento diretto, il venir meno della causa giustificatrice dell’erogazione, nei rapporti con il debitore beneficiario, e quindi l’insorgenza del diritto alla restituzione del relativo importo (così, Cass. 18 gennaio 2022, n. 1453);

– l’inoperatività del vincolo di solidarietà, in ragione della non riconducibilità dell’azione dell’ente concedente a quella di surrogazione o di regresso, comporta l’inapplicabilità della disciplina dettata dagli artt. 61 e 62 L. Fall., con la conseguenza che, in caso di fallimento del beneficiario, l’ente concedente può insinuare il proprio credito al passivo anche nel caso in cui il pagamento, effettuato dopo l’apertura della procedura concorsuale, non sia risultato interamente satisfattorio per l’istituto di credito, il quale abbia a sua volta ottenuto l’ammissione al passivo;

– inoltre, la ontologica diversità del diritto dell’ente concedente rispetto a quello dell’istituto mutuante – idonea a giustificare il riconoscimento della natura privilegiata del solo credito dell’ente concedente che ha prestato la garanzia e non anche di quello del creditore garantito – e la presenza nella fattispecie di elementi pubblicistici derivanti dall’origine del rapporto nel provvedimento di concessione del beneficio non permettono di qualificare la vicenda secondo una matrice esclusivamente privatistica e ritenere che l’azione di recupero debba necessariamente incanalarsi sui binari dell’azione di regresso o di quella di surrogazione, conformemente alla disciplina dettata per le obbligazioni solidali, e giustificano l’assunto secondo il quale l’esercizio dell’azione dell’ente concedente presuppone la revoca del beneficio concesso;

– non è pertinente, dunque, il riferimento operato, nel caso in esame, dal Tribunale all’istituto della fideiussione e al principio dell’inammissibilità di un’insinuazione con riserva del credito, asseritamente condizionale, dell’odierna ricorrente;

– sotto altro profilo, la finalità pubblicistica che connota il D.Lgs. n. 123 del 1998 e il carattere unitario, sotto il profilo funzionale, delle diverse misure di sostegno ivi contemplate – tutte rientranti nell’ambito del concetto di finanziamenti – restituiscono una configurazione della pretesa restitutoria dell’ente concedente garante nei sensi di un diritto che sorge con il solo rilascio della garanzia, restando solo sospensivamente condizionato all’inadempimento della società ammessa all’agevolazione, con la conseguenza che, in questi casi, il giudice è tenuto ad ammettere al passivo il relativo credito condizionatamente al verificarsi di tale evento;

– da ciò consegue che il pagamento degli importi richiesti dall’istituto mutuante con l’escussione della garanzia prestata non costituisce un fatto costitutivo del diritto e, in quanto tale, non osta all’ammissione con riserva del credito dell’ente concedente garante;

– con il terzo motivo la ricorrente si duole della violazione dell’art. 113 bis L. Fall., per aver il Tribunale dichiarato inammissibile, per novità, la domanda di ammissione del credito in via definitiva, in ragione del fatto che la stessa era fondata su un fatto ulteriore, consistente nell’avvenuto pagamento del debito garantito, che, non essendo stato dedotto nella domanda originaria, ne alterava la causa petendi, senza considerare che il sopravvenuto pagamento rappresentava unicamente il fatto futuro e incerto cui era condizionato il credito fatto valere con tale domanda originaria;

– contesta, inoltre, il provvedimento impugnato nella parte in cui ha affermato che la deduzione del sopravvenuto pagamento costituisse una modificazione degli elementi identificativi dell’azione proposta idonea a dare luogo a una nuova domanda, risolvendosi in una emendatio libelli;

– il motivo è infondato;

– la domanda di ammissione al passivo fallimentare, pur potendo essere precisata attraverso le osservazioni scritte di cui all’art. 95, comma 2, L. Fall., nella fase che precede la formazione dello stato passivo non può essere modificata attraverso un ampliamento del petitum o una variazione della causa petendi, potendo solo essere ridotta, ricorrendo in tal caso un’ipotesi di rinuncia parziale della pretesa (cfr. Cass. 27 dicembre 2022, n. 37802; Cass. 25 marzo 2022, n. 9730);

– infatti, nell’ambito del procedimento di opposizione allo stato passivo, sono inammissibili domande dell’opponente nuove rispetto a quelle spiegate nella precedente fase, non applicandosi il principio, proprio del giudizio di primo grado, secondo cui entro il primo termine di cui all’art. 183, comma 6, c.p.c. è consentita la mutatio di uno o entrambi gli elementi oggettivi della domanda, petitum e causa petendi, sempre che essa, così modificata, risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio, poiché il procedimento di opposizione allo stato passivo ha infatti natura impugnatoria, è disciplinato specificamente dall’art. 99 L. Fall. e si coordina necessariamente con quanto previsto dal successivo art. 101 (così, Cass. 7 novembre 2022, n. 32750; Cass. 24 febbraio 2022, n. 6279); – all’accoglimento dei primi due motivi di ricorso segue l’assorbimento dell’ultimo motivo con cui la ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 31 marzo 1998, n. 123, artt. 1, 7, comma 1, e 9, quarto e quinto commi, per aver il giudice di merito omesso di riconoscere natura privilegiata al credito fatto valere, in quanto vertente su questione strettamente conseguenziale;

– il decreto impugnato va, dunque, cassato con riferimento ai motivi accolti e rinviato, anche per le spese, al Tribunale di Treviso, in diversa composizione.

P.Q.M.
La Corte accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso, rigetta il terzo e dichiara assorbito il quarto; cassa il decreto impugnato con riferimento ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, al Tribunale di Treviso, in diversa composizione.Così deciso in Roma, il 20 aprile 2023.

Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2023

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