1. Il ricorso riguarda la sentenza del 4.7.2024 con cui la Corte d’Appello di Catania ha accolto il gravame proposto da Ru.Gl. contro la decisione dell’11.11.2022 con cui il Tribunale di Siracusa aveva respinto la domanda di addebito della separazione formulata da entrambi i coniugi e posto a carico del sig. Se.El. l’obbligo di versamento di un assegno mensile di Euro 400,00 a titolo di contributo al mantenimento della moglie.
2. Contro la sentenza di primo grado aveva proposto appello principale il sig. Se.El., deducendo l’erroneità della sentenza per aver rigettato la sua domanda di addebito della separazione a carico della moglie per abbandono del tetto coniugale, nonché per aver posto a suo carico un assegno di mantenimento in assenza del presupposto della disparità economica tra le parti; la sig. Ru.Gl., a sua volta, aveva proposto appello incidentale deducendo l’erroneità della sentenza nella parte in cui aveva quantificato l’assegno di mantenimento nella misura di 400 euro anziché nell’importo richiesto di 700 euro nonostante avesse accertato l’elevato tenore di vita goduto dai coniugi in costanza di matrimonio e la notevole disparità economica e reddituale tra i coniugi, nonché nella parte in cui aveva respinto la domanda di addebito della separazione al marito sul rilievo che non fosse stata fornita prova sufficiente dell’efficienza causale delle condotte di violazione dei doveri coniugali del marito (ovvero la relazione sentimentale intrattenuta con un’altra donna) rispetto alla intollerabilità della prosecuzione della convivenza.
3. La Corte d’Appello ha respinto il gravame del sig. Se.El. ed accolto quello della sig. Ru.Gl. dichiarando che la separazione era addebitabile al marito e ponendo a carico di quest’ultimo l’obbligo di versare alla moglie la somma mensile di 500 euro.
4. Contro la sentenza il sig. Se.El. ha proposto ricorso affidato a dodici motivi di cassazione. La sig. Ru.Gl. ha resistito con controricorso. Il ricorrente ha depositato memoria.
Preliminarmente va respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso nel suo complesso opposta dalla controricorrente per asserita inammissibilità ex art. 366 comma 1 n. 3 c.p.c., giacché la parte espositiva in fatto è sufficiente ad assolvere ad una sintetica esposizione dei fatti di causa funzionali all’illustrazione dei motivi di cassazione, i quali consentono di integrare gli elementi necessari all’intellegibilità e valutazione degli stessi.
1. Il primo motivo denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2721 c.c. per aver la Corte d’Appello fondato la decisione su un teste de relato actoris e/o in assenza di altri elementi oggettivi e concordanti; dell’art. 156 c.c. e degli artt. 2,3,24 e 111 Cost., per aver la Corte d’Appello di Catania statuito l’addebito della separazione al marito sulla scorta di “inesistenti prove” quali la convivenza di terza persona presso la casa coniugale, in violazione anche dell’art. 2697 c.c., nonché per avere omesso l’esame su fatti ed elementi decisivi per il giudizio ex, art. 360, comma primo, nn. 3 e 5, c.p.c.
In sintesi il ricorrente si duole del fatto che la Corte di merito abbia ritenuto fondate le ragioni dell’addebito in base alla testimonianza della sig. Ruffino – madre della sig. Ru.Gl. – circa la circostanza che il ricorrente aveva intrapreso una convivenza con la nuova compagna nella casa coniugale dopo uno o due mesi dalla crisi coniugale, nonostante mancassero ulteriori elementi oggettivi e concordanti in tal senso e le testimonianze in senso diverso rese dalla presunta convivente e dalla collaboratrice domestica del sig. Se.El., assunta dal luglio al dicembre 2016.
1.1. Anche a prescindere dal fatto che il motivo si articola in profili diversi di illegittimità non chiaramente distinguibili nell’illustrazione, risulta inammissibile per altre diverse ragioni.
1.2 Anzitutto il ricorrente non coglie la ratio decidendi della Corte di merito che non si fonda affatto esclusivamente sulla testimonianza della sig. Ruffino ritenuta de relato actoris, bensì sulla valutazione complessiva del materiale probatorio acquisito, che si avvale di elementi logici e di verosimiglianza deponenti nel senso dell’anteriorità della infedeltà del marito rispetto al sorgere della crisi coniugale.
Invero la Corte, con un articolato ragionamento decisorio, valorizza la predetta testimonianza unitamente al fatto, definito fortemente indiziario, che fosse incontestato tra le parti che fino al momento dell’esplosione della crisi coniugale in data 8 giugno 2016 – quando la sig. Ru.Gl. inviò una pec al marito dicendogli di volersi separare ed il sig. Se.El. impedì alla sera alla moglie di far rientro nella casa coniugale determinando l’intervento dei carabinieri – l’unione matrimoniale era serena, tanto che la sig. Ru.Gl. si sottoponeva a cure ginecologiche per poter avere un figlio; perciò – argomenta la Corte – in apparenza sarebbe stata inspiegabile la pec predetta ove non fosse accaduto un evento traumatico quale, appunto, la scoperta casuale da parte della signora di una relazione extraconiugale del marito nel mese di maggio: un evento grave e destabilizzante, di cui il trasferimento della nuova compagna nella casa coniugale dopo un breve lasso di tempo costituiva solo una conferma.
1.3 Del resto va ricordato che la valutazione delle prove raccolte, anche se si tratta di presunzioni, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, il quale – con riguardo al ragionamento presuntivo e alla valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge per la valorizzazione di elementi di fatto come fonti di prova, è incensurabile in sede di legittimità, l’unico sindacato in proposito riservato al giudice di legittimità essendo quello sulla tenuta della relativa motivazione (Cass. n. 3983/2003; Cass. n. 2431/2004; Cass. n. 9225/2005; Cass. n. 1216/2006; Cass. n. 21745/2006; Cass. n. 27284/2006; Cass. n. 5332/2007; Cass. n. 15219/2007; Cass. n. 1234/2019; Cass. n. 20553/2021; Cass. n. 27266/2023; Cass. n.32505/2023), nei limiti in cui ciò è consentito dalla vigente formulazione dell’art. 360 n. 5 c.p.c.
Ebbene sotto quest’ultimo profilo il ricorrente, pur invocando la violazione dell’art. 360 n. 5 c.p.c., si duole, in realtà, non dell’omesso esame di un fatto storico, bensì dell’omessa valutazione di risultanze probatorie ovvero dell’esito della testimonianza resa da due testi, laddove è principio consolidato quello per cui l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra “l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti” (Cass. Sez. Un. n. 8053/2014, confermata da innumerevoli pronunce di questa Corte).
2. Il secondo motivo denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3 e 111 Cost. e 115 c.p.c. e 360 comma 1 n. 4 e 5 c.p.c., per aver la Corte d’Appello di Catania valutato il reddito del marito al lordo – addirittura comprensivo di IVA e CPA – e quello della moglie al netto anche di Irpef, confondendo altresì le annualità di reddito, così facendo risultare un reddito del primo apparentemente maggiore di quello della seconda, con grave vulnus riguardante la lettura logica del fatto probatorio prospettato da una delle parti, oltretutto aggiungendo al reddito da lavoro del marito diversi giroconti a sé stesso, un risarcimento danno da sinistro stradale, un rimborso delle spese legali, e un prestito amichevole, restituito interamente dopo averlo ricevuto. Deduce, altresì, un vizio motivazionale tale da inficiare la sentenza stessa.
3. Il terzo motivo denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3 Cost., dell’art. 360, nn. 3, 4 e 5, c.p.c., dell’art. 2697 cod. civ. nonché degli artt. 112 e 115 cod. proc. civ., per aver la sentenza quantificato l’assegno di mantenimento esclusivamente su un’indagine economica successiva alla separazione, del tutto escludendo il periodo di convivenza e precedente la separazione dei coniugi (anno 2016), così violando il dettato normativo ove fa riferimento al mantenimento del “tenore di vita goduto durante il matrimonio”.
4. Il quarto motivo denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 156 c.c., degli artt. 3 e 111 Cost., per aver la Corte d’Appello considerato reddito del ricorrente somme transitorie e legate al proprio incarico professionale di avvocato, con una motivazione contraddittoria ed errata oltre che perplessa.
5. I tre motivi possono essere esaminati insieme in quanto attengono tutti e tre all’argomentazione con cui la Corte d’Appello ha ritenuto di respingere le censure mosse alla ricostruzione dei redditi e del patrimonio delle parti compiuto in primo grado.
Premesso che costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte che la valutazione delle prove non è censurabile in cassazione (Cass. n. 37382 del 21/12/2022) e che è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass. sez. un. n. 34476 del 27/12/2019), tutti e tre i motivi risultano inammissibili in quanto sono, in effetti, chiaramente versati in merito intendendo il ricorrente rimettere in discussione in questa sede di legittimità la ricognizione delle risultanze probatorie che la Corte d’Appello ha effettuato sulla base di una articolata e puntuale valutazione degli esiti dell’indagine della Guardia di finanza, disposta dal giudice di primo grado sulle dichiarazioni fiscali e sulla documentazione bancaria di entrambe le parti.
Peraltro, la censura che attiene alla ricognizione al lordo del reddito dell’obbligato anziché al netto (secondo mezzo), ancorché in astratto plausibile, appare nella specie inconferente, perché la Corte d’Appello ha accertato – come già il giudice di prime cure – una infedeltà fiscale del marito, con redditi nascosti al fisco; dunque, ha accertato che le entrate economiche del sig. Se.El. erano certamente superiori a quanto dichiarato fiscalmente dallo stesso, come da riscontri documentali che ha puntualmente indicato (v. pag. 15-16 della sentenza).
Neppure appare pertinente la censura articolata dal ricorrente circa il fatto che la Corte d’Appello avrebbe considerato solo il periodo successivo all’instaurazione del giudizio di separazione (2016) per ricostruire tenore di vita e sostanze dell’obbligato (terzo mezzo), giacché la Corte territoriale ha preso espressamente in esame anche il reddito del 2015. Ed infine non pertinente è la censura relativa alla somma incassata a titolo di risarcimento del danno; infatti la Corte d’Appello ha tenuto conto della causale del bonifico e, quindi, della circostanza che non tutto quanto percepito era di Spettanza dell’ avv. Se.El.
6. Il quinto motivo denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 156 c.c. in merito agli atti di liberalità ed omesso esame circa un fatto decisivo della controversia che è stato oggetto di discussione tra le parti.
Osserva il ricorrente – il quale in data 26.05.2020, (quindi 4 anni dopo la cessazione della convivenza dei coniugi) ha ricevuto per donazione della madre un appartamento, con box auto e un tratto di terreno – che la Corte d’Appello non avrebbe fatto buon governo dei principi di legittimità fissati a proposito degli atti di liberalità, per i quali questi ultimi hanno una loro rilevanza solo quando producono oggettivamente un tenore di vita più elevato per la coppia, dunque quando rappresentano un incremento dei redditi dei coniugi che, anche se si verifica nelle more del giudizio di separazione, costituisce pur sempre lo sviluppo di un’aspettativa maturata nel matrimonio, e concorre nella quantificazione del mantenimento; onde il giudice deve tener conto “di ogni tipo di reddito disponibile da parte del richiedente, ivi compresi quelli derivanti da elargizioni da parte di familiari che erano in corso durante il matrimonio con carattere di regolarità e continuità tali da influire in maniera stabile e certa sul tenore di vita dell’interessato” (Cass. n. 5916/1996).
In questo caso, pur richiamando detti principi, la Corte territoriale avrebbe, poi, tenuto conto di una singola elargizione, effettuata ben dopo la cessazione della convivenza, che, quindi, non costituiva lo sviluppo di alcuna aspettativa maturata durante il matrimonio e non rientrava, perciò, tra quelle (circoscritte dalla Cassazione) atte a determinare la quantificazione del mantenimento.
6.1 Il motivo è infondato.
Il diritto al mantenimento, ricorrendo le condizioni previste dall’art 156 c.c., è fondato sulla persistenza, durante lo stato della separazione, di alcuni degli obblighi derivanti dal matrimonio, e “l’entità di tale somministrazione è determinata in relazione alle circostanze e ai redditi dell’obbligato”.
Questa Corte con un più recente orientamento rispetto a quello citato dal ricorrente, ha affermato che in tema di determinazione dell’assegno di mantenimento, sono irrilevanti le elargizioni a titolo di liberalità ricevute dai propri genitori dal coniuge obbligato o, comunque, da terzi, ancorché regolari e continuate dopo la separazione, in quanto il carattere di liberalità impedisce di considerarle “reddito” ai sensi dell’art. 156, secondo comma, c.c., così come non costituiscono reddito, ai sensi del primo comma dello stesso articolo, analoghi contributi ricevuti dal coniuge che si afferma titolare del diritto al mantenimento.
Sul punto, nel leading case in materia (v. Cass. n. 10380/2012), questa Corte ha osservato che “La questione della rilevanza delle elargizioni di terzi – in particolare familiari, normalmente i genitori – nel giudizio sul riconoscimento del diritto all’assegno di separazione o di divorzio e nella determinazione del suo ammontare è stata affrontata, nella giurisprudenza di questa Corte, quasi esclusivamente con riguardo alle elargizioni ricevute dal coniuge che pretenda tale diritto. All’iniziale orientamento favorevole alla rilevanza di dette elargizioni, ove non meramente saltuarie, bensì continue e regolari (cfr. Cass. 5916/1996, in tema di separazione, nonché Cass. 278/1977, 358/1978, 497/1980, 1477/1982, 4158/1989, in tema di divorzio), è poi subentrato un orientamento negativo (cfr. Cass. 11224/2003, 6200/2009, in tema di separazione, nonché Cass. 4617/1998, 7601/2011, in tema di divorzio) che fa leva sul carattere liberale delle elargizioni di cui trattasi, non comportanti l’assunzione di alcun obbligo di mantenimento da parte dei genitori, sui quali grava la sola obbligazione alimentare ai sensi dell’art.433 c.c. in via subordinata rispetto al coniuge (cfr. Cass. 11224/2003, cit.). Con riferimento, invece, alle elargizioni ricevute dal coniuge obbligato… non si registrano precedenti ad eccezione di Cass. 20352/2008, pronunciatasi in senso favorevole alla rilevanza di siffatte elargizioni, nella determinazione dell’assegno divorzile, nonostante perplessità sulla natura liberale delle stesse in quella fattispecie concreta”. Dopo tale disamina della propria giurisprudenza sul punto, la Corte in quel caso ha ritenuto che “l’irrilevanza delle elargizioni liberali di terzi, quali i genitori, ancorché regolari e protrattesi anche dopo la separazione, già affermata con riferimento alla condizione del coniuge richiedente l’assegno nella più recente giurisprudenza di questa Corte, sopra richiamata, debba confermarsi anche con riguardo agli aiuti economici ricevuti dal coniuge obbligato al pagamento dell’assegno. Decisivo è l’evidenziato carattere liberale e non obbligatorio di tali aiuti, che impedisce di considerarli reddito dell’obbligato, ai sensi dell’art. 156 c.c., comma 2, così come non costituiscono reddito, ai sensi del comma 1 dello stesso articolo, gli analoghi aiuti ricevuti dal coniuge creditore”.
Conclude la Corte in quel caso “La sentenza impugnata è dunque errata, avendo, invece, dato rilievo alle elargizioni fatte al sig. G. da suo padre (eccettuate, ovviamente, quelle per l’acquisto della casa di abitazione, tradottesi in un diritto reale acquisito al patrimonio del beneficiario), nella determinazione dell’assegno di separazione a suo carico”.
Pertanto, l’esclusione della considerazione degli atti di liberalità è legata al fatto che, pur anche quando si tratti di elargizioni sistematiche che incrementano la disponibilità del coniuge obbligato, in quanto frutto di una volontà sempre revocabile non costituiscono reddito in senso proprio.
Altro è, tuttavia, l’incremento patrimoniale che si verifica una tantum e che in modo definitivo accresce il patrimonio dell’obbligato, e che rappresenta le “altre circostanze” rispetto al reddito di cui l’art 156 c.c. impone di tener conto.
Perciò anche la donazione di immobili in favore del sig. Se.El. – in tanto in quanto ha incrementato il suo patrimonio al pari di quanto sarebbe avvenuto per effetto di una successione mortis causa, che pacificamente viene considerata onde “circostanziare” la valutazione della sussistenza del preteso diritto in discorso (cfr. Cass. n. 8176/2016 per cui “L’acquisto da parte dell’obbligato di una eredità produce un incremento particolare, non riferibile ad uno sviluppo naturale e prevedibile della situazione reddituale; rileva però ai fini della valutazione complessiva delle condizioni economiche delle parti (Cass. 4758 del 2010)”), è stata in questo caso correttamente tenuta in considerazione nella ricostruzione della situazione patrimoniale del ricorrente dal giudice di merito nella sentenza gravata.
7. Il sesto motivo denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 360, Co. 5, c.p.c. e dell’art. 115 c.p.c., per aver la Corte distrettuale quantificato l’assegno di mantenimento omettendo di quantificare il dato costituito dalla nascita di un figlio del ricorrente, “fatto storico” discusso dalle parti – in quanto allegato con note autorizzate in data 8.3.2024, ove “si osserva che il sig. Se.El., nel mese di settembre 2023, è diventato papà del piccolo Giulio Elia (all.to in atti, doc. n. 9 della memoria depositata n.d.r.). Ragion per la quale il suo reddito si è ulteriormente affievolito, per tutti i rilevanti costi da affrontare per la nascita e la crescita di un bambino”; a seguito di dette note ed a fronte del differimento della decisione a causa dell’astensione del presidente di sezione, la parte appellata odierna resistente, in data 22.5.2024, aveva depositato a sua volta una nota e nuovi documenti, ma non aveva contestato il fatto della nascita del bambino né il dedotto affievolimento del reddito del marito in ragione della nascita del figlio (la causa era stata, poi, discussa il 23.5.2024 ed era stata assunta in decisione).
7.1 Il motivo è inammissibile, poiché, anche se è vero che la Corte non ha trattato la questione, il ricorrente non ha dimostrato che il fatto storico in oggetto avesse il requisito della decisività come prevede l’art. 360 n. 5 c.p.c. laddove presuppone che possa parlarsi di anomalia motivazionale rilevante allorquando sia omesso l’esame di un fatto che ove, invece, fosse stato preso in esame avrebbe certamente cambiato la decisione della Corte: infatti la nascita di un figlio, in astratto, può essere un fatto rilevante nel senso predetto, giacché comporta oneri economici nuovi; ma ciò non significa che – nel contesto della concreta disponibilità reddituale e patrimoniale dell’obbligato e della sua nuova compagna – lo sia in concreto, ovvero sia idoneo ad incidere in modo decisivo, nel senso di condurre ad un affievolimento del patrimonio rilevante ad escludere l’attribuzione di un assegno o a diminuirne la quantificazione; ed era onere del ricorrente dimostrare detta decisività, anche documentando, per esempio, l’indisponibilità della madre del bambino di sostanze idonee a contribuire al mantenimento del bambino, quindi il fatto che l’onere relativo fosse a suo esclusivo carico, o che la casa di abitazione non fosse idonea e fosse, perciò, necessario disporre di una casa più grande con relativo maggiore onere di spesa.
Il ricorrente si limita ad invocare il fatto in sé, intendendo che la nascita in un figlio possieda per se stessa quella decisività che, invece, doveva argomentare e provare, ed invocando un precedente che non è, invece, conferente nel senso preteso (Cass. n. 2620/2018, invero, riguarda la fattispecie di richiesta di revisione dell’assegno di mantenimento di una figlia nata dal precedente matrimonio per effetto della nascita della terza figlia nel secondo, cui l’obbligato doveva far fronte con un modesto aumento di stipendio, nel quale il ricorrente aveva argomentato puntualmente i maggiori oneri di spesa già gravanti per le altre due figlie che stavano crescendo nonché la modesta modifica del già modesto stipendio: quindi un caso che evidentemente non è conferente nella specie, anche perché la Corte, nel cassare in quel caso la sentenza di rigetto della richiesta, ha ribadito la necessità di una valutazione in concreto del fatto sopravvenuto alla luce del contesto di riferimento).
8. Il settimo motivo – che denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione dell’art. 115 del medesimo codice, per l’utilizzo in decisione di prova inesistente – censura la sentenza ove rileva “che il medesimo (sig. Se.El. n.d.r.) risulta altresì, per come documentato in atti, inserito a livello professionale e istituzionale all’interno del Comune di Melilli…” in quanto l’affermazione della Corte sarebbe priva di alcun riscontro di prova, poiché il sig. Se.El. svolge la sua professione di avvocato libero professionista non legato ad alcun ente, né pubblico né privato, da rapporti di esclusività professionale e pubblici; tali incarichi giustificano il suo reddito da lavoro, com’è normale, senza che il medesimo abbia alcun rapporto stabile e/o duraturo, professionale a tempo indeterminato o determinato, e men che meno, sarebbe inserito in pianta organica del Comune di Melilli.
8.1 Il motivo è inammissibile poiché ad avviso del Collegio il ricorrente non coglie il senso dell’argomentazione della Corte enfatizzandone un’espressione che è evidentemente riconducibile ad un senso diverso: non al fatto – arbitrariamente dedotto – che l’avv. Se.El. sarebbe inserito in pianta organica del Comune di Melilli, bensì alla più banale circostanza che quale libero professionista ha ricevuto e riceve incarichi dal Comune, di cui è stato anche Sindaco.
9. L’ottavo motivo deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1322 – n. 4- c.p.c. per assenza del requisito motivazionale nel suo contenuto “minimo costituzionale”; e dell’art. 156 c.c., per contraddittorietà e illogicità dell’esame condotto dalla Corte distrettuale, per ragionamento incomprensibile; dell’art. 3 Cost. e artt. 360, nn. 4 e 5, c.p.c., art. 2697 cod. civ.; artt. 112 e 115 cod. proc. civ., per motivazione perplessa od incomprensibile; il tutto in merito alla affermata “inattendibilità” delle dichiarazione dei redditi.
9.1 Il motivo è evidentemente inammissibile essendo versato in fatto, giacché censura una valutazione della ricognizione degli elementi probatori raccolti dalla G.d.F. ed oggetto di analitica relazione, ed altrettanto compiuta argomentazione da parte del giudice di secondo grado.
10. Il nono motivo deduce violazione e/o falsa applicazione del principio di difesa, dell’art. 24 Cost. e della L. 898/1970, per non aver, la Corte d’Appello di Catania, neppure marginalmente indicato “i fatti nuovi e sopravvenuti” rispetto al decreto emesso dalla stessa Corte di Catania in sede di reclamo, impedendo così di fatto il legittimo diritto di verifica e controllo, di conseguenza quello di difesa costituzionalmente garantito ed inviolabile di cui all’art. 24 Cost.: in sostanza il ricorrente si duole che la Corte d’Appello abbia ritenuto possibile apportare modifiche all’entità del contributo di mantenimento del coniuge separato senza accertare fatti nuovi sopravvenuti.
10.1 Il motivo è inammissibile perché non si confronta con la ratio decidendi.
Invero la Corte territoriale sul punto afferma: “deve innanzitutto rilevarsi in via preliminare che nessun vincolo aveva il primo giudice ad attenersi alla statuizione resa dalla Corte d’Appello in sede di reclamo allorché aveva revocato l’assegno di mantenimento disposto dal presidente del Tribunale a favore della appellata e infatti è evidente che in quella sede la Corte decide sempre rebus sic stantibus e che l’istruttoria poi demandata al giudice di merito ben posso approfondire e ribaltare il corredo istruttorio di cui dispone il presidente nella fase dei provvedimenti provvisori ed urgenti; e nella specie è del tutto evidente che in seno al primo giudizio siano emersi fatti e prove nuove idonee a fondare una nuova decisione del giudice in merito al mantenimento, posto la decisione della Corte d’Appello era antecedente alla fase istruttoria nonché alle indagini svolte a cura della Guardia di finanza”.
La situazione presa in considerazione prima dal Tribunale quindi dalla Corte d’Appello di Catania, era diversa da quella esaminata in sede di reclamo, e la Corte ha chiarito che i fatti sopravvenuti erano costituiti dalle indagini compiute dalla G.d.F., sicché – anche in questo caso – la censura, oltre ad essere del tutto aspecifica rispetto ad un vizio tipico cui è vincolato il ricorso per cassazione, si rivela diretta ad contestare una valutazione di merito che compete in via esclusiva al giudice di merito, pretendendone in questa sede una rivisitazione inammissibile.
11. Il decimo motivo deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1561 c.c., degli artt. 116 e 360c.p.c., degli artt. 2,3,24 e 111 Cost. con riguardo all’accertamento della consistenza del reddito della sig.ra Ru.Gl. odierna resistente, che sarebbe stato calcolato non sulle dichiarazioni dei redditi a disposizione della Corte, bensì su due sole buste paga addirittura di ben 7 anni dopo la cessazione della convivenza.
11.1 Il motivo è infondato.
La Corte d’Appello così argomenta sul punto: “passando ora all’esame delle entrate dell’appellata risulta in atti che la Ru.Gl. ha percepito per l’attività svolta quale Dirigente Scolastico dell’istituto G.M. Columba di Sortino il reddito complessivo lordo di Euro 54.323,00, per l’anno 2015, di Euro 50.443,00 per l’anno 2016, di Euro 50.373,00 per l’anno 2017, Euro 51.199,00 per l’anno di imposta 2018, Euro 62.669,00 per l’anno di imposta 2019, Euro 67.849,02 per l’anno di imposta 2020 (cfr. CUD versati in atti). Ne consegue che la stessa risulta essere percettrice di un reddito netto mensile oscillante tra Euro 3.132,28 (gennaio 2023) Euro 2.944,98 per come emerge dalle buste paga di gennaio e febbraio 2023 (doc. 15 fascicolo parte appellata)”. Pare evidente che l’esame condotto dalla Corte di merito, non si limita affatto a due buste paga, ma prende in considerazione i CUD dal 2015 al 2020.
12. L’undicesimo motivo deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., inesistenza di prova sul tenore di vita “elevato” goduto durante la convivenza. Sostiene il sig. Se.El. di aver eccepito – già in primo grado – che non era stata raggiunta la prova dell’elevato tenore di vita goduto dalla coppia, laddove si trattava di un tenore di vita “normale” e/o “medio” di due soggetti con buon reddito, il marito libero professionista con un reddito minore e la moglie dirigente scolastico con uno maggiore; della dimostrazione dell’elevato tenore di vita sarebbe stata onerata la moglie che avrebbe dovuto dimostrare questo invocato tenore stante l’impiego stabile e duraturo con elevato reddito da dirigente, mentre nessuna prova sarebbe stata fornita, “nessun teste escusso in tal senso e nemmeno una semplice attestazione fotografica veniva prodotta, rimanendo le dichiarazioni semplicemente tali”, onde la sentenza sarebbe viziata da palese lacunosità della motivazione.
12.1 Il motivo è inammissibile poiché è evidentemente rivolto ad una valutazione compiuta nel merito dal giudice di primo e poi di secondo grado. In particolare la Corte d’Appello di Catania – con una argomentazione immune dai vizi motivazionali che il ricorrente contesta – ha considerato infondate le censure mosse al giudizio di primo grado circa il fatto che ivi non fosse stata raggiunta la prova dell’alto tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, poiché al riguardo si deve guardare “alle potenzialità economiche” ovvero tener conto di tutte le potenzialità derivanti dal patrimonio, in termini di redditività, capacità di spesa, garanzie di elevato benessere e di fondate aspettative per il futuro, concludendo che “non si tratta, quindi, di un computo di natura aritmetica, ma di una valutazione del complesso di fattori che rendono anche possibile effettuare progetti per il futuro anche in relazione alle capacità lavorative delle parti”, considerando tra i progetti per il futuro quello di avere dei figli. Rispetto a siffatta argomentazione del tutto inammissibile si rivela la dedotta violazione per carenza della motivazione ed oscurità degli argomenti utilizzati, e tanto più l’invocata violazione dell’art. 2697 c.c., che, come noto, si configura soltanto nell’ipotesi che il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate da quella norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia errato nel ritenere che la parte onerata abbia assolto tale onere, poiché in questo caso vi è soltanto un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, insindacabile in sede di legittimità, (Cass. 17 giugno 2013, n. 15107; Cass. 5 settembre 2006, n. 19064; Cass. 14 febbraio 2000, n. 2155; Cass. 2 dicembre 1993, n. 11949) se non per anomalia motivazionale che assurga, però, alla soglia della violazione di legge, in quanto renda priva la decisione del minimo motivazionale costituzionalmente garantito (v. Cass, Sez. Un. n.8053/2014) il che qui non è.
13. Il dodicesimo motivo, infine, deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 156 c.c. e degli art. 3 e 111 Cost., per aver la Corte d’Appello detratto al reddito della moglie il canone di affitto del bene condotto in locazione e il mutuo acceso prima del matrimonio per l’acquisto della casa coniugale (in comproprietà al 50% dei coniugi in separazione dei beni), giacché il mutuo era stato acceso dalla resistente nell’ottobre dell’anno 2005, quindi prima del matrimonio, onde non avrebbe potuto riguardare la determinazione della sperequazione del reddito dei coniugi, tanto più per essere destinato ad elevare il personale patrimonio della resistente; mentre il canone di locazione per l’immobile da questa condotto era frutto della deliberata volontà di abbandonare il tetto coniugale e di trasferirsi altrove.
13.1 Il motivo è inammissibile, poiché non si confronta con la ratio decidendi di cui non tiene alcun conto.
La decisione della Corte d’Appello si fonda sull’accertamento anzitutto che la sig.ra Ru.Gl. non ha affatto abbandonato la casa familiare ma è stata costretta ad allontanarsene a causa dell’opposizione del marito a consentirle di fare ingresso nella propria abitazione. Quanto al fatto pacifico del godimento, in via esclusiva, della casa familiare da parte del sig. Se.El. (sebbene in comproprietà con la moglie) la Corte – come già il Tribunale- ha ritenuto con un ragionamento immune da vizi logici, che il coniuge comproprietario della casa familiare, era gravato dall’onere del mutuo per l’acquisto della stessa e di un canone di locazione per altro alloggio, non ricevendo alcunché a titolo di corrispettivo pro quota del godimento esclusivo in capo all’ex marito del bene in comproprietà, e che ciò determinava uno squilibrio economico patrimoniale incidente sui parametri valutativi del diritto all’assegno di mantenimento.
14. In conclusione il ricorso va respinto. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come nel dispositivo, ai sensi del D.M. 12 luglio 2012, n. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.
La Corte
– respinge il ricorso;
– condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore della controricorrente, liquidate nell’importo di euro 4.200,00 di cui euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% sul compenso ed agli accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dalla I. 24 dicembre 2012, n. 228, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
In caso di pubblicazione o divulgazione omettere le generalità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della I Sezione Civile del 10 giugno 2025.
Depositato in Cancelleria il 25 giugno 2025.
