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Cassazione civile sez. I, 22/11/2024, n.30185

Massima

Nelle controversie in materia di protezione internazionale, ex art. 35-bis, comma 13, del d.lgs. n. 25 del 2008, nel testo vigente ratione temporis, il termine di trenta giorni per proporre ricorso per cassazione decorre dalla comunicazione del decreto impugnato a cura della cancelleria.

Supporto alla lettura

PROTEZIONE INTERNAZIONALE

La protezione internazionale è la categoria generale delle figure del diritto di asilo, che l’art. 10 Cost. riconosce allo straniero che nel suo Paese non può esercitare le libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana.

Il nostro sistema prevede tre figure di protezione:

  • status di rifugiato: riguarda il cittadino straniero il quale, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica, si trova fuori dal territorio del Paese di cui ha la cittadinanza e non può, o non vuole, avvalersi della protezione di tale Paese, oppure apolide che si trova fuori dal territorio nel quale aveva precedentemente la dimora abituale per le medesime ragioni sopra esposte e non può, o non vuole, farvi ritorno (nell’ambito di tali forme di persecuzione, sono state ricomprese alcune specifiche ipotesi fra cui la condizione degli omosessuali incriminati o a rischio di incriminazione perché nei loro Paesi gli atti omosessuali sono reato; la condizione delle donne a rischio di mutilazioni genitali femminili; la condizione dei fedeli di pratiche religiose proibite);
  • protezione sussidiaria:  concerne il cittadino straniero che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato ma nei cui confronti sussistono fondati  motivi di ritenere che, se ritornasse nel Paese di origine, o, nel caso di un apolide, se ritornasse nel Paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale, correrebbe il rischio effettivo di subire un grave danno, da individuarsi nella condanna a morte o nell’esecuzione della pena di morte, oppure nella tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante oppure, infine, nella minaccia grave e individuale alla vita o alla persona derivante da violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale;
  • protezione umanitaria: non è uno status, è prevista da leggi nazionali che attuano il suggerimento europeo di proteggere persone in stato di vulnerabilità, per le quali sussistano gravi motivi umanitari (es. le ipotesi di minori non accompagnati; persone a rischio di epidemie nel proprio Paese; persone provenienti da paesi in cui vi è un conflitto armato non così grave da giustificare la protezione sussidiaria; richiedenti che, avendo in attesa della decisione sulla domanda avuto modo di inserirsi stabilmente nella società nazionale, non vanno sradicate dal nuovo contesto di vita).

Lo status di rifugiato è tendenzialmente permanente mentre la protezione sussidiaria dura cinque anni rinnovabili; entrambi possono essere revocati per seri motivi (es. commissione di reati gravi) oppure per il miglioramento radicale della situazione del Paese di origine. Il permesso di soggiorno per motivi umanitari dura di solito due anni rinnovabili ed è rilasciato dal Questore (non dal giudice o dall’organo amministrativo, che si limitano a dichiarare che ve ne sono le condizioni).

La domanda di protezione è proposta in via amministrativa alle forze di polizia ed esaminata dalle Commissioni territoriali insediate nelle sedi stabilite dalla legge. La domanda è istruita con l’ascolto del richiedente asilo (la c.d. intervista) sulla vita passata e sulle ragioni dell’emigrazione, esaminati alla luce delle informazioni sul Paese di origine, le country of origin information (Coi). Decide poi con provvedimento motivato sia rispetto alla credibilità intrinseca che ai riscontri e alle Coi disponibili. Il richiedente può impugnare il provvedimento in tutto o in parte sfavorevole davanti al tribunale del capoluogo del distretto di corte d’appello dove ha sede la commissione territoriale o la sua sezione distaccata che ha emesso il provvedimento, oppure il Cara che ospita il richiedente asilo.

Il giudice decide sul rapporto; non può annullare l’atto perché mal motivato o viziato, ma esamina il merito. Avendo pieni poteri ufficiosi, può ricercare le Coi attraverso riviste, rapporti di ong, siti Internet specializzati (ma non deve chiedere al Paese di provenienza, il quale potrebbe fornire informazioni falsate o svolgere attività intese a perfezionare la persecuzione dedotta dal richiedente). E’ obbligatorio l’intervento del Pm.

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Catanzaro, con decreto n. cronol. 4879/2023, pubblicato l’1/9/2023, ha respinto il ricorso di (omissis), cittadino pakistano, volto al riconoscimento, a seguito di diniego della competente Commissione territoriale, della protezione internazionale, sia come status di rifugiato sia come protezione sussidiaria, o in subordine della protezione complementare. Avverso la suddetta pronuncia, Fi.Ah. propone ricorso per cassazione, notificato il 24/11/2023, affidato a due motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che dichiara di costituirsi al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione. Con proposta di definizione accelerata del 7/2/2024, comunicata l’8/2/2024, ai sensi dell’art.380 bis c.p.c., il ricorso è stato ritenuto “inammissibile in quanto, proposto avverso decreto del Tribunale di Catanzaro di rigetto della richiesta, a seguito di diniego della competente Commissione territoriale, di riconoscimento della protezione internazionale e complementare o speciale, è stato notificato il 24/11/2023, avverso il decreto di rigetto del Tribunale di Catanzaro emesso in data 31/07/2023, pubblicato in data 01/09/2023 e comunicato, via PEC, in data 27/09/2023, oltre quindi il termine di trenta giorni dettato dall’art.35 bis, comma 13, D.Lgs. 25/2008”.

Con istanza del 18/3/2024, il ricorrente ha chiesto la decisione della causa, che è stata trattenuta in decisione all’adunanza camerale del 14/11/2024.

Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il ricorrente lamenta: a) con il primo motivo, la violazione o falsa applicazione dell’art. 8 D.Lgs. 25/2008, degli artt. 3 e 14 D.Lgs. 251/2007 e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in relazione alla mancata valutazione della situazione esistente in Pakistan e dell’omessa attività istruttoria in relazione all’art. 360,1 comma, punto 5) c.p.c.; b) con il secondo motivo, violazione dell’art. 19 D.Lgs. 286/98 e dell’art. 32 D.Lgs. 25/2008, nonché del D. L. 130/2020 convertito nella L. 173/2020 in relazione alla omessa motivazione per quanto riguarda il riconoscimento di un permesso di soggiorno per protezione umanitaria in relazione all’art. 360,1 comma, punto 5) c.p.c..

2. Deve rilevarsi, conformemente alla proposta di definizione accelerata, che il termine per proporre ricorso per cassazione nelle controversie in materia di protezione internazionale, ex art.35 bis D.Lgs. 25/20008, comma 13, nel testo vigente ratione temporis, è di trenta giorni decorrente dalla comunicazione del decreto impugnato a cura della cancelleria (sulla manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, Cass. 17717/2018). Ed è stato ritenuto inammissibile il ricorso straordinario per cassazione ex art. 111, comma 7, Cost. avverso il decreto del Tribunale che rigetti l’impugnazione contro il provvedimento di diniego della richiesta di protezione internazionale, in quanto avverso il predetto decreto è espressamente prevista la possibilità di ricorso – ordinario – per cassazione ai sensi dell’art. 35-bis, comma 13, del D.Lgs. n. 25 del 2008, il che esclude la carenza di tutela che legittima il ricorso al mezzo di impugnazione straordinario, dovendo ulteriormente rilevarsi che il rigetto della domanda di protezione internazionale, nelle sue diverse declinazioni, non è configurabile come provvedimento limitativo della libertà personale e di altri diritti fondamentali dello straniero (Cass. 84/2021).

Nella specie, a fronte di una comunicazione in data 27/9/2023 del decreto del Tribunale di Catanzaro (come riportato in ricorso, peraltro), il ricorso è stato notificato oltre il suddetto termine, il 24/11/2023.

3. Per quanto sopra esposto, va dichiarato inammissibile il ricorso per tardività, nulla dovendosi disporre sulle spese di lite, stante il mancato svolgimento di rituali difese da parte del Ministero. Poiché il ricorso è deciso in conformità della proposta ex art. 380-bis, comma 1, cod. proc. civ. (come novellato dal D.Lgs. n. 149 del 2022), va disposta la condanna della parte istante a norma dell’art. 96, comma 4, cod. proc. civ. (non operando il comma 3 in difetto di costituzione della parte intimata e di pronuncia sulle spese). Invero, in tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, l’art. 380-bis, comma 3, cod. proc. civ. (pure novellato dal menzionato D.Lgs. n. 149 del 2022) – che, nei casi di definizione del giudizio in conformità alla proposta, contiene una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna ai sensi del terzo e del quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ. – codifica un’ipotesi normativa di abuso del processo, poiché il non attenersi ad una valutazione del proponente, poi confermata nella decisione definitiva, lascia presumere una responsabilità aggravata del ricorrente (cfr. Cass., SU, n. 28540 del 2023; Cass. n. 16191 del 2024).

Pertanto, non ravvisando il Collegio (stante la complessiva “tenuta”, pur nella sua sinteticità, del provvedimento della PDA rispetto alla motivazione necessaria per confermare l’inammissibilità del ricorso) ragioni per discostarsi dalla suddetta previsione legale (cfr., in motivazione, Cass., SU, n. 36069 del 2023), la parte ricorrente va condannata al pagamento della somma equitativamente determinata di Euro 1.500,00 in favore della Cassa delle ammende.

Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento della somma di Euro 1.500,00 in favore della Cassa delle ammende.Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, giusta il comma 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 14 novembre 2024.

Depositato in Cancelleria il 22 novembre 2024.

Allegati

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