Con sentenza depositata il 22.12.21, la Corte d’Appello di L’Aquila rigettava l’impugnazione proposta da (omissis), osservando che: era inapplicabile alla diffida e alla contestazione dell’illecito il termine di cui all’art. 14 L. n. 689/81 – in conformità della citata consolidata giurisprudenza di legittimità – in considerazione della speciale natura della stessa diffida, avente finalità anche di consentire al candidato di sanare l’illecito con il tardivo invio della dichiarazione; era infondata la doglianza afferente all’elemento soggettivo dell’illecito, atteso che, esclusa la rilevanza dell’invocata ignoranza del candidato, per non aver fattivamente partecipato a nessuna iniziativa elettorale comportante spesa, né ricevuto contributi da denunciare, correttamente era stata ritenuta superflua la prova orale articolata, considerando che, una volta ricevuta la diffida, il candidato avrebbe dovuto, prima della scadenza del termine assegnato con la diffida, presentare la suddetta dichiarazione, quale adempimento formale imprescindibile, anche per la dimostrazione di aver fatto il necessario per invocare l’esimente della buona fede.
(omissis) ricorre in cassazione avverso la suddetta sentenza, con due motivi. Il Collegio regionale di Garanzia Elettorale per l’Abruzzo resiste con controricorso.
Al riguardo, il ricorrente lamenta che la Corte territoriale abbia ritenuto superfluo l’invio di un’ulteriore diffida prima dell’irrogazione della sanzione amministrativa – essendo l’interessato già a conoscenza della natura dell’addebito e della pendenza della procedura- senza però tener conto della previsione contenuta nell’art. 15 della L. n. 515, di rinvio alle disposizioni generali contenute nelle sezioni I e II del capo I della L. n. 689/81, con la locuzione “salvo quanto diversamente stabilito”.
Il secondo motivo denunzia violazione degli artt. 24,111, Cost., 2697 e 2907, c.c., nonché omessa pronuncia sul motivo di gravame relativo alla mancata ammissione della prova orale richiesta, e motivazione apparente, per aver la Corte d’Appello ritenuto superflua la prova testimoniale dedotta (circa l’audizione del rappresentante di lista in ordine alle spese elettorali eventualmente sostenute dal ricorrente, e alle assicurazioni a quest’ultimo fornite sul fatto che a tutti gli obblighi avrebbe provveduto il gruppo politico di appartenenza) diretta a dimostrare la sua buona fede.
Il primo motivo è infondato sulla scorta della consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo la quale, in tema di sanzioni amministrative in materia elettorale, la diffida con la quale il Collegio Regionale di Garanzia invita il candidato che l’abbia omessa a presentare, nel termine di quindici giorni, la dichiarazione concernente le spese sostenute e le obbligazioni assunte per la propaganda elettorale, assolve alla duplice funzione di offrire al trasgressore la possibilità di sanare l’illecito e nel contempo di avvertirlo della pendenza del procedimento sanzionatorio; ne consegue che non è necessaria la notificazione di un nuovo atto di contestazione, ex art. 14 della L. n. 689 del 1981, essendo l’interessato già a conoscenza della natura dell’addebito e della pendenza della procedura (Cass., n. 3984/24; n. 28262/19).
In tema di sanzioni amministrative in materia elettorale, è stato altresì affermato che l’obbligo stabilito dall’art. 2, comma 1, n. 3, della legge n. 441 del 1982, richiamato dall’art. 7, comma 6, della legge n. 515 del 1993, di attestare, in alternativa alla dichiarazione concernente le spese sostenute per la campagna elettorale, di essersi avvalso esclusivamente di materiali e mezzi propagandistici messi a disposizione del partito, mira ad assicurare, in relazione a tutti i candidati che abbiano partecipato alla competizione elettorale, la trasparenza delle fonti di finanziamento, consentendo gli eventuali controlli; ne consegue che tale dichiarazione autocertificativa, sebbene in forma negativa, deve essere resa anche dai candidati che, oltre a non aver sostenuto personalmente oneri o ricevuto contributi, neppure si siano avvalsi di strutture e mezzi messi a disposizione dal partito, onde, in caso di omissione, è legittima la sanzione irrogata dal Collegio di Garanzia Elettorale (Cass., n. 8263/21).
Le diverse interpretazioni delle norme in questione propugnate dal ricorrente non sono sorrette da adeguate ragioni ermeneutiche che inducano a sovvertire la citata giurisprudenza.
Al riguardo, è anzitutto irrilevante il riferimento alla L. n. 689/81, avendo la Corte territoriale ritenuto non necessario un nuovo atto di contestazione, essendo l’interessato già a conoscenza della natura dell’addebito e della pendenza della procedura.
Invero, nella duplice funzione assolta dalla diffida, questa Corte di legittimità ha escluso l’applicabilità dell’art. 14 legge n. 689 del 1981 e della contestazione ivi prevista al secondo comma. L’art. 15, al comma 19 della legge n. 515 del 1993, con previsione di chiusura, stabilisce – quanto alle sanzioni amministrative pecuniarie previste in materia elettorale – l’applicazione delle disposizioni generali contenute nelle sezioni I e II del capo I della legge 24 novembre 1981, n. 689, “salvo quanto diversamente disposto”, stabilendo altresì, espressamente, che non si applica l’art. 16 della medesima legge n. 689 del 1981. Come statuito da questa Corte (Cass., n. 3984/24 cit.), le sottese ragioni divengono così portatori di una natura speciale dell’atto descritto all’art. 15, comma 8, della legge n. 515/1993, come modificato dall’art. 1 della legge 31 dicembre 1996 n. 672 e legittimano la deroga all’applicazione della più generale disciplina, da valere in materia di sanzioni amministrative, come contenuta nella legge n. 689 del 1981 (Cass. 4 novembre 2019 n. 28262; Cass., n. 8263/21). Pertanto, sia la lettera delle disposizioni citate, sia la ratio delle stesse, che va individuata nell’esigenza di assicurare la trasparenza delle fonti di finanziamento delle campagne elettorali e garantire gli eventuali controlli, comportano la sussistenza dell’obbligo a carico di tutti i candidati che abbiano partecipato alle competizioni elettorali, eletti o meno, di rendere una dichiarazione al riguardo.
Ne consegue che, anche nei “casi limite”, come nella fattispecie, di candidati i quali, oltre a non sostenere personalmente oneri o ricevere contributi, neppure si siano avvalsi di strutture e mezzi propagandistici collettivi di partito, gli stessi sono tenuti a dichiararlo, assumendosene la relativa responsabilità nella prevista solenne forma. Ne discende, altresì, che la notifica della diffida avrebbe dovuto immediatamente spingere l’ingiunto ad adempiere, consegnando la documentazione richiesta).
Il secondo motivo è inammissibile, in quanto diretto al riesame delle valutazioni discrezionali della Corte d’Appello sulla non ammissione della dedotta prova testimoniale, ritenuta superflua, venendo in rilievo la mancata osservanza dei suddetti obblighi formali a carico del candidato, diretti a garantire la trasparenza delle fonti di finanziamento, e dunque non surrogabili attraverso deleghe a terzi. Infine, va soggiunta l’irrilevanza dell’eventuale ignoranza della legge da parte del candidato – il quale assume di essersi affidato alle “rassicurazioni” di terzi circa la procedura da seguire – che non può certo scusare il ricorrente. Le spese seguono la soccombenza.
Così deciso nella camera di consiglio della Prima Sezione Civile del 26 settembre 2024.
Depositato in Cancelleria il 21 ottobre 2024.
