Svolgimento del processo
CHE:
1. – Conceria Pegaso S.p.A. ricorre per otto mezzi, nei confronti di Atradius Credit Insurance N. V., contro la sentenza del 2 dicembre 2014 con cui la Corte d’appello di Roma ha respinto l’impugnazione per nullità del lodo arbitrale rituale reso tra le parti il 28 maggio 2007.
2. – La vicenda, per quanto è dato intendere, può così in breve riassumersi:
-) Conceria Pegaso S.p.A. ha stipulato con S.I.C. S.p.A. un “polizza di assicurazione dei crediti commerciali a primo rischio assoluto”, che ha poi fatto valere a seguito dell’inadempimento, da parte di società terze, dell’obbligazione di pagamento di due forniture di pellame;
-) introdotto il giudizio arbitrale dalla stessa Conceria Pegaso S.p.A., secondo quanto contrattualmente previsto, con la nomina del proprio arbitro, la nomina dell’arbitro di controparte è stata effettuata da Atradius Credit Insurance N. V. conferitaria del portafoglio assicurativo di S.I.C. S.p.A.;
-) l’odierna ricorrente ha ricusato per due volte senza successo l’arbitro nominato da Atradius Credit Insurance N. V., introducendo altresì un giudizio di merito nei confronti degli arbitri dinanzi al Tribunale di Lucca e quindi sostenendo che la pendenza del giudizio fosse anch’essa causa di ricusazione;
-) svoltosi il giudizio arbitrale, il collegio ha rigettato, anche se qui si ignora il perchè, la domanda proposta da Conceria Pegaso S.p.A., e regolato le spese di lite;
-) la Corte d’appello di Roma, investita dell’impugnazione per nullità, qualificata in ricorso dalla ricorrente come appello, l’ha respinta, osservando che le ricusazioni erano state proposte dopo lo spirare del termine perentorio previsto dall’art. 815 c.p.c., comma 2, nel testo applicabile ratione temporis, antecedente la riforma del 2006, e che, comunque, esse erano nel merito infondate, come erano infondate le doglianze concernenti gli ulteriori motivi di impugnazione, aventi ad oggetto la violazione della clausola compromissoria, la violazione del contraddittorio per assegnazione di termini sfalsati, l’eccesso di potere derivante dall’essere stato pronunciato il lodo tra soggetti diversi dagli stipulanti il patto compromissorio, la nullità del compromesso.
3. – Atradius Credit Insurance N. V. resiste con controricorso.
Le parti hanno depositato memorie.
Motivi della decisione
CHE:
4. – Il primo mezzo denuncia nullità della sentenza e/o del procedimento e/o violazione e/o falsa applicazione dell’art. 101 c.p.c., comma 2, sostenendo che la Corte d’appello avrebbe posto a fondamento della decisione una questione non previamente sottoposta al dibattito processuale, quale quella della tardività delle ricusazioni.
Il secondo mezzo denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 51 c.p.c. e/o dell’art. 829 c.p.c., e/o dell’art. 815 c.p.c., e/o dell’art. 2969 c.p.c., censurando la sentenza impugnata per aver errato nel rilevare d’ufficio la tardività delle ricusazioni, dal momento che il vizio di incompatibilità dell’arbitro invano ricusato potrebbe essere fatto valere in sede di impugnazione del lodo anche se l’istanza di ricusazione sia stata formulata tardivamente.
Il terzo mezzo denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in ordine alla circostanza che l’arbitro nominato da Atradius Credit Insurance N. V. risultava ad esso, come pure a S.I.C. S.p.A., legato da rapporti professionali.
Il quarto mezzo denuncia ancora omesso esame di un fatto decisivo e controverso e/o violazione e/o falsa applicazione dell’art. 51 c.p.c. e/o dell’art. 815 c.p.c., censurando la sentenza impugnata per aver negato rilievo alla lite pendente prima dell’emissione del lodo arbitrale avanti il Tribunale di Lucca.
Il quinto mezzo denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 815 c.p.c., manifesto errore dell’ordinanza di ricusazione, e/o omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, osservando che gli arbitri, nei due procedimenti di ricusazione, si erano costituiti non personalmente ma con propri legali.
Il sesto mezzo denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2560 c.p.c. e/o dell’art. 810 c.p.c., censurando la sentenza impugnata per il fatto che il lodo era stato pronunciato da arbitri non legittimati, in quanto nominati da un soggetto, Atradius Credit Insurance N. V., che non era parte del giudizio arbitrale, tanto più che il rapporto intercorso tra S.I.C. S.p.A. e Atradius Credit Insurance N. V. non comportava il subentro di quest’ultima nel patto compromissorio.
Il settimo mezzo denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 101 c.p.c., censurando la sentenza impugnata per aver negato rilievo la circostanza che gli arbitri avessero assegnato alle parti termini sfalsati per il deposito di atti e documenti.
L’ottavo mezzo denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 51 c.p.c. e/o dell’art. 25 Cost., ponendo nuovamente in discussione l’imparzialità dell’arbitro nominato da controparte.
RITENUTO CHE:
5. – Il ricorso è inammissibile.
5.1. – Esso, anzitutto, non risponde requisiti di cui all’art. 366 c.p.c., nn. 3 e 6.
Vale al riguardo osservare che, secondo quanto emerge dal ricorso per cassazione, l’impugnazione per nullità è stata proposta da Conceria Pegaso S.p.A., eccezion fatta che per il profilo sviluppato qui nel sesto motivo, esclusivamente a causa dell’incompatibilità degli arbitri invano ricusati.
Il ricorso ruota, cioè, salvo quanto osservato, sulla sola sussistenza di fatti tali da giustificare la ricusazione, fatti sintomaticamente manifestatisi anche attraverso l’assegnazione dei termini sfalsati e più in generale attraverso la violazione del principio del contraddittorio: viceversa, nulla si sa, se non assai vagamente, della domanda proposta in sede arbitrale, ed ancor meno viene riferito in ricorso delle ragioni che il collegio arbitrale ha posto a fondamento della decisione di rigetto della domanda spiegata da Conceria Pegaso S.p.A..
E cioè, dalle 45 pagine del ricorso riesce a comprendersi appena che quest’ultima società avrebbe effettuato due forniture di pellame in favore di due distinte società, per gli importi di Euro 251.796,11 e di Euro 117.345,01, importi che non sarebbero stati pagati, sicchè la stessa società ricorrente avrebbe poi instaurato nei confronti di S.I.C. S.p.A. “una procedura arbitrale per la tutela dei propri diritti” (così a pagina 2 del ricorso); più avanti, a pagina 8 del ricorso, viene affermato che il 31 maggio 2007 essa società aveva ricevuto “il lodo deliberato dagli arbitri con il quale questi ultimi respingevano la domanda proposta dalla Conceria e la dichiaravano tenuta al pagamento delle spese arbitrali e delle spese legali di controparte”. Senza ulteriore spiegazione di alcun genere, come si diceva, non solo delle ragioni poste dal collegio arbitrale a fondamento della decisione, ma anche di quelle tali da dimostrarne l’illegittimità o l’ingiustizia.
Orbene, l’impugnazione del lodo arbitrale tende ad instaurare un procedimento nel quale si vuole ottenere, attraverso un provvedimento intermedio (di dichiarazione di nullità del lodo stesso), il riesame del merito; è pertanto evidente che la domanda di riforma (attinente alla fase rescissoria) implica e presuppone, nel meccanismo fissato dagli artt. 829 e 830 c.p.c., la declaratoria di nullità del lodo (pronuncia rescindens) che è perciò necessaria, ma meramente strumentale rispetto al riesame della causa e, quindi, alla pronuncia rescissoria; a tal fine, non è necessaria che vi sia un’istanza formale o un’espressa manifestazione di volontà specificamente contenuta nelle conclusioni, ben potendo la domanda risultare implicitamente o indirettamente dalle deduzioni o richieste complessivamente formulate (Cass. 16 giugno 1997, n. 5370; Cass. 30 gennaio 2002, n. 1230).
Ora, è ben vero che questa Corte, nel vigore della disciplina dell’arbitrato antecedente la riforma del 2006, ha individuato taluni frangenti in cui l’accoglimento dell’impugnazione per nullità nel suo profilo rescindente travolge il lodo, senza che debba o possa passarsi al giudizio rescissorio, frangenti da cui è in seguito scaturita la previsione dell’attuale art. 830 c.p.c., comma 2 in applicazione del quale, solo se il lodo è annullato per taluni motivi ivi elencati, la Corte d’appello decide la controversia nel merito, salvo che le parti non abbiano stabilito diversamente nella convenzione di arbitrato o con accordo successivo.
Ma l’essere stato pronunciato il lodo da un arbiter suspectus non rientra nei casi in cui la Corte d’appello dovesse arrestarsi al rescindente. E ciò perchè, salvo il caso di interesse proprio e diretto nella causa, il giudice invano ricusato non manca di potestas decidendi (Cass. 4 maggio 1998, n. 4403; Cass. 4 dicembre 2015, n. 24718; Cass. 9 novembre 2016, n. 22835; Cass. 16 aprile 2019, n. 10492). Difatti, in tema di arbitrato, soltanto nelle ipotesi di inesistenza del lodo arbitrale (per inesistenza del compromesso o della clausola compromissoria o per essere la materia affidata alla decisione degli arbitri estranea a quelle suscettibili di formare oggetto di compromesso), alla Corte d’appello era precluso il passaggio alla fase rescissoria, mancando in radice la potestas decidendi, e configurandosi quindi l’eventuale pronuncia arbitrale come una vera e propria usurpazione di potere; al contrario, le eventuali difformità dai requisiti e dalle forme del giudizio arbitrale potevano provocare solo la nullità del lodo, con la conseguenza che la Corte d’appello era tenuta sempre a pronunciare nel merito, senza possibilità di distinguere tra le varie ipotesi che avessero dato luogo alla rilevata censura (Cass. 16 ottobre 2009, n. 22083).
Quanto precede ben si armonizza con l’inquadramento che questa Corte fa del provvedimento pronunciato dal iudex suspectus, e quindi dall’arbiter suspectus, secondo l’approdo che si rinviene in Cass., Sez. Un., 20 novembre 2003, n. 17636 (da cui discendono Cass. 28 agosto 2004, n. 17192, e Cass. 15 novembre 2010, n. 23056, in materia di arbitrato): e cioè, “l’ordinanza che rigetta l’istanza di ricusazione, se ha natura decisoria, non può, però, considerarsi un provvedimento definitivo, perchè il suo contenuto può essere riesaminato nel corso dello stesso processo in cui l’ordinanza è stata emanata, onde non può dirsi che essa abbia l’effetto di pregiudicare irrimediabilmente e definitivamente il diritto della parte ad un giudice imparziale. Questa Corte ha da tempo affermato che l’ordinanza di rigetto dell’istanza di ricusazione confluisce nella sentenza che definisce il grado di giudizio in cui detta ordinanza è stata emessa, con la conseguenza che l’eventuale vizio causato dall’incompatibilità del giudice invano ricusato diviene motivo di nullità dell’attività spiegata dal giudice stesso e quindi di gravame della sentenza da lui emessa, e questa impugnazione rende possibile il controllo sul provvedimento che ha negato la sussistenza dell’addotta causa di ricusazione, il quale è pertanto riesaminabile nell’ulteriore corso del processo, a seguito dell’iniziativa della parte che ha proposto l’istanza di ricusazione”.
Val quanto dire che l’impugnazione per nullità del lodo arbitrale doveva per un verso identificare la ratio decidendi posta dal collegio arbitrale a fondamento del rigetto della domanda spiegata da Conceria Pegaso S.p.A., e, per altro verso evidenziare in qual modo il reiterato omesso accoglimento delle reiterate istanze di ricusazione potesse inficiare tale ratio decidendi.
Non resta allora se non prendere atto che, come si premetteva, il ricorso difetta dei requisiti di cui all’art. 366 c.p.c., nn. 3 e 6 giacchè non consente di comprendere che cosa sia avvenuto in sede arbitrale e per quali ragioni, preso atto del diniego della ricusazione, la Corte d’appello, in sede rescissoria, avrebbe dovuto accogliere la domanda attrice.
5.2. – Sotto altro profilo, ma in collegamento con le osservazioni appena svolte, merita evidenziare che la natura giurisdizionale dell’arbitrato rituale fa sì che l’impugnazione del lodo sia soggetta alla disciplina e ai principi che regolano il giudizio di appello (p. es. Cass. 17 ottobre 2018, n. 26008).
Ora, questa Corte ha più volte ribadito che le nullità occorse nel primo grado del giudizio (al di fuori di quelle che legittimano la rimessione al primo giudice) non possono essere oggetto di censura limitata al profilo di rito, senza investire il merito (se, ovviamente, una pronuncia di merito vi è stata). E’ perciò inammissibile l’impugnazione con la quale l’appellante si limiti a dedurre soltanto i vizi di rito avverso una pronuncia che abbia deciso anche nel merito in senso a lui sfavorevole, salvo che i vizi denunciati comportino, se fondati, una rimessione al primo giudice ai sensi degli artt. 353 e 354 c.p.c.; nelle ipotesi in cui, invece, il vizio denunciato non rientra in uno dei casi tassativamente previsti dagli artt. 353 e 354 cit., è necessario che l’appellante deduca ritualmente anche le questioni di merito, con la conseguenza che, in tali ipotesi, l’appello fondato esclusivamente su vizi di rito, senza contestuale gravame contro l’ingiustizia della sentenza di primo grado, dovrà ritenersi inammissibile, oltre che per difetto di interesse, anche per non rispondenza al modello legale di impugnazione (tra le tante Cass. 4 ottobre 1991, n. 10389; Cass. 29 ottobre 1997, n. 10692; Cass. 29 settembre 2005, n. 19159; Cass. 9 dicembre 2005, n. 27296; Cass. 24 gennaio 2007, n. 1505; Cass. 15 marzo 2007, n. 6031; Cass., 3 sez., 29 gennaio 2010, n. 2053).
Si torna dunque all’aspetto già in precedenza evidenziato: e cioè che la ricorrente, oltre ad evidenziare l’aspetto di mero rito concernente la ricusazione, non ha nell’atto d’appello, per quanto essa stessa ha narrato nel ricorso per cassazione, neppure approssimativamente spiegato quali vizi affliggessero il lodo impugnato nella parte in cui aveva respinto la domanda attrice, evidenziando, come riferisce la controricorrente, che: “manca in atti la prova: 1) della Compagnia abbia concesso un affidamento preventivo le vendite; 2) degli assunti i crediti vantati, in difetto anche di una sola fattura di vendita a credito asseritamente effettuata; 3) dell’avvenuta segnalazione periodica delle vendite accredito effettuate; 4) del pagamento di qualsiasi premio; 5) dell’avvenuta denunzia di morosità nei termini contrattuali; 6) del rispetto dell’obbligo di salvataggio ex art. 1914 c.c. come previsto in polizza; 7) che siano state esperite azioni di recupero; 8) che si sia effettivamente verificata d’insolvenza dei debitori-acquirenti; 9) dell’avvenuta ammissione degli assunti i crediti della Conceria al passivo in una sola procedura concorsuale”.
5.3. – Resta da dire del sesto motivo, che è inammissibile ex art. 360 bis c.p.c., n. 1, giacchè si risolve nella riproposizione di un’eccezione già esaminata e disattesa dalla Corte d’appello, senza che il ricorso si faccia carico di esaminare e contrastare le considerazioni svolte in proposito nella sentenza impugnata, la quale ha accertato in fatto (e l’accertamento non può essere ovviamente rimesso in discussione in questa sede) che Atradius Credit Insurance N. V. era conferitaria del portafoglio assicurativo di S.I.C. S.p.a. e dunque subentrante ex lege nel rapporto controverso, ed era perciò legittimata alla nomina, in conformità alla giurisprudenza di questa Corte, richiamata nella stessa sentenza, secondo cui, nell’ipotesi in cui l’arbitro di parte, mai nominato dal dante causa, sia stato, invece, nominato direttamente dal subentrante ex lege nel rapporto controverso – con ciò stesso intervenendo questi nella procedura -, deve ritenersi, attesa la natura sostanziale e non meramente processuale dell’atto di nomina dell’arbitro (nonchè la circostanza che la titolarità del rapporto controverso, e della stessa clausola compromissoria, è passata al successore a titolo particolare), che sia il successore a titolo particolare stesso il soggetto legittimato alla nomina dell’arbitro (Cass. 8 aprile 2003, n. 5457; Cass. 27 novembre 2003, n. 18116).
6. – Le spese seguono la soccombenza. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese sostenute per questo giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 6.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge, dando atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 14 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 21 ottobre 2021