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Cassazione civile sez. I, 19/11/1997, n. 11495

Massima

In materia di revocatoria fallimentare di atti relativi a contratti di mutuo fondiario, se il contratto di mutuo è ritenuto valido, efficace, e opponibile al fallimento (con conseguente ammissione del credito al passivo), la garanzia ipotecaria contestualmente costituita a presidio del debito contestualmente creato non può essere revocata in via autonoma.

Supporto alla lettura

CONTRATTO DI MUTUO

Il mutuo è un contratto reale mediante il quale una parte (c.d. mutuante) consegna all’altra (c.d. mutuatario) una determinata quantità di denaro o altre cose fungibili, con l’obbligo per il mutuatario di restituire altrettante cose della stessa specie e qualità.

Fondamentalmente esistono il contratto di mutuo fondiario e quello ipotecario, la differenza principale riguarda la finalità:

– il mutuo fondiario è destinato a finanziare l’acquisto di un immobile e prevede solitamente condizioni più vantaggiose, soprattutto per le spese notarili;

– il mutuo ipotecario, invece, comprende più opzioni, come acquisto, ristrutturazione, liquidità e consolidamento debiti. Se il mutuo fondiario è anche ipotecario, non vale invece il viceversa.

Al contratto di mutuo vengono allegati il piano di ammortamento del capitale e il c.d. “capitolato delle condizioni generali”, contenente le clausole comuni a tutti i mutui erogati dalla banca.

Ambito oggettivo di applicazione

Svolgimento del processo

Con ricorso a norma dell’art. 101 della legge fallimentare al giudice delegato del fallimento di (omissis) (dichiarato dal Tribunale di Brescia con sentenza 26 febbraio 1988) il Credito Fondiario della Cassa di Risparmio delle Province Lombarde – ora Cariplo, Cassa di risparmio delle Province Lombarde s.p.a. – chiedeva l’ammissione al passivo del fallimento, con prelazione ipotecaria, del proprio credito di lire 74.409.920, oltre a interessi, fondato sul contratto di mutuo fondiario per originarie lire 60.000.000, concluso il 10 febbraio 1987, essendo stata l’ipoteca iscritta il giorno immediatamente successivo (mentre l’atto di quietanza era stato steso l’8 maggio 1987). Costituendosi in giudizio, il curatore del fallimento eccepiva che la somma mutuata era stata accreditata l’8 maggio 1987 su un apposito conto corrente e quello stesso giorno con giroconto trasferita su altro conto corrente acceso dal (omissis) presso il medesimo istituto di credito a riduzione dello scoperto: sicché della somma mutuata il (omissis) non aveva avuto la disponibilità e la ipoteca era stata costituita per garantire il preesistente debito scaduto; concludeva quindi per l’ammissione del credito in via chirografaria previa revoca dell’ipoteca. Avendo la difesa della ricorrente eccepito la inamissibilità della asserita domanda riconvenzionale di revoca della ipoteca (poiché il fallimento si era tardivamente costituito nel giudizio), il curatore promuoveva separato giudizio, chiedendo la revoca del pagamento eseguito dalla Cassa con il giroconto 8 maggio 1987 (trasferimento della somma mutuata sul conto corrente scoperto, a parziale riduzione della esposizione).

Riuniti i giudizi, il Tribunale di Brescia con sentenza 24 giugno 1992 revocava l’ipoteca iscritta l’11 febbraio 1992 e ammetteva la Cariplo al passivo del fallimento per la somma di lire 65 milioni in via chirografaria (avendo ritenuto che la revocabilità della ipoteca fosse stata dedotta dal curatore in via di eccezione riconvenzionale) e motivava la revoca della ipoteca con riferimento ad entrambe le ipotesi di cui al n. 2 e n. 3 del primo comma dell’art. 67 della legge fallimentare (il mutuo ipotecario aveva perseguito lo scopo «di realizzare un atto solutorio anormale consistito nella riduzione dell’esposizione chirografaria di conto corrente… e di munire di prelazione per corrispondente importo la preesistente passività chirografaria non scaduta»).

Su appello della Cariplo, la Corte di Brescia ha confermato la decisione, rilevando che il mutuo ipotecario – effettivamente voluto dalle parti, sicché doveva escludersi l’ipotesi della simulazione, prospettata, sia pure in alternativa al negozio indiretto, dal Tribunale – era stato impiegato per conseguire l’ulteriore scopo di eludere la par condicio, ottenendo attraverso il consolidamento di un credito preesistente sotto la copertura dell’ipoteca di nuova costituzione; che quindi, versandosi nell’ipotesi del primo comma dell’art. 67 della legge fallimentare, correttamente era stata presunta la scientia decoctionis nella banca; che la deviazione dalla causa del credito fondiario rendeva nella specie inapplicabile l’ultimo comma dell’art. 67, non potendo l’operazione essere ricondotta nell’ambito dell’art. 13 del T.U. sul credito fondiario (il mutuo era stata utilizzato per eludere la norma che garantisce la par condicio e la modalità di erogazione aveva sottratto al mutuatario la concreta disponibilità della somma destinata, per iniziativa unilaterale della banca, al parziale soddisfacimento di una obbligazione preesistente. In conclusione la revocabilità della ipoteca non dipendeva dalla qualificazione del contratto come simulato, ma dalla utilizzazione di esso – come negozio indiretto – per conseguire un fine ulteriore in contrasto con il modello normativo del credito fondiario.

Contro questa decisione ha proposto ricorso in cassazione la Cariplo spa, deducendo quattro motivi di impugnazione, illustrati con memoria. Ha resistito il curatore del fallimento (omissis) con controricorso.

Motivi della decisione

1. I primi due motivi del ricorso criticano la sentenza impugnata per avere erroneamente interpretato le reali intenzioni delle parti – e così violato i criteri normativi di ermeneutica contrattuale -, ricostruendo la complessa fattispecie (mutuo fondiario con destinazione dell’accredito relativo a riduzione dello scoperto del conto corrente attivato dal mutuatario con lo stesso istituto di credito) in termini di negozio indiretto e in particolare il secondo motivo deduce violazione degli artt. 1813 c.c. (l’accredito sul conto corrente costituiva la traditio rei, momento perfezionativo del mutuo) e 1852 c.c. (attraverso il giroconto il mutuatario-correntista dispose della somma mutuata), nonché vizio di motivazione per l’impiego non corretto di argomento presuntivi.

Si deve premettere che la Corte di merito ha dichiarato nella motivazione della sua decisione di non condividere la ipotesi ricostruttiva della fattispecie nel senso della simulazione del contratto di mutuo e ha affermato di attenersi all’altro termine della alternativa prospettata dai giudici di primo grado, ritenendo più appropriato lo schema logico del procedimento negoziale indiretto, nel senso cioè che il contratto di mutuo fu effettivamente voluto dalle parti, ma per conseguire il fine ulteriore di munire di prelazione ipotecaria lo scoperto di conto corrente, nei limiti della somma mutuata, con il risultato di costituire la garanzia ipotecaria per il preesistente debito. La Corte d’Appello neppure ha inteso accertare se quel preesistente debito fosse scaduto (come è per certo lo scoperto di conto corrente, corrispondente a un debito immediatamente esigibile) e ha qualificato quindi la fattispecie di revocatoria quale indifferentemente compresa nelle ipotesi di cui al n. 3 o n. 4 del primo comma dell’art. 67, della legge fallimentare, come se la considerazione del tempo in cui fu iscritta l’ipoteca (11 febbraio 1987) rispetto alla dichiarazione di fallimento (26 febbraio 1988) non assumesse in pratica decisiva rilevanza. È appena il caso di rilevare che la assunzione della fattispecie entro lo schema del negozio indiretto, sul presupposto della corrispondenza degli strumenti contrattuali alla effettiva volontà delle parti pur se diretta alla realizzazione di un fine ulteriore (di eccedenza del fine rispetto al mezzo, si usa parlare al riguardo), doveva al contrario condurre ad inquadrare la stessa fattispecie nell’ambito della ipotesi di cui al n. 2 dell’art. 67 della legge fallimentare, come atto-procedimento estintivo di debito pecuniario scaduto ed esigibile, «non effettuato» – dunque – «con mezzi normali di pagamento». Benché abbia affermato di escludere nella specie la simulazione, la Corte di merito ne ha invece seguito a ben vedere lo schema logico, asserendo che le parti avevano inteso munire di prelazione ipotecaria il preesistente debito e dunque ha in realtà considerato simulato il contratto di mutuo, non voluta la costituzione di garanzia per l’apparente debito contestualmente creato e inefficace la convenzione dissimulata (effettivamente voluta) di dilazione nel pagamento del debito preesistente (così consolidato, come si usa dire) dietro concessione di garanzia ipotecaria, perciò revocata a norma dell’art. 67, n. 3 o n. 4, della legge fallimentare: una tale impostazione doveva coerentemente condurre a rigettare la domanda di ammissione al passivo del credito fondato sul (simulato) mutuo ipotecario.

Ma in ogni caso, pur ricostruito il rapporto come negozio indiretto, la revoca doveva estendersi all’intero procedimento indirettamente solutorio, – costituito dal mutuo ipotecario e insieme dalla utilizzazione della somma accreditata a quel titolo – a mezzo giroconto – a riduzione dello scoperto del conto corrente di corrispondenza intrattenuto dal mutuatario con la stessa banca e dunque la decisione conseguente doveva essere necessariamente la esclusione del credito che la banca aveva azionato sul fondamento del mutuo ipotecario. Una tale pronuncia tuttavia confliggeva con la difesa principale del fallimento che aveva concluso per la ammissione di quel credito (ma) in via chirografaria, avendo riconvenzionalmente eccepito la inefficacia – la revoca – della garanzia ipotecaria. Il Tribunale si attenne a quelle conclusioni e così ammise al passivo del fallimento il credito dipendente dal mutuo, revocando la «sola garanzia», come espressamente riconosce la sentenza della Corte d’Appello che ha confermato sul punto la decisione dei primi giudici, sicché si deve riconoscere che la sentenza qui impugnata è in realtà fondata, non già sulle ipotesi di cui al n. 3 o n. 4 – come incongruamente si argomenta nella motivazione – o su quella di cui al n. 2 del primo comma dell’art. 67, ma su quella del secondo comma, essendo stata in effetti revocata la ipoteca costituita per debito contestualmente creato (e perciò il correlativo credito è stato ammesso in via chirografaria).

Per altro i giudici di appello, nello sviluppo della motivazione, prospettano argomenti che contraddicono la stessa ipotesi del negozio indiretto (perfezionato, valido, effettivamente voluto, ma finalizzato a un risultato ulteriore in contrasto con la par condicio creditorum e perciò esposto alla revocatoria, come sanzione dunque di inefficacia), là dove affermano che la somma «mutuata» neppure fu posta nella disponibilità del «mutuatario» (sicché, in difetto di traditio, non si sarebbe perfezionato il contratto – reale – di mutuo); o dove altrimenti configurano il contratto come concluso in frode alla legge (ma allora sanzionato da nullità: art. 1343 e 1418 c.c.), per contrasto con una asserita – ma in effetti non identificata – norma imperativa (poiché la stessa Corte di merito riconosce che il mutuo fondiario non è mutuo di scopo e perciò la destinazione della somma mutuata, non vincolata a un fine predeterminato, non vale a conformare la causa del negozio).

Certo è che la effettiva decisione di merito (ammissione del credito fondato sul mutuo fondiario, revocata la contestuale ipoteca), in insuperabile contraddizione con la motivazione, presuppone che il contratto relativo sia stato perfezionato, sia valido e – in sé – opponibile al fallimento (né simulato, né indiretto e anomalo atto solutorio).

E allora si deve riconoscere che i primi due motivi del ricorso, diretti a censurare la motivazione della sentenza sotto il profilo della corretta interpretazione della volontà delle parti, ma non a segnalarne la palese incongruità rispetto alla pronuncia di merito, non colgono l’effettivo fondamento della decisione impugnata, giacché, giova ancora ripetere conclusivamente, l’ammissione del credito chirografario da mutuo, così revocata la contestuale ipoteca, non costituisce la coerente conclusione della interpretazione del rapporto come negozio indiretto (o come fattispecie simulatoria) e dunque le ragioni critiche esposte al riguardo nei due mezzi, pur se in ipotesi fondate, non sarebbero idonee a conseguire la cassazione della pronuncia impugnata. Sicché, per difetto di interesse, i primi due motivi sono inammissibili.

2. Non altrettanto può dirsi quanto al terzo e al quarto motivo del ricorso, prospettati sul corretto presupposto che la decisione impugnata, avendo ammesso al passivo del fallimento il credito fondato sul contratto di mutuo, ma in via chirografaria, aveva perciò revocato la contestuale ipoteca, configurando la fattispecie – in effetti – nell’ambito della ipotesi di cui all’art. 67, secondo comma, della legge fallimentare Il terzo motivo deduce infatti che la Corte di merito, così decidendo, aveva violato il disposto dell’art. 67, ultimo comma, della legge fallimentare che esonera dalla revocatoria anche gli istituti di credito fondiario e, in particolare, la specifica norma posta dall’art. 4, secondo comma, del D.P.R. 21 gennaio 1976, n. 7, che prevede il cosiddetto consolidamento delle ipoteche contestuali alla erogazione del credito «quando siano state prese almeno dieci giorni prima della pubblicazione della sentenza».

Il motivo, così formulato, è fondato.

È agevole infatti rilevare che la esclusione del beneficio di cui all’art. 67, ultimo comma, della legge fallimentare presuppone la inopponibilità al fallimento dello stesso contratto di mutuo o perché negozio-procedimento indirettamente solutorio, sanzionato da inefficacia ex art. 67, primo comma, n. 2, della legge fallimentare, o perché, per artificio simulatorio, la ipoteca è diretta a garantire un debito preesistente e dunque non può ammettersi al passivo del fallimento il credito che appare fondato sul – non voluto – contratto di mutuo. Ma se, come nel caso di specie, si sia ritenuta la sussistenza del credito (perciò ammesso al passivo del fallimento) sul fondamento del contratto di mutuo (effettivamente voluto, valido, opponibile al fallimento) costitutivo della prelazione ipotecaria, con ciò stesso si riconosce che la garanzia attiene al debito contestualmente creato e il disposto dell’ultimo comma dell’art. 67 della legge fallimentare si oppone alla revoca della ipoteca che del contratto di mutuo fondiario costituisce elemento essenziale. Con la conseguenza che ammesso al passivo del fallimento il credito da mutuo fondiario, doveva necessariamente riconoscersi la relazione ipotecaria costituita contestualmente alla erogazione del credito.

3. Il quarto motivo, sul medesimo presupposto che in realtà i giudici di merito hanno revocato la garanzia ipotecaria costituita a presidio del credito «contestualmente creato» (e ammesso al passivo del fallimento), deduce violazione dell’art. 67, secondo comma, della legge fallimentare e prospetta la violazione della disciplina dell’onere della prova, avendo gli stessi giudici presunto la conoscenza dello stato di insolvenza come se fosse stata revocata la prelazione ipotecaria costituita per un preesistente debito (art. 67, primo comma, n. 3 o n. 4). Una tale censura, dedotta in via subordinata (per la ipotesi in cui, rigettato il terzo motivo, si fosse ritenuto che nella specie l’ultimo comma dell’art. 67 della legge fallimentare non si oppone alla revoca – alle condizioni di cui all’art. 67, secondo comma – della ipoteca costituita con un valido ed efficace contratto di mutuo fondiario), nell’accoglimento del terzo motivo è rimasta assorbita.

4. Accolto dunque – per quanto di ragione – il ricorso e cassata la sentenza impugnata, la causa deve essere rimessa al giudice di rinvio – designato in altra sezione della stessa Corte d’Appello di Brescia – perché determini, da un lato, l’ammontare del credito da ammettersi al passivo del fallimento con prelazione ipotecaria e decida, dall’altro, sulla domanda proposta dal curatore del fallimento nell’autonomo giudizio (poi riunito) e diretta alla revoca (ex art. 67, secondo comma, della legge fallimentare) del pagamento attuato con il giroconto dell’8 maggio 1987 con trasferimento della somma accreditata dal conto provvisorio n. 8833/1 al conto corrente di corrispondenza n. 7803/1 (l’esame della quale domanda, proposta in subordine rispetto alla principale eccezione di revoca della garanzia ipotecaria, era rimasto assorbito nell’accoglimento di tale eccezione).

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte d’Appello di Brescia, diversa sezione.

Così deciso in Roma il 27 gennaio 1997.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 19 NOVEMBRE 1997.

Allegati

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