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Cassazione civile sez. I, 19/05/2023, n.13877

Massima

Il dissenso espresso dall’Agenzia delle Entrate Riscossione riguardo alla proposta di concordato di ristrutturazione dei debiti di una società non può considerarsi valido. L’Agenzia agisce solo come intermediario per conto dell’ente impositore, senza potere decisionale autonomo. In assenza di prove che attestino la volontà dell’ente impositore, il dissenso non può essere attribuito ai titolari effettivi dei crediti, che, di conseguenza, devono essere considerati come non intervenuti, secondo l’art. 11, comma 1, della legge n. 3/2012.

Supporto alla lettura

ACCORDO DI RISTRUTTURAZIONE DEI DEBITI

L’ accordo di ristrutturazione dei debiti è uno dei principali strumenti di risoluzione delle crisi aziendali flessibile e idonea al risanamento dell’impresa che vuole ridurre la propria esposizione debitoria. 

Possono essere proposti dall’imprenditore, anche non commerciale, e diverso dall’imprenditore minore, che si trovi in stato di crisi o insolvenza: così recita il primo comma dell’art. 57 d.lgs. 14/2019. Pertanto, tali accordi sono aperti all’imprenditore che eserciti, anche non a fini di lucro, un’attività commerciale, artigiana o agricola, operando quale persona fisica, persona giuridica o altro ente collettivo, gruppo di imprese o società pubblica, con esclusione dello Stato e degli enti pubblici, delle grandi imprese soggette all’amministrazione straordinaria e delle imprese assoggettate alla liquidazione coatta amministrativa. Gli accordi di ristrutturazione non si applicano all’impresa minore. È tale secondo l’art. 2 lett. d) d.lgs. 14/2019 «l’impresa che presenta congiuntamente i seguenti requisiti: 1) un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro trecentomila nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza di apertura della liquidazione giudiziale o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore; 2) ricavi, in qualunque modo essi risultino, per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro duecentomila nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di apertura della liquidazione giudiziale o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore; 3) un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro cinquecentomila; i predetti valori possono essere aggiornati ogni tre anni con decreto del Ministro della giustizia adottato a norma dell’articolo 348».

Il Codice della Crisi d’Impresa prevede tre diverse tipologie di accordo di ristrutturazione dei debiti dell’imprenditore. Si tratta dei seguenti:

  1. Accordo ordinario (regolato dall’art. 57 D.Lgs. n. 14/19) legato al raggiungimento di almeno il 60% dei crediti;
  2. Accordo agevolato (regolato dall’art. 60 D.Lgs. n. 14/19), legato al raggiungimento di almeno il 30% dei crediti;
  3. Accordo ad efficacia estesa (regolato dall’art. 61 D.Lgs. n. 14/19) legato al raggiungimento di almeno il 75% dei crediti della stessa categoria.

 

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto
FATTI DI CAUSA
1. (omissis), quale legale rappresentante della (omissis)  s.n.c., ha proposto ricorso straordinario per cassazione, affidato a due motivi, avverso il decreto del Tribunale di Cosenza del 30 ottobre 2019, reiettivo del reclamo da lei promosso, ex L. n. 3 del 2012, art. 12, comma 2, contro il provvedimento del 20 giugno 2019 con cui il giudice delegato dello stesso tribunale aveva respinto la richiesta di omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti presentato dalla società perché non aveva ottenuto le maggioranze necessarie. Ha resistito, con controricorso, la (omissis) 2018-2 s.r.l. (cessionaria del credito di (omissis) s.p.a.), tramite la mandataria (omissis) s.p.a., mentre sono rimasti solo intimati gli altri destinatari della notificazione del ricorso suddetto.

1.1. Per quanto ancora di interesse in questa sede, quel tribunale osservò, con riguardo alle ivi descritte manifestazioni di dissenso dell’Agenzia delle Entrate – Riscossione e della (omissis) s.p.a., che: i) “(…) la l. n. 3 del 2012, a differenza di quanto previsto dalla l. fallimentare per procedure concorsuali affini, quali il concordato, non configura una vera e propria votazione dei creditori, disciplinando, piuttosto, un procedimento di espressione del consenso da parte dei creditori ad una proposta contrattuale. Se così e’, corretta appare una valutazione di natura sostanziale della volontà delle parti, dovendosi applicare, per quanto non regolato dalla L. n. 3 del 2012, le norme che regolano la formazione della volontà in materia contrattuale. Deve, quindi, ritenersi che il meccanismo del silenzio-assenso previsto dalla L. n. 3 del 2012, art. 11, comma 1, riguardi la sola ipotesi della mancata espressione del consenso nel termine stabilito dalla medesima norma; in presenza, invece, di un consenso ritenuto viziato, saranno applicabili le norme del codice civile, che danno spazio all’indagine sulla volontà delle parti e prevedono forme di sanatoria del consenso viziato (nei casi in cui il vizio è causa di annullabilità e non di nullità). Nel caso di specie, a fronte del rilievo di possibili vizi formali del dissenso tempestivamente espresso dai creditori Agenzia delle Entrate Riscossione (anche nell’interesse degli enti impositori) e (omissis)  s.p.a., i creditori medesimi precisavano chiaramente la propria volontà nelle forme corrette, imponendo, pertanto, di considerare validamente espresso un dissenso alla proposta della società ricorrente. A ciò si aggiunga che, applicandosi il meccanismo del silenzio/assenso al solo caso del mancato riscontro nel termine di legge, unica conseguenza associabile all’eventuale vizio non sanato sarebbe stata la necessità di ripetere le operazioni di raccoglimento del consenso, non certo l’imposizione di un assenso non voluto dal creditore”.

Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Posta l’ammissibilità, già ripetutamente sancita da questa Corte, della proposizione del ricorso straordinario ex Cost., art. 111 contro i provvedimenti di accoglimento o (come nella specie) di rigetto del reclamo avverso il diniego di omologa dell’accordo di ristrutturazione dei debiti (cfr., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 4451 del 2018; Cass. n. 10095/2019; Cass. n. 21828 del 2021; Cass. n. 28013 del 2022; Cass. n. 35976 del 2022), i formulati motivi di quello oggi promosso dalla (omissis), quale legale rappresentante della (omissis) s.n.c., denunciano, rispettivamente:

I) “Violazione ovvero falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione alla L. n. 3 del 2012, artt. 11, comma 11, e 12, comma 1”, per avere il tribunale erroneamente ritenuto che la L. n. 3 del 2012 non sia equiparabile alla legge fallimentare per ciò che attiene la votazione dei creditori, dovendo, piuttosto, configurarsi un procedimento di espressione del consenso, da parte di questi ultimi, ad una proposta contrattuale, con conseguente applicazione soltanto delle norme che disciplinano la formazione della volontà in materia contrattuale, in caso di consenso viziato, e non di quelle regolanti il principio del silenzio assenso previsto dalla medesima legge. Si assume, inoltre: i) con riguardo al voto espresso da Agenzia delle Entrate Riscossione, che “Le due comunicazioni pervenute via pec al Gestore della Crisi in data 01.12.2017 non risultano sottoscritte da alcun rappresentante dell’Agenzia delle Entrate Riscossione, ma soprattutto non sono allegate le comunicazioni degli Uffici Competenti che hanno espresso il dissenso. Ne deriva che le due dichiarazioni di dissenso sono affette da vizi tali che portano alla nullità del voto espresso”; ii) con riferimento al voto espresso dall’Avv. (omissis) nell’interesse della (omissis) s.p.a., che, “in data 03.10.2017, l’avv. (omissis), nell’interesse della (omissis) s.p.a., ha trasmesso la comunicazione di non adesione della sua assistita alla proposta d’accordo con i creditori formulata da (omissis). In merito a tale espressione di dissenso occorre innanzitutto evidenziare che: a) il dissenso non è stato formulato personalmente dal Direttore e/o legale rappresentante della Banca; b) non risulta allegata alla comunicazione di voto via pec dell’Avv. (omissis) alcuna procura alle liti, alcuna delega difensiva o, più correttamente, alcuna procura notarile di autorizzazione ad esprimere parere negativo all’accordo per conto della Banca. Il dissenso espresso con le modalità indicate è evidentemente e chiaramente invalido”;

II) “Violazione ovvero falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., in relazione alla L. n. 3 del 2012, artt. 10, comma 2,”, perché il tribunale, in funzione del Giudice del reclamo, sia nella fase di fissazione di udienza che nel provvedimento di rigetto oggi impugnato, nulla aveva disposto sulla richiesta di sospensione della esecuzione della procedura esecutiva pendente.

2. La prima di tali doglianze si rivela fondata nei limiti di cui appresso.

2.1. La L. n. 3 del 2012, art. 11, comma 1, stabilisce che “I creditori fanno pervenire, anche per telegramma o per lettera raccomandata con avviso di ricevimento o per telefax o per posta elettronica certificata, all’organismo di composizione della crisi, dichiarazione sottoscritta del proprio consenso alla proposta, come eventualmente modificata almeno dieci giorni prima dell’udienza di cui all’art. 10, comma 1. In mancanza, si ritiene che abbiano prestato consenso alla proposta nei termini in cui è stata loro comunicata”.

2.1.1. Pur in presenza di un testo letterale contraddittorio, è ovvio che, nel termine di dieci giorni prima dell’udienza, i creditori possano esprimere non solo il proprio consenso, ma anche il proprio dissenso rispetto alla proposta. Se così non fosse, infatti, l’applicazione della regola del silenzio-assenso, accompagnata dalla possibilità di comunicare unicamente il proprio consenso, renderebbe obbligatoriamente consenzienti tutti i creditori, senza possibilità legale di dissentire.

2.1.2. Si applica, come detto, la regola del cd. silenzio-assenso: i creditori possono comunicare il proprio consenso o dissenso, ma se non si esprimono nei termini concessi sono considerati consenzienti ed inclusi tra i creditori favorevoli nel computo della maggioranza. Regola del silenzio-assenso introdotta con l’evidente intento di favorire il raggiungimento della maggioranza, ricomprendendo i creditori “apatici” e “disinteressati” tra i favorevoli, e che rappresenta sicuro indice del favor del legislatore per la procedura di accordo.

2.1.3. Le dichiarazioni di consenso o dissenso devono pervenire nel termine – ritenuto perentorio dalla dottrina – di dieci giorni prima dell’udienza.

Non vi e’, quindi, la possibilità di esprimersi sulla proposta nel corso dell’udienza o nei venti giorni successivi, come invece avviene nel concordato preventivo. Ciò significa che l’udienza ex L. n. 3 del 2012, art. 10 non equivale ad un’adunanza dei creditori, nella quale illustrare, discutere e votare sulla proposta, perché non avrebbe senso discutere e votare quando le dichiarazioni di consenso o dissenso devono già essere necessariamente pervenute almeno dieci giorni prima.

2.1.4. La trasmissione all’organismo di composizione della dichiarazione di consenso o dissenso non consuma il diritto del creditore e, pertanto, lo stesso sarà libero di modificare o revocare la precedente comunicazione, trasmettendone un’altra in sostituzione entro il termine predetto.

2.2. Fermo quanto precede, dal provvedimento oggi impugnato emerge chiaramente che il giudice delegato considerò validamente espresso il dissenso alla proposta di accordo della odierna ricorrente manifestato sia da Agenzia delle Entrate Riscossione che da (omissis) s.p.a..

2.2.1. In particolare, circa la prima, ivi si riferisce che “con PEC dell’1dicembre 2017 – tempestiva rispetto al termine di cui alla L. n. 3 del 2012, art. 11, comma l, – Agenzia delle Entrate Riscossione esprimeva il proprio dissenso alla proposta di accordo avanzata dalla (omissis)  s.n.c., limitatamente alla parte di credito erariale iscritta a ruolo ed oggetto di falcidia. A fronte delle censure avanzate dal gestore della crisi, AER, con nota depositata in data 13.12.2017, faceva rilevare che ancorché priva di sottoscrizione la propria originaria dichiarazione di voto era di provenienza certa in quanto trasmessa a mezzo PEC e reiterava, comunque, il proprio dissenso con dichiarazione sottoscritta dal proprio procuratore speciale. (…). In sede decisoria, il giudice di prima fase, come detto, considerava valida entrambe le dichiarazioni di voto, osservando, quanto al voto di Agenzia delle Entrate Riscossione, che esso era stato espresso a mezzo PEC nello sfruttamento di una possibilità offerta alle amministrazioni pubbliche dal codice dell’amministrazione digitale (quale normativa speciale destinata a coordinarsi con la previsione generale di cui alla L. n. 3-20 12, art. 11) e AER aveva chiaramente precisato di esprimere il dissenso anche nell’interesse dei singoli enti impositori rispetto ai crediti falcidiati”.

2.2.2. Il giudice del reclamo, a sua volta, ha opinato che il meccanismo del silenzio-assenso previsto dal riportato art. 11, comma 1, della L. n. 3 del 2012 riguarda la sola ipotesi della mancata espressione del consenso nel termine stabilito dalla medesima norma; in presenza, invece, di un consenso ritenuto viziato, divengono applicabili le norme del codice civile che danno spazio all’indagine sulla volontà delle parti e prevedono forme di sanatoria dello stesso (nei casi in cui il vizio è causa di annullabilità e non di nullità). Muovendo da tale assunto, poi, ha concluso che, nel caso di specie, a fronte del rilievo di possibili vizi formali del dissenso tempestivamente espresso dal creditore Agenzia delle Entrate Riscossione (anche nell’interesse degli enti impositori), il creditore medesimo aveva precisato chiaramente la propria volontà nelle forme corrette, imponendo, pertanto, di considerare validamente espresso un dissenso alla proposta della società ricorrente.

2.3. Orbene, ritiene il Collegio che, sebbene possa convenirsi con il tribunale sull’assunto che l’ipotesi del silenzio assenso, oggi invocato dalla ricorrente alla stregua del menzionato art. 11, comma 1, della L. n. 3 del 2012, debba essere inteso in senso restrittivo, cioè come un comportamento assolutamente inerte della parte (rectius: del creditore cui è rivolta la proposta di accordo formulata dal debitore), che nulla fa e/o nulla dice in ordine a detta proposta nel termine assegnatogli per esprimersi su di essa, assolutamente incompatibile, dunque, con una manifestazione di volontà, positiva o negativa, invece espressamente resa, sebbene, in thesi, in modo asseritamente invalido/inefficace, non altrettanto è a dirsi con riguardo alla conclusione che lo stesso ne ha tratto quanto alla ritenuta validità della manifestazione di dissenso fatta pervenire, nell’odierna vicenda, da Agenzia delle Entrate Riscossione al professionista nominato O.c.c..

2.3.1. Infatti, come condivisibilmente puntualizzato da Cass. n. 35976 del 2022 (pure intervenuta su fattispecie concernente l’omologazione di un accordo di ristrutturazione ex L. n. 3 del 2012, art. 6), per stabilire la validità, o meno, del dissenso espresso da Agenzia delle Entrate.

Riscossione, occorre “fare applicazione dei principi generali, secondo cui il diritto di voto (nel concordato, così come nelle procedure di sovraindebitamento) spetta al titolare del credito, ovvero al soggetto che, avendo la piena disponibilità del relativo diritto, può decidere della convenienza di una proposta che ne preveda il pagamento non integrale o dilazionato. Ora è indubbio che l’Agente della Riscossione non abbia ex sé la facoltà di disporre dei crediti iscritti a ruolo, di cui deve curare l’esazione, attraverso rinunce, dilazioni o quant’altro implicato dalla valutazione di convenienza della proposta del debitore (ed infatti, anche quando, nel concordato preventivo, il concessionario era legittimato al voto per i tributi iscritti a ruolo e già consegnati, l’art. 182-ter, comma 4, l.fall., sin dalla sua originaria formulazione, prevedeva comunque che questi esprimesse il voto in sede di adunanza dei creditori “su indicazione del direttore dell’ufficio, previo conforme parere della competente direzione regionale”)”.

2.3.2. Questione diversa, poi, è quella della possibilità per Agenzia delle Entrate Riscossione di esprimere il consenso/dissenso quale mero nuncius dell’ente impositore, ovvero in funzione di tramite tra questi ed il professionista O.c.c.. Tanto presuppone, però, che risulti accertato in giudizio che l’Agenzia suddetta abbia agito, per l’appunto, in tale veste, limitandosi a comunicare la volontà espressa, e documentata, dell’ente titolare del credito. Sennonché, in mancanza di qualsivoglia accertamento desumibile, sul punto, dalla lettura del provvedimento impugnato e, soprattutto, a fronte della reiterata, specifica contestazione della odierna ricorrente riguardante la mancata allegazione, alle comunicazioni dell’Agenzia medesima pervenute via pec al Gestore della Crisi in data 1 dicembre 2017, delle comunicazioni degli Uffici Competenti che avevano espresso il dissenso, nemmeno potrebbe concludersi nel senso che la menzionata Agenzia fosse da considerarsi esclusivamente come nuncius di questi ultimi. Ne’ risulta, infine, l’esistenza di un’eventuale “delega generalizzata” rilasciatale allo scopo dagli enti impositori.

2.3.3. Ne consegue, allora, da un lato, che resta precluso a questa Corte di verificare la legittima espressione di quel dissenso (valendo altrimenti la regola del cd. silenzio-assenso) da parte degli “uffici fiscali”, non a caso distintamente menzionati nella l. 3 del 2012, art. 9, comma 1, accanto all’agente della riscossione; dall’altro, che, non essendo concretamente riconducibile, quel dissenso, agli effettivi titolari dei corrispondenti crediti, essi devono intendersi come rimasti inerti, giusta la L. n. 3 del 2012, art. 11, comma 1, rispetto alla proposta di accordo ex art. 6 della medesima legge formulata dalla odierna ricorrente.

2.4. Quanto fin qui esposto e le sue ricadute in termini di ricalcolo della maggioranza necessaria, ex art. 11, comma 2, della citata legge, al fine di ritenere raggiunto l’accordo con i creditori sulla proposta predetta (nel decreto del giudice delegato poi oggetto del reclamo deciso con il provvedimento impugnato in questa sede si legge – cfr. pag. 1 – che “(…) interpellato dal Giudice in ordine alla quantificazione della percentuale di voti non dissenzienti, il professionista con funzioni di OCC, Avv. (omissis), ha precisato “che l’accordo raggiungerebbe la soglia del 60% dei consensi sia considerando viziata solo la volontà espressa da Agenzia delle Entrate Riscossione sia considerando viziata la solo volontà espressa da (omissis); non verrebbe raggiunta la soglia qualora venissero considerati viziati entrambi i consensi”), rendono superflua ogni altra indagine circa il dissenso manifestato dalla (omissis) s.p.a..

3. Il secondo motivo di ricorso può considerarsi assorbito.

4. In conclusione, dunque, l’odierno ricorso di (omissis), quale legale rappresentante della (omissis) di (omissis) s.n.c. deve essere accolto, nei limiti di cui si è detto, limitatamente al primo motivo, assorbito il secondo. Il provvedimento impugnato, pertanto, deve essere cassato, con rinvio della causa al Tribunale di Cosenza, in diversa composizione collegiale, per il corrispondente nuovo esame, oltre che delle questioni ivi rimaste assorbite, e per la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità.

P.Q.M
La Corte accoglie, nei limiti di cui in motivazione, il primo motivo di ricorso di (omissis)., quale legale rappresentante della (omissis) s.n.c., dichiarandone assorbito il secondo. Cassa il provvedimento impugnato e rinvia la causa al Tribunale di Cosenza, in diversa composizione collegiale, per il nuovo esame, oltre che delle questioni ivi rimaste assorbite, e per la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 11 maggio 2023.

Depositato in Cancelleria il 19 maggio 2023

Allegati

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