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Cassazione civile sez. I, 19/04/2024, n.10667

Massima

È stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 125, nella sua originaria formulazione, nella parte in cui escludeva dalla concessione dell’assegno di natalità i cittadini di Paesi terzi ammessi nello Stato a fini lavorativi a norma del diritto dell’Unione o nazionale e i cittadini di Paesi terzi ammessi a fini diversi dall’attività lavorativa a norma del diritto dell’Unione o nazionale, ai quali è comunque consentito lavorare e che sono in possesso di un permesso di soggiorno ai sensi del regolamento (CE) n. 1030/2002.

Supporto alla lettura

IMMIGRAZIONE

Le linee generali delle politiche pubbliche in materia di immigrazione in Italia, fissate dalla legge 40/1998 (cosiddetta “legge Turco – Napolitano”), sono state successivamente consolidate nel decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, “Testo unico sull’immigrazione e sulla condizione dello straniero”.

Il testo unico interviene in entrambi gli ambiti principali del diritto dell’immigrazione:

  • il diritto dell’immigrazione in senso stretto, concernente la gestione nel suo complesso del fenomeno migratorio: la definizione di regole di ingresso, di soggiorno, di controllo, di stabilizzazione dei migranti ed anche la repressione delle violazioni a tali regole;
  • il diritto dell’integrazione, che riguarda l’estensione, in misura più o meno ampia, ai migranti dei diritti propri dei cittadini (diritti civili, sociali, politici).

I princìpi fondamentali che sono alla base del testo unico sono essenzialmente tre:

  • la programmazione dei flussi migratori e il contrasto all’immigrazione clandestina (per quanto riguarda il diritto dell’immigrazione);
  • la concessione di una ampia serie di diritti volti all’integrazione degli stranieri regolari (diritto dell’integrazione).

Non interviene in materia di diritto di asilo la cui disciplina, in passato contenuta nel decreto-legge 416/1989 (la cosiddetta “legge Martelli”), ha avuto una regolamentazione dettagliata ad opera di provvedimenti di recepimento della normativa comunitaria.

In Italia l’immigrazione dei cittadini stranieri non appartenenti all’Unione europea è regolata secondo il principio della programmazione dei flussi. Ogni anno il Governo, sulla base della necessità di manodopera interna, stabilisce il numero di stranieri che possono entrare nel nostro Paese per motivi di lavoro. In particolare, la gestione dei flussi di immigrazione è realizzata attraverso una serie di strumenti, quali il documento programmatico triennale e il decreto annuale sui flussi.

Il secondo principio su cui si fonda la disciplina dell’immigrazione è quello del contrasto all’immigrazione clandestina. L’ingresso e il soggiorno illegale nel territorio nazionale è considerato un reato punibile con una ammenda o con l’espulsione. Gli strumenti che l’ordinamento predispone per il contrasto all’immigrazione clandestina sono numerosi e vanno dalla repressione del reato di favoreggiamento all’immigrazione clandestina, al respingimento alla frontiera, dall’espulsione come misura di sicurezza per stranieri condannati per gravi reati, all’espulsione come sanzione sostitutiva. Il principale di essi può tuttavia considerarsi l’espulsione amministrativa, che può essere eseguita con l’accompagnamento alla frontiera da parte delle forze dell’ordine, disposto dal prefetto in determinati casi (rischio di fuga, presentazione di domanda di permesso di soggiorno fraudolente ecc.).

Per quanto riguarda il terzo dei tre princìpi ispiratori della legislazione vigente, l’integrazione degli stranieri regolari, il nostro ordinamento garantisce una ampia tutela dei diritti degli stranieri e promuove l’accoglienza e l’integrazione degli immigrati.

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto
FATTI DI CAUSA
Con sentenza depositata il 6.2.2018, la Corte d’appello di Firenze, in riforma della pronuncia di primo grado, ha condannato l’INPS a corrispondere a (omissis) l’assegno di natalità di cui all’art. 1, comma 125, L. n. 190/2014. La Corte, in particolare, ha ritenuto che, ai sensi degli art. 12 e 3, paragrafo 1, lett. c), della Direttiva 2011/98/UE, i cittadini di paesi terzi ammessi in uno Stato membro dell’Unione a fini lavorativi, tra i quali i titolari di permesso unico di soggiorno, dovessero beneficiare dello stesso trattamento riservato a cittadini membri dell’Unione e, sul presupposto che l’assegno in questione dovesse rientrare senz’altro nelle prestazioni familiari di cui al Regolamento comunitario n. 883/2004, in quanto prestazione destinata a compensare i carichi familiari, ha accolto la domanda ancorché l’istante non fosse titolare di permesso di lungo soggiorno e avesse ottenuto il permesso per motivi di lavoro autonomo, in quanto titolare di impresa individuale. Avverso tale pronuncia l’INPS ha proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi di censura. (omissis) è rimasto intimato.

A seguito di infruttuosa trattazione camerale, la causa è stata rimessa all’udienza pubblica con ordinanza del 19.01.2023. Il Pubblico ministero ha depositato conclusioni scritte con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.

Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di censura, l’INPS denuncia violazione e falsa applicazione del combinato disposto dell’art. 1, commi 125-129, L. n. 190/2014, del connesso D.P.C.M. 27.2.2015, e degli art. 4-bis, 43 e 44, D.Lgs. n. 286/1998, in relazione all’art. 12 prel. c.c., all’art. 3, comma 2, della direttiva 2011/98/UE (recepita dall’art. 1, comma 1, lett. b), D.Lgs. n. 40/2014) e, consequenzialmente, all’art. 3 del Regolamento CE n. 883/2004, per avere la Corte di merito riconosciuto l’assegno di natalità all’odierno intimato, titolare di permesso di soggiorno per lavoro autonomo, pur in presenza del disposto di cui all’art. 3, comma 2, lett. k), della direttiva 98/2011/UE, secondo il quale la direttiva cit. non si applica ai cittadini di paesi terzi che sono stati ammessi nel territorio di uno Stato membro dell’Unione come lavoratori autonomi.

Con il secondo motivo, proposto in via subordinata rispetto al primo, l’INPS si duole di violazione di legge, in riferimento alle anzidette norme interne e sovranazionali, per avere la Corte territoriale riconosciuto all’odierno intimato la prestazione di cui trattasi ancorché essa non rientri nel novero delle prestazioni di sicurezza sociale, costituendo piuttosto un premio diretto a incentivare la natalità nell’ambito del territorio nazionale.

I due motivi possono essere trattati congiuntamente e sono, come ben evidenziato dal Pubblico ministero nella sua requisitoria, infondati.

Com’è noto, la prestazione per cui è causa è stata introdotta dall’art. 1, comma 125, L. n. 190/2014, che, per quanto qui rileva, aveva riconosciuto, “al fine di incentivare la natalità e contribuire alle spese per il suo sostegno”, un assegno di importo pari a 960 euro annui per ogni figlio nato tra il 1°.1.2015 e il 31.12.2017 da cittadini italiani o da cittadini di uno Stato membro dell’Unione europea o da cittadini di Stati extracomunitari con permesso di soggiorno di cui all’art. 9, D.Lgs. n. 286/1998.

È parimenti noto che, con ordinanza interlocutoria n. 16169 del 2019, questa Corte, sul presupposto che l’assegno in questione costituisse prestazione di assistenza sociale di contenuto economico, volta alla realizzazione di uno degli interventi finalizzati alla valorizzazione ed al sostegno delle responsabilità familiari, così come previsto, in applicazione dei principi costituzionali fissati dagli artt. 2 e 3 Cost., dall’art. 16,L. n. 328/2000, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. L, comma 125, L. n. 190/2014, L. n. 190/2014, in relazione agli 3, 31 e 117, comma 1°, Cost. (quest’ultimo in riferimento agli art. 20, 21, 24, 31 e 34 CDFUE), nella parte in cui richiedeva ai soli cittadini extracomunitari, ai fini dell’erogazione dell’assegno di natalità, anche la titolarità del permesso unico di soggiorno anziché la titolarità del permesso di soggiorno e di lavoro per almeno un anno, in applicazione dell’art. 41, D.Lgs. n. 286 del 1998.

È noto, infine, che, con sentenza n. 54 del 2022, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 125, nella sua originaria formulazione (prima, dunque, delle modifiche introdotte dall’art. 3, comma 4, L. n. 238/2021), nella parte in cui escludeva dalla concessione dell’assegno di natalità i cittadini di Paesi terzi ammessi nello Stato a fini lavorativi a norma del diritto dell’Unione o nazionale e i cittadini di Paesi terzi ammessi a fini diversi dall’attività lavorativa a norma del diritto dell’Unione o nazionale, ai quali è comunque consentito lavorare e che sono in possesso di un permesso di soggiorno ai sensi del regolamento (CE) n. 1030/2002. Ciò posto, risulta dalla sentenza impugnata che la prestazione per cui è causa è stata negata all’odierno intimato precisamente in quanto sprovvisto di permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo; e dal momento che, in parte qua, la disciplina di cui all’art. 1, comma 125, è stata dichiarata costituzionalmente illegittima, deve senz’altro convenirsi con il Pubblico ministero nel rilievo secondo cui il tenore dell’art. 1, comma 125, L. n. 190/2014, quale risultante a seguito della declaratoria d’illegittimità costituzionale, priva sostanzialmente di rilevanza, ai fini della concessione della provvidenza di cui trattasi, il motivo per cui in concreto risulta rilasciato il permesso di soggiorno ai sensi del regolamento (CE) n. 1030/2002, solo rilevando che si tratti di cittadini di paesi terzi ammessi nello Stato a fini lavorativi a norma del diritto dell’Unione o nazionale o ammessi a fini diversi dall’attività lavorativa a norma del diritto dell’Unione o nazionale e ai quali sia comunque consentito lavorare.

Il ricorso, pertanto, va rigettato. Nulla va pronunciato sulle spese del giudizio di legittimità per non avere l’intimato svolto alcuna attività difensiva, mentre tenuto conto del rigetto del ricorso, va dichiarata la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, D.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 12 dicembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 19 aprile 2024.

Allegati

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