A seguito di infruttuosa trattazione camerale, la causa è stata rimessa all’udienza pubblica con ordinanza del 19.01.2023. Il Pubblico ministero ha depositato conclusioni scritte con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.
Con il secondo motivo, proposto in via subordinata rispetto al primo, l’INPS si duole di violazione di legge, in riferimento alle anzidette norme interne e sovranazionali, per avere la Corte territoriale riconosciuto all’odierno intimato la prestazione di cui trattasi ancorché essa non rientri nel novero delle prestazioni di sicurezza sociale, costituendo piuttosto un premio diretto a incentivare la natalità nell’ambito del territorio nazionale.
I due motivi possono essere trattati congiuntamente e sono, come ben evidenziato dal Pubblico ministero nella sua requisitoria, infondati.
Com’è noto, la prestazione per cui è causa è stata introdotta dall’art. 1, comma 125, L. n. 190/2014, che, per quanto qui rileva, aveva riconosciuto, “al fine di incentivare la natalità e contribuire alle spese per il suo sostegno”, un assegno di importo pari a 960 euro annui per ogni figlio nato tra il 1°.1.2015 e il 31.12.2017 da cittadini italiani o da cittadini di uno Stato membro dell’Unione europea o da cittadini di Stati extracomunitari con permesso di soggiorno di cui all’art. 9, D.Lgs. n. 286/1998.
È parimenti noto che, con ordinanza interlocutoria n. 16169 del 2019, questa Corte, sul presupposto che l’assegno in questione costituisse prestazione di assistenza sociale di contenuto economico, volta alla realizzazione di uno degli interventi finalizzati alla valorizzazione ed al sostegno delle responsabilità familiari, così come previsto, in applicazione dei principi costituzionali fissati dagli artt. 2 e 3 Cost., dall’art. 16,L. n. 328/2000, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. L, comma 125, L. n. 190/2014, L. n. 190/2014, in relazione agli 3, 31 e 117, comma 1°, Cost. (quest’ultimo in riferimento agli art. 20, 21, 24, 31 e 34 CDFUE), nella parte in cui richiedeva ai soli cittadini extracomunitari, ai fini dell’erogazione dell’assegno di natalità, anche la titolarità del permesso unico di soggiorno anziché la titolarità del permesso di soggiorno e di lavoro per almeno un anno, in applicazione dell’art. 41, D.Lgs. n. 286 del 1998.
È noto, infine, che, con sentenza n. 54 del 2022, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 125, nella sua originaria formulazione (prima, dunque, delle modifiche introdotte dall’art. 3, comma 4, L. n. 238/2021), nella parte in cui escludeva dalla concessione dell’assegno di natalità i cittadini di Paesi terzi ammessi nello Stato a fini lavorativi a norma del diritto dell’Unione o nazionale e i cittadini di Paesi terzi ammessi a fini diversi dall’attività lavorativa a norma del diritto dell’Unione o nazionale, ai quali è comunque consentito lavorare e che sono in possesso di un permesso di soggiorno ai sensi del regolamento (CE) n. 1030/2002. Ciò posto, risulta dalla sentenza impugnata che la prestazione per cui è causa è stata negata all’odierno intimato precisamente in quanto sprovvisto di permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo; e dal momento che, in parte qua, la disciplina di cui all’art. 1, comma 125, è stata dichiarata costituzionalmente illegittima, deve senz’altro convenirsi con il Pubblico ministero nel rilievo secondo cui il tenore dell’art. 1, comma 125, L. n. 190/2014, quale risultante a seguito della declaratoria d’illegittimità costituzionale, priva sostanzialmente di rilevanza, ai fini della concessione della provvidenza di cui trattasi, il motivo per cui in concreto risulta rilasciato il permesso di soggiorno ai sensi del regolamento (CE) n. 1030/2002, solo rilevando che si tratti di cittadini di paesi terzi ammessi nello Stato a fini lavorativi a norma del diritto dell’Unione o nazionale o ammessi a fini diversi dall’attività lavorativa a norma del diritto dell’Unione o nazionale e ai quali sia comunque consentito lavorare.
Il ricorso, pertanto, va rigettato. Nulla va pronunciato sulle spese del giudizio di legittimità per non avere l’intimato svolto alcuna attività difensiva, mentre tenuto conto del rigetto del ricorso, va dichiarata la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 12 dicembre 2023.
Depositato in Cancelleria il 19 aprile 2024.
