Fatto
FATTI DI CAUSA
Con sentenza non definitiva il Tribunale di Venezia dichiarava la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario celebrato tra Ra.St. e Ta.Lu.
Con sentenza definitiva n. 2241 del 12.9.2011 il Tribunale di Venezia poneva a carico di Ra.St. l’obbligo di versare a Ta.Lu. l’assegno mensile di divorzio di Euro 1.500,00.
Entrambe le parti impugnavano la decisione avanti la Corte d’Appello di Venezia, la quale, con sentenza passata in giudicato, dichiarava la cessazione della materia del contendere per ciò che concerne la domanda di aumento dell’assegno proposta da Ta.Lu. e rigettava la domanda di riduzione presentata da Ra.St.
Successivamente, il sig. Ra.St. nel 2018 proponeva domanda di riduzione dell’assegno deducendo la riduzione del proprio stipendio annuo da Euro 182.001,13 ad Euro 153.956,00 lordi, nonché gli obblighi di mantenimento derivanti dalla nuova famiglia conseguente al matrimonio contratto con Ko.Ju. (casalinga), dalla nascita della figlia No. in data (Omissis) e dall’accensione di un mutuo di Euro 887,61 per l’acquisto della nuova casa familiare.
Il Tribunale con decreto del 14.2.2019 rigettava la domanda negando che tali circostanze sopravvenute avessero causato un reale peggioramento della situazione economica del ricorrente.
Con ricorso ex art. 9 L. n. 898/1970 depositato in data 19/07/2022 il signor Ra.St. chiedeva nuovamente la revisione dell’assegno divorzile deducendo che oltre agli obblighi di mantenimento della moglie e della figlia di 9 anni e di pagamento del mutuo ipotecario quindicennale per l’acquisto della nuova casa coniugale, aveva contratto nel 2019 un prestito per la ristrutturazione della stessa, per un rateo mensile di Euro 836,00, tra il febbraio 2020 e giugno 2021 il Casinò di Venezia presso il quale il ricorrente era dipendente, era rimasto completamente chiuso, erogandogli solamente un fondo F.I.S. pari a circa Euro 600,00 mensili, collocandolo infine in quiescenza dall’ottobre 2021.
Il ricorrente, pertanto, da una retribuzione lorda di Euro 182.001,13 percepita nel 2011, sulla base della quale era stato fissato l’assegno di mantenimento in favore della moglie, nel 2020 e nel 2021 si era ritrovato a subire una consistente riduzione dei propri redditi, che l’aveva costretto ad autoridurre l’assegno della sig.ra Ta.Lu. ad Euro 300,00 per il periodo covid-19, riduzione determinata dal collocamento in quiescenza con un trattamento pensionistico pari ad Euro 5.129,41, corrispondente ad un reddito ridotto della metà rispetto al 2011.
Pertanto, il signor Ra.St. chiedeva che fosse dichiarata la legittimità dell’autoriduzione dell’assegno effettuata unilateralmente nel periodo COVID e la revoca dello stesso per mancanza del necessario squilibrio economico/patrimoniale fra le parti.
Si costituiva la signora Ta.Lu. chiedendo il rigetto delle domande e in via riconvenzionale la condanna al pagamento della quota di TFR percepito dall’ex coniuge.
La corte di appello di Venezia riduceva l’ammontare dell’assegno divorzile da Euro 1.500,00 ad Euro 1.200,00, riconoscendo alla signora Ta.Lu. la quota di TFR, rigettando le altre domande (la dichiarazione di legittimità dell’autoriduzione e la revoca dell’assegno divorzile).
La corte distrettuale valutava ai fini della riduzione esclusivamente la riduzione di reddito ritenendo non esaminabili nuovamente le circostanze già dedotte nel precedente procedimento relative agli obblighi derivanti dal nuovo matrimonio e dal mutuo ipotecario quindicennale per l’acquisto della nuova casa coniugale, nonché dal prestito per la ristrutturazione della stessa.
Il signor Ra.St. ha proposto ricorso per cassazione assistito da due motivi, cui ha resistito con controricorso la signora Ta.Lu. che ha altresì depositato memoria.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 5, comma 6, in relazione all’art. 9 della L. n. 898/1970 ora sostituito dall’art. 473-bis.29 c.p.c. (art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c.).
La corte distrettuale avrebbe errato nel limitarsi a ridurre l’ammontare dell’assegno divorzile, negando rilevanza ai gravosi oneri per il nuovo nucleo familiare e per la nuova abitazione confermando il diritto della beneficiaria a percepire l’assegno. La corte avrebbe dovuto riesaminare tali fatti sopravvenuti alla sentenza divorzile anche se giudicati ininfluenti nel precedente giudizio di revisione per la loro inevitabile incidenza sulla attuale condizione patrimoniale del sig. Ra.St.
Con il secondo motivo si lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 5, comma 6, in relazione all’art. 9 della L. n. 898/1970 ora sostituito dall’art. 473-bis.29 c.p.c. e art. 2033 c.c. (art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c.)
Ad avviso dal ricorrente la corte avrebbe errato nel considerare illegittima la autoriduzione operata dal signor Ra.St. nel periodo covid-19.
L’estrema eccezionalità di tale situazione, complessivamente considerata, varrebbe a far ritenere insussistente nel periodo considerato il diritto della resistente a percepire l’assegno divorzile, venendo meno il sinallagma sotteso alla sua costituzione, posto che non sussistono altri elementi di ordine economico, oltre al reddito da lavoro dipendente del ricorrente, che possano giustificare la debenza dell’assegno.
2. Il ricorso è infondato.
2.1 Il primo motivo è da rigettare.
Va premesso che in materia di assegno di divorzio, i “giustificati motivi”, la cui sopravvenienza consente di rivedere le determinazioni adottate in sede di divorzio, sono ravvisabili nei fatti nuovi sopravvenuti, modificativi della situazione in relazione alla quale la sentenza era stata emessa o gli accordi erano stati stipulati. (Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 28436 del 28/11/2017).
Nel caso di specie è pacifico che le circostanze addotte dinanzi alla corte territoriale erano già state esaminate nel precedente giudizio di revisione, per cui non possono essere rivalutate, come correttamente ritenuto nella pronuncia impugnata, non costituendo nuovi fatti sopravvenuti.
Pertanto, la carenza del presupposto dei “giustificati motivi” esclude qualsivoglia vizio della pronuncia impugnata che ha correttamente escluso dalla sua valutazione il nuovo matrimonio, la nascita della figlia e la contrazione di prestiti per l’acquisto e la ristrutturazione della casa familiare in quanto già dedotti ed esaminati nel procedimento conclusosi nel 2019.
Anche il secondo motivo di censura è infondato.
Ad avviso del ricorrente la corte avrebbe errato nel respingere la domanda di accertamento della legittimità dell’autoriduzione dell’assegno divorzile in considerazione della eccezionalità della situazione pandemica covid-19 che aveva posto l’onerato in condizione di non poter pagare l’assegno per intero, con corresponsione di soli Euro 300,00 mensili.
Al riguardo, non può che confermarsi l’orientamento consolidato in sede penale secondo cui in tema di reati contro la famiglia, il delitto previsto dall’art. 12 sexies L. 1 dicembre 1970, n. 898 si configura anche in presenza di un inadempimento parziale dell’obbligo di corresponsione dell’assegno divorzile, non essendo riconosciuto all’obbligato un potere di adeguamento dell’assegno in revisione della determinazione fattane dal giudice (Cass. Sez. 6, Sentenza n. 37079 del 27/03/2007).
L’orientamento assunto in sede penale rende evidente l’impossibilità da parte dell’onerato al pagamento dell’assegno divorzile di procedere in via unilaterale ad una autoriduzione senza il previo accordo e, in caso di dissenso, il ricorso all’autorità giudiziaria.
Tanto è sufficiente per il rigetto della censura.
In conclusione, il ricorso va respinto con condanna del ricorrente al pagamento delle spese di lite secondo il principio della soccombenza.
Va disposto l’oscuramento delle generalità e degli altri dati identificativi degli interessati;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese di lite che liquida in Euro 3.000,00 per compensi professionali oltre Euro 200,00 per esborsi, nonché al rimborso forfetario delle spese generali, nella misura del 15%, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. 115/2002, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Va disposto l’oscuramento delle generalità e degli altri dati identificativi degli interessati;
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1a Sezione Civile, in data 7 novembre 2024.
Depositato in Cancelleria il 19 febbraio 2025.
