La corte d’appello di Torino ha respinto il gravame di Ri.ba Sud s.r.l. avverso la sentenza con la quale il tribunale di Casale Monferrato aveva accolto la domanda di Silia s.p.a. in amministrazione straordinaria di revocatoria, L.Fall., ex art. 67, comma 2, dei pagamenti eseguiti in favore dell’appellante da Silia in bonis nei sei mesi anteriori alla sua ammissione alla procedura di amministrazione controllata, per intercorsi rapporti commerciali.
La Ri.ba Sud ha proposto ricorso per cassazione in sei motivi.
La procedura ha replicato con controricorso.
Le parti hanno depositato memorie.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
I – Col primo motivo la ricorrente denunzia la violazione o falsa applicazione degli artt. 113 c.p.c., del D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 49,artt. 2903 e 2904 c.c. perché il termine quinquennale di prescrizione dell’azione revocatoria, promossa con citazione del 28.7.2011, si sarebbe dovuto computare a decorrere dalla dichiarazione dello stato di insolvenza di Silia s.p.a. ((Omissis)), anziché – come affermato dalla corte d’appello – dalla data del (Omissis), in cui era intervenuta l’autorizzazione all’esecuzione del programma di liquidazione del complesso aziendale.
Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., avendo questa Corte già stabilito che il termine di prescrizione per l’esercizio dell’azione revocatoria da parte di una società in amministrazione straordinaria decorre dal momento dell’approvazione del programma di cessione dei beni aziendali e non dalla nomina del commissario straordinario, come invece avveniva in base alla precedente disciplina di cui alla L. n. 95 del 1979; difatti il D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 49 nel disporre che l’azione revocatoria fallimentare può essere proposta dal commissario straordinario “soltanto se è stata autorizzata l’esecuzione di un programma di cessione dei complessi aziendali”, prevede l’avveramento di una specifica condizione per l’esercizio dell’azione stessa (v. per tutte Cass. Sez. 1 n. 31194-18, Cass. Sez. 6-1 n. 21516-17).
II – Col secondo motivo la ricorrente denunzia la violazione o falsa applicazione degli art. 113 c.p.c., del D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 49,L.Fall., art. 67, comma 2, perché il periodo sospetto entro il quale considerare i pagamenti revocabili doveva essere computato a far data dalla dichiarazione dello stato d’insolvenza, anziché – come affermato dalla corte d’appello – dall’ammissione della società alla anteriore procedura di amministrazione controllata, non essendo estensibile all’amministrazione straordinaria l’elaborazione giurisprudenziale relativa alla consecuzione tra le procedure.
Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., avendo questa Corte chiarito che l’istituto della consecuzione tra procedure, ai fini della retrodatazione dei termini di cui alla L.Fall., art. 67, trova applicazione anche ove la prima sia un’amministrazione controllata e l’ultima una procedura il cui presupposto oggettivo sia costituito dallo stato d’insolvenza (v. per tutte Cass. Sez. 1 n. 2486115, Cass. Sez. 1 n. 28445-08).
Tale insegnamento è stato di recente ulteriormente ribadito a mezzo della constatazione che la continuità, in questi casi, non si risolve in un mero dato temporale, ma si configura come fattispecie di effettiva consecuzione per effetto del negativo sviluppo della condizione di temporanea difficoltà denunciata dall’imprenditore che chiede il beneficio dell’amministrazione controllata, laddove si riveli erronea la prognosi di risanamento alla base di questa (Cass. Sez. 1 n. 4482-21).
III – Col terzo mezzo è dedotta la violazione o falsa applicazione degli artt. 113,115 e 116 c.p.c. e della L.Fall., art. 67 a proposito della prova della conoscenza dello stato di insolvenza.
Il motivo è inammissibile perché nella sostanza implica una critica di merito.
La corte d’appello ha ritenuto di poter desumere la prova dell’elemento soggettivo nel fatto di avere la società preteso, a (Omissis), la determinazione di un piano di rientro di un debito insoluto già al momento significativo, mediante differimento di pagamenti pregressi rimasti inevasi.
Si tratta di una valutazione in fatto, non determinativa – in quanto tale – di errori giuridici.
IV – Col quarto motivo è dedotta la violazione o falsa applicazione degli artt. 113,115 e 116 c.p.c. e L.Fall., art. 67, comma 3, a proposito della ritenuta insussistenza dell’esenzione derivata dall’essere stati i pagamenti eseguiti nei termini d’uso.
Il motivo è inammissibile.
La corte d’appello ha in linea generale premesso che il termine di normalità dei pagamenti va ricavato dagli accordi contrattuali intercorsi tra le parti, oppure dalle prassi seguite nei precedenti contratti o all’interno del medesimo contratto, diventando revocabile ciò che si discosti da tali accordi o prassi.
L’affermazione è sintonica all’insegnamento di questa Corte, essendo stato a più riprese chiarito che il rinvio della L.Fall., art. 67, comma 3, lett. a), ai “termini d’uso”, ai fini dell’esenzione dalla revocatoria fallimentare per i pagamenti di beni e servizi effettuati nell’esercizio dell’attività d’impresa, attiene alle modalità di pagamento concretamente invalse tra le parti (Cass. Sez. 1 n. 7580-19, Cass. Sez. 1 n. 25162-16).
Questa Corte ha inoltre precisato che la L.Fall., art. 67, comma 3, lett. a), consente di dire che non sono revocabili quei pagamenti che siano stati eseguiti e accettati in termini diversi rispetto a quelli contrattualmente previsti, ma quando l’accipiens dimostri che, anche mediante comportamenti di fatto, i plurimi adempimenti con le nuove caratteristiche non possono più considerarsi eseguiti “in ritardo” essendo ormai divenuti esatti adempimenti (v. Cass. Sez. 1 n. 2793920).
Nella concreta fattispecie la corte d’appello ha espressamente affermato che la prova della ricorrenza dell’esenzione, rispetto a pagamenti fatti in parte prima e in parte dopo la redazione del piano di rientro, all’esito di indici già sintomatici del dissesto della debitrice, non era stata fornita.
Si tratta anche in questo caso di una valutazione di merito in ordine al profilo probatorio, non contenente errori giuridici e come tale non sindacabile in cassazione.
V – Coi motivi quinto e sesto la ricorrente denunzia l’omesso esame di fatti decisivi a proposito: (a) dell’individuazione della data da cui far decorrere il periodo sospetto e il termine di prescrizione quinquennale, secondo l’impostazione ben vero già sostenuta nel contesto del primo e del secondo motivo; (b) della conoscenza dello stato d’insolvenza.
I motivi sono inammissibili.
Anche sorvolando sulla carenza di redazione delle censure rispetto a quanto invece richiesto per il vizio motivazionale dall’attuale testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (v. Cass. Sez. U n. 8053-14), è decisivo constatare che la fattispecie è soggetta alla cd. doppia conforme di cui all’art. 348-ter c.p.c., comma 5.
In vero la sentenza impugnata ha confermato totalmente quella di primo grado e l’appello avverso quest’ultima risulta esser stato proposto dopo la decorrenza del termine indicato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 convertito con modificazioni in L. n. 134 del 2012.
Ne segue che la sentenza d’appello non è punto impugnabile per omesso esame di fatti (art. 360 c.p.c., n. 5).
Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, nell’ipotesi di “doppia conforme”, prevista dall’art. 348-ter c.p.c., comma 5, il ricorso per cassazione proposto per il motivo di cui all’art. 360, n. 5 è inammissibile se non indica le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. Sez. 2 n. 5528-14, Cass. Sez. 1 n. 26774-16, Cass. Sez. 3 n. 5947-23).
L’attuale ricorso non contiene riferimenti idonei a tale scopo, donde entrambi i ripetuti motivi – quinto e sesto – vanno dichiarati inammissibili per contrasto col fondamento della norma appena evocata.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in 6.200,00 Euro, di cui 200,00 Euro per esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella massima percentuale di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Prima civile, il 23 novembre 2023.
Depositato in Cancelleria il 18 dicembre 2023
