FATTI DI CAUSA
1.- Con il decreto n. 3788/23, depositato il 6.3.2023, il Tribunale di Roma, regolamentando i rapporti tra le parti (omissis) e (omissis), in relazione alla figlia (omissis), nata il (omissis), in assenza di vincolo matrimoniale, aveva disposto l’affidamento congiunto della minore ad entrambi i genitori, collocandola presso la madre, assegnataria della casa familiare di proprietà del padre; aveva regolamentato il diritto di visita del padre; aveva posto a carico del padre un contributo mensile di Euro 1.000,00 per il mantenimento della figlia, oltre al 70 per cento delle relative spese straordinarie; aveva compensato le spese di lite.
Con reclamo, il padre aveva chiesto che fosse sospesa, con provvedimento inaudita altera parte, l’efficacia esecutiva del decreto impugnato; che fosse disposta una CTU tesa a verificare le capacità genitoriali delle parti, anche in relazione al contesto familiare in cui (omissis) era inserita; che fosse revocata l’assegnazione alla madre della casa familiare; che fosse posto a suo carico un contributo per il mantenimento della figlia pari all’importo mensile di Euro 400,00, oltre ad un’ulteriore somma egualmente pari ad Euro 400,00, quale contributo per le spese locative di un diverso immobile ed oltre al 50% delle spese straordinarie; la madre aveva chiesto la conferma del decreto impugnato.
Nel corso del giudizio, veniva acquisita la relazione aggiornata dei Servizi Sociali ed effettuata una CTU per accertare le capacità genitoriali delle parti.
All’esito, la Corte di appello ha statuito – come si evince dal dispositivo – che, in parziale accoglimento del reclamo proposto dal padre, “fermo restando per il resto il provvedimento impugnato, (omissis) possa vedere la figlia (omissis) a fine settimana alternati dal venerdì pomeriggio alla domenica alle ore 20.00, oltre ad un pomeriggio a settimana (in mancanza di accordo il mercoledì) fino alle ore 20.00; nelle settimane in cui la bambina starà con la madre il fine settimana, potrà trascorrere con il padre due pomeriggi, di cui uno con pernotto (il martedì, in mancanza di accordo tra le parti) e l’altro (il giovedì, in mancanza di accordo), fino alle 20.00; durante le vacanze di Natale, (omissis) trascorrerà ad anni alterni con ciascuno dei genitori o il periodo dal 23 al 30 dicembre, o il periodo dal 31 dicembre al 7 gennaio; (omissis) trascorrerà il periodo Pasquale (dal giovedì Santo al martedì dopo Pasqua) con ciascuno dei genitori, ad anni alterni e, durante le vacanze estive, per quest’anno, trascorrerà con il padre tre periodi di 5 giorni consecutivi ciascuno e, dall’anno prossimo, 15 giorni consecutivi nel mese di luglio e 15 giorni consecutivi nel mese di agosto; la minore trascorrerà con ciascuno dei genitori la giornata del suo compleanno, alternando il pranzo e la cena e egualmente con ciascun genitore le altre festività, alternandole negli anni; dispone che (omissis) versi a (omissis), per il mantenimento della figlia, la somma mensile di Euro 600,00, oltre al 50% delle relative spese straordinarie, con decorrenza dalla data del deposito del ricorso in primo grado (30.11.2022), oltre rivalutazione secondo indici Istat;” (fol.10, decr. imp.) ed ha compensato le spese di lite.
(omissis) ha proposto ricorso chiedendo la cassazione del decreto impugnato con quattro mezzi, illustrati con memoria;
(omissis) ha replicato con controricorso e memoria.
La Procura Generale ha depositato la requisitoria scritta con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2.1.- Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 337 ter e ss cod. civ. in relazione all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ. e, per quanto di ragione, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ.
Il ricorrente sostiene che la Corte di appello ha affermato l’adeguatezza genitoriale della madre della minore con motivazione apparente e, comunque, erronea per contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili, ciò in quanto il CTU, nonostante fosse stato onerato di relazione in merito allo stato della relazione nonni-nipote e di individuare il genitore collocatario anche in considerazione della convivenza della madre con i propri genitori -aveva omesso di svolgere le indagini allo stesso demandate e la Corte di Appello aveva recepito acriticamente l’elaborato peritale senza effettuare il controllo sull’iter motivazionale che lo sorregge.
La decisione, a parere del ricorrente, è altresì viziata per aver la Corte, per un verso, ritenuto la perizia “condotta con ineccepibile iter logico e argomentativo” e, per altro verso, disposto (immotivatamente) un regime di frequentazione e pernotti che si è discostato rispetto a quello previsto dal CTU.
A parere del ricorrente, a causa di questi vizi la Corte di Appello avrebbe respinto la domanda di collocamento paritario con motivazione solo apparente ovvero sorretta da contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili (proprio in relazione alle risultanze dell’espletata CTU).
2.2.- Il primo motivo è inammissibile.
2.3.- Con riferimento alla ripetuta doglianza per motivazione apparente, va ricordato che questa Corte ha già affermato che il vizio di motivazione previsto dall’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c. e dall’art. 111 Cost. sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass. n. 3819/2020).
Ricorre, dunque, il vizio di motivazione apparente della sentenza, qualora essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture (Cass. n. 6758/2022; Cass. n. 13248/2020).
Tale evenienza si verifica non solo nel caso in cui la motivazione sia meramente assertiva, ma anche quando sussiste un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, perché non è comunque percepibile l’iter logico seguito per la formazione del convincimento e, di conseguenza, non è possibile effettuare alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice (Cass. n. 12096/2018).
Alle stesse conseguenze è assoggettata una motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, poiché anche in questo caso non è possibile comprendere il ragionamento seguito dal giudice e, conseguentemente, effettuare un controllo sulla correttezza dello stesso (Cass. n. 7090/2022).
Ovviamente, non è ammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass. Sez. U. n. 34476/2019; Cass. n. 5987/2021).
2.4.- Sotto questo profilo la doglianza è inammissibile perché nel caso di specie, alcuna motivazione apparente è riscontrabile, atteso che la motivazione c’è ed è esposta in maniera logica ed esauriente, ben oltre il c.d. “minimo costituzionale”.
2.5.- Va aggiunto che, tramite l’apparente denuncia di vizi di violazione di legge e di omesso esame di fatti decisivi, la censura tende impropriamente alla rivalutazione del merito.
Rimarcando che, come si evince dal decreto, con i motivi di reclamo non era stato posto in discussione il regime di affidamento condiviso della minore tra i genitori, va osservato che la Corte di merito ha evidenziato, fra l’altro, che la consulenza ha avuto, come primo effetto, quello di indurre le parti a trovare un accordo sui tempi di frequentazione con la minore e a collaborare per la relativa gestione; che nel corso della perizia, entrambi i genitori hanno dimostrato “calore e affettività nei confronti di (omissis)“; che la bambina ha iniziato a consumare i pasti ed anche a pernottare presso il padre, rimanendo “serena e tranquilla“, che il reclamante “ha mostrato un comportamento cooperativo e disponibile.” e che “Entrambi hanno mostrato una buona capacità di accudimento della minore, sia garantendo alla stessa un ambiente di vita adeguato e funzionale alle sue esigenze, sia mostrandosi affettivi, tutelanti e accudenti nei confronti della figlia. Entrambi i genitori sembrano essere autenticamente orientati a riconoscere e soddisfare i bisogni evolutivi di (omissis)” (fol.5/6, decr. imp.).
Sulla scorta di ciò la Corte di appello ha ravvisato le adeguate capacità genitoriali di entrambi e confermato l’affidamento condiviso, pur con collocazione privilegiata presso la madre, evidenziando una serie di difficoltà di raccordo funzionale a soddisfare adeguatamente il preminente interesse della minore, in tenera età, tanto è vero che le parti sono state invitate a seguire un percorso di sostegno alla genitorialità.
Orbene, questa Corte ha chiarito che, in caso di affidamento condiviso, la frequentazione, del tutto paritaria, tra genitore e figlio che si accompagna a tale regime, nella tutela dell’interesse morale e materiale del secondo, ha natura tendenziale ben potendo il giudice di merito individuare, nell’interesse del minore, senza che possa predicarsi alcuna lesione del diritto alla bigenitorialità, un assetto che se ne discosti, al fine di assicurare al minore stesso la situazione più confacente al suo benessere e alla sua crescita armoniosa e serena (Cass. n. 4790/2022; Cass. n. 19323/2020).
Nel caso di specie, la Corte di merito ha rettamente applicato questo principio in quanto ha motivatamente confermato il collocamento privilegiato della minore presso la madre “in considerazione della sua tenera età (non ha nemmeno due anni) e della necessità di garantirle una certa stabilità, non possa essere disposto un collocamento paritario alternato presso ciascuno dei genitori, ma la minore debba, invece, risiedere prevalentemente presso la madre, con cui sinora ha convissuto;” (fol.7) alla luce della valutazione dell’interesse morale e materiale della piccola e la censura va disattesa.
Anche le osservazioni svolte in merito alla presenza e/o convivenza della minore con i nonni materni, non colgono nel segno.
Si tratta di sollecitazioni ad una diversa valutazione delle risultanze istruttorie e dell’esito della CTU, inammissibile in sede di legittimità, posto che – contrariamente a quanto assume il ricorrente – la Consulenza ha preso in esame il tema ed ha rimarcato che “Dalla storia della signora (omissis) è possibile evidenziare una certa difficoltà relativa ai confini con la propria famiglia di origine. … I legami con la famiglia di origine appaiono molto stretti e a tratti invischiati.” (fol.6, decr. imp.) senza, tuttavia, che siano emerse circostanze sintomatiche di effetti pregiudizievoli indotti sulle relazioni genitoriali. Va aggiunto che, sotto alcun profilo il ricorrente ha indicato circostanze di fatto – di cui sia stato omesso l’esame – tale da indurre un pregiudizio per la bambina a causa della presenza dei nonni o per l’accudimento loro demandato, posto che alcun elemento critico o comportamento negativo è stato specificamente evidenziato in proposito nella fase di merito.
Va osservato che l’esito positivo della CTU ha consentito un ampliamento progressivo del diritto di visita paterno, che la Corte di merito, nell’esercizio delle sue competenze, ha disciplinato tendo conto del preminente interesse della minore, senza essere vincolata alla proposta formulata dal CTU.
3.1.- Il secondo ed il terzo motivo vanno trattati congiuntamente per connessione.
3.1.- Il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 337 sexies cod. civ. con riguardo alla qualificazione d’abitazione familiare ed ai presupposti dell’assegnazione, nonché degli artt. 2697 cod. civ. e 115 e 116 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ. e, per quanto di ragione, l’omesso esame di circostanze, pacifiche e non contestate, che hanno formato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ.
A parere del ricorrente, la Corte di appello avrebbe disposto l’assegnazione della casa individuata come familiare omettendo di esaminare i seguenti fatti: l’inesistenza di una stabile convivenza, l’assenza di un’astratta destinazione famigliare, la breve permanenza della minore e l’intervenuto trasferimento in Calabria che avrebbe reciso ogni e qualsiasi legame, astrattamente ipotizzabile con l’abitazione di proprietà del ricorrente, disattendendo la ratio dell’assegnazione costituita dall’esigenza di conservare l’habitat domestico della prole.
La Corte di Appello, poi, avrebbe omesso di desumere argomenti di prova dalle domande, contraddittoriamente, articolate dalla madre che aveva dedotto, a sostegno della domanda, il sopraggiunto ambientamento della minore nell’abitazione causalmente riconducibile, a parere del ricorrente, alla mera esecuzione del provvedimento di assegnazione.
La Corte di Appello avrebbe, infine, violato l’art. 2697 cod. civ. perché la madre non aveva provato che l’immobile di proprietà del padre fosse l’abitazione familiare, che la minore (al momento dell’insorgenza del conflitto) avesse creato un legame con quell’abitazione e che quell’asserito legame dovesse ritenersi persistente nonostante l’intervenuto allontanamento.
3.2.- Il terzo motivo lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost., degli artt. 6 e 13 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali, dell’art. 47 della Carta dei Diritti Fondamentali di Nizza nonché dell’art. 739 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 n. 3 cod.proc. civ.
Il ricorrente deduce le indicate violazioni, sostenendo che la Corte di merito ha confermato l’assegnazione della casa familiare non in ragione dell’esistenza di un habitat da preservare al momento dell’insorgenza del conflitto, ma “del fatto che, presso tale abitazione, madre e figlia risiedono ormai da oltre un anno“.
3.3.- I due motivi, da trattare congiuntamente perché strettamente avvinti in quanto contestano che l’immobile sito in (omissis), Via (omissis) fosse stato adibito a casa familiare, sono inammissibili.
3.4.- Va rammentato che, in materia di assegnazione della casa familiare rileva il principio secondo il quale il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli, come si ricava dall’art. 337 sexies cod. civ.; è pacifico che ciò riguarda sia i figli nati dalla relazione matrimoniale che fuori di essa. Il giudice chiamato a fissare la regolamentazione a seguito della crisi familiare, nel decidere se assegnare la casa coniugale, deve tener conto esclusivamente del primario interesse del figlio minore a beneficiare dell’abitazione in cui quest’ultimo ha vissuto quando la famiglia era unita (che, in quanto tale, è proiezione nello spazio della sua identità all’interno di uno specifico contesto ambientale e sociale), salvo situazioni eccezionali (Cass. n. 4816/2009; Cass. n. 14553/2011; Cass. n. 23501/2023).
La Corte ha chiarito poi che la destinazione impressa all’immobile che sia stato l’habitat domestico del minore non può essere esclusa solo perché detto minore è stato condotto altrove in quanto è decisivo accertare la ragione dell’allontanamento onde verificare se esso sia avvenuto solo temporaneamente o in via definitiva; la qualificazione giuridica di un immobile come “casa familiare”, postula che, prima del conflitto familiare, vi fosse una stabile e continuativa utilizzazione dello stesso da parte del nucleo costituito da genitori e figli, che la destinazione suddetta sia stata impressa dalle parti non solo in astratto ma anche in concreto, mediante la loro convivenza nell’immobile (Cass. n. 24754/2025, in motivazione; Cass. n. 3331/2016). Ed in applicazione dell’anzidetto principio, la S.C. ha già affermato che per l’immobile, pacificamente riconosciuto dalle parti quale casa familiare, in vista della nascita della minore che lì ha sempre vissuto fino all’inizio della crisi familiare, debba escludersi la rilevanza, al fine del mutamento di una siffatta destinazione, del temporaneo allontanamento dall’abitazione per il contrasto tra loro insorto dopo la nascita. Tale l’allontanamento non può ritenersi definitivo quando sia da ascrivere ai contrasti insorti tra i genitori poiché in tal caso la scelta operata in attesa delle determinazioni del giudice non è tale da consentire di escludere che l’immobile sia ancora la casa familiare (Cass. n. 27907/2021; Cass. n. 32231/2018).
3.5.- Entrambe le censure non colgono la ratio decidendi che si fonda sulle peculiari circostanze fattuali della vicenda in esame.
Nel caso in esame, l’assegnazione della casa disposta dal Tribunale in applicazione dei suddetti principi, accompagnata dal rientro della minore nella casa familiare, risulta esser stata rettamente confermata dalla Corte d’Appello.
Le circostanze relative alla destinazione dell’immobile a casa familiare sono state accertate dalla Corte di merito che colloca l’inizio della convivenza more uxorio nel gennaio 2022 (fol. 3, decr. imp.), prima della nascita della minore, avvenuta il 18 settembre 2022, cui era seguito a novembre 2022 un temporaneo trasferimento della madre e della bambina in Calabria, presso i genitori di lei, in conseguenza del palesarsi della crisi familiare e dell’avvio del procedimento giudiziario che aveva portato al provvedimento di assegnazione della casa familiare sita in Via (omissis) da parte del Tribunale (pubblicato il 6 marzo 2023) su richiesta della madre.
Le vicende che hanno visto protagonista la minore in così tenera età risultano ben esaminate dalla Corte di merito, in linea con i principi enunciati e tenendo in principale considerazione l’interesse della minore, con apprezzamento di fatto insindacabile in sede di legittimità; nella motivazione, invero, è precisato che “in ordine all’assegnazione della casa familiare, ritiene il Collegio di doverla mantenere in favore della madre, con cui la bambina stabilmente convive; ciò anche in considerazione del fatto che, presso tale abitazione, madre e figlia risiedono ormai da oltre un anno, in coincidenza con un periodo di particolare formazione della minore e ritenendosi che sradicare (omissis) dal suo abituale ambiente domestico potrebbe essere per lei destabilizzante; infatti, proprio la tenera età della minore induce a considerare preferibile non alterare le sue abitudini, onde evitare di ingenerare possibili disequilibri che potrebbero ripercuotersi sulla sua sana crescita psicofisica; su cui è fondata la statuizione.” (fol. 8, decr. imp.) con statuizione immune da vizi.
4.1.- Il quarto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 337 ter e 337 sexies cod. civ. in punto di regolamentazione dei rapporti economici riguardanti il mantenimento della minore in relazione all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ. e, per quanto di ragione, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ.
Il ricorrente si duole che la Corte di Appello abbia quantificato il contributo posto a carico del padre per il mantenimento della figlia (pur riducendolo rispetto alla commisurazione compiuta dal Tribunale) senza tener conto del (contro)valore economico dell’assegnazione della casa di sua proprietà, omettendo di commisurarlo alle reali esigenze della minore e violando il principio di proporzionalità.
4.2.- Il motivo è inammissibile.
4.3.- In tema di contributo al mantenimento dei figli, che si caratterizza per la sua bidimensionalità, da una parte, vi è il rapporto tra i genitori ed i figli, informato al principio di uguaglianza, in base al quale tutti i figli – indipendentemente dalla condizione di coniugio dei genitori – hanno uguale diritto di essere mantenuti, istruiti, educati e assistiti moralmente, nel rispetto delle loro capacità, delle loro inclinazioni naturali e delle loro aspirazioni; dall’altro, vi è il rapporto interno tra i genitori, governato dal principio di proporzionalità, in base al quale i genitori devono adempiere ai loro obblighi nei confronti dei figli, in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la propria capacità di lavoro, professionale o casalingo, valutando altresì i tempi di permanenza del figlio presso l’uno o l’altro genitore e la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascuno (Cass. n. 2536/2024; Cass. n. 4145/2023). Invero, l’art. 316-bis, comma 1, c.c., al pari del precedente art. 148 c.c., nel prescrivere che entrambi i coniugi adempiano all’obbligazione di mantenimento dei figli in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo, non detta un criterio automatico per la determinazione dell’ammontare dei rispettivi contributi, fornito dal calcolo percentuale dei redditi dei due soggetti (che finirebbe per penalizzare il coniuge più debole), ma prevede un sistema più completo ed elastico di valutazione, che tenga conto non solo dei redditi, ma anche di ogni altra risorsa economica e delle cennate capacità di svolgere un’attività professionale o domestica, e che si esprima sulla base di un’indagine comparativa delle condizioni – in tal senso intese – dei due obbligati (Cass. n.5242/2024); inoltre, ai fini della determinazione dell’assegno di mantenimento in favore dei figli minorenni occorre accertare il tenore di vita della famiglia durante la convivenza (Cass. n.22818/2022).
4.4.- Nel caso in esame, la censura non coglie nel segno, perché la Corte di appello ha accolto la domanda di riduzione dell’assegno di mantenimento posto a carico del padre proprio in considerazione del valore economico dell’assegnazione della casa familiare; ha, quindi raffrontato le condizioni economiche delle parti e si è attenuto nella comparazione e nella quantificazione dell’importo finale ai criteri prima ricordati, espressi dalla giurisprudenza di legittimità, sulla scorta di un apprezzamento delle risultanze istruttorie che compete al giudice del merito e con motivazione sufficiente e coerente.
La censura si risolve nella sollecitazione di un diverso apprezzamento delle risultanze istruttorie, inammissibile in sede di legittimità.
5.- In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.
Non è dovuto il pagamento di un’ulteriore somma, a titolo di contributo unificato, posto che, ai sensi dell’art. 10, comma 2, D.P.R. n. 115 del 2002, non è soggetto al contributo unificato il processo comunque riguardante la prole.
Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
P.Q.M.
– Rigetta il ricorso;
– Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di giudizio che liquida in 3.500,00 Euro, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali liquidate forfettariamente nella misura del 15% ed accessori di legge;
– Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Prima Sezione Civile, il 10 settembre 2025.
Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2025.
