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Cassazione civile sez. I, 15/06/2023, n. 17154

Massima

Divorzio: liquidazione quota trattamento fine rapporto dopo l’instaurazione del giudizio divorzile.

Supporto alla lettura

DIVORZIO

Il termine divorzio indica la possibilità di sciogliere definitivamente il vincolo matrimoniale e, pur non trovando riscontro nel dato normativo, viene comunemente usato – superando l’etimologia latina che richiama lo scioglimento volontario del vincolo coniugale – per indicare due istituti: lo scioglimento del matrimonio civile, celebrato davanti alle Autorità Civili (art. 1, l. 898/1970), e la cessazione degli effetti civili del matrimonio religioso (art. 2, l. 898/1970). Come è noto dal 1 marzo 2023 sono entrate in vigore nuove regole in materia di separazione e divorzio a seguito della cosiddetta Riforma Cartabia che ha rivoluzionato gran parte delle norme in materia di giustizia (civile e penale). La nuova disciplina processuale, contenuta nel decreto legislativo n. 149 del 2022 emanato in attuazione alla legge delega 26 novembre 2021 n. 206, applicabile ai giudizi in materia di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio introdotti con ricorso depositato dopo il 28 febbraio 2023, ha implicato, quale conseguenza di ordine sistematico, l’abrogazione di alcune disposizioni contenute nella legge sul divorzio n. 898/1970 che continueranno a trovare applicazione ai giudizi pendenti alla data di entrata in vigore delle nuove norme. La prima grande novità, infatti, è quella per cui si potrà proporre la domanda di separazione e quella di divorzio in un unico atto. Con il ricorso introduttivo si potranno proporre contemporaneamente sia la domanda di separazione che la domanda di divorzio in via congiunta o in via giudiziale. La domanda per lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, ove proposta contestualmente alla domanda di separazione dei coniugi, sarà procedibile solo con il passaggio in giudicato della sentenza parziale intervenuta sulla separazione e fermo il decorso del termine di cui all’articolo art. 3 della legge n. 898/1970, ovvero almeno dodici mesi dall’avvenuta comparizione dei coniugi innanzi al giudice nella separazione giudiziale o sei mesi nel caso di separazione consensuale (ciò anche nell’ipotesi in cui il giudizio contenzioso si sia trasformato in consensuale), o dalla data certificata nell’accordo di separazione raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita da avvocati ovvero dalla data dell’atto contenente l’accordo di separazione concluso innanzi all’ufficiale dello stato civile.

Ambito oggettivo di applicazione

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello dell’Aquila, con decreto n. cronol. 222/2021, pubblicato il 26/3/21, in giudizio instaurato da C.A.F., nei confronti di D.F., per sentirle riconoscere il diritto, L. n. 898 del 1970, ex art. 12 bis quale titolare di assegno divorzile (fissato con la sentenza di divorzio del 2008), non avendo contratto nuovo matrimonio ed essendo l’ex coniuge andato in pensione con percezione del trattamento di fine rapporto, di percepire quota del TFR, ha confermato la statuizione di primo grado, con la quale era respinta la domanda, sul rilievo che il TFR era maturato ed era stato pagato nel 2002, in epoca antecedente sia alla sentenza di divorzio (2008) che alla data di proposizione della relativa domanda (2006).

In particolare, i giudici di appello hanno rilevato che, mentre la quota di TFR è dovuta al coniuge, cui sia stato riconosciuto l’assegno divorzile, anche quando il TFR sia stato pagato nel corso del giudizio di divorzio, non potendo i tempi del processo risolversi in danno della parte vittoriosa e dovendo gli effetti della sentenza di divorzio retroagire fino alla data della domanda, nella specie il TFR era stato pagato già nel 2002, mentre la domanda di divorzio era successiva, essendo stata proposta nel 2006, cosicché non era dovuta alcuna quota di TFR, essendo le somme ormai definitivamente entrate nell’esclusiva disponibilità dell’avente diritto.

Avverso la suddetta pronuncia C.F.A. propone ricorso per cassazione, notificato il 4/5/2021, affidato a quattro motivi, nei confronti di D.F. (che resiste con controricorso, notificato il 14/6/2021). Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

  1. La ricorrente lamenta: a) con il primo motivo, la violazione del principio del contraddittorio, per non avere la Corte d’appello, che aveva disposto la trattazione scritta dell’unica udienza di comparizione, concesso alla reclamante termini per difese scritte in replica alle note di trattazione depositate nell’ultimo giorno utile dalla controparte, così essendosi eliminata la parità tra le parti; b) con il secondo motivo, l’omesso esame delle istanze istruttorie che avrebbero consentito di acquisire, tramite ordine di esibizione al terzo (l’INPDAP), elementi certi in ordine all’indennità di fine rapporto ed alla sua erogazione, in via di acconto o satisfattiva; c) con il terzo motivo, la violazione degli artt. 2697 e 2719 c.c. e art. 115 c.p.c., in relazione alla carenza di prova circa l’autenticità della dichiarazione di “futuro” collocamento a riposo del D. e di erogazione a costui del trattamento di fine rapporto, pur in presenza di contestazioni e di istanze istruttorie della C.; d) con il quarto motivo, la violazione della L. n. 898 del 1970, art. 12 circa la scelta di fare retroagire alla domanda di divorzio, e non a quella di separazione (nella specie avviata nel 1998 dalla C. e definita solo nel 2006 con sentenza del Tribunale di Sulmona), il momento che legittima il coniuge beneficiario dell’assegno divorzile a pretendere il versamento di quota del trattamento di fine rapporto da parte del coniuge onerato, considerato che, nella specie, la C. non avrebbe comunque potuto chiedere il pagamento di quota del TFR, essendo stato questo pagato nel 2002, sulla base di quanto asseritamente documentato dalla controparte, pure se avesse proposto domanda di divorzio il giorno dopo la pubblicazione o il passaggio in giudicato della sentenza di separazione.
  2. La prima censura è inammissibile per difetto di autosufficienza. La ricorrente lamenta una violazione del diritto di difesa, per non esserle stato concesso un termine per replica scritta alle note scritte di parte avversa, ma non chiarisce se il resistente avesse introdotto nel giudizio di appello elementi nuovi difensivi cui era necessario replicare e neppure precisa quali sarebbero state le questioni che ella avrebbe sollevato se avesse potuto replicare.
  3. La seconda e la terza censura sono inammissibili.

La Corte d’appello ha ritenuto superflua la richiesta istruttoria di informative presso l’INPDAP in merito all’effettiva erogazione del TF, emergendo dalla documentazione acquisita (note del Ministero della Difesa e dell’INPDAP) che il D. era stato collocato a riposo il 30/9/2002 ed aveva percepito il TFR nel dicembre 2002, prima dell’instaurazione del giudizio di divorzio.

Il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass. 2357/2004; Cass. 27197/2011; Cass. 24679/2013; Cass. 331/2020).

  1. Il quarto motivo è inammissibile, ex art. 360 bis n. 1 c.p.c., avendo la Corte di merito statuito in maniera conforme a consolidata giurisprudenza di questo giudice di legittimità.

Ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 12 bis, comma 1, “Il coniuge nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze e in quanto sia titolare di assegno ai sensi dell’art. 5, ad una percentuale dell’indennità di fine rapporto percepita dall’altro coniuge all’atto della cessazione del rapporto di lavoro anche se l’indennità viene a maturare dopo la sentenza“.

Questa Corte, con orientamento oramai consolidato, ritiene che condizione per l’ottenimento della quota del trattamento di fine rapporto dell’ex coniuge è che il richiedente sia titolare di un assegno divorzile – o abbia presentato domanda di divorzio (seguita dalla relativa pronuncia e dall’attribuzione dell’assegno divorzile) – al momento in cui l’ex coniuge maturi il diritto alla corresponsione di tale trattamento (cfr. da ultimo Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 4499 del 19/02/2021).

La ratio della norma e’, infatti, quella di correlare il diritto alla quota del trattamento di fine rapporto alla percezione dell’assegno divorzile (tra le tante, v. Cass., Sez. 1, Sentenza n. 12175 del 06/06/2011). Alla base della disposizione normativa si rinvengono profili assistenziali, evidenziati dal fatto che la disposizione presuppone la spettanza dell’assegno divorzile, ma anche compensativi, legati all’importanza data allo svolgimento del rapporto di lavoro durante la vita matrimoniale.

La finalità, in sintesi, è quella di attuare una partecipazione, seppure posticipata, alle fortune economiche costruite insieme dai coniugi, finche´il matrimonio è durato.

In ordine al momento in cui nasce il diritto all’ottenimento della quota del trattamento di fine rapporto spettante all’ex coniuge è consolidata l’opinione della giurisprudenza, secondo la quale tale diritto sorge, e può essere azionato, quando cessa il rapporto di lavoro (v. tra le tante Cass., Sez. L, Sentenza n. 2827 del 06/02/2018 e Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 5376 del 27/02/2020; cfr. Cass., Sez. 1, Sentenza n. 34050 del 12/11/2021).

In definitiva, insieme al diritto del lavoratore a tale trattamento, sorge anche il diritto dell’ex coniuge a percepire una sua quota, in presenza degli altri presupposti dalla L. n. 898 del 1970, art. 12 bis e il diritto alla quota del trattamento di fine rapporto, che matura con l’insorgenza del diritto a tale trattamento da parte dell’altro coniuge, diviene esigibile quando quest’ultimo percepisce il relativo trattamento (cfr. Cass., Sez. 1, Sentenza n. 27233 del 14/11/2008 e Cass., Sez. 1, Sentenza n. 5719 del 23/03/2004).

Non e’, però, necessario che l’importo su cui calcolare la quota di spettanza sia già incassato al momento della proposizione della relativa domanda, essendo sufficiente che sia esistente al momento della decisione (Cass. 24403/2022).

Occorre tuttavia che la percezione del TFR da parte dell’ex coniuge intervenga dopo la proposizione della domanda di divorzio.

Invero, già con la sentenza n. 5553/1999, questa Corte ha affermato che il disposto della L. n. 898 del 1970, art. 12-bis introdotto dalla L. n. 74 del 1987, art. 16 – nella parte in cui attribuisce al coniuge cui è stato riconosciuto l’assegno L. n. 898 cit., ex art. 5 e non sia passato a nuova nozze il diritto ad una quota dell’indennità di fine rapporto, anche nel caso in cui tale indennità sia maturata prima della sentenza di divorzio – deve essere interpretato nel senso che il diritto alla quota sorge soltanto quando l’indennità sia maturata “al momento o dopo la proposizione della domanda e, quindi, anche prima della sentenza di divorzio“, ogni diversa interpretazione implicando profili non manifestamente infondati di incostituzionalità della norma applicata in riferimento all’art. 3 Cost. Tali principi sono stati ribaditi anche dalla giurisprudenza successiva e sono stati, inoltre, implicitamente avallati dalla Corte Costituzionale, che, nel dichiarare (ordinanza n. 463 del 2002) inammissibile la questione di legittimità sollevata con riferimento alla L. n. 898 del 1970, art. 12-bis ha osservato come l’istituto ivi previsto presupponga, per la determinazione sia dell’an che del quantum debeatur, la configurabilità del credito già al momento della percezione dell’indennità di fine rapporto da parte del coniuge obbligato.

E così questa Corte (Cass. 19427/2003) ha ribadito che “In tema di divorzio, la L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 12 bis (introdotto dalla L. 6 marzo 1987, n. 74, art. 16), il quale attribuisce al coniuge cui sia stato riconosciuto l’assegno ex art. 5 della legge stessa e non sia passato a nuove nozze il diritto ad una quota dell’indennità di fine rapporto percepita dall’altro coniugeanche se l’indennità viene a maturare dopo la sentenza”, deve essere interpretato nel senso che il diritto alla quota sorge soltanto quando l’indennità sia maturata al momento o dopo la proposizione della domanda (con conseguente insussistenza del diritto se l’indennità matura anteriormente a tale momento), e, quindi, anche prima della sentenza di divorzio, implicando ogni diversa interpretazione profili non manifestamente infondati di incostituzionalità della norma in riferimento all’art. 3 Cost.” (cfr. Cass. 14459/2004: “Il diritto, previsto dalla L. n. 898 del 1970, art. 12-bis in favore del coniuge titolare di assegno divorzile, alla quota dell’indennità di fine rapporto percepita dall’altro coniuge, non sorge ove l’indennità sia maturata e percepita dopo la pronuncia di separazione e di determinazione dell’assegno ed anteriormente alla proposizione della domanda di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio; in tal caso, la riscossione dell’indennità di fine rapporto da parte del coniuge separato può solo incidere sulla situazione economica del coniuge obbligato e legittimare una modifica delle condizioni della separazione“; Cass. 25520/2010: ” Il disposto della L. n. 898 del 1970, art. 12 bis – nella parte in cui attribuisce al coniuge titolare dell’assegno divorzile che non sia passato a nuove nozze il diritto ad una quota dell’indennità di fine rapporto dell’altro coniugeanche quando tale indennità sia maturata prima della sentenza di divorzio” – va interpretato nel senso che il diritto alla quota sorge soltanto se l’indennità spettante all’altro coniuge venga a maturare al momento della proposizione della domanda introduttiva del giudizio di divorzio o successivamente ad essa – in tal senso dovendosi intendere l’espressione “anche prima della sentenza di divorzio”, implicando ogni diversa interpretazione indiscutibili profili di incostituzionalità della norma in parola“; Cass. 24421/2013: “La L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 12 bis laddove attribuisce al coniuge titolare dell’assegno di cui al precedente art. 5, che non sia passato a nuove nozze, il diritto ad una quota del trattamento di fine rapporto dell’altro coniuge, va interpretato nel senso che per la liquidazione di tale quota occorre avere riguardo a quanto percepito da quest’ultimo, per detta causale, dopo l’instaurazione del giudizio divorzile, escludendosi, quindi, eventuali anticipazioni riscosse durante la convivenza matrimoniale o la separazione personale, essendo le stesse definitivamente entrate nell’esclusiva disponibilità dell’avente diritto“; Cass. 4499/2021).

Quindi, condizione per il riconoscimento della quota del trattamento di fine rapporto spettante all’ex coniuge, è che quest’ultimo sia già titolare di assegno divorzile o abbia presentato la relativa domanda al momento in cui l’altro ex coniuge abbia maturato il diritto alla corresponsione del trattamento.

Nella specie, si è invece accertato che il TFR è stato maturato e percepito, nel 2002, nel corso del giudizio di separazione personale, avviato nel 1998 e definito nel 2006.

  1. Per tutto quanto sopra esposto, va dichiarato inammissibile il ricorso.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 4.000,00, a titolo di compensi, oltre Euro 200,00 per esborsi, nonché al rimborso forfetario delle spese generali, nella misura del 15%, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Dispone che, ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 31 maggio 2023.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2023

Allegati

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