Avverso suddetto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione la cittadina straniera affidandosi a due motivi. Non costituito il Ministero.
Parte ricorrente censura il provvedimento impugnato emesso dal Tribunale di Venezia nella parte in cui viene negato il riconoscimento della protezione speciale, ritenendo il reato commesso come ostativo alla concessione del permesso di soggiorno per protezione speciale. La ricorrente deduce che il Tribunale ha erroneamente interpretato la normativa, violando il principio affermato dalla Corte Costituzionale, poiché il rifiuto del permesso di soggiorno deve basarsi sull’accertamento della pericolosità in concreto e non su valutazioni astratte. La ricorrente sottolinea che la tipologia delittuosa non deve determinare un’interpretazione fuorviante del diritto, poiché la questione centrale è l’accertamento della pericolosità in concreto. Rileva di aver dimostrato un comportamento esemplare successivamente alla condanna, con il pagamento delle rate delle spese processuali del procedimento penale subito, e l’integrazione socio-lavorativa sul territorio italiano.
2.– Con il secondo motivo del ricorso si lamenta la violazione dell’art. 1, comma 9, del d.l. 113/2018, convertito con legge 132/2018 in relazione all’art. 360 n.3 cpc nella parte in cui il Tribunale, non valutando i requisiti per il riconoscimento della protezione umanitaria ai sensi e per gli effetti degli artt. 5, comma 6, TUI e 32 , comma 3, del D.Lgs.25/2008 ante riforma data dal D.L. 113/2018, convertito con legge 132/2018, ha di fatto applicato retroattivamente la disciplina con la quale è stata abrogata la protezione umanitaria (art. 1 D.L.13/2018) in palese violazione del principio enunciato dalla giurisprudenza di legittimità. Il Tribunale, non accertando i requisiti della protezione umanitaria, ha di fatto applicato retroattivamente la novella introdotta dall’art. 1 del d.l. 113/2018 in palese violazione dell’art. 11 delle preleggi. Parte ricorrente evidenzia che il procedimento amministrativo per il riconoscimento della protezione internazionale è stato avviato nel 2017, pertanto dovrebbe essere applicata la normativa vigente al momento, ovvero quella che prevedeva la protezione umanitaria in base agli articoli 5, comma VI, del Testo Unico sull’Immigrazione e 32 del decreto legislativo 25/2008.
3.– I motivi sono fondati.
In primo luogo deve rilevarsi che se la domanda della ricorrente è stata presentata, come ella deduce, in data 27 aprile 2017, deve essere valutata in base alla normativa vigente prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018, come già precisato da questa Corte a sezioni unite la quale così si è espressa: “Il diritto alla protezione umanitaria, espressione di quello costituzionale di asilo, sorge al momento dell’ingresso in Italia in condizioni di vulnerabilità per rischio di compromissione dei diritti umani fondamentali e la domanda volta ad ottenere il relativo permesso attrae il regime normativo applicabile. Ne consegue che la normativa introdotta con il d.l. n. 113 del 2018, convertito in l. n. 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina di cui all’art. 5, comma 6 del D.Lgs. n. 286 del 1998 e disposizioni consequenziali, non trova applicazione in relazione a domande di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5 ottobre 2018) della nuova legge; tali domande saranno, pertanto, scrutinate sulla base delle norme in vigore al momento della loro presentazione, ma in tale ipotesi l’accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari, valutata in base alle norme esistenti prima dell’entrata in vigore del d.l. n. 113 del 2018, convertito nella l. 132 del 2018, comporterà il rilascio del permesso di soggiorno “per casi speciali” previsto dall’art. 1, comma 9, del suddetto decreto legge”. (Cass. sez. un. n. 29459 del 13/11/2019).
3.1.- Il Tribunale ha ritenuto che il reato commesso sia di per sé ostativo al rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari, operando una valutazione in astratto e così erroneamente intrepretando ed applicando il combinato disposto degli art. 5 comma 6 e 19 del D.Lgs. 286/1998, dovendosi invece escludere che nella fattispecie operi qualsivoglia automatismo ostativo.
In tema di protezione complementare nazionale infatti, poiché l’art. 5 comma 6 del TUI, tanto nella disciplina applicabile alla fattispecie che in quella attuale, dispone che il rifiuto o la revoca del permesso di soggiorno possono essere adottati “fatto salvo il rispetto degli obblighi costituzionali e internazionali”, la eventuale pericolosità sociale del richiedente, in ipotesi ostativa al rilascio di detto permesso, deve essere accertata in concreto e all’attualità, in applicazione del principio di ordine generale e sistematico, anche di fonte unionale, secondo cui nella disciplina dell’immigrazione, a fronte dell’esercizio di diritti umani fondamentali e di rilievo costituzionale, si impone un ragionevole e proporzionato bilanciamento tra gli interessi coinvolti, da effettuarsi secondo i criteri individuati dal diritto vivente (si vada Cass. 23597/2023; Corte EDU, sezione quarta, 27-9-2022; Corte Cost. n.88/2023).
Né diversa conclusione si trae, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di merito, dalla lettura della sentenza della Corte costituzionale n. 83/2023. Ciò in primo luogo per la ragione che la sentenza riguarda il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro mentre l’applicazione dell’articolo 5 comma 6 del D.Lgs. 286/1998 è strettamente legata al divieto di respingimento di cui è espressione l’art. 19 dello stesso decreto legislativo.
Inoltre, la sentenza della Consulta consente di individuare quali sono gli interessi costituzionalmente rilevanti che hanno avuto un peso decisivo nella decisione. Segnatamente, è rilevante, ai fini che qui interessano, il passaggio in cui la Corte osserva di avere limitato la pronuncia al caso di rinnovo del permesso di soggiorno perché “lascia intravedere – particolarmente in considerazione della circostanza che si tratta di permesso per lavoro – un possibile processo di integrazione dello straniero, processo che sarebbe irreversibilmente compromesso ove non si consentisse la prosecuzione del percorso lavorativo intrapreso”. Ed è esattamente questa la valutazione in concreto cui è tenuto, nel caso di specie, il giudice di merito, cioè verificare se nonostante il reato commesso, tenendo conto della sua collocazione temporale e del fatto che la pena è stata scontata, sussistano diritti fondamentali che verrebbero compromessi dal rifiuto del permesso di soggiorno per motivi umanitari e in particolare, se sussiste integrazione socio lavorativa che verrebbe irreversibilmente compromessa dal rimpatrio, valutando anche le condizioni del paese di origine e il tempo trascorso in Italia.
Ne consegue in accoglimento del ricorso la cassazione del provvedimento impugnato e il rinvio al Tribunale di Venezia in diversa composizione per un nuovo esame e per la liquidazione delle spese anche del giudizio di legittimità.
Depositata in Cancelleria il 15 marzo 2024.
