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Cassazione civile sez. I, 15/03/2024, n.6987

Massima

In materia di protezione complementare nazionale in relazione al permesso di soggiorno, l’art. 5 comma 6 del TUI stabilisce che il rifiuto o la revoca del permesso di soggiorno devono rispettare gli obblighi costituzionali e internazionali, e che la pericolosità sociale del richiedente va accertata in modo concreto e attuale. La Corte costituzionale ha ribadito l’importanza di un bilanciamento ragionevole e proporzionato tra gli interessi in gioco. La sentenza si concentra sul rinnovo del permesso di soggiorno, considerando l’integrazione socio-lavorativa del richiedente e i possibili danni irreversibili derivanti dal rimpatrio. Il giudice di merito è chiamato a valutare se, nonostante eventuali reati commessi in passato, il rifiuto del permesso comprometta diritti fondamentali, come l’integrazione e il percorso lavorativo intrapreso, tenendo conto anche delle condizioni del paese di origine e del tempo trascorso in Italia.

Supporto alla lettura

IMMIGRAZIONE

Le linee generali delle politiche pubbliche in materia di immigrazione in Italia, fissate dalla legge 40/1998 (cosiddetta “legge Turco – Napolitano”), sono state successivamente consolidate nel decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, “Testo unico sull’immigrazione e sulla condizione dello straniero”.

Il testo unico interviene in entrambi gli ambiti principali del diritto dell’immigrazione:

  • il diritto dell’immigrazione in senso stretto, concernente la gestione nel suo complesso del fenomeno migratorio: la definizione di regole di ingresso, di soggiorno, di controllo, di stabilizzazione dei migranti ed anche la repressione delle violazioni a tali regole;
  • il diritto dell’integrazione, che riguarda l’estensione, in misura più o meno ampia, ai migranti dei diritti propri dei cittadini (diritti civili, sociali, politici).

I princìpi fondamentali che sono alla base del testo unico sono essenzialmente tre:

  • la programmazione dei flussi migratori e il contrasto all’immigrazione clandestina (per quanto riguarda il diritto dell’immigrazione);
  • la concessione di una ampia serie di diritti volti all’integrazione degli stranieri regolari (diritto dell’integrazione).

Non interviene in materia di diritto di asilo la cui disciplina, in passato contenuta nel decreto-legge 416/1989 (la cosiddetta “legge Martelli”), ha avuto una regolamentazione dettagliata ad opera di provvedimenti di recepimento della normativa comunitaria.

In Italia l’immigrazione dei cittadini stranieri non appartenenti all’Unione europea è regolata secondo il principio della programmazione dei flussi. Ogni anno il Governo, sulla base della necessità di manodopera interna, stabilisce il numero di stranieri che possono entrare nel nostro Paese per motivi di lavoro. In particolare, la gestione dei flussi di immigrazione è realizzata attraverso una serie di strumenti, quali il documento programmatico triennale e il decreto annuale sui flussi.

Il secondo principio su cui si fonda la disciplina dell’immigrazione è quello del contrasto all’immigrazione clandestina. L’ingresso e il soggiorno illegale nel territorio nazionale è considerato un reato punibile con una ammenda o con l’espulsione. Gli strumenti che l’ordinamento predispone per il contrasto all’immigrazione clandestina sono numerosi e vanno dalla repressione del reato di favoreggiamento all’immigrazione clandestina, al respingimento alla frontiera, dall’espulsione come misura di sicurezza per stranieri condannati per gravi reati, all’espulsione come sanzione sostitutiva. Il principale di essi può tuttavia considerarsi l’espulsione amministrativa, che può essere eseguita con l’accompagnamento alla frontiera da parte delle forze dell’ordine, disposto dal prefetto in determinati casi (rischio di fuga, presentazione di domanda di permesso di soggiorno fraudolente ecc.).

Per quanto riguarda il terzo dei tre princìpi ispiratori della legislazione vigente, l’integrazione degli stranieri regolari, il nostro ordinamento garantisce una ampia tutela dei diritti degli stranieri e promuove l’accoglienza e l’integrazione degli immigrati.

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto
FATTI DI CAUSA
La ricorrente, cittadina ghanese, ha presentato domanda di protezione internazionale, esponendo di essere espatriata nel 1992 per raggiungere in Italia gli zii e di essere rientrata in Ghana nel 1996/1997 per dare alla luce i figli gemelli, che sono rimasti nel paese di origine, e di essere poi tornata in Italia; ha riferito di essere stata condannata, in Italia, per concorso nel reato di spaccio di stupefacenti. La competente Commissione territoriale ha respinto il ricorso. La richiedente ha impugnato il provvedimento innanzi al Tribunale di Venezia, che ha respinto la domanda rilevando che la richiedente non ha lasciato il proprio paese per ragioni di natura persecutoria e che non è esposta a rischio di trattamento inumano e degradante o danno grave. Ha escluso poi l’esistenza di un conflitto armato interno nel paese di origine e ha osservato che pur se la richiedente ha versato in atti documentazione lavorativa e abitativa nonché documenti attestanti il pagamento rateale della multa inflittale con la condanna penale, non può riconoscersi la protezione complementare sul rilievo, ritenuto assorbente, che la donna è stata condannata nel 2013 a due anni di reclusione per concorso nella detenzione di sostanze stupefacenti. Il Tribunale ha osservato che tale reato, ai sensi dell’art. 4, co. 3, D.Lgs. 286 /1998 risulta ostativo alla concessione del permesso di soggiorno per protezione speciale, né una deroga può dirsi ammissibile alla luce della pronuncia della Corte Costituzionale n. 88/2023 (invocata da parte ricorrente), limitata ai reati di lieve entità, e alle istanze di rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro.

Avverso suddetto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione la cittadina straniera affidandosi a due motivi. Non costituito il Ministero.

Diritto
RITENUTO CHE
1.- Con il primo motivo del ricorso si lamenta la violazione del principio enunciato dalla Corte Costituzionale (Cost. 88/2023), in relazione all’art. 360 n.3 c.p.c. in ragione del quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale del combinato disposto di cui agli artt. 4, comma 3, e 5, comma 5, del TUI nella parte in cui la norma considerava la condanna penale ostativa all’ingresso in Italia, nonché rilascio/rinnovo del permesso di soggiorno senza prevedere che l’autorità competente verificasse in concreto la pericolosità sociale.

Parte ricorrente censura il provvedimento impugnato emesso dal Tribunale di Venezia nella parte in cui viene negato il riconoscimento della protezione speciale, ritenendo il reato commesso come ostativo alla concessione del permesso di soggiorno per protezione speciale. La ricorrente deduce che il Tribunale ha erroneamente interpretato la normativa, violando il principio affermato dalla Corte Costituzionale, poiché il rifiuto del permesso di soggiorno deve basarsi sull’accertamento della pericolosità in concreto e non su valutazioni astratte. La ricorrente sottolinea che la tipologia delittuosa non deve determinare un’interpretazione fuorviante del diritto, poiché la questione centrale è l’accertamento della pericolosità in concreto. Rileva di aver dimostrato un comportamento esemplare successivamente alla condanna, con il pagamento delle rate delle spese processuali del procedimento penale subito, e l’integrazione socio-lavorativa sul territorio italiano.

2.– Con il secondo motivo del ricorso si lamenta la violazione dell’art. 1, comma 9, del d.l. 113/2018, convertito con legge 132/2018 in relazione all’art. 360 n.3 cpc nella parte in cui il Tribunale, non valutando i requisiti per il riconoscimento della protezione umanitaria ai sensi e per gli effetti degli artt. 5, comma 6, TUI e 32 , comma 3, del D.Lgs.25/2008 ante riforma data dal D.L. 113/2018, convertito con legge 132/2018, ha di fatto applicato retroattivamente la disciplina con la quale è stata abrogata la protezione umanitaria (art. 1 D.L.13/2018) in palese violazione del principio enunciato dalla giurisprudenza di legittimità. Il Tribunale, non accertando i requisiti della protezione umanitaria, ha di fatto applicato retroattivamente la novella introdotta dall’art. 1 del d.l. 113/2018 in palese violazione dell’art. 11 delle preleggi. Parte ricorrente evidenzia che il procedimento amministrativo per il riconoscimento della protezione internazionale è stato avviato nel 2017, pertanto dovrebbe essere applicata la normativa vigente al momento, ovvero quella che prevedeva la protezione umanitaria in base agli articoli 5, comma VI, del Testo Unico sull’Immigrazione e 32 del decreto legislativo 25/2008.

3.– I motivi sono fondati.

In primo luogo deve rilevarsi che se la domanda della ricorrente è stata presentata, come ella deduce, in data 27 aprile 2017, deve essere valutata in base alla normativa vigente prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018, come già precisato da questa Corte a sezioni unite la quale così si è espressa: “Il diritto alla protezione umanitaria, espressione di quello costituzionale di asilo, sorge al momento dell’ingresso in Italia in condizioni di vulnerabilità per rischio di compromissione dei diritti umani fondamentali e la domanda volta ad ottenere il relativo permesso attrae il regime normativo applicabile. Ne consegue che la normativa introdotta con il d.l. n. 113 del 2018, convertito in l. n. 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina di cui all’art. 5, comma 6 del D.Lgs. n. 286 del 1998 e disposizioni consequenziali, non trova applicazione in relazione a domande di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5 ottobre 2018) della nuova legge; tali domande saranno, pertanto, scrutinate sulla base delle norme in vigore al momento della loro presentazione, ma in tale ipotesi l’accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari, valutata in base alle norme esistenti prima dell’entrata in vigore del d.l. n. 113 del 2018, convertito nella l. 132 del 2018, comporterà il rilascio del permesso di soggiorno “per casi speciali” previsto dall’art. 1, comma 9, del suddetto decreto legge”. (Cass. sez. un. n. 29459 del 13/11/2019).

3.1.- Il Tribunale ha ritenuto che il reato commesso sia di per sé ostativo al rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari, operando una valutazione in astratto e così erroneamente intrepretando ed applicando il combinato disposto degli art. 5 comma 6 e 19 del D.Lgs. 286/1998, dovendosi invece escludere che nella fattispecie operi qualsivoglia automatismo ostativo.

In tema di protezione complementare nazionale infatti, poiché l’art. 5 comma 6 del TUI, tanto nella disciplina applicabile alla fattispecie che in quella attuale, dispone che il rifiuto o la revoca del permesso di soggiorno possono essere adottati “fatto salvo il rispetto degli obblighi costituzionali e internazionali”, la eventuale pericolosità sociale del richiedente, in ipotesi ostativa al rilascio di detto permesso, deve essere accertata in concreto e all’attualità, in applicazione del principio di ordine generale e sistematico, anche di fonte unionale, secondo cui nella disciplina dell’immigrazione, a fronte dell’esercizio di diritti umani fondamentali e di rilievo costituzionale, si impone un ragionevole e proporzionato bilanciamento tra gli interessi coinvolti, da effettuarsi secondo i criteri individuati dal diritto vivente (si vada Cass. 23597/2023; Corte EDU, sezione quarta, 27-9-2022; Corte Cost. n.88/2023).

Né diversa conclusione si trae, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di merito, dalla lettura della sentenza della Corte costituzionale n. 83/2023. Ciò in primo luogo per la ragione che la sentenza riguarda il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro mentre l’applicazione dell’articolo 5 comma 6 del D.Lgs. 286/1998 è strettamente legata al divieto di respingimento di cui è espressione l’art. 19 dello stesso decreto legislativo.

Inoltre, la sentenza della Consulta consente di individuare quali sono gli interessi costituzionalmente rilevanti che hanno avuto un peso decisivo nella decisione. Segnatamente, è rilevante, ai fini che qui interessano, il passaggio in cui la Corte osserva di avere limitato la pronuncia al caso di rinnovo del permesso di soggiorno perché “lascia intravedere – particolarmente in considerazione della circostanza che si tratta di permesso per lavoro – un possibile processo di integrazione dello straniero, processo che sarebbe irreversibilmente compromesso ove non si consentisse la prosecuzione del percorso lavorativo intrapreso”. Ed è esattamente questa la valutazione in concreto cui è tenuto, nel caso di specie, il giudice di merito, cioè verificare se nonostante il reato commesso, tenendo conto della sua collocazione temporale e del fatto che la pena è stata scontata, sussistano diritti fondamentali che verrebbero compromessi dal rifiuto del permesso di soggiorno per motivi umanitari e in particolare, se sussiste integrazione socio lavorativa che verrebbe irreversibilmente compromessa dal rimpatrio, valutando anche le condizioni del paese di origine e il tempo trascorso in Italia.

Ne consegue in accoglimento del ricorso la cassazione del provvedimento impugnato e il rinvio al Tribunale di Venezia in diversa composizione per un nuovo esame e per la liquidazione delle spese anche del giudizio di legittimità.

P.Q.M.
accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione cassa il decreto impugnato e rinvia al Tribunale di Venezia in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.Così deciso in Roma,il 25 gennai 2024.

Depositata in Cancelleria il 15 marzo 2024.

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