• Home
  • >
  • Cassazione civile sez. I, 14/04/1994, n. 3511

Cassazione civile sez. I, 14/04/1994, n. 3511

Massima

La relazione di un coniuge con estranei rende addebitabile la separazione ai sensi dell’art. 151 c.c., quando, in considerazione degli aspetti esteriori con cui è coltivata e dell’ambiente in cui i coniugi vivono, dia luogo a plausibili sospetti di infedeltà e quindi, anche se non si sostanzi in adulterio, comporti offesa alla dignità e all’onore dell’altro coniuge.

Supporto alla lettura

Separazione

In generale, la separazione è una sospensione temporanea del matrimonio e dei suoi effetti civili. La separazione è stata istituita per permettere ai coniugi di trovare una riconciliazione. La separazione di fatto è determinata dall’interruzione volontaria della vita matrimoniale dei coniugi, in seguito al raggiungimento di un accordo, anche se quest’ultimo non ha una validità giuridica (se non quando i coniugi richiedono l’omologazione del Tribunale). Invece, la separazione legale è caratterizzata dall’intervento del Giudice, dell’Ufficiale di stato Civile o degli avvocati, in caso di negoziazione assistita. Esistono due tipi di separazione legale, quella consensuale in cui i coniugi sono d’accordo su come regolare i loro rapporti e chiedono che il Tribunale prenda atto della loro volontà e quella giudiziale in cui invece questo accordo non c’è ed è il Tribunale che decide, dopo gli opportuni accertamenti, le condizioni della separazione. Dal 2014 con l’art. 12 legge 10.11.2014 n. 162 i coniugi che arrivano ad una separazione consensuale, possono scegliere di:

  • presentare la domanda (ricorso) congiunta al Tribunale, attivando la procedura già regolata dal codice civile, oppure
  • intraprendere la procedura di negoziazione assistita da almeno due avvocati, uno per ogni coniuge, secondo le nuove disposizioni della legge

Inoltre, solo per il caso in cui non vi siano figli minori, figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 ovvero economicamente non autosufficienti, i coniugi possono optare per la procedura avanti all’Ufficiale dello Stato civile del Comune di residenza. Con la ”Riforma Cartabia” si sono introdotte nuove norme affinché tutte le controversie relative alla famiglia, e quindi anche la separazione ed il divorzio, vengano affrontate utilizzando un unico rito processuale, prevedendo inoltre che in un prossimo futuro sia istituito il Tribunale della famiglia, che si occuperà specificamente dei procedimenti in materia di relazioni familiari, persone e minorenni. La domanda dovrà essere proposta al Tribunale del luogo di residenza abituale dei figli minori, dovrà essere corredata da un piano genitoriale che indica gli impegni e le attività quotidiane dei figli relative alla scuola, al percorso educativo, alle attività extrascolastiche, alle frequentazioni abituali e alle vacanze normalmente godute.

Ambito oggettivo di applicazione

Svolgimento del processo
Con ricorso depositato il 19 agosto 1985 (omissis) chiedeva al Tribunale di Rovigo che fosse dichiarata la separazione personale dalla moglie (omissis), deducendo l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza.

La (omissis), costituitasi, chiedeva che venisse pronunciata la separazione per colpa del marito e che le venisse attribuito un assegno di mantenimento.

Con sentenza del 12 ottobre – 30 novembre 1987 il Tribunale dichiarava la separazione personale dei coniugi.

Proposta impugnazione della (omissis), con sentenza del 17 novembre 1988 – 9 febbraio 1989 la Corte di Appello di Venezia dichiarava che la separazione dei coniugi era addebitabile al marito e condannava quest’ultimo al pagamento di un assegno di mantenimento di L. 100.000 mensili, con decorrenza dal gennaio 1986.

Osservava in motivazione la Corte di merito che l’accertata frequentazione da parte del T. di altra donna, nonostante i ripetuti inviti della moglie a troncare tale relazione, ed il rifiuto del medesimo di trasferire il domicilio coniugale in una casa diversa da quella della sua famiglia di origine, secondo quanto legittimamente richiestogli dalla (omissis), dovevano considerarsi la ragione determinante dell’abbandono della casa familiare da parte della moglie, nonché dell’intollerabilità della vita in comune tra i coniugi.

Rilevava altresì la Corte di merito, quanto alla richiesta di corresponsione dell’assegno di mantenimento, essere rimasto accertato che la (omissis) percepiva uno stipendio annuo, quale lavoratrice dipendente, di circa L. 9.000.000, del tutto insufficiente ad assicurarle il tenore di vita goduto in precedenza, mentre il (omissis), coltivatore di un fondo agricolo di proprietà del padre, oltre che, saltuariamente, operatore agricolo per conto di terzi, godeva di un reddito complessivo difficilmente determinabile, ma certamente superiore a quello della moglie, e comunque tale da consentirgli di versare alla predetta un assegno mensile nell’indicata misura di l. 100.000.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il (omissis) deducendo tre motivi.

Resiste con controricorso la (omissis).

Diritto

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 151 c.c., omissione e insufficienza di motivazione circa un punto decisivo della controversia, si censura la sentenza impugnata per aver omesso di accertare se le pretese violazioni dei doveri imposti dal matrimonio da parte del (omissis) fossero state tali da determinare l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, ed in particolare per non aver verificato se l’abbandono del tetto coniugale da parte della moglie trovasse la propria causa nell’intollerabilità della convivenza o non fosse piuttosto uno strumento per indurre il marito a trasferire altrove la residenza coniugale.

Con il secondo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 151 c.c, in relazione all’art. 143 comma 2 c.c., omissione e insufficienza di motivazione su un punto decisivo della controversia, si sostiene che la Corte di merito avrebbe dovuto procedere, prima di addebitare la separazione al (omissis), ad una valutazione globale e comparativa dei comportamenti assunti da ciascuno dei coniugi, ed in tale analisi esaminare da un lato se la pretesa della (omissis) di trasferire altrove la residenza coniugale, in contrasto con gli accordi presi prima del matrimonio, non integrasse un motivo di addebito, e dall’altro lato verificare l’effettiva natura della frequentazione del ricorrente con altra donna.

I due motivi vanno esaminati congiuntamente, per la loro logica connessione.

Essi sono infondati.

Va innanzi tutto rilevato che in sede di appello non vi era controversia tra le parti in ordine alla sussistenza di una situazione giustificativa della pronuncia di separazione, atteso che la relativa dichiarazione del primo giudice era stata impugnata dalla (omissis) limitatamente al capo concernente l’esclusione dell’addebito.

Correttamente pertanto la Corte di Appello ha esaminato se l’accertata situazione di intollerabilità dell’ulteriore convivenza fosse imputabile a comportamenti volontari e consapevoli del (omissis) contrari ai doveri nascenti dal matrimonio.

In tale indagine il giudice del gravame non si è sottratto al principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Suprema Corte, secondo il quale, per pronunciare l’addebitabilità della separazione ad uno o ad entrambi i coniugi, il giudice, anche se abbia accertato a carico dell’uno un comportamento riprovevole, non è esonerato dall’esaminare anche la condotta dell’altro, non potendo quel comportamento essere giudicato senza un suo raffronto con quello del coniuge, e quindi, in definitiva, dal verificare se e quale incidenza essi abbiano rivestito, nel loro reciproco interferire, nel verificarsi della crisi coniugale (v. per tutte in tal senso Cass. 1989 n. 1933).

In realtà la Corte di Appello, ritenuto come provato che tutti i problemi coniugali traevano origine e fondamento da un lato nell’intensa frequentazione da parte del (omissis) di un’altra donna, protrattasi nonostante le vibrate proteste della (omissis), e dall’altro lato nella difficile convivenza con la famiglia di origine del primo, ha logicamente considerato che la responsabilità di quella relazione ed il rifiuto di soddisfare alla legittima esigenza di reperire una diversa abitazione rivestissero un’efficacia diretta ed esclusiva nella determinazione della crisi coniugale, così che l’allontanamento della moglie dal domicilio familiare si poneva com mera conseguenza dell’irreparabile frattura verificatasi inter partes.

Correttamente peraltro la sentenza impugnata ha omesso ogni accertamento sulla qualità della relazione esistente tra il (omissis) e l’altra donna, atteso che secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale l’ingiuria grave che rende addebitabile la separazione ai sensi dell’art. 151 c.p.c. è ravvisabile nella relazione di un coniuge con estranei quando, in considerazione degli aspetti esteriori con cui è coltivata e dell’ambiente in cui i coniugi vivono, dia a luogo a plausibili sospetti di infedeltà e quindi, anche se non si sostanti in un adulterio, comporti offesa alla dignità e all’onore dell’altro coniuge (v. per tutte in tal senso Cass. 1983 n. 7156; 1982 n. 5080).

Nel ravvisare la responsabilità del (omissis) la sentenza impugnata ha fornito una motivazione logica e congrua, che consente di ripercorrere e verificare la correttezza del procedimento argomentativo seguito.

Le ulteriori censure formulate dal ricorrente si risolvono nella prospettazione di un apprezzamento dei fatti e delle prove diverso da quello compiuto dalla Corte di merito, che non può trovare ingresso in questa sede.

Con il terzo motivo di ricorso, denunciando violazione di norme di diritto ed insufficienza di motivazione, si sostiene che la sentenza impugnata ha immotivatamente ritenuto che le condizioni economiche del (omissis) gli consentissero di versare l’assegno di mantenimento alla moglie, omettendo di verificare se il reddito del medesimo fosse complessivamente superiore a quello della seconda.

Anche tale motivo è infondato.

Ed invero la sentenza impugnata ha dato adeguatamente conto della propria valutazione, affermando che le emergenze probatorie consentivano di desumere che le molteplici attività svolte dal (omissis), tutte sicuramente remunerative, gli assicurassero un reddito complessivo difficilmente quantificabile, ma con certezza superiore a quello della (omissis).

Appare al riguardo opportuno ricordare che al fine della determinazione delle condizioni economiche dell’obbligato non è necessario precisare l’importo esatto dei redditi percepiti attraverso l’acquisizione di dati numerici, ma è sufficiente un’attendibile ricostruzione complessiva di essi, nel senso che risulti tale da consentire l’erogazione all’avente diritto di una somma corrispondente alle sue esigenze di vita (v. Cass. 1990 n. 11523; 1989 n. 4955).

Peraltro le osservazioni critiche volte a porre in discussione la consistenza dei redditi dello stesso ricorrente ineriscono ad appezzamenti di merito esclusivamente riservati al giudice che li ha espressi ed insindacabili in questa sede, tanto più che la somma attribuita alla (omissis) non supera il limite del minimo vitale.

Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

Segue per legge la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione, nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

la Corte di cassazione Rigetta il ricorso – Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in L. 33.400, oltre L. 1.500.000 per onorario.

Così deciso in Roma nella Camera di consiglio della 1a sezione civile il 13 ottobre 1993.

Allegati

    [pmb_print_buttons]

    Accedi