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Cassazione civile sez. I, 14/03/2023, n. 7378

Massima

In tema di nullità della sentenza per violazione dell’obbligo di astensione, non costituisce motivo di nullità della sentenza d’appello la circostanza che uno dei componenti del collegio che l’ha pronunciata abbia in precedenza conosciuto dei medesimi fatti in sede di reclamo contro un’ordinanza cautelare ante causam.

Supporto alla lettura

RICUSAZIONE

La ricusazione è un meccanismo attraverso il quale una delle parti coinvolte in un processo può chiedere che il giudice al quale è affidato il processo venga sostituito da un altro giudice; può essere richiesta quando ci sia fondato motivo di dubitare dell’imparzialità del giudice. La legge stabilisce quali sono gli esatti motivi per cui si può chiedere la ricusazione nei processi penali, civili ed amministrativi, inoltre definisce anche le diverse modalità per richiedere la ricusazione del giudice.

La ricusazione può essere richiesta nelle ipotesi indicate dall’art. 51 c.p.c., ove il giudice avrebbe obbligo di astenersi e non vi provvede, ovvero:

  • se ha interesse nella causa o in altra vertente su identica questione di diritto;
  • se egli stesso o la moglie è parente fino al quarto grado o legato da vincoli di affiliazione, o è convivente o commensale abituale di una delle parti o di alcuno dei difensori;
  • se egli stesso o la moglie ha causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito con una delle parti o alcuno dei suoi difensori;
  • se ha dato consiglio o prestato patrocinio nella causa, o ha deposto in essa come testimone, oppure ne ha conosciuto come magistrato in altro grado del processo o come arbitro o vi ha prestato assistenza come consulente tecnico;
  • se è tutore, curatore, amministratore di sostegno, procuratore, agente o da- tore di lavoro di una delle parti; se, inoltre, è amministratore o gerente di un ente, di un’associazione anche non riconosciuta, di un comitato, di una società o stabilimento che ha interesse nella causa.

In ogni altro caso in cui esistono gravi ragioni di convenienza, il giudice può richiedere al capo dell’ufficio l’autorizzazione ad astenersi; quando l’astensione riguarda il capo dell’ufficio, l’autorizzazione è chiesta al capo dell’ufficio superiore.

La ricusazione del giudice si propone mediante ricorso, contenente i motivi specifici e i mezzi di prova. Il ricorso, sottoscritto dalla parte o dal difensore, deve essere depositato in cancelleria 2 giorni prima dell’udienza, se il ricusante conosce il nome dei giudici che sono chiamati a trattare o decidere la causa, e prima dell’inizio della trattazione o discussione della causa nel caso contrario.

Il provvedimento con cui il giudice decide sulla ricusazione assume la forma dell’ordinanza e, se l’accoglie, deve contenere l’indicazione nominale del giudice che sostituisce il ricusato. L’art. 54 c.p.c. impone alla cancelleria l’obbligo di dare notizia dell’ordinanza che decide sulla ricusazione al giudice ed alle parti, e ciò per porre queste ultime nella condizione di provvedere alla riassunzione della causa entro il termine di 6 mesi.

Come stabilito dall’art. 61, c. 2, c.p.c., il giudice può farsi assistere da un consulente tecnico d’ufficio (CTU) considerato ausiliario consulente del giudice, quando vengono formulate domande di natura tecnica. In tal caso il giudice è obbligato a nominare come CTU un professionista iscritto all’albo del tribunale. Se il CTU accetta l’incarico deve prestare giuramento in un’apposita udienza.

Ricevuta la nomina, il consulente può rifiutarsi o astenersi. Secondo quanto disposto dall’art. 89 disp. att. c.p.c., l’istanza di astensione va proposta con ricorso, e dunque in forma scritta; tuttavia, si ritiene anche consentita una sua proposizione in forma orale, potendo essere raccolta in un processo verbale redatto dal cancelliere del giudice competente.

Altro strumento per mezzo del quale si intende garantire l’imparzialità del CTU è la possibilità, riconosciuta a ciascuna delle parti, di sollevare istanza di ricusazione.

Per quanto concerne i possibili motivi di ricusazione, occorre richiamare la norma che disciplina i casi di astensione del giudice, ossia l’art. 51 del c.p.c..

L’istanza di ricusazione deve essere depositata presso la cancelleria del giudice che ha provveduto alla nomina, almeno tre giorni prima dell’udienza fissata per la comparizione del CTU. In caso di mancata proposizione dell’istanza di ricusazione del consulente tecnico d’ufficio entro il termine previsto dall’art. 192, deve intendersi preclusa definitivamente la possibilità di far valere in un momento successivo la situazione di incompatibilità, con la conseguenza che la consulenza rimarrà ritualmente acquisita agli atti del processo.

Ambito oggettivo di applicazione

Svolgimento del processo

La Corte d’Appello di Milano, con sentenza n. 4682-2019, depositata in data 25.11.2019, in riforma della sentenza n. 7691-2018, pubblicata il 9.7.2018, ha accertato che le attività di promozione e commercializzazione dei prodotti contraddistinti dal segno “Chantecler”, poste in essere da Gens Aurea Spa , non integrano contraffazione del predetto marchio ed ha quindi respinto le domande proposte da Chantecler Spa , dirette ad ottenere l’inibizione a Gens Aurea Spa dalla promozione, distribuzione, commercializzazione, in tutte le sue forme, del prodotti recanti il marchio “Chantecler”.

Il giudice di secondo grado ha ritenuto non provata la sussistenza di un sistema di distribuzione selettiva per la commercializzazione dei prodotti contraddistinti dal marchio “Chantecler” e comunque ha ritenuto che la commercializzazione di tali prodotti da parte della Gens Aurea Spa , al di fuori della rete distributiva autorizzata, non ha arrecato pregiudizio alla reputazione del predetto marchio.

Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la Chantecler Spa affidandolo affidandolo a tre motivi.

La Gens Aurea Spa ha resistito in giudizio con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato le memorie ex art. 380 bis.1 c.p.c..

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo è stata dedotta la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 51 c.p.c. e della Cost., art. 111 in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4.

Lamenta la società ricorrente che la sentenza della Corte d’Appello è nulla per violazione dell’obbligo di astensione da parte di un componente del collegio (non relatore ed estensore), il quale aveva conosciuto e trattato la controversia, in veste di giudice relatore, in sede di procedimento cautelare ante causam (procedimento ex art. 669 terdecies c.p.c. rubricato al R.G. n. 3671/16 e promosso da Gens Aurea Spa avverso l’ordinanza del Tribunale di Milano dell’11.1.2016.

Deduce la ricorrente che il componente del collegio d’appello, già relatore ed estensore nella fase del reclamo cautelare, al fine di preservare la terzietà del collegio giudicante, avrebbe dovuto astenersi a norma dell’art. 51 n. 4 c.p.c..

2. Il motivo è infondato.

E’ orientamento consolidato di questa Corte (vedi Cass. n. 27924/2018; vedi anche Cass. n. 17606/2018 in motivazione, pagg. 8 e 9; Cass. n. 422/2006; e Cass. n. 7308/1994) quello secondo cui “Non è deducibile come motivo di nullità di una sentenza d’appello la circostanza che uno dei componenti del collegio che l’ha pronunciata avesse in precedenza conosciuto dei medesimi fatti in sede di reclamo contro l’ordinanza di rigetto della richiesta di provvedimento d’urgenza “ante causam”, poichè l’avere conosciuto della stessa causa in un altro grado deve essere ritualmente fatto valere come motivo di ricusazione del giudice, a norma degli artt. 51, comma 1, n. 4, e 52 c.p.c. e, d’altra parte, l’avere trattato della controversia in sede di procedimento cautelare “ante causam” neanche costituisce, secondo la giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 326/1997 e ordinanza n. 193/1998), un’ipotesi sufficientemente assimilabile, sotto il profilo dell’incompatibilità, alla trattazione della causa in un altro grado di giudizio”.

Tale orientamento è stato, altresì, avallato dalle Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 1783-2011) che, nel valutare il rapporto tra la fase cautelare ed il giudizio di merito nell’ambito di un procedimento disciplinare a carico di un magistrato, hanno enunciato il principio di diritto secondo cui: ” L’incompatibilità che, ai sensi dell’art. 51 n. 4 e 52 c.p.c., giustifica l’accoglimento dell’istanza di ricusazione per avere il giudice conosciuto del merito della causa in un altro grado dello stesso processo non è ravvisabile nell’ipotesi in cui gli stessi componenti del Collegio delle Sezioni Unite investito della decisione sul ricorso avverso un provvedimento disciplinare posto a carico di un magistrato abbiano già deciso sull’impugnazione del provvedimento di sospensione cautelare emesso nei confronti del medesimo incolpato, atteso che la decisione sul provvedimento cautelare appartiene ad una serie processuale autonoma sia per presupposti, sia per ambito di cognizione sia per effetti impugnatori e che essa, di conseguenza, non è in alcun modo riferibile “ad un altro grado dello stesso processo”.

Tale principio va in questa sede anche quanto allo specifico quesito sottoposto dal ricorso e dunque va affermato che, nel giudizio di cognizione ordinaria, non vi è violazione dell’obbligo di astensione da parte di un componente del collegio (nella specie: non relatore ed estensore), il quale abbia conosciuto e trattato la controversia, in veste di giudice relatore, in sede di procedimento cautelare ante causam (procedimento ex art. 669 terdecies c.p.c.).

3. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione del regolamento UE n. 330/2010, l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere la Corte d’Appello statuito l’insussistenza di un sistema di distribuzione selettiva in capo a Chantecler Spa .

Deduce la società ricorrente che la Corte territoriale avrebbe errato nell’applicare la normativa Eurounitaria nonchè omesso di esaminare un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, ovvero che i prodotti della Chantecler Spa siano beni di lusso, già di per sè idonei a legittimare in capo alla stessa l’adozione di un sistema di distribuzione selettiva.

Inoltre, lamenta che il giudice d’appello avrebbe ritenuto inspiegabilmente ininfluenti circostanze che il Tribunale di Milano aveva, invece, valorizzato come prova della sussistenza di una rete di distribuzione selettiva, ovvero che risultava provato che Chantecler imponeva ai propri rivenditori determinate modalità di presentazione di vendita del prodotto, nonchè una determinata politica dei prezzi, vigilando affinchè tali modalità e tale politica venissero rispettati.

Inoltre, anche l’iter logico seguito dalla Corte d’Appello risultava contraddittorio, avendo, da un lato, riconosciuto che la struttura di vendita organizzata da Chantecler Spa possedeva i requisiti indicati dal regolamento UE n. 330/2010, e, dall’altro, sulla scorta di una presunta eccessiva discrezionalità del produttore nell’applicazione di uno solo dei numerosi criteri qualitativi indicati (quello relativo all’ubicazione del distributore in capoluoghi di provincia o in importanti comuni della provincia o in località di rilevante interesse turistico commerciale), ha negato la sussistenza di un sistema di distribuzione selettiva in capo a Chantecler. Così valutando, la Corte d’Appello aveva vanificato la logica sottesa all’adozione di un sistema di distribuzione selettiva da parte di Chantecler, ossia la precisa volontà della Maison orafa di distribuire e commercializzare il prodotto di lusso (nel caso di specie, alta gioielleria) avvalendosi di rivenditori /concessionari aventi precise caratteristiche di eleganza ed eclusività, così da preservare l’immagine di lusso e di prestigio legata al proprio marchio e ai propri prodotti.

4. Il motivo è inammissibile.

Va premesso che la direttiva Europea 2008/95/CE ha introdotto nell’ordinamento comunitario, con l’art. 7, il principio di esaurimento del marchio (espressione del principio di libera circolazione delle merci), recepito dal nostro ordinamento con l’art. 5 del codice di proprietà industriale.

Secondo tale principio, una volta che il titolare di uno o più diritti di proprietà industriale immetta in commercio, direttamente o con il proprio consenso (a titolo di esempio, con un licenziatario), un bene nel territorio dell’Unione Europea, questi perde le relative facoltà di privativa.

L’esclusiva è, pertanto, limitata al primo atto di messa in commercio, con la conseguenza che nessuna esclusiva può essere successivamente vantata dal titolare del diritto di proprietà industriale sulla circolazione del prodotto recante il marchio.

Il principio dell’esaurimento registra, tuttavia, un’eccezione: il comma 2 dell’art. 5 c.p.i. prevede che questa limitazione di poteri del titolare della privativa non si applica quando sussistono “motivi legittimi” perchè il titolare stesso si opponga all’ulteriore commercializzazione dei prodotti.

La giurisprudenza comunitaria (vedi Corte Giustizia, sentenza 23.4.2009, causa C 59/08, Copad contro Christian Dior) ha ritenuto che l’esistenza di una rete di distribuzione selettiva – intendendo per tale, secondo quanto previsto dall’art. 1 lett e) del regolamento UE n. 330-2010, un sistema di distribuzione nel quale il fornitore si impegna a vendere i beni o servizi oggetto del contratto, direttamente o indirettamente, solo a distributori selezionati sulla base di criteri specificati e nel quale questi distributori si impegnano a non vendere tali beni o servizi a rivenditori non autorizzati nel territorio che il fornitore ha riservato a tale sistema – può essere ricompresa tra i “motivi legittimi”, ostativi all’esaurimento del marchio, a condizione che il prodotto commercializzato sia un articolo di lusso o di prestigio che legittimi la scelta di adottare un sistema di distribuzione selettiva.

Effettuato questo sintetico, ma opportuno, inquadramento giuridico della fattispecie sottoposta all’esame di questa Corte, possono esaminarsi le censure della ricorrente.

Va preliminarmente osservato che la Corte d’Appello non ha affatto omesso di considerare che i prodotti Chantecler siano beni di lusso. In particolare, a pagg. 17 e 18 della sentenza impugnata, tale giudice, nel ricordare che sussiste motivo legittimo preclusivo all’esaurimento delle facoltà connesse al marchio in presenza di determinate circostanze, ovvero quando: 1) il prodotto contraddistinto dal marchio è un articolo di lusso o comunque di prestigio; 2) il titolare del marchio ha adottato un sistema di distribuzione selettiva per la commercializzazione del prodotto; 3) il soggetto che commercializza il prodotto, al di fuori della rete distributiva autorizzata, arreca un pregiudizio alla reputazione del marchio, ha considerato, nel caso di specie, insussistenti, come sopra anticipato nella parte narrativa, i requisiti sub 2 e 3, ritenendo quindi implicitamente sussistente il requisito sub 1), ovvero che i prodotti Chantecler rappresentino dei beni di lusso.

Quanto alle altre censure illustrate nel motivo, non vi è dubbio che la ricorrente, con l’apparente doglianza della violazione di legge (regolamento UE n. 330/2010), svolga, in realtà, delle censure di merito, in quanto finalizzate a sollecitare una diversa ricostruzione dei fatti ed una differente valutazione del materiale probatorio rispetto a quella operata dalla Corte d’Appello di Milano.

La ricorrente si duole, infatti, inammissibilmente, di una valutazione di fatto compiuta dalla Corte territoriale, apprezzamento che, in quanto riservato al giudice di merito, non è sindacabile in sede di legittimità, se non nei ristretti limiti di cui alla nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come interpretato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 8053-2014.

In particolare, in questa pronuncia, il Supremo Collegio ha enunciato il principio di diritto secondo cui è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.

Nel caso di specie, il vizio di motivazione non è stato dedotto dalla ricorrente, quantomeno nei termini richiesti dalla predetta sentenza delle Sezioni Unite, e comunque è insussistente la dedotta contraddittorietà dell’iter logico seguito dalla Corte d’Appello, non avendo, sul punto, la ricorrente colto correttamente la ratio decidendi.

In particolare, il giudice di secondo grado non ha affatto riconosciuto, a pag. 19 della sentenza impugnata, che la struttura di vendita organizzata da Chantecler Spa possedesse i requisiti indicati dal regolamento Ue n. 330-2010 per la distribuzione selettiva.

La Corte d’Appello si è limitata a dare atto che Chantecler aveva ben “indicato”, già nel procedimento di primo grado, quali caratteristiche dovevano possedere i rivenditori della sua rete, ritenendo, tuttavia, all’esito dell’esame del materiale probatorio – difformemente rispetto alle conclusioni cui era pervenuto il giudice di primo grado – che non vi era prova che i criteri elencati dalla Chantecler (ubicazione in capoluoghi di provincia o importanti comuni di provincia o zone di rilevante interesse turistico commerciale, posizione centrale dell’esercizio commerciale; tradizione consolidata nel tempo dell’esercizio; alta professionalità dell’esercente ed elevata qualità del servizio offerto ai clienti; stigliature ed arredi presenti nell’esercizio eleganti e di alta qualità; commercializzazione autorizzata di importanti marchi di gioielleria quali a titolo esemplificativo: Bulgari, Pomellato, Buccellati, Cartier, Chopard, etc) fossero stati dalla stessa effettivamente applicati nell’individuazione dei distributori.

In particolare, ha precisato la Corte di merito che, nei contratti di distribuzione (valorizzati dal Tribunale in senso favorevole alla ricorrente), non era, in realtà, indicato alcun criterio in forza del quale il singolo distributore era stato selezionato, nè che, nel corso del rapporto, il distributore dovesse continuare a mantenere il possesso dei requisiti richiesti. Neanche i contratti di agenzia prodotti in causa (valorizzati difformemente dal Tribunale) erano idonei a fornire la prova dell’esistenza di un sistema di distribuzione selettiva e comunque risultavano conclusi dopo quelli con i distributori, non consentendo quindi di affermare che i distributori fossero stati in precedenza selezionati sulla base dei criteri previsti dai contratti di agenzia.

In ogni caso, se era pur vero che la Chantecler aveva richiesto di provare, anche per testimoni, la circostanza che i distributori erano stati selezionati in base ai criteri sopra indicati, tuttavia, dopo che il Tribunale aveva ritenuto superflua la prova, la Chantecler Spa non aveva proposto l’istanza, in sede di precisazione delle conclusioni di primo grado, con la conseguenza che la stessa doveva ritenersi rinunciata, e non poteva essere presa in considerazione nel giudizio d’appello, pur se in quella sede era stata riproposta.

Infine, la Corte d’Appello, nell’esaminare i diversi criteri indicati da Chantecler per la selezione dei distributori, ha comunque accertato che ben venticinque esercizi su novantanove presenti nell’elenco non erano ubicati nè in capoluoghi di provincia, nè in zone di interesse turistico.

Alla luce delle soprariportate osservazioni, la Corte territoriale ha concluso che difettava la prova che i distributori autorizzati fossero stati selezionati sulla base del possesso di determinati requisiti prestabiliti.

Come già anticipato, trattasi di valutazione di fatto che non è sindacabile in sede di legittimità, essendo stata articolatamente congruamente con una motivazione immune da vizi logici.

5. Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 20 c.p.i. e 1 lett e) del regolamento UE n. 330/2010, nonchè l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere la Corte d’Appello statuito l’assenza di pregiudizio alla reputazione del marchio “Chantecler” dalla vendita dei prodotti effettuata da Gens Aurea Spa .

Deduce, in primo luogo, la ricorrente che la Corte d’Appello avrebbe omesso di valutare come fatto decisivo la circostanza che il marchio “Chantecler” è un segno rinomato, depositato per contraddistinguere prodotti di lusso.

Evidenzia, inoltre, che la logica sottesa all’adozione del sistema di distribuzione selettiva di Chantecler Spa (tutela della dimensione di esclusività della propria rete di vendita e del prestigio del marchio) è stata vanificata dalla condotta illecita posta in essere da Gens Aurea Spa , la quale ha provveduto alla vendita non autorizzata dei prodotto Chatecler in violazione dell’art. 20 lett a) c.p.i..

La ricorrente contesta, altresì, l’affermazione con cui la Corte d’Appello ha ritenuto che la vendita dei prodotti di lusso effettuata da un soggetto estraneo alla rete selettiva, che non risponda ai requisiti di eccellenza imposti dall’imprenditore, non determini di per sè un pregiudizio per la reputazione del marchio. La ricorrente, in particolare, non ha condiviso l’assunto della Corte di merito secondo cui le modalità di vendita adottate Gens Aurea nel proprio punto vendita ad insegna “(Omissis), all’interno dell”Outlet sito in (Omissis) non pregiudicherebbe il prestigio del marchio “Chantecler”. Infatti, la sola collocazione di tale punto vendita all’interno di un Outlet determinerebbe il pregiudizio, anche in via potenziale, dell’immagine di lusso di tale segno, atteso gli Outlet, così come i centri commerciali, non rispondono ai requisiti di eccellenza che Chantecler adotta.

6. Il motivo è inammissibile.

Va osservato che la Corte d’Appello ha rigettato la domanda della odierna ricorrente con una doppia ratio decidendi:

1) non vi è prova che i distributori autorizzati da Chantecler Spa fossero stati selezionati sulla base del possesso di determinati requisiti prestabiliti, come richiesto dall’art. 1 lett e) reg. UE 330-2010;

2) in ogni caso, la sola circostanza che il rivenditore fosse estraneo alla rete di distribuzione selettiva e non possedesse i requisiti posseduti dai distributori autorizzati non è comunque di per sè sufficiente a ritenere che la commercializzazione del prodotto di lusso determini un pregiudizio per la reputazione del marchio.

In sostanza, la Corte d’Appello, con la prima ratio decidendi, ha escluso la sussistenza dei requisiti richiesti dall’art. 1 lett e) reg. UE 330-2010 per la configurabilità di una rete di distribuzione selettiva idonea ad integrare i”motivi legittimi” perchè il titolare stesso possa opporsi all’ulteriore commercializzazione dei prodotti recanti il proprio marchio, nonostante la loro immissione nel territorio comunitario. Con la seconda ratio decidendi, la Corte ha ritenuto che, anche ammettendo l’esistenza di una rete distribuzione selettiva, comunque, la vendita di un prodotto di lusso da parte di un rivenditore estraneo a tale rete non determina di per sè pregiudizio alla reputazione del marchio e, nel caso di specie, le concrete modalità di vendita seguite da Gens Aurea Spa avevano confermato che un tale pregiudizio non era stato arrecato.

Orbene, è orientamento consolidato di questa Corte che qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza (o l’inammissibilità) delle censure mosse ad una delle “rationes decidendi” – nel caso di specie, quelle esaminate nel secondo motivo – rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (vedi Cass. n. 11493 del 11/05/2018).

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 8.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 16 febbraio 2023.

Depositato in Cancelleria il 14 marzo 2023

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