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Cassazione civile sez. I, 12/11/2024, n.29163

Massima

La causa d’incompatibilità del consulente d’ufficio, non può essere fatta valere in sede di giudizio di legittimità se non sia stata tempestivamente denunciata con richiesta di ricusazione formulata ai sensi dell’articolo 192 del Cpc. Tale formale istanza non è equiparabile alla richiesta di revoca e sostituzione del consulente per motivi di opportunità, ancorché formulata, con generico richiamo all’articolo 51 del Cpc, nel corso del giudizio di secondo grado, e l’ordinanza di rigetto non è, conseguentemente, censurabile con ricorso per cassazione per vizio di motivazione.

 

Supporto alla lettura

RICUSAZIONE

La ricusazione è un meccanismo attraverso il quale una delle parti coinvolte in un processo può chiedere che il giudice al quale è affidato il processo venga sostituito da un altro giudice; può essere richiesta quando ci sia fondato motivo di dubitare dell’imparzialità del giudice. La legge stabilisce quali sono gli esatti motivi per cui si può chiedere la ricusazione nei processi penali, civili ed amministrativi, inoltre definisce anche le diverse modalità per richiedere la ricusazione del giudice.

La ricusazione può essere richiesta nelle ipotesi indicate dall’art. 51 c.p.c., ove il giudice avrebbe obbligo di astenersi e non vi provvede, ovvero:

  • se ha interesse nella causa o in altra vertente su identica questione di diritto;
  • se egli stesso o la moglie è parente fino al quarto grado o legato da vincoli di affiliazione, o è convivente o commensale abituale di una delle parti o di alcuno dei difensori;
  • se egli stesso o la moglie ha causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito con una delle parti o alcuno dei suoi difensori;
  • se ha dato consiglio o prestato patrocinio nella causa, o ha deposto in essa come testimone, oppure ne ha conosciuto come magistrato in altro grado del processo o come arbitro o vi ha prestato assistenza come consulente tecnico;
  • se è tutore, curatore, amministratore di sostegno, procuratore, agente o da- tore di lavoro di una delle parti; se, inoltre, è amministratore o gerente di un ente, di un’associazione anche non riconosciuta, di un comitato, di una società o stabilimento che ha interesse nella causa.

In ogni altro caso in cui esistono gravi ragioni di convenienza, il giudice può richiedere al capo dell’ufficio l’autorizzazione ad astenersi; quando l’astensione riguarda il capo dell’ufficio, l’autorizzazione è chiesta al capo dell’ufficio superiore.

La ricusazione del giudice si propone mediante ricorso, contenente i motivi specifici e i mezzi di prova. Il ricorso, sottoscritto dalla parte o dal difensore, deve essere depositato in cancelleria 2 giorni prima dell’udienza, se il ricusante conosce il nome dei giudici che sono chiamati a trattare o decidere la causa, e prima dell’inizio della trattazione o discussione della causa nel caso contrario.

Il provvedimento con cui il giudice decide sulla ricusazione assume la forma dell’ordinanza e, se l’accoglie, deve contenere l’indicazione nominale del giudice che sostituisce il ricusato. L’art. 54 c.p.c. impone alla cancelleria l’obbligo di dare notizia dell’ordinanza che decide sulla ricusazione al giudice ed alle parti, e ciò per porre queste ultime nella condizione di provvedere alla riassunzione della causa entro il termine di 6 mesi.

Come stabilito dall’art. 61, c. 2, c.p.c., il giudice può farsi assistere da un consulente tecnico d’ufficio (CTU) considerato ausiliario consulente del giudice, quando vengono formulate domande di natura tecnica. In tal caso il giudice è obbligato a nominare come CTU un professionista iscritto all’albo del tribunale. Se il CTU accetta l’incarico deve prestare giuramento in un’apposita udienza.

Ricevuta la nomina, il consulente può rifiutarsi o astenersi. Secondo quanto disposto dall’art. 89 disp. att. c.p.c., l’istanza di astensione va proposta con ricorso, e dunque in forma scritta; tuttavia, si ritiene anche consentita una sua proposizione in forma orale, potendo essere raccolta in un processo verbale redatto dal cancelliere del giudice competente.

Altro strumento per mezzo del quale si intende garantire l’imparzialità del CTU è la possibilità, riconosciuta a ciascuna delle parti, di sollevare istanza di ricusazione.

Per quanto concerne i possibili motivi di ricusazione, occorre richiamare la norma che disciplina i casi di astensione del giudice, ossia l’art. 51 del c.p.c..

L’istanza di ricusazione deve essere depositata presso la cancelleria del giudice che ha provveduto alla nomina, almeno tre giorni prima dell’udienza fissata per la comparizione del CTU. In caso di mancata proposizione dell’istanza di ricusazione del consulente tecnico d’ufficio entro il termine previsto dall’art. 192, deve intendersi preclusa definitivamente la possibilità di far valere in un momento successivo la situazione di incompatibilità, con la conseguenza che la consulenza rimarrà ritualmente acquisita agli atti del processo.

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto
FATTI DI CAUSA

1. – Con l’ordinanza menzionata in epigrafe, la Corte d’appello di Lecce – nel contraddittorio tra il Comune della stessa città, espropriante, e Ma.Be., espropriato – rigettava l’opposizione alla stima proposta da quest’ultimo avverso il decreto n. 4/2021, col quale, verso l’indennità di Euro 7.312,74, gli era stato ablato un suolo di 500 mq, in via (Omissis), facente parte di una maggiore estensione di mq 3198.

Osservava la Corte, dopo aver disposto consulenza tecnica, che la classificazione della porzione di area come destinata a viabilità escludeva qualsiasi possibilità di edificazione; che il c.t.u. aveva ritenuto di dare all’area in questione le stesse caratteristiche del suolo a monte (F23 con indici F15), assegnate a seguito di ricorsi al Tar; che il consulente aveva poi precisato che l’espropriazione non aveva prodotto alcuno spostamento della fascia di rispetto interno alla proprietà del Ma.; che, dunque, il consulente aveva correttamente quantificato l’indennità di esproprio in Euro 6.889,74, in misura leggermente inferiore a quella liquidata dal Comune; che, in conclusione, l’opposizione doveva essere respinta.

2. – Ricorre per cassazione Ma.Be., affidando il gravame a quattro motivi.

Resiste il Comune, che conclude per la reiezione dell’impugnazione.

Il ricorso è stato assegnato per la trattazione in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ.

Nessuna parte ha depositato memoria ex art. 380 – bis.1 cod. proc. civ.

Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE

3. – Col primo motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ. n. 4, un error in procedendo.

Sarebbe inammissibile ed illegittimo il cambiamento del rito da ordinario in sommario dinanzi alla Corte d’Appello senza l’adozione di alcun provvedimento formale.

Da tale violazione sarebbe, inoltre, derivata la lesione del diritto di difesa della parte di presentare comparse conclusionali ed eventuali repliche.

4. – Il mezzo è inammissibile per carenza di interesse (art. 100 cod. proc. civ.) a proporlo.

Il motivo parte, infatti, da un presupposto processuale inesistente, ossia che la Corte territoriale abbia proceduto in via di fatto ad un mutamento di rito, da ordinario a sommario.

In realtà, l’art. 54 del D.P.R. n. 327/2001 stabilisce che le controversie aventi ad oggetto l’opposizione alla stima in sede di espropriazione per PU “sono disciplinate dall’articolo 29 del decreto legislativo 1 settembre 2011, n. 150”.

Quest’ultimo, nel testo anteriore al D.Lgs. n. 149/2022, applicabile ratione temporis, prevedeva che tali controversie fossero “regolate dal rito sommario di cognizione” (oggi sostituito col rito semplificato, ex artt. 281 – decies e seguenti cod. proc. civ.)

Ora, è vero che l’attore Ma.Be. ha introdotto il processo con citazione, anziché con ricorso ex art. 702 – bis cod. proc. civ. (oggi abrogato), ma è anche vero che, a parte l’erronea individuazione dell’atto introduttivo di tale giudizio sommario, il processo si è regolarmente svolto sin dalla prima udienza con le forme previste dall’art. 702 – ter, ossia “sentite le parti” ed “omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio”.

E terminata l’assunzione dell’unico mezzo istruttorio ammesso (la c.t.u.), la Corte con ordinanza del 25 novembre 2022 ha rinviato per la discussione del merito all’udienza del 17 febbraio 2023, assegnando contemporaneamente un termine per il deposito di “note difensive” sino a venti giorni prima: note che hanno reso pienamente possibile l’esposizione delle difese conclusive delle parti, avendo assolto alla medesima funzione degli omologhi atti (conclusionali e repliche) del processo ordinario di cognizione.

Il tutto, infine, si è svolto senza che risulti che il ricorrente abbia mai sollevato contestazioni sul punto, con la conseguenza, già anticipata all’inizio del presente paragrafo, che il Ma. non ha alcun interesse (art. 100 cod. proc. civ.) a proporre la doglianza formulata col motivo in esame.

5. – Col secondo mezzo il ricorrente assume, sempre sulla base dell’art. 360 n. 4 cod. proc. civ., la commissione di altro error in procedendo, consistente nell’omessa declaratoria di incompatibilità del c.t.u., per avere quest’ultimo effettuato la stima del bene in altro giudizio pendente tra le medesime parti, “sebbene affine”, con conseguente nullità delle operazioni peritali.

6. – Anche questo mezzo è inammissibile, in quanto il ricorrente non ha provveduto a ricusare il Consulente.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte la scelta del consulente tecnico è rimessa al potere discrezionale del giudice, salva la facoltà delle parti di far valere mediante istanza di ricusazione ai sensi degli artt. 63 e 51 c.p.c. gli eventuali dubbi circa la obiettività e l’imparzialità del consulente stesso, dubbi che, ove l’istanza di ricusazione non sia stata proposta, non sono più deducibili mediante il ricorso per cassazione. (Sez. 6 – L, n. 2103 del 24.1.2019). La causa d’incompatibilità del consulente d’ufficio, non può essere fatta valere in sede di giudizio di legittimità se non sia stata tempestivamente denunciata con richiesta di ricusazione formulata ai sensi dell’art. 192 cod. proc. civ. Tale formale istanza non è equiparabile alla richiesta di revoca e sostituzione del consulente per motivi di opportunità, ancorché formulata, con generico richiamo all’art. 51 cod. proc. civ., nel corso del giudizio di secondo grado, e l’ordinanza di rigetto non è, conseguentemente, censurabile con ricorso per cassazione per vizio di motivazione. (Sez. U, n. 7770 del 31.3.2009).

Inoltre la critica dell’omessa sostituzione del c.t.u. è sostanzialmente fondata su presupposti normativi inesistenti.

Nessuna norma, infatti, stabilisce che il c.t.u. che abbia svolto una consulenza in un previo giudizio pendente tra le medesime parti non possa essere nominato anche in una successiva vertenza, insorta tra i medesimi soggetti.

Il ricorrente sembra adombrare il rischio che l’ausiliario confermi nel secondo processo gli accertamenti peritali effettuati nel primo, sebbene errati.

Ma, anche a prescindere dalla constatazione che non vi è alcuna dimostrazione e, prima ancora, nessuna allegazione della erroneità della stima nel giudizio precedente, portante RG 1044/2019, la forza della prevenzione – che deriva dall’aver già giudicato in separata e precedente sede su un aspetto o una questione dibattuta anche nel giudizio successivo – non costituisce una causa legale di astensione del c.t.u., se non nei limiti dell’art. 63 del cod. proc. civ., il quale rimette al giudice che ha nominato l’ausiliare di accertare che non sussistano “giusti motivi di astensione”: espressione generica che rende palese che le ragioni di sostituzione dell’esperto sono prudentemente valutate dal giudice caso per caso.

Nella presente ipotesi la Corte ha ben esercitato il suo potere, in quanto, dopo che il difensore del Ma. l’aveva invitata a nominare altro esperto, la Corte con l’ordinanza 25 novembre – 2 dicembre 2022 ha motivatamente esposto le ragioni per le quali l’istanza non potesse essere accolta: argomentazioni che non risultano contrastate dal ricorrente, non solo nel merito, ma anche con riferimento a parametri legali.

7. – Col terzo motivo il Ma. si duole, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., della violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 33 D.P.R. n. 327/2001.

La sentenza avrebbe acriticamente aderito alle conclusioni del c.t.u., replicandone alcuni errori, in particolare quello dell’equiparazione (sottintesa) tra fasce di rispetto e zone destinate alla viabilità.

Il c.t.u. avrebbe, poi, errato nella liquidazione dell’indennizzo per la parte del fondo non espropriata: egli, infatti, avrebbe ritenuto che il terreno complessivo fosse costituito dall’area di mq 1580 (mq 1080 più mq 500), mentre l’appezzamento totale era pari a mq 3198.

Inoltre, anziché sommare la perdita di valore del bene non espropriato alla perdita del valore venale di quello ablato, il c.t.u. avrebbe sottratto al valore venale del terreno unitariamente inteso quello della frazione espropriata.

Ancora, l’ausiliare, dopo aver calcolato l’indennizzo mediante la differenza tra le opere realizzabili sulle due aree (di mq 500 e di mq 1580), avrebbe erroneamente diviso il risultato della sottrazione (Euro 2.577,00) per la superficie della zona ablata (mq 500).

Da ultimo, nel calcolo dell’indennizzo avrebbe illegittimamente detratto i costi per l’urbanizzazione.

8. – Il motivo, essendo caratterizzato da passaggi logici privi di sufficiente chiarezza e in parte carenti sotto il profilo della concludenza, è in parte inammissibile (art. 366 n. 4 cod. proc. civ.) ed in altra parte infondato.

Infatti, per infirmare la motivazione della sentenza che recepisca le conclusioni del c.t.u., di cui il giudice dichiari di condividere il merito, è necessario che la parte alleghi di avere rivolto critiche alla consulenza stessa già dinanzi al giudice del merito, e ne trascriva, poi, per autosufficienza, almeno i punti salienti onde consentirne la valutazione in termini di decisività e di rilevanza, atteso che, diversamente, una mera disamina dei vari passaggi dell’elaborato peritale, corredata da notazioni critiche, si risolverebbe nella prospettazione di un sindacato di merito inammissibile in sede di legittimità (Cass., sez. 1, 12 maggio 2017, n. 11913).

Il motivo non appare rispettoso di tale principio, poiché – sol che lo si legga – si può agevolmente notare che esso non chiarisce il luogo processuale del giudizio di merito dove le critiche alla consulenza siano state svolte.

Esso, inoltre, appare di tenore equivoco (e, dunque, scarsamente intellegibile) nelle parti in cui sono trascritti in modo inconcludente i passaggi della relazione del consulente.

Giova, inoltre, precisare che il mezzo appare inammissibile – non solo per difetto di autosufficienza, ma anche perché involge censure di carattere meritale – laddove assume che l’indennizzo vada calcolato tenendo conto della diminuzione di valore dell’area complessiva della particella (3190 o, secondo il ctu, 3169 mq).

Infine, esso è infondato nella parte in cui deduce l’illegittima inclusione dei costi di urbanizzazione nella determinazione del valore del fondo espropriato, dato che è solo col metodo sintetico – comparativo (non adottato dal c.t.u.) che tali costi non vanno tenuti presenti: solo tale metodo, infatti, essendo fondato sulla comparazione con i prezzi di mercato pagati per immobili situati nella medesima zona ed aventi caratteristiche omogenee a quelle del fondo espropriato, sconta anticipatamente il peso degli oneri connessi allo sfruttamento del suolo (Cass., sez. 1, 25 settembre 2015, n. 19077).

9. – Col quarto motivo il Ma. lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 36 D.P.R. n. 327/2001 in relazione agli artt. 19 e 20 della legge regionale 22 febbraio 2005 n. 3, che detta “Disposizioni regionali in materia di espropriazioni per pubblica utilità e prima variazione al bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2005”.

10. – Anche questo motivo appare caratterizzato da passaggi logici difficilmente comprensibili e carenti sotto il profilo della concludenza, con conseguente sua parziale inammissibilità (art. 366 n. 4 cod. proc. civ.).

Pare, infatti, che il mezzo predichi l’indennizzabilità della porzione di suolo ablato (mq 500) sulla base delle caratteristiche del terreno di più ampia estensione di cui faceva parte (mq 3198; mq 3169 per il c.t.u.) ed applicando l’art. 36, trattandosi di opere private di pubblica utilità, con la conseguenza che l’indennizzo andrebbe liquidato in base al “valore di mercato” del suolo, senza le riduzioni previste dagli artt. 37 e seguenti.

Esso è inammissibile, non solo perché parte da un presupposto smentito dagli stessi atti di causa – ossia che l’espropriazione fosse “finalizzata alla realizzazione di opere private di pubblica utilità” (art. 36, primo comma, D.P.R. n. 327/2001), mentre la finalità dell’esproprio era la sistemazione della pubblica via (Omissis) – ma anche perché involge valutazioni di merito, rimesse al solo giudice territoriale.

11. – Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio in favore del resistente, per la cui liquidazione – fatta in base al D.M. n. 55 del 2014, come modificato dal D.M. n. 147 del 2022, ed al valore della lite (Euro 75 mila circa, pari all’indennizzo richiesto davanti alla Corte d’appello di Lecce) – si rimanda al dispositivo che segue.

Va inoltre dato atto della sussistenza dei presupposti di cui all’articolo 13, comma 1 – quater, del decreto del presidente della repubblica 30 maggio 2002 n. 115, per il raddoppio del contributo unificato a carico del ricorrente, ove dovuto.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere al resistente le spese del presente giudizio, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso forfettario delle spese in ragione del 15%, oltre al cp ed all’iva, se dovuta. Dà atto della sussistenza dei presupposti di cui all’articolo 13, comma 1 – quater, del decreto del presidente della repubblica 30 maggio 2002 n. 115, per il raddoppio del contributo unificato a carico del ricorrente, ove dovuto.

Così deciso in Roma il 6 novembre 2024.

Depositata in Cancelleria il 12 novembre 2024.

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