2. (omissis) e (omissis) si costituivano in giudizio chiedendo l’integrale rigetto delle domande proposte e rilevando, tra l’altro, che le notizie in questione erano pervenute all’(omissis) da una fonte ufficiale e qualificata, ossia l’ (omissis), tramite email del 28 dicembre 2017, avente ad oggetto “Comunicato estradizione dalla (omissis) di (omissis)“; deducevano, pertanto, che tali notizie erano state rese esercitando correttamente il diritto di cronaca e, dunque, rispettando i principi di verità (o verità putativa), continenza e pertinenza e che non sussisteva il danno lamentato.
3. Con sentenza n. 10731/2021, pubblicata il 22 dicembre 2021, il Tribunale di Milano – ritenuto che “l’inesattezza delle iperboli utilizzate sull’entità delle condanne e sul numero dei procedimenti penali a carico, nonché dell’attribuzione di un legame con l’eversione di sinistra, minano la veridicità, anche putativa, della notizia” e che “appare in contrasto con il requisito della continenza la qualifica come latitante di una persona soggiornante all’estero, ma catturata mentre stava rientrando in I con i propri documenti” – condannava i convenuti, in via tra loro solidale, a risarcire i danni, liquidati a favore di (omissis) nell’importo di Euro 30.000,00 ed a favore dell’associazione (omissis) in Euro 10.000,00.
4. Con sentenza n. 683/2023, resa il 25 gennaio 2023, pubblicata il 1 marzo 2023, la Corte di Appello di Milano, in parziale accoglimento dell’impugnazione principale proposta da (omissis) e (omissis) e di quella incidentale proposta dall’associazione (omissis) e da (omissis), condannava (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, e (omissis) a corrispondere, in solido tra loro, a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, euro 40.000,00, oltre interessi, a(omissis) ed Euro 25.000,00, oltre interessi, all’(omissis); la Corte di merito dichiarava l’illegittimità del testo della rettifica che Ansa era stata condannata a pubblicare e confermava nel resto la sentenza impugnata. In particolare, la Corte d’Appello riteneva che: i) il documento da cui (omissis) aveva tratto la notizia fosse non “un comunicato stampa della Polizia di Stato”, ma “una semplice mail, peraltro priva di firma, che non può assumere il rango di fonte ufficiale ” e il cui contenuto avrebbe dovuto essere quindi verificato prima della pubblicazione; ii) fossero irrilevanti le dichiarazioni rese dall’interessato – seppur in parte confermative dei fatti in discussione – in quanto “successive alla pubblicazione delle notizie diffamatorie riferite da (omissis)“, vale a dire le notizie relative alla vicinanza del (omissis) agli ambienti eversivi e al numero dei procedimenti penali in cui quest’ultimo era stato coinvolto; iii) in punto di an e quantum debeatur, il Tribunale avesse fatto corretta applicazione delle presunzioni, pur precisando che il danno non patrimoniale da diffamazione a mezzo stampa non può configurarsi in re ipsa; iv) fosse fondato il motivo di appello principale proposto da (omissis) avente ad oggetto l’illegittimità del testo della rettifica predisposto dagli appellanti incidentali che l’Agenzia era stata condannata a pubblicare; v) fosse fondato il motivo di appello incidentale proposto dal (omissis) e dal (omissis) volto ad ottenere una più elevata liquidazione del danno non patrimoniale, secondo le tabelle dell’Osservatorio di Milano.
5. Avverso questa sentenza, (omissis) Soc. Coop. e (omissis) hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a sei motivi (omissis), in proprio e quale presidente della (omissis), ha proposto ricorso incidentale, affidato a sei motivi, resistito con controricorso dai ricorrenti principali.
6. Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in camera di consiglio ai sensi degli artt. 375, secondo comma, e 380-bis 1, cod. proc. civ.. Le parti hanno depositato memorie illustrative. I ricorrenti in via incidentale hanno presentato alla prima Presidente di questa Corte istanza di rinvio a nuovo ruolo, previa riassegnazione del procedimento alla Terza Sezione Civile, istanza rigettata dalla Prima Presidente con provvedimento dell’8-4-2024.
3. In via pregiudiziale, va disattesa l’istanza dei controricorrenti e ricorrenti incidentali di trattazione dei ricorsi in pubblica udienza, in assenza dei presupposti di cui all’art.375, comma 1, cod. proc. civ, atteso che le questioni di diritto oggetto del contendere sono state oggetto delle numerose pronunce di questa Corte che di seguito si vanno ad illustrare.
4. I motivi del ricorso principale, da esaminarsi congiuntamente per la loro stretta connessione, sono infondati e in parte inammissibili.
4.1. Le censure sono sostanzialmente e principalmente dirette a sostenere, tramite la denuncia di vizi di nullità della sentenza (motivi primo e quarto), di omesso esame di fatti decisivi (secondo motivo) e di violazioni di legge (quarto motivo), l’assunto secondo cui la notizia pubblicata era pervenuta non da fonte confidenziale, ma da fonte investigativa qualificata (comunicato stampa ufficiale della Polizia di Stato), sicché non necessitava di ulteriori indagini e verifiche (terzo motivo), e ciò anche ai fini dell’applicabilità dell’esimente putativa (sesto motivo), nonché anche in considerazione del fatto che lo stesso Pa.Pi.avrebbe ammesso, in successive interviste e dichiarazioni, la veridicità delle notizie pubblicate e in contestazione (quinto motivo).
4.2. L’esame dei motivi impone di prendere le mosse dalle precedenti pronunce, anche delle Sezioni penali, di questa Corte, nelle quali si è affrontato lo specifico argomento oggi in discussione, che è quello della valenza delle fonti confidenziali, e prima ancora della corretta individuazione della nozione di fonte confidenziale, in relazione ai giudizi risarcitori conseguenti alla diffamazione imputata al giornalista di cronaca giudiziaria. Occorre premettere che, secondo il noto, risalente e consolidato orientamento di questa Corte condiviso dal Collegio, affinché la divulgazione a mezzo stampa di notizie lesive dell’onore possa considerarsi lecito esercizio del diritto di cronaca, devono ricorrere le seguenti condizioni: la verità oggettiva della notizia pubblicata; l’interesse pubblico alla conoscenza del fatto (cosiddetta: pertinenza) e la correttezza formale dell’esposizione (cosiddetta: continenza). La condizione della verità della notizia comporta, come inevitabile corollario, l’obbligo del giornalista, non solo di controllare l’attendibilità della fonte (non sussistendo fonti informative privilegiate), ma anche di accertare e di rispettare la verità sostanziale dei fatti oggetto della notizia (non scalfita peraltro da inesattezze secondarie o marginali, inidonee a determinarne o ad aggravarne la valenza diffamatoria); con la conseguenza che, solo se tale obbligo sia stato scrupolosamente osservato, potrà essere utilmente invocata l’esimente dell’esercizio del diritto di cronaca, restando peraltro escluso che, ove le suddette condizioni non ricorrano, l’equilibrio generale dell’articolo giornalistico escluda la natura diffamatoria dei fatti riferiti, potendo eventualmente comportare una minore gravità della diffamazione ed incidere quindi sulla liquidazione del danno (tra le tante Cass. civ. 6041/1997).
La fonte della notizia, a cui si correla l’eventuale garanzia processuale del segreto professionale, non è solamente la persona fisica dalla quale il giornalista attinge la notizia stessa, ma comprende anche tutte le informazioni (ad esempio sulle utenze telefoniche) che possono portare alla individuazione di colui o colei che fornisce fiduciariamente la notizia ai giornalisti. Il carattere confidenziale o fiduciario della notizia, per quello che ora interessa, si determina in base al dato oggettivo del crisma di ufficialità che la connota e, di conseguenza, in base all’individuazione esatta del soggetto da cui proviene la notizia propalata con il suddetto crisma; in difetto di detta individuazione, come avviene per le fonti anonime, la parte lesa non avrebbe la possibilità di rivolgersi contro alcuno per ottenere tutela della propria lesa onorabilità, ove fosse esclusa la responsabilità del giornalista nella ricorrenza di tale ipotesi (Cass. civ. 12056/2014 e Cass. civ. 11004/2011 in tema di scritto anonimo). Secondo l’orientamento espresso dalle Sezioni Penali di questa Corte, se la notizia è ricevuta dal giornalista in modo “irrituale” ed egli non ha la possibilità di controllare il fatto così riferitogli, a causa dell’inaccessibilità delle fonti di verifica coincidenti con gli organi e gli atti dell’indagine giudiziaria, tale inaccessibilità, lungi dal comportare l’esonero dall’obbligo di controllo, implica la non pubblicabilità della notizia e non sussiste l’esimente del diritto di cronaca, anche sotto il profilo putativo (Cass. pen. 3132/2018). È stato ulteriormente precisato (Cass. pen. 14013 del 12/02/2020; in senso conforme Cass. pen.41135/2014) che quando l’articolista riceve delle notizie in via confidenziale dalle forze dell’ordine che hanno condotto un’operazione di polizia giudiziaria, oltre l’ufficialità della tenuta conferenza stampa, “poiché non può ritenersi di per sé attendibile la confidenza di un ufficiale di polizia giudiziaria, il cronista, che raccolga, al di fuori delle comunicazioni ufficiali fornite nel corso di una conferenza stampa, ulteriori notizie relative ad attività di indagine, deve assumersi l’onere di verificarle direttamente e di dimostrarne la pubblica rilevanza (Sez. 5, n. 41135 del 15/10/2001, Ruvolo, Rv. 220258); Regola che, nel particolare caso concreto, identico all’odierna fattispecie, costituisce l’applicazione dei più generali principi di diritto secondo i quali: – la scriminante, anche solo putativa, dell’esercizio del diritto di cronaca è configurabile solo quando, pur non essendo obiettivamente vero il fatto riferito, il cronista abbia assolto all’onere di esaminare, controllare e verificare l’oggetto della sua narrativa, al fine di vincere ogni dubbio (Sez. 5, n. 51619 del 17/10/2017, Tassi, Rv. 271628); – l’esimente, anche solo putativa, del diritto di cronaca giudiziaria non può essere affermata in ragione del presunto elevato livello di attendibilità della fonte se il giornalista non ha provveduto a sottoporre al dovuto controllo la notizia (Sez. 5, n. 23695 del 05/03/2010, Brancato, Rv. 247524); – l’esimente, anche solo putativa, del diritto di cronaca giudiziaria può essere invocata in caso di affidamento del giornalista su quanto riferito dalle sue fonti informative, non solo se abbia provveduto comunque a verificare i fatti narrati, ma abbia altresì offerto la prova della cura posta negli accertamenti svolti per stabilire la veridicità dei fatti (Sez. 5, n. 27106 del 09/04/2010)”.
Va aggiunto che questa Corte ha avuto modo di precisare che la verifica che grava sul giornalista ai fini della scriminante deve essere sempre conformata e proporzionata alla fonte della notizia e, fermo il fatto che compete al giudice di merito valutare se la verifica sia stata nel caso concreto “seria e diligente” – riprendendo la formula sovente adottata dalla giurisprudenza nomofilattica per descriverne l’idoneità -, non è certo esigibile dal giornalista, dinanzi ad una notizia di fonte giudiziaria, di “replicare” in toto con una sua inchiesta privata gli esiti dell’indagine pubblica per essere legittimato poi a diffondere questi ultimi. Al contrario, la giurisprudenza di questa Suprema Corte ha espressamente riconosciuto che ai fini della scriminante è sufficiente che l’articolo del giornalista corrisponda al contenuto degli atti e provvedimenti dell’autorità giudiziaria, non potendosi pretendere che dimostri la fondatezza delle decisioni assunte in sede giudiziaria, dovendo, tuttavia e d’altra parte, il criterio della verità della notizia essere riferito agli sviluppi di indagine e istruttori quali risultano al momento della pubblicazione dell’articolo, e non già a quanto successivamente accertato in sede giurisdizionale (così Cass. 5637/ 2010; Cass. 21969/2020). In altre parole, dunque, il controllo del giornalista sulla veridicità della notizia va effettuato sulla base di dati ed elementi sussistenti al momento della pubblicazione (cfr. anche Cass.11233/2017 e Cass.12013/2017).
4.2. Nel caso di specie, la Corte di merito si è attenuta ai suesposti principi.
4.2.1. Occorre premettere che i “lanci” delle notizie in contestazione da parte di Ansa sono due, ossia il primo del 31 ottobre 2017 ed il secondo del 28 dicembre 2017, che le notizie dei due “lanci” hanno contenuto sovrapponibile e che è pacifica la non veridicità di alcuni dei fatti pubblicati (la latitanza, il numero di procedimenti penali a carico, il legame con l’eversione di sinistra e l’entità delle condanne attribuiti a (omissis)). La fonte del primo “lancio” è confidenziale, poiché la notizia era stata appresa a seguito di un colloquio con agenti di Polizia non individuati, in base a quanto accertato dai giudici di merito, ma le doglianze espresse dai ricorrenti principali si incentrano sul secondo “lancio” del dicembre 2017; in particolare essi sostengono che la fonte non possa ritenersi fiduciaria o confidenziale perché si trattava di un “comunicato stampa” proveniente dalla Polizia di Stato e la suddetta provenienza, idonea a conferire alla notizia il crisma dell’ufficialità, risultava confermata dal Ministero dell’Interno con una successiva missiva del mese di aprile del 2019. L’esame di detto ultimo fatto, che si connota come decisivo a parere di (omissis) e (omissis), si denuncia come omesso dai giudici di merito (cfr. in particolare il secondo motivo).
4.2.2. Nessuno dei vari profili di doglianza coglie nel segno. In primo luogo, non si rinviene una critica compiuta e pertinente in ordine al primo “lancio” (omissis), come rimarcano anche i controricorrenti, in relazione al quale la fonte della notizia era confidenziale perché, come si è detto, acquisita tramite colloquio con soggetto non individuato della Polizia di Stato, sicché con riferimento a detta pubblicazione all’evidenza erano necessari ulteriori accertamenti sulla veridicità della notizia, sulla scorta dei suesposti principi.
Nella memoria illustrativa Ansa deduce, in replica, che anche il primo “lancio” è stato censurato con il sesto motivo di ricorso, che concerne l’applicabilità nella specie dell’esimente putativa. Al riguardo va ribadito che se la notizia è ricevuta dal giornalista in modo “irrituale” ed egli non ha la possibilità di controllare il fatto così riferitogli, a causa dell’inaccessibilità delle fonti di verifica coincidenti con gli organi e gli atti dell’indagine giudiziaria, tale inaccessibilità, lungi dal comportare l’esonero dall’obbligo di controllo, implica finanche la non pubblicabilità della notizia e non sussiste l’esimente del diritto di cronaca, anche sotto il profilo putativo (Cass. pen. 3132/2018 citata).
Quanto al secondo comunicato Ansa, in disparte il rilievo che la denuncia del vizio processuale di omessa pronuncia (ex art.112 cod. proc. civ.- primo motivo) non è congruente rispetto al contenuto illustrativo del suddetto mezzo, la Corte di merito ha in dettaglio preso in esame le difese ora reiterate in ordine alla mail proveniente dalla Polizia di Stato del 28-12-2017, ossia recante la stessa data del secondo comunicato Ansa, e, per un verso, ha evidenziato che la suddetta mail era in ogni caso successiva al primo “lancio” della notizia, di contenuto, si ripete, sovrapponibile al secondo, e, per altro verso, ha condiviso la valutazione probatoria del suddetto documento effettuata dal primo giudice, secondo la quale la mail non era sottoscritta, e quindi non poteva identificarsene l’autore, aveva forma generica ed anonima, tale da richiedere un approfondimento da parte del giornalista prima della pubblicazione, e non era perciò qualificabile quale comunicazione ufficiale al pari di una conferenza stampa della polizia giudiziaria. Anzi, ha aggiunto la Corte territoriale, era risultato documentato che nessuna conferenza stampa era stata convocata dall’Arma dei Carabinieri, che aveva proceduto all’arresto del (omissis) In altre parole, sia il Tribunale, sia la Corte d’Appello hanno ritenuto che la notizia appresa da Ansa tramite mail, fosse da ritenersi confidenziale perché anonima e priva del crisma dell’ufficialità, e ciò in corretta applicazione dei criteri discretivi individuati da questa Corte e già richiamati, all’esito di una valutazione meritale su un documento, assistita, peraltro, dalla cd. doppia conforme.
4.2.3. In ordine alla nota del Ministero dell’Interno dell’aprile 2019 (secondo motivo), non ricorre la dedotta decisività del fatto risultante da detto documento il cui esame si denuncia omesso, attesa l’inerenza della suddetta nota solo alla fonte del secondo comunicato (omissis), sicché in ogni caso resterebbe esclusa da ogni esimente la notizia diffusa con il primo comunicato (omissis) dell’ottobre 2017.
Sotto ulteriore profilo, va richiamato il principio affermato da questa Corte (Cass. 21969/2020) secondo il quale la veridicità putativa della notizia deve valutarsi al momento della sua divulgazione. Anche sotto detto aspetto il fatto risultante dal documento difetta di decisività nel senso invocato, perché il documento è posteriore di oltre un anno al momento della divulgazione della notizia e non potrebbe, pertanto, avvalorare ex post l’esimente putativa in relazione al comunicato stampa della Polizia di Stato del dicembre 2017 e di conseguenza al secondo comunicato (omissis).
Le medesime considerazioni valgono circa le risultanze delle interviste successive rilasciate dal (omissis) (quinto motivo), in disparte l’ulteriore, altrettanto dirimente, rilievo che, come sostanzialmente ammettono i ricorrenti principali, la dedotta veridicità dei fatti riguarderebbe in realtà solo il numero di procedimenti penali a carico del (omissis), prospettati, invero, da quest’ultimo nelle suddette interviste, riportate in stralcio nel ricorso principale, come ingiustamente e persecutoriamente instaurati, ossia in una ottica niente affatto similare a quella risultante dai comunicati (omissis).
5. Passando, ora, all’esame del ricorso incidentale, in disparte il preliminare rilievo che tutti i motivi presentano profili di inammissibilità nelle parti in cui si risolvono in una commistione indistinta e non lineare di distinte tipologie di vizi denunciati, i motivi primo e secondo, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, sono infondati e in parte inammissibili.
5.1. Le doglianze concernono il provvedimento di accoglimento da parte del Tribunale dell’istanza ex art.700 cod. proc. civ. presentata contestualmente all’atto introduttivo del giudizio dagli odierni ricorrenti incidentali, avente ad oggetto la pubblicazione della rettifica redatta da questi ultimi e del seguente tenore: “Ora (omissis) è libero ma (omissis) tace. Un silenzio che puzza di censura e contiguità a quei poteri forti più retrivi che manipolano e inquinano la libera informazione”. La Corte di merito ha accolto l’appello degli odierni ricorrenti principali sul punto ed ha ritenuto diffamatoria verso Ansa, nei cui confronti ha accertato l’elemento soggettivo della colpevole negligenza, la rettifica di cui sopra e ha ordinato la rimozione della stessa dal sito on line e dell’archivio degli abbonati di Ansa.
Orbene, quello emesso dal Tribunale è un provvedimento cautelare di natura anticipatoria emesso in corso di causa (Cass. 5840/2019), confermato, e assorbito, dalla decisione finale sul merito del Tribunale, che sul punto aveva dichiarato “cessata la materia del contendere”, dando atto che la rettifica era stata pubblicata. Detta ultima statuizione, inclusiva di quella anticipatoria cautelare, non era affatto passata in giudicato, contrariamente a quanto si sostiene, invero in modo non lineare, nel ricorso incidentale, perché era stata ritualmente impugnata. La censura è inammissibile nella parte in cui critica la valutazione del carattere diffamatorio e offensivo della rettifica, che è stata espressa dalla Corte d’Appello con congrua motivazione, e quindi nella parte in cui sollecita impropriamente un riesame meritale.
5.2. Parimenti infondate sono la denuncia del vizio, pure imputato alla Corte d’Appello, di motivazione intrinsecamente contraddittoria rispetto all’ordinanza ex art. 283 cod. proc. civ. di rigetto della sospensiva e, di conseguenza, la denuncia di illegittimità dell’ordine di rimozione della rettifica dal sito on line e dall’archivio degli abbonati di (omissis) (secondo motivo). Il provvedimento emesso ex art.283 citato si colloca nell’ambito di un subprocedimento incidentale, privo di autonomia rispetto al giudizio di merito, e l’esito del primo – nella specie di rigetto della sospensiva -all’evidenza non è in alcun modo idoneo ad incidere sull’esito del secondo, ossia del procedimento principale che si conclude con la pronuncia di merito (Cass. 2671/2013), sicché il profilo di contraddittorietà della motivazione non è affatto configurabile nel senso invocato.
Infine, la regolamentazione delle spese relative al suddetto subprocedimento è stata disposta, al pari di quella concernente le spese del procedimento principale, con il provvedimento che ha chiuso quest’ultimo, tenendo conto del suo esito complessivo (Cass. 2671/2013 citata); in particolare la Corte di merito ha precisato che la relativa liquidazione era stata effettuata “in base all’attività effettivamente svolta”, da intendersi, quindi, ivi compresa anche quella relativa alla fase dell’inibitoria.
5.3. Il terzo motivo è inammissibile.
La doglianza concerne la mancata applicazione della sanzione, a favore della Cassa delle ammende, prevista in caso di rigetto della sospensiva ex art.283 cod. proc. civ.. Quest’ultimo provvedimento, rispetto al quale la suddetta sanzione ha carattere accessorio e si risolve in una facoltà discrezionale del giudice d’appello, non è ricorribile in Cassazione (cfr. Cass. 19247/2019, in caso di condanna al pagamento della sanzione). Sotto ulteriore profilo, difetta l’interesse dei ricorrenti incidentali all’impugnazione, poiché la sanzione pecuniaria dell’istanza di inibitoria inammissibile o manifestamente infondata è irrogata in favore della Cassa delle ammende allo scopo di sanzionare l’abuso dello strumento processuale, ossia si tratta certamente di un provvedimento punitivo, come esplicitamente previsto dalla norma e come si ricava altresì dall’indicazione della forbice dell’ammontare tipico del carattere punitivo, e, in quanto tale, non è conciliabile con una diversa funzione compensativa di un pregiudizio arrecato alla controparte, esulando, in tal senso, dalla responsabilità processuale ex art. 96 cod. proc. civ. (Cass.27234/2023).
5.4. Anche il quarto motivo è inammissibile.
La doglianza circa la mancata liquidazione delle spese di mediazione, asseritamente documentate in primo grado, avrebbe dovuto essere formulata come motivo d’appello incidentale, in quanto vizio della sentenza del Tribunale.
Non risulta dalle conclusioni riportate nella sentenza d’appello, né dalla motivazione del provvedimento ora impugnato, che tale motivo fosse stato proposto dagli odierni ricorrenti in via incidentale, né essi precisano quando, come e dove avessero proposto in appello quella pretesa, sicché la censura difetta di autosufficienza.
5.5. Parimenti inammissibili sono i motivi quinto e sesto. Le deduzioni in ordine alla dimostrazione del danno patrimoniale subito per le spese asseritamente sostenute per contrastare la campagna diffamatoria e il silenzio di (omissis) sono impropriamente dirette a sollecitare un riesame dei fatti e delle risultanze di causa (motivo quinto), a fronte di una congrua motivazione resa sul punto dalla Corte territoriale.
Con il sesto motivo i ricorrenti incidentali, ammettendo di aver erroneamente indicato in appello di essere stati ammessi in primo grado al patrocinio a spese dello Stato, imputano alla Corte di merito di essere incorsa in una svista materiale, sicché, in tesi, l’errore denunciato sarebbe, al più e ove effettivamente sussistente, emendabile con la procedura di correzione di errore materiale. Peraltro, si richiamano dei documenti di cui non è indicato compiutamente il contenuto, difettando il mezzo, sotto tale profilo, anche di specificità.
6. In conclusione, il ricorso principale e il ricorso incidentale devono essere complessivamente rigettati.
Stante la reciproca soccombenza, le spese del presente giudizio sono interamente compensate tra le parti.
Ai sensi dell’art.13, comma 1-quater del D.P.R. 115 del 2002, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti principali e dei ricorrenti incidentali, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello rispettivamente previsto per il ricorso per cassazione proposto in via principale e per il ricorso per cassazione proposto in via incidentale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, ove dovuto (Cass. S.U. n.5314/2020).
Così deciso in Roma, il 9 aprile 2024.
Depositato in Cancelleria l’11 luglio 2024.
