Con sentenza 25.7/13.9.2019 il Tribunale di Roma, dopo aver pronunciato in corso di giudizio la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto tra Pa.En. e St.Mo. il 18.10.1997, così definiva le domande connesse: “affida la figlia minore Pa.Sa. ad entrambi i genitori…..determina in 800,00 Euro mensili l’ammontare dell’assegno divorzile dovuto da Pa.En. in favore di St.Mo., da corrispondersi presso il di lei domicilio, entro il giorno 5 di ogni mese, con decorrenza dalla pronuncia della presente sentenza, fermi restando i provvedimenti assunti in corso di causa, e successivo adeguamento automatico annuale secondo gli indici del costo della vita calcolati dall’ISTAT; determina in Euro 1800,00 il contributo mensile dovuto da Pa.En. per il mantenimento dei due figli, da corrispondersi a St.Mo. presso il di lei domicilio, entro il giorno 5 di ogni mese, con decorrenza dalla pronuncia della presente sentenza, fermi restando i provvedimenti assunti in corso di causa, e successivo adeguamento automatico annuale secondo gli indici del costo della vita calcolati dall’ISTAT; dispone che ciascun genitore contribuisca nella misura del 50% alle spese straordinarie per i figli; compensa le spese di lite.”
Con sentenza del 26.2.2024, la Corte territoriale, in parziale riforma della sentenza del Tribunale, rideterminava l’importo dovuto da Pa.En. a St.Mo., a titolo di mantenimento dei figli maggiorenni non autosufficienti, nella misura di Euro 1.200,00 mensili, a decorrere dall’introduzione del giudizio di appello, oltre all’ adeguamento automatico annuale secondo gli indici del costo della vita calcolati dall’Istat, e rigettava l’appello incidentale proposto da St.Mo.
Al riguardo, la Corte d’Appello osservava che: il Tribunale era giunto alla decisione impugnata sulla base della considerazione che la St.Mo., impiegata al Monte dei Paschi di Siena, si era dedicata, malgrado il suo impegno lavorativo, per la gran parte alla cura ed alla crescita dei figli, modulando le proprie scelte lavorative in modo tale da prediligere un orario part-time, seguendo il marito nelle diverse sedi in cui era stato chiamato a lavorare, da ultimo, da T a R, dopo la vincita del concorso in Banca d’Italia; al riguardo, sulla base delle dichiarazioni dei testi Ur. e Ko.Va. – quest’ultima aveva lavorato come baby sitter presso la famiglia – la St.Mo. aveva rifiutato una proposta di avanzamento di carriera per non sottrarre tempo alla cura dei figli minori; non vi era dubbio in ordine alla sussistenza di uno squilibro reddituale e patrimoniale tra le parti pur pienamente autosufficienti, essendo il Pa.En. dirigente della Banca d’Italia e la St.Mo. impiegata presso il Monte dei Paschi di Siena; sotto il primo profilo, grande era il divario tra i redditi da lavoro degli ex coniugi; tale evidente squilibrio reddituale risultava confermato anche dall’esame della situazione patrimoniale delle parti, che poneva in evidenza come il Pa.En. avesse accantonato somme investite in polizze e nel fondo pensione, con versamento di contributi volontari di notevole entità; infatti, alla data della dichiarazione dell’atto notorio del 3 dicembre 2018 egli aveva dichiarato di essere intestatario di una polizza pari ad Euro 38.360, di una polizza titoli per un controvalore di Euro 70.146 e di una polizza vita per un controvalore di Euro 58.871, mentre alla data dell’atto notorio del 12 ottobre 2022 aveva dichiarato la titolarità di una polizza con capitale rivalutato di Euro 34.152, di altra con capitale di Euro 74.053 e di una polizza titoli pari ad Euro 129.045; inoltre, in esito al controllo effettuato dalla Guardia di Finanza risultava che lo stesso ex marito, alla data del 30.9.2018, era titolare di una posizione di cumulo in un fondo pensionistico della Banca d’Italia nella quale confluivano, oltre che gli accantonamenti a titolo di tfr da parte del datore di lavoro, anche i suoi accantonamenti volontari per una somma pari a 1.000 Euro mensili, per un totale di Euro 357.433,45; analoga situazione non risultava per la St.Mo. che nella dichiarazione sostitutiva di atto notorio del 27.10. 2022 aveva dichiarato la titolarità di un deposito titoli di Euro 5.676,31, di una polizza del valore di Euro 5.301,44, di una polizza previdenziale con saldo di Euro 17.510,98, di due polizze a favore dei figli con un saldo di poco più di mille Euro ed accantonamenti in un fondo pensione del Monte dei Paschi di Siena, per Euro 87.879,94; la somma accantonata era tuttavia, attualmente pari ad Euro 35.430,29, avendone ella già ritirato, a titolo di anticipo, la somma di Euro 79.090,58; era inoltre incontestato che il Pa.En., quale dirigente della Banca d’Italia, usufruiva di una serie di benefici da parte del datore di lavoro che gli consentivano di chiedere il rimborso di una parte delle spese scolastiche sostenute per i figli, entro un massimale annuo di Euro 2000,00 per ciascun figlio, oltre a diversi benefits come la polizza sanitaria; sotto il profilo immobiliare, era da registrare la mancanza di proprietà da parte dell’ex marito il quale, a titolo di locazione, spendeva una somma pari ad Euro 1.089,00 (come da dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà del dicembre 2018) che nell’autodichiarazione del 2022 era aumentata a circa Euro 1.116,00; l’ex moglie era proprietaria dell’abitazione in cui vive a R, ma si trattava di un’abitazione di poco più di 70 mq. nella quale viveva con i figli per la quale pagava un mutuo di circa 1.080,00 Euro al mese; ella, inoltre, era nuda proprietaria di un immobile in P del quale i genitori erano usufruttuari e che utilizzava per le vacanze e per risiedervi quando si recava in quella città; né rilevava al fine della valutazione della situazione patrimoniale delle parti la circostanza che la St.Mo. avesse ricavato dalla vendita della casa di T la somma di Euro 88.278,00 al netto della decurtazione del mutuo residuo pari ad Euro 163.443,00 (affermazione non contestata dalla controparte), trattandosi di somma percepita anche dal Pa.En., così come del tutto irrilevanti oltre che non provate, apparivano nella disamina generale della condizione delle parti, le circostanze meramente dedotte dall’ex marito, ma non comprovate in ordine alla mancata restituzione di un anticipo per l’autovettura ed al fatto che la St.Mo. avrebbe trattenuto i mobili della casa di T che sarebbero stati acquistati solo con denaro dell’ex coniuge; da ultimo, nessuna prova era stata fornita dall’appellante in relazione alla circostanza dedotta nell’atto di appello secondo la quale l’intestazione della casa familiare di T al 50% in favore anche della moglie fosse da considerare quale compensazione dei sacrifici professionali affrontati durante il matrimonio, così come era sfornito di prova, oltre che, comunque irrilevante, quanto dedotto in ordine all’autovettura Ford “C Max”; circa la sussistenza di un effettivo squilibrio patrimoniale tra le parti, a svantaggio della St.Mo., la sentenza impugnata aveva correttamente ritenuto sussistenti i presupposti per l’attribuzione in suo favore di un assegno divorzile nella misura di Euro 800,00 mensili, considerando che antecedentemente alla nascita del primo figlio la stessa lavorava a tempo pieno e che già nel 1998 aveva conseguito la qualifica di vice-direttore di agenzia presso la filiale della Antonveneta di D; tuttavia, quest’ultima, nel 2000 con la nascita del primo figlio, aveva dovuto lasciare l’incarico passando al part-time in vista delle maggiori incombenze connesse alla maternità e tale scelta aveva comportato diverse rinunce ad occasioni di progressione di carriera, come era stato testimoniato dalle attendibili dichiarazioni del teste Ur., responsabile della sede della Banca Antonveneta presso la quale la St.Mo. lavorava nel 2007, che aveva riferito di averle offerto il ruolo di responsabile della gestione titoli – che avrebbe automaticamente comportato la sua promozione a quadro direttivo di primo livello – che lei aveva rifiutato poiché prevedeva la ripresa del lavoro full-time, motivando il rifiuto con l’esigenza di dover seguire i figli; lo stesso teste aveva riferito di avere saputo da altri colleghi che nel 2014 la St.Mo. aveva rifiutato altra proposta per una nuova promozione, dichiarando di essere riuscita a conseguire solo di recente il grado di quadro di primo livello quale titolare di agenzia, avendo potuto assicurare solo ora la sua piena disponibilità al trasferimento; la circostanza non era stata contestata e dimostrava come la scelta del part-time avesse effettivamente penalizzato le aspettative economiche e di carriera dell’ex moglie; dalla testimonianza di Ko.Va., che aveva lavorato come baby-sitter presso la famiglia Pa.En., si traeva conferma che la St.Mo. aveva assunto su di sé in via prevalente il ruolo di cura dei figli ed anche della casa; invece la testimonianza della sorella del Pa.En., Pa.El. – la quale aveva dichiarato che la “coppia condivideva i compiti di accudimento dei figli” – era generica; alla luce dei fatti così ricostruiti, all’esito dell’istruttoria compiuta e tenuto conto della durata del matrimonio, spettava alla ex moglie l’assegno divorzile di Euro 800,00 mensili; era invece da diminuire l’importo dovuto dall’ex marito per il mantenimento dei figli, che andava rideterminato nella misura di Euro 1200,00 mensili, a decorrere dall’introduzione dell’appello, tenuto conto del fatto che, rispetto al provvedimento di primo grado, il figlio Pa.Em. viveva in Svezia per ragioni di studio ed era quindi molto meno presente presso l’abitazione materna; era infine da rigettare l’appello incidentale dell’ex moglie sulla ripartizione al 50% tra le parti delle spese straordinarie per i figli, alla stregua delle concrete risorse di ciascun genitore.
St.Mo. ricorre in cassazione con sette motivi, illustrati da memoria. Pa.En. resiste con controricorso e propone ricorso incidentale con quattro motivi, illustrati da memoria.
Il primo motivo del ricorso principale denunzia violazione dell’art. 316 bis e 337 ter in relazione all’art. 360 cpc n.1. 3 e 5, per non avere la Corte d’Appello valutato le attuali esigenze dei figli.
Al riguardo, la ricorrente assume che: la Corte territoriale ha correlato la riduzione dell’assegno di mantenimento dei figli alla frequenza degli studi universitari del figlio maggiore all’estero, ma la circostanza che quest’ultimo studiasse all’estero avrebbe invece giustificato un aumento delle spese sostenute per gli studi universitari per le accresciute esigenze dovute anche all’età del ragazzo; l’assegno deve essere considerato non in ragione della sporadicità di frequentazione, ma considerando che il figlio maggiore, studente fuori sede, aveva maggiori esigenze economiche legate alla crescita e allo sviluppo della sua personalità, comprese quella della formazione culturale e della vita; tra l’altro è stato pacificamente accertato che quando il figlio rientrava dalla Svezia l’unico luogo in cui si recava era l’abitazione materna; l’ex marito, in nessuna fase dell’appello, aveva motivato la richiesta di riduzione dell’assegno di mantenimento per i figli con la frequenza universitaria all’estero del figlio maggiore, o con la certificazione di minori spese sostenute per i ragazzi.
Il secondo motivo denunzia violazione dell’art. 316 bis e 337 ter in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, c.p.c., per non avere la Corte d’Appello valutato il tenore di vita goduto dai figli in costanza di matrimonio, avendo motivato la riduzione della corresponsione dell’assegno di mantenimento “tenuto conto del fatto che, rispetto al provvedimento di primo grado, il figlio Pa.Em. viveva in Svezia per ragioni di studio ed è quindi molto meno presente presso l’abitazione materna”.
Il terzo motivo denunzia violazione e falsa applicazione della L. n. 898/70, art.6, comm. 2, con riferimento all’art. 337 septies c.c. e degli artt. 447,124,6 c.c. e 545 cpc, per aver la Corte territoriale fatto decorrere la revisione dell’assegno di mantenimento dei figli a far data dalla introduzione dell’appello, violando il principio giurisprudenziale secondo il quale l’assegno di mantenimento dei figli, avendo natura alimentare, non è ripetibile.
La ricorrente assume altresì che: il principio dell’irripetibilità sancito per l’assegno divorzile a fortiori dovrebbe applicarsi all’assegno di mantenimento dei figli che ha carattere sostanzialmente alimentare; con il suo reclamo alla corte di Appello, l’ex marito aveva chiesto la riduzione del contributo al mantenimento dei figli a suo carico, non per fatti sopravvenuti ma sulla base di una diversa valutazione, per il passato, dei fatti già posti a base dei provvedimenti adottati e l’entità modesta delle somme di denaro percepite faceva presumere che tali somme fossero state spese per soddisfare le esigenze dei propri figli, come per altro dimostrato dalla documentazione prodotta nel giudizio di secondo grado; ne consegue che la parte che abbia già ricevuto, le prestazioni previste dalla sentenza di divorzio non può essere costretta a restituirle; nel definire la decorrenza della rimodulazione dell’assegno di mantenimento dal dicembre 2021 la Corte d’Appello ha fatto riferimento a data in cui il fatto posto a base dello stesso non si era ancora verificato, essendo avvenuto ben otto mesi dopo rispetto all’ introduzione dell’appello, come risultava dalla dichiarazione sostitutiva dell’ atto di notorietà depositata dallo stesso Pa.En. ad ottobre 2022.
Il quarto motivo denunzia violazione dell’art. 337 ter cc, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, cpc, per aver la Corte territoriale confermato la ripartizione delle spese straordinarie dei figli al 50%, tra gli ex coniugi, dopo aver ritenuto provato che “il Pa.En., quale dirigente della Banca d’Italia, usufruisce di una serie di benefici da parte del datore di lavoro relativi al rimborso delle spese scolastiche e di trasporto per i figli, entro un massimale annuo di Euro 2000,00 per ciascun figlio, oltre a diversi benefits come la polizza sanitaria”, e pertanto la conferma della ripartizione delle spese straordinarie al 50% era del tutto sproporzionata rispetto ai redditi riscontrati.
Il quinto motivo denunzia violazione dell’art. 337 ter in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, cpc, e violazione dell’art. 3 Cost., sul diritto all’uguaglianza formale e sostanziale, per avere la Corte d’Appello correlato la riduzione dell’assegno di mantenimento di entrambi i figli alla frequenza degli studi universitari all’estero del solo figlio maggiore, con ciò penalizzando senza motivo la figlia minore.
Il sesto motivo denunzia violazione dell’art. 316 bis c.c. e 337 ter, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, cpc, per l’erronea ricostruzione del divario reddituale delle parti e omessa valutazione di un fatto decisivo.
La ricorrente assume che: la cda, pur avendo riconosciuto che “non vi è dubbio in ordine alla sussistenza di uno squilibrio reddituale e patrimoniale tra le parti”, ha omesso di tener conto del fatto che l’ex marito disponesse di un reddito da lavoro netto di Euro 97.487,00, quasi il quadruplo di quanto percepito dall’ex coniuge.
Il settimo motivo denunzia violazione dell’art. 316 bis c.c. e 337 ter, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, cpc, per l’erronea ricostruzione del divario patrimoniale delle parti, in quanto la Corte d’Appello, dopo aver riconosciuto che “sul fondo pensionistico emerso tramite accertamento delle GDF, confluiscono anche i suoi accantonamenti volontari per una somma pari a 1.000 Euro mensili”, ha considerato come importo del fondo pensione intestato all’ex marito la somma di 357.433,45 comunicato dalla Guardia di Finanza alla data del 30.9.2018, senza considerare il maggior valore di tale fondo in conseguenza dei successivi accantonamenti volontari da lui effettuati tra il 2018 e il 2022.
Al riguardo, la ricorrente lamenta che la sentenza impugnata era oltremodo illogica in quanto da un lato confermava che il Pa.En. era riuscito ad incrementare il proprio patrimonio, pur provvedendo al mantenimento dei figli con un assegno mensile di 1.800,00 Euro e dell’ex coniuge, e dall’altro ha ritenuto che il notevole squilibrio reddituale e patrimoniale comportasse la riduzione dell’assegno di mantenimento per i figli a 1.200 Euro mensili.
Quanto al ricorso incidentale, il primo motivo denunzia violazione e falsa applicazione della art. 5 Lg. 898/70 con riferimento all’art. 360 comma 1 n. 3 e 5, per aver la Corte d’Appello ritenuti sussistenti i presupposti per l’attribuzione in favore dell’ex coniuge di un assegno divorzile nella misura di Euro 800,00 in ragione di uno squilibrio reddituale e patrimoniale tra le parti, e omessa valutazione di un fatto decisivo.
Il secondo motivo denunzia violazione e falsa applicazione della Lg. 898/70 art. 5 con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3 e 5, cpc, per aver la Corte d’Appello ritenuti sussistenti i presupposti per l’attribuzione in favore della St.Mo. di un assegno divorzile nella misura di Euro 800,00 in ragione delle rinunce lavorative di quest’ultima, ed omessa valutazione di un fatto decisivo, ritenendo erroneamente che la sperequazione reddituale fra le parti fosse la conseguenza del contributo fornito dalla ex moglie alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, con sacrificio delle proprie aspettative professionali e reddituali.
Al riguardo, il ricorrente assume che: qualunque decisione concernente la sfera lavorativa era sempre stata assunta dalla St.Mo. unilateralmente e senza alcuna concertazione con il marito; né questo poteva essere sconfessato dalla deposizione del teste Ur., il quale aveva riferito unicamente di un rifiuto dell’ex moglie al ruolo di gestore di un portafoglio titoli che era stato offerto alla donna nel 2007 e che prevedeva un impegno full-time, senza però essere in grado di riferire, né sulle reali ragioni che si celavano dietro tale rifiuto, né sul fatto se tale decisione fosse stata assunta dalla stessa unitamente al marito il quale, anzi, in quella circostanza aveva spronato la moglie ad accettare l’incarico visto che, da un lato la famiglia si avvaleva già di aiuti esterni per la casa e per i bambini.
Il terzo motivo denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 5 D.Lgs. 898/70 e dell’art. 115 cpc con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3 e 5, per aver la Corte d’Appello ritenuto sussistenti i presupposti per l’attribuzione in favore dell’ex coniuge di un assegno divorzile nella misura di Euro800,00 attribuendo rilevanza ai soli compiti casalinghi della St.Mo. e non anche a quelli del ricorrente, nonché omessa valutazione di un fatto decisivo.
Al riguardo, il ricorrente assume: che dalla testimonianza della baby-sitter si evinceva chiaramente che la famiglia poteva contare su aiuti esterni sia per quanto riguarda la gestione della casa che quella dei figli e pertanto era priva di qualsivoglia fondamento la conclusione della Corte d’Appello sull’impegno domestico dell’ex moglie; che dalla testimonianza della sorella del ricorrente si evinceva l’impegno dell’ex marito a favore della famiglia; anche il ricorrente aveva fatto continue rinunce di carriera.
Il quarto motivo denunzia violazione degli artt. 101 e 345 cpc con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3 e 5, per aver la Corte d’Appello omesso di stralciare la memoria di replica depositata dalla St.Mo. in data 20.09.2023, depositata oltre il termine concesso nel decreto di fissazione dell’udienza camerale, sostenendo – erroneamente – che si trattasse di note di trattazione scritta, e la documentazione allegata, e per aver ritenuto dimostrate ed incontestate alcune circostanze relative alla condizione economica delle parti in causa sulla base della suddetta documentazione.
Il primo e quinto motivo del ricorso principale, esaminabili congiuntamente poiché tra loro connessi, sono fondati.
In tema di mantenimento dei figli, costituiscono spese straordinarie (con riferimento a quelle universitarie ed a quelle collegate di studente “fuorisede”), non comprese nell’ammontare dell’assegno ordinario previsto con erogazione a cadenza periodica, quelle che non siano prevedibili e ponderabili al tempo della determinazione dell’assegno, in base a una valutazione effettuata in concreto e nell’attualità degli elementi indicati nell’art. 337 ter, comma 4, c.c. e che dunque, ove in concreto sostenute da uno soltanto dei genitori, per la loro rilevante entità, se non intese come anticipazioni di un genitore rispetto a un obbligo comunque ricadente su entrambi, produrrebbero l’effetto violativo del principio di proporzionalità della contribuzione genitoriale, dovendo infatti attribuirsi il carattere della straordinarietà a quegli ingenti oneri sopravvenuti che, in quanto non espressamente contemplati, non erano attuali né ragionevolmente determinabili al tempo della quantificazione giudiziale o convenzionale dell’assegno (Cass., n. 7169/2024).
Nella specie, la riduzione dell’assegno per i figli è stata giustificata dal trasferimento del solo figlio maggiore della coppia in Svezia per studio, intendendo dire che sarebbero state risparmiate le spese di vitto in Italia, ma restano comunque quelle per il vitto all’estero, questione non esaminata dalla Corte di merito, unitamente al profilo del pregiudizio subito a seguito della riduzione anche del secondo figlio; pertanto, la statuizione impugnata non ha fatto buon governo dei principi in materia, non sono stati evidenziati fatti sopravvenuti straordinari decisivi, incidenti sul principio di proporzionalità della contribuzione genitoriale.
Invero, la Corte territoriale avrebbe dovuto spiegare perché ciò rispondeva all’interesse dei figli alla luce delle specifiche circostanze del caso concreto che tuttavia non sono illustrate: infatti, non è chiarito perché in concreto ciò esonerava la madre dal provvedere al figlio che stava studiando all’estero (ad es. in ragione di attività lavorativa di questi all’estero, borsa di studio, autonoma e diretta provvidenza del padre, etc.).
Il secondo motivo è inammissibile, in quanto non coglie la ratio decidendi, atteso che la riduzione dell’assegno di mantenimento per figli è stata decisa con esclusivo riferimento al trasferimento del figlio maggiore delle parti in Svezia per motivi di studio, come detto, senza dunque fare menzione del tenore di vita.
Il terzo motivo è fondato, nei sensi di seguito precisati.
La decorrenza della riduzione dell’assegno va disciplinata alla luce del principio già affermato da questa Corte secondo il quale “In ogni ipotesi di riduzione del contributo al mantenimento del figlio a carico del genitore, sulla base di una diversa valutazione, per il passato (e non quindi alla luce di fatti sopravvenuti, i cui effetti operano, di regola, dal momento in cui essi si verificano e viene avanzata domanda), dei fatti già posti a base dei provvedimenti provvisori adottati, è esclusa la ripetibilità della prestazione economica eseguita; il diritto di ritenere quanto è stato pagato, tuttavia, non opera nell’ipotesi in cui sia accertata l’insussistenza “ab origine”, quanto al figlio maggiorenne, dei presupposti per il versamento e sia disposta la riduzione o la revoca del contributo, con decorrenza di regola collegata alla domanda di revisione o, motivatamente, da un periodo successivo (Cass. n. 10974 del 26/04/2023) al quale la Corte di appello si dovrà attenere nel riesame delle specifiche vicende sottoposte al suo esame.
Nella specie, non viene in rilievo ipotesi d’insussistenza ab origine dei presupposti del mantenimento dei figli minori, trattandosi di riduzione dell’assegno per fatti sopravvenuti per i quali dovrebbe comunque valere il principio generale della domanda in appello; tuttavia, la ricorrente assume che l’efficacia della riduzione dovrebbe datare dal trasferimento all’estero del figlio, ma dalla sentenza non si evince la data di tale evento.
Pertanto, la doglianza va accolta, dovendo la Corte territoriale verificare – nell’ambito dell’esame seguente all’accoglimento dei motivi primo e quinto- la data dell’eventuale fatto sopravvenuto ove lo ritenga giustificativo della sollecitata riduzione dell’assegno.
Il quarto motivo è parimenti fondato.
Va osservato che, in materia di rimborso delle spese c.d. straordinarie sostenute dai genitori per il mantenimento del figlio, occorre in via sostanziale distinguere tra: a) gli esborsi che sono destinati ai bisogni ordinari del figlio e che, certi nel loro costante e prevedibile ripetersi, anche lungo intervalli temporali, più o meno ampi, sortiscono l’effetto di integrare l’assegno di mantenimento e possono essere azionati in forza del titolo originario di condanna adottato in materia di esercizio della responsabilità in sede di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio ovvero all’esito di procedimenti relativi ai figli nati fuori del matrimonio, previa una allegazione che consenta, con mera operazione aritmetica, di preservare del titolo stesso i caratteri della certezza, liquidità ed esigibilità; b)le spese che, imprevedibili e rilevanti nel loro ammontare, in grado di recidere ogni legame con i caratteri di ordinarietà dell’assegno di contributo al mantenimento, richiedono, per la loro azionabilità l’esercizio di un’autonoma azione di accertamento in cui convergono il rispetto del principio dell’adeguatezza della posta alle esigenze del figlio e quello della proporzione del contributo alle condizioni economico patrimoniali del genitore onerato in comparazione con quanto statuito dal giudice che si sia pronunciato sul tema della responsabilità genitoriale a seguito di separazione, divorzio, annullamento e nullità del vincolo matrimoniale e comunque in ordine al figli nati fuori dal matrimonio (Cass., n. 379/2021).
Nella specie, la Corte territoriale si è limitata a statuire che il riparto tra le parti al 50% delle spese straordinarie era giustificato dai rispettivi redditi.
In effetti, è irragionevole far gravare le spese straordinarie- intese nella loro accezione più ampia – sugli ex coniugi, senza osservare la proporzionalità del contributo alle rispettive condizioni reddituali-patrimoniali che, nel caso concreto, sono state accertate con squilibrio in netto favore dell’ex marito.
Sesto e settimo motivo, esaminabili congiuntamente poiché tra loro connessi- sono inammissibili in quanto diretti al riesame dei fatti incidenti sulla misura del mantenimento della ricorrente, accertati e valutati esaustivamente dalla Corte territoriale, che ha esaminato in modo approfondito e congruente le differenze reddituali, per cui le censure sollecitano un diverso apprezzamento delle risultanze istruttorie.
Quanto al ricorso incidentale, il primo motivo è inammissibile perché diretto al riesame dei fatti inerenti all’accertamento delle condizioni reddituali-patrimoniali delle parti, avendo la Corte d’Appello esaminato e valutato i vari fatti nella loro complessità.
Il secondo motivo è inammissibile, sia perché sollecita un nuovo accertamento dei fatti inerenti ai presupposti del profilo compensativo-perequativo (ex SU n. 18287/2018), sia in quanto diretto ad una diversa valutazione della prova testimoniale.
Nella specie, va soggiunto che è irrilevante che le decisioni sulle rinunce lavorative dell’ex moglie fossero avvenute senza concertazione con l’ex coniuge. Invero, giova richiamare il principio per cui, in tema di scioglimento del matrimonio, l’assegno divorzile, avendo una funzione compensativo-perequativa, va adeguato all’apporto fornito dal coniuge richiedente che, pur in mancanza di prova della rinuncia a realistiche occasioni professionali-reddituali, dimostri di aver contribuito in maniera significativa alla vita familiare, facendosi carico in via esclusiva o preminente della cura e dell’assistenza della famiglia e dei figli, anche mettendo a disposizione, sotto qualsiasi forma, proprie risorse economiche, come il rilascio di garanzie, o proprie risorse personali e sociali, al fine di soddisfare i bisogni della famiglia e di sostenere la formazione del patrimonio familiare e personale dell’altro coniuge, restando di conseguenza assorbito l’eventuale profilo prettamente assistenziale (Cass., n. 24795/2024).
Il diritto all’assegno divorzile nel profilo perequativo non richiede, dunque, alcuna partecipazione dell’ex marito alle scelte dell’ex coniuge avente diritto.
Il terzo motivo è inammissibile sia perché investe il merito, sia perché introduce questioni nuove (in ordine alle rinunce lavorative dell’ex marito).
Il quarto motivo è parimenti inammissibile.
Nel giudizio divorzile in appello, che si svolge, ai sensi dell’art. 4, comma 15, della L. n. 898 del 1970, secondo il rito camerale, di per sé caratterizzato dalla sommarietà della cognizione e dalla semplicità delle forme, va esclusa la piena applicabilità delle norme che regolano il processo ordinario ed è quindi ammissibile l’acquisizione di nuovi mezzi di prova, in specie documenti, a condizione che sia assicurato un pieno e completo contraddittorio tra le parti (Cass., n. 27234/2020; n. 5876/2012).
Nel caso concreto, la doglianza è priva di rilievo, poiché la produzione tardiva delle note e dei documenti in questione non ne ha precluso l’utilizzabilità, non emergendo la lesione del contraddittorio; né il ricorrente ha dedotto la decisività di tali documenti, lamentando genericamente che essi avrebbero influito sulla decisione relativa allo squilibrio reddituale tra le parti.
Per quanto esposto, in accoglimento dei motivi primo, terzo, quarto e quinto del ricorso principale, inammissibili i motivi secondo, sesto e settimo, la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata per il riesame alla Corte d’Appello, anche in ordine alle spese.
Il ricorso incidentale va dichiarato inammissibile.
Grava sul ricorrente incidentale l’onere del versamento dell’importo ulteriore del contributo unificato, ove dovuto.
La Corte accoglie i motivi primo, terzo, quarto e quinto del ricorso principale, inammissibili i motivi secondo, sesto e settimo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
Dichiara inammissibile il ricorso incidentale.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n.115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Dispone altresì che ai sensi dell’art. 52 del D.Lgs. n. 196/03, in caso di diffusione della presente ordinanza si omettano le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.
Così deciso, in Roma, nella Camera di Consiglio del 13 maggio 2025.
Depositato in Cancelleria il 10 luglio 2025.
