• Home
  • >
  • Cassazione civile sez. I, 10/07/2025, n. 18952

Cassazione civile sez. I, 10/07/2025, n. 18952

Massima

In tema di separazione personale con addebito, la perdita del diritto all’assegno di mantenimento in favore del coniuge a cui sia stata addebitata la separazione, ai sensi dell’art. 156 c.c., costituisce un bilanciamento rimesso alla discrezionalità legislativa tra ragioni di solidarietà e rispetto degli obblighi matrimoniali. A tal proposito, è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale che censuri l’automatismo sanzionatorio di tale perdita, fermo restando il soccorso degli alimenti per il coniuge bisognoso.

Supporto alla lettura

Separazione

In generale, la separazione è una sospensione temporanea del matrimonio e dei suoi effetti civili. La separazione è stata istituita per permettere ai coniugi di trovare una riconciliazione. La separazione di fatto è determinata dall’interruzione volontaria della vita matrimoniale dei coniugi, in seguito al raggiungimento di un accordo, anche se quest’ultimo non ha una validità giuridica (se non quando i coniugi richiedono l’omologazione del Tribunale). Invece, la separazione legale è caratterizzata dall’intervento del Giudice, dell’Ufficiale di stato Civile o degli avvocati, in caso di negoziazione assistita. Esistono due tipi di separazione legale, quella consensuale in cui i coniugi sono d’accordo su come regolare i loro rapporti e chiedono che il Tribunale prenda atto della loro volontà e quella giudiziale in cui invece questo accordo non c’è ed è il Tribunale che decide, dopo gli opportuni accertamenti, le condizioni della separazione. Dal 2014 con l’art. 12 legge 10.11.2014 n. 162 i coniugi che arrivano ad una separazione consensuale, possono scegliere di:

  • presentare la domanda (ricorso) congiunta al Tribunale, attivando la procedura già regolata dal codice civile, oppure
  • intraprendere la procedura di negoziazione assistita da almeno due avvocati, uno per ogni coniuge, secondo le nuove disposizioni della legge

Inoltre, solo per il caso in cui non vi siano figli minori, figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 ovvero economicamente non autosufficienti, i coniugi possono optare per la procedura avanti all’Ufficiale dello Stato civile del Comune di residenza. Con la ”Riforma Cartabia” si sono introdotte nuove norme affinché tutte le controversie relative alla famiglia, e quindi anche la separazione ed il divorzio, vengano affrontate utilizzando un unico rito processuale, prevedendo inoltre che in un prossimo futuro sia istituito il Tribunale della famiglia, che si occuperà specificamente dei procedimenti in materia di relazioni familiari, persone e minorenni. La domanda dovrà essere proposta al Tribunale del luogo di residenza abituale dei figli minori, dovrà essere corredata da un piano genitoriale che indica gli impegni e le attività quotidiane dei figli relative alla scuola, al percorso educativo, alle attività extrascolastiche, alle frequentazioni abituali e alle vacanze normalmente godute.

Ambito oggettivo di applicazione

RILEVATO CHE:
Il Tribunale di Firenze, con sentenza n.1536/2023, pronunciò la separazione personale con addebito alla moglie, nel giudizio introdotto da (omissis) nei confronti di (omissis), con la quale aveva contratto matrimonio concordatario in Firenze il 4/7/1998 in regime di separazione dei beni, dalla cui unione erano nati tre figli, (omissis), in data (omissis), (omissis)., in data (omissis) e (omissis)., in data (omissis), oramai tutti maggiorenni ma non autosufficienti.

Anche (omissis) aveva depositato analogo ricorso per separazione, poi riunito.

Ai sensi dell’art. 156 c.c., stante la pronuncia di addebito a carico della moglie, non vennero ritenuti sussistenti i presupposti di legge per il riconoscimento di un assegno di mantenimento in suo favore.

Quanto alla contribuzione al mantenimento dei tre figli, tutti conviventi con la madre fino all’introduzione della causa, divenuti maggiorenni ma non ancora autonomi, in base al dovere ex artt. 147 c.c. e 337 ter c.c., di provvedere al mantenimento della prole in ragione delle proprie sostanze, il Tribunale aveva disposto che il padre versasse alla madre quale contribuzione al mantenimento indiretto di ciascuno dei figli l’importo di 1.500 Euro mensili, oltre rivalutazione annuale ISTAT, così riducendo l’importo dell’assegno vigente.

Quanto al figlio maggiorenne, l’importo era dovuto a decorrere dal 24/4/2015 – data del deposito del ricorso (omissis) – sino al 01/05/2020 (data coincidente con il trasferimento di (omissis) dal padre) e quanto alle figlie (omissis) e (omissis), a decorrere dal 24/4/2015 – data del deposito del ricorso (omissis) – sino al 21/12/2020 – data di emissione dell’ordinanza presidenziale nel giudizio di divorzio.

Quanto alle spese straordinarie, da individuarsi secondo le Linee Guida del CNF del 2017, tenuto conto “dell’impostazione correlativamente data dai coniugi in costanza di convivenza al sostentamento delle spese familiari in via esclusiva da parte del (omissis)”, veniva stabilito che il padre se ne facesse carico, dalla data del deposito del ricorso (omissis) sino al 21/12/2020 (data di emissione dell’ordinanza presidenziale di divorzio), nella misura del 100%.

Venne proposto appello dalla moglie.

La Corte di appello di Firenze, con la sentenza qui impugnata, per quanto di interesse, ha respinto l’appello confermando l’addebito e il mancato riconoscimento dell’assegno ex art. 156 c.c., in aderenza alle argomentazioni svolte dal Tribunale, previa analitica disamina degli esiti dell’istruttoria.

(omissis) ha proposto ricorso chiedendo la cassazione della sentenza impugnata con sei motivi, illustrati con memoria.

(omissis) ha replicato con controricorso e memoria.

CONSIDERATO CHE:
2. – I primi cinque motivi del ricorso prospettano le seguenti censure:I) Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 143 e 151,2 comma c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. articolato in tre sotto-motivi di ricorso (i) per avere, la Corte di appello di Firenze, ritenuto che le presunte infedeltà (peraltro non dimostrate, come esposto nei successivi motivi) commesse nel 2009 e 2010 fossero rilevanti per addebitare la separazione alla moglie, quando invece, per stessa ammissione del marito, erano state perdonate da questo ultimo; (ii) per avere la Corte di appello ritenuto che la presunta infedeltà del febbraio 2014, dichiarata dal marito come momento in cui egli si è determinato, per la prima volta, a separarsi, fosse stata determinante ad addebitare la separazione alla moglie nonostante la già maturata crisi coniugale e la programmata separazione di fatto (dimostrata con il fatto che i coniugi si erano recati dall’avvocato tre mesi addietro e la moglie aveva in quella occasione chiesto di separarsi e nonostante fosse stata concordata tra i coniugi la separazione di fatto con conseguente predisposizione del trasloco dalla casa coniugale in un’altra abitazione), e infine (iii) per aver la Corte di appello trattato l’istituto dell’addebito come un diritto indisponibile dei coniugi in quanto ritenuto che il tradimento debba considerarsi idoneo a far addebitare la separazione anche se questo perdonato o anche nella ipotesi in cui il presunto tradimento si inserisca in un matrimonio già in forte crisi.

II) Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 143 e 151, secondo comma c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. per avere, la Corte di appello di Firenze, ritenuto che il venir meno dell’affectio coniugalis da parte del coniuge successivamente fedifrago, non rappresentasse una situazione idonea a qualificare il matrimonio comunque in crisi e che il matrimonio potesse considerarsi invece ancora armonioso.

III) Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 244 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c. per avere ammesso e supportato la domanda di addebito in forza di capitoli di prova per testi non specifici e determinati e soprattutto non collocati univocamente nel tempo e nello spazio.

IV) Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. per aver ritenuto soddisfatta la dimostrazione della domanda di addebito ex art. 151 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. su fatti che non possono assurgere a condotte contrarie agli obblighi matrimoniali.

V) Travisamento della prova inerente all’addebito in relazione all’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c. in quanto la sentenza ha travisato le prove a supporto dell’addebito.

I motivi vanno trattati congiuntamente e vanno dichiarati inammissibili perché meritali.

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione: il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (tra le tante Cass. n.24054/2017).

Nel caso di specie, la ricorrente, nel dolersi della violazione degli artt. 143 e 151 c.c. nonché della violazione delle altre norme indicate nelle rubriche dei plurimi motivi di ricorso, censura, in realtà, la ricostruzione fattuale, prospettandone una diversa da quella accertata dai giudici di merito tramite una differente valutazione delle risultanze di causa e sollecita un riesame ed un diverso apprezzamento della congerie istruttoria, già puntualmente esaminata dalla Corte di merito. Anche l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora i fatti storici, rilevanti in causa (nella specie le condotte dell’odierno ricorrente e la loro incidenza causale sulla crisi familiare), siano stati comunque presi in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. tra le tante Cass. S.U. 8053/2014; Cass. n. 27415 del 2018).

A ciò si aggiunga che, in tema di procedimento civile, sono riservate al giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonché la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento. È, pertanto, insindacabile, in sede di legittimità, il “peso probatorio” di alcune testimonianze rispetto ad altre, in base al quale il giudice di secondo grado sia pervenuto a un giudizio logicamente motivato (Cass.21187/2019).

Alla stregua dei suesposti principi, le articolate censure svolte in ricorso sono in realtà impropriamente dirette a sollecitare un riesame del materiale probatorio, ossia in buona sostanza a criticare il “peso probatorio” attribuito alle plurime testimonianze, su cui la Corte di merito ha principalmente fondato il proprio convincimento, spiegandone, con adeguata motivazione, le ragioni, all’esito di dettagliata disamina e raffronto del contenuto delle stesse e dei diversi episodi, tutti desunti dalle testimonianze, dalla relazione investigativa e dalla conversazione tra i due coniugi registrata in occasione dell’episodio del 17 febbraio 2014 (fol. 15/16 della sent. imp.), quanto alle condotte violative dell’obbligo di fedeltà da parte della moglie ed al nesso di causalità rispetto all’irrimediabile deterioramento del rapporto coniugale, ancora non manifestatosi in occasione dell’incontro precedentemente avvenuto presso uno studio legale per un consiglio legale cui non erano seguiti – come afferma la Corte di merito – quantomeno fino al febbraio 2014, significativi ulteriori fatti e circostanze, talché non vi si può certo ricollegare l’ipotizzata e ormai insorta volontà di separarsi.

Va aggiunto che non merita condivisione la censura proposta in relazione all’art. 244 cpc perché la Corte di appello, con adeguata motivazione, ha illustrato che i capitoli di prova, lungi dall’essere nulli, offrivano sufficienti elementi atti a circostanziare temporalmente e a collocare spazialmente gli episodi in ordine ai quali i testi dovevano essere escussi, ciò in disparte la evidente carenza, sul piano della specificità, del motivo che non riporta il contenuto dei capitoli di prova necessario per poterne apprezzare la eventuale decisività.

Né coglie nel segno la censura con cui è ipotizzato il travisamento della prova, poiché il travisamento del contenuto oggettivo della prova – che ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé e non di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio – trova il suo istituzionale rimedio nell’impugnazione per revocazione per errore di fatto, laddove ricorrano i presupposti richiesti dall’art. 395, n. 4, c.p.c., mentre – se il fatto probatorio ha costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare e, cioè, se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti – il vizio va fatto valere ai sensi dell’art. 360, n. 4, o n. 5, c.p.c., a seconda che si tratti di fatto processuale o sostanziale (Cass. Sez. U. n. 5792 del 05/03/2024): ebbene, nel presente caso, la censura non prospetta né il travisamento del fatto probatorio in sé, né il travisamento riflette la lettura del fatto probatorio, ma sollecita un diverso apprezzamento del materiale probatorio ed un inammissibile riesame del merito.

4.- Il sesto motivo denuncia la violazione dell’art. 156 c.c. là dove è stata respinta la domanda di assegno di mantenimento a favore della moglie. La censura è svolta sollecitando la proposizione di questione incidentale di costituzionalità in quanto, a parere della ricorrente, la perdita del diritto all’assegno di mantenimento, in caso di pronuncia di addebito, è sanzione che deve essere dichiarata incostituzionale in quanto lede il principio di parità di trattamento.

Il sesto motivo pone la questione, in diritto, della perdita dell’assegno di mantenimento per il coniuge cui sia stata addebitata la separazione.

Su questo si innesta il dubbio di legittimità costituzionale.

Il motivo è infondato.

A parere della ricorrente, l’automatismo della perdita del diritto al mantenimento, in caso di pronuncia di addebito della separazione, sarebbe incostituzionale perché contrastante con la solidarietà coniugale.

La questione, rilevante perché la norma è applicabile, è, tuttavia, manifestamente infondata.

C’è un bilanciamento rimesso alla discrezionalità legislativa nella ponderazione tra ragioni della solidarietà e rispetto degli obblighi che derivano dal matrimonio; e le ragioni della solidarietà non sono assolutamente neglette o conculcate, perché al coniuge separato, se bisognoso, non manca il soccorso degli alimenti.

5.- In conclusione, il ricorso va rigettato.

Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del D.P.R. 115 del 2002, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, ove dovuto (Cass. S.U. n. 5314/2020).

Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52.

P.Q.M.
– Rigetta il ricorso;– Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in Euro 3.500,00, oltre Euro 200,00 per spese generali;

– Ai sensi dell’art.13, comma 1-quater del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, ove dovuto;

– Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Prima Sezione Civile, il 21 maggio 2025.

Depositato in Cancelleria il 10 luglio 2025.

Allegati

    [pmb_print_buttons]

    Accedi