1. A seguito di ricorso da parte di Ma.Mi. il Tribunale di Bologna con sentenza n. 1353/2023 pronunciava la cessazione degli effetti civili del matrimonio celebrato con St.Si. in data (…) confermando l’affido condiviso della figlia minore Ca. (n. nel 2008) e l’assegnazione della casa coniugale alla St.Si. ponendo a carico del padre l’obbligo di contribuire nel mantenimento ordinario dei figli con il versamento della somma complessiva di Euro 2.400 al mese, oltre al 70% delle spese straordinarie. Per quanto qui rileva il Tribunale bolognese poneva carico del Ma.Mi. il pagamento dell’assegno divorzile a favore della ex moglie pari a Euro 500 mensili.
2. Proposto gravame da parte del Ma.Mi. la Corte d’Appello di Bologna, in parziale riforma della statuizione di primo grado, revocava l’assegno divorzile in favore della St.Si. confermando nel resto le statuizioni del Tribunale con compensazione integrale delle spese di lite del primo e secondo grado.
3. Per quanto qui rileva la Corte d’Appello ha escluso che nel caso di specie sussistano i presupposti per il riconoscimento di un assegno divorzile non risultando provata l’eventuale rinuncia ad aspettative professionali migliorative da parte della moglie che, dopo la decisione di non lavorare per il periodo matrimoniale, aveva ripreso la sua attività lavorativa pregressa che le consentiva l’autonomia reddituale , vivendo anche nella ex casa coniugale di cui il marito le ha trasferito la sua quota di proprietà, trasferimento al quale non era sicuramente obbligato pur ammettendo l’eventuale aiuto economico all’inizio della vita coniugale fornito da parte della famiglia della moglie per l’acquisto della casa stessa (pag. 12 della sentenza).
4. Avverso la sentenza d’appello n.215/2024 del 30.1.2024 notificata il 27.2.2024 St.Si., dato atto di avere anche proposto contro la sentenza della Corte d’Appello di Bologna giudizio per revocazione ai sensi dell’art. 395, n.4 cod. proc. civ. lamentando l’esistenza di due errori di fatto, ha proposto ricorso per cassazione notificato il 29.4.2024, affidato a due motivi, cui resiste Ma.Mi. con tempestivo controricorso.
5. Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.
6. Con il primo motivo di ricorso, si chiede la cassazione della sentenza impugnata per violazione o falsa applicazione dell’art. 5, legge n. 898/1970, come interpretato dalla giurisprudenza di legittimità dal 2018 in poi.
6.1. La Corte d’Appello di Bologna, infatti, non ha riconosciuto alla ricorrente (coniuge economicamente più debole) l’assegno divorzile, nella sua componente perequativa-compensativa, pur a fronte dell’incontestato contributo fornito e del sacrificio sopportato dalla ricorrente stessa, la quale, per circa 15 anni, ha lasciato il lavoro per dedicarsi in via esclusiva alla cura della famiglia (marito e tre figli), facendo apodittico e decontestualizzato riferimento a una autonomia reddituale di per sé non determinante e, peraltro, basata su un presupposto di fatto non esistente.
7. Con il secondo motivo di ricorso, si fa valere la nullità della sentenza impugnata (in relazione all’art. 360, n. 4 e n. 5 cod. proc. civ.) a causa dei vizi della relativa motivazione.
7.1. Si tratta, infatti, di una motivazione in contrasto con le previsioni degli artt. 132,115 e 116 c. p. c. e 2697 c. c., in quanto solo apparente e mancante dell’esplicitazione di una coerente ratio decidendi e, comunque, contenendo tale motivazione argomentazioni insanabilmente contraddittorie od obiettivamente incomprensibili.
7.2. In ogni caso, lamenta la ricorrente che la motivazione è insanabilmente viziata per avere la corte territoriale ritenuto che ella non avesse fornito la prova del sacrificio di proprie aspettative professionali, senza, tuttavia, neppure esaminare le istanze istruttorie che la stessa aveva formulato sin dal primo grado di giudizio”.
7.3. Il controricorrente eccepisce l’inammissibilità del ricorso in quanto tendente ad una rivalutazione dei fatti e dei documenti di causa.
8. I due motivi, strettamente connessi, possono essere esaminati congiuntamente e sono fondati.
9. Le modifiche più significative apportate all’art. 5, comma 6, L. 898/1970 dall’art. 10, comma 1, L. 74/1987 attengono all’accorpamento nella prima parte della norma degli elementi di rilievo – quali “le condizioni dei coniugi”, il “reddito di entrambi” (relativi al criterio assistenziale), “il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno e di quello comune” (attinente al criterio compensativo) e le “ragioni della decisione” (relative al criterio risarcitorio) – di cui il giudice deve “tenere conto”, anche in rapporto alla durata del matrimonio, nel disporre l’assegno di divorzio, quando l’ex coniuge che richieda l’assegno non abbia mezzi adeguati e non possa procurarseli per ragioni obiettive. Questi indicatori prefigurano una funzione, oltre che assistenziale, anche perequativa e riequilibratrice dell’assegno di divorzio che dà attuazione al principio di solidarietà posto a base del diritto del coniuge debole (Cass. Sez. U. n.18287/2018; Cass. n. 35434/2023; Cass. n.4328/2024).
9.1. A tal fine il giudice deve accertare l’adeguatezza dei mezzi “attraverso l’applicazione dei criteri di cui alla prima parte della norma i quali costituiscono il parametro di cui si deve tener conto per la relativa attribuzione e determinazione, ed in particolare, alla luce della valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all’età dell’avente diritto”.
9.2. I criteri di cui all’art.5, comma 6, legge cit. costituiscono, nel loro complesso, il parametro di riferimento tanto della valutazione relativa all’an debeatur quanto di quella relativa al quantum debeatur: l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi economici a disposizione del richiedente, prescritto ai fini della prima operazione, deve aver luogo mediante una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti che tenga conto anche del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all’età dello avente diritto, tutto ciò in conformità della funzione non solo assistenziale, ma anche compensativa e perequativa dell’assegno divorzile, discendente direttamente dal principio costituzionale di solidarietà.
9.3. Si è inoltre chiarito come “l’autoresponsabilità deve infatti percorrere tutta la storia della vita matrimoniale e non comparire solo al momento della sua fine: dal primo momento di autoresponsabilità della coppia, quando all’inizio del matrimonio (o dell’unione civile) concordano tra loro le scelte fondamentali su come organizzarla e le principali regole che la governeranno; alle varie fasi successive, quando le scelte iniziali vengono più volte ridiscusse ed eventualmente modificate, restando l’autoresponsabilità pur sempre di coppia. Quando poi la relazione di coppia giunge alla fine, l’autoresponsabilità diventa individuale, di ciascuna delle due parti: entrambe sono tenute a procurarsi i mezzi che permettano a ciascuno di vivere in autonomia e con dignità, anche quella più debole economicamente. Ma non si può prescindere da quanto avvenuto prima dando al principio di autoresponsabilità un’importanza decisiva solo in questa fase, ove finisce per essere applicato principalmente a danno della parte più debole”.
9.4. La funzione perequativo-compensativa dell’assegno dà attuazione al principio di solidarietà posto a base del diritto del coniuge debole, con la conseguenza che detto assegno deve essere riconosciuto, in presenza della precondizione di una rilevante disparità della situazione economico-patrimoniale tra gli ex coniugi, non solo quando vi sia una rinuncia a occasioni professionali da parte del coniuge economicamente più debole frutto di un accordo intervenuto fra i coniugi, ma anche nelle ipotesi di conduzione univoca della vita familiare – che, salvo prova contraria, esprime una scelta comune tacitamente compiuta dai coniugi – a fronte del contributo, esclusivo o prevalente, fornito dal richiedente alla formazione del patrimonio familiare e personale dell’altro coniuge, anche sotto forma di risparmio di spesa (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 4328 del 19/02/2024; id. 32354/2024).
9.5. Ciò posto, la corte territoriale ha argomentato il rigetto dell’assegno divorzile sulla base della mancata prova della rinuncia ad aspettative professionali migliorative da parte della St.Si. e dell’asserito trasferimento da parte del marito della sua quota di proprietà dell’ex casa coniugale in assenza di alcun obbligo in tal senso e pertanto beneficiando di un’elargizione rilevante sotto il profilo perequativo-compensativo, come allegato dal Ma.Mi..
9.6. I due elementi valorizzati sono entrambe contestati e riguardo al secondo va detto che, oltre alla ricorrente, è lo stesso controricorrente a chiarire di non avere ceduto la sua quota di comproprietà ma di avere allegato di avere adempiuto alla funzione perequativa con l’intestazione della quota del 50% alla moglie al momento dell’originario acquisto dell’immobile, acquisto che afferma essere avvenuto interamente con propri mezzi economici circostanza contestata dalla ricorrente.
9.7. Con riguardo al ritenuto mancato assolvimento dell’onere probatorio va rilevato che la corte territoriale ha richiamato un precedente delle sezioni unite di questa Corte (Sez. Un. n. 32198/2021) pronunciato tuttavia in diversa fattispecie di richiesta di assegno divorzile da parte di ex coniuge che ha intrapreso nuova convivenza dalla quale è altresì nato altro figlio.
9.8. In realtà la Corte di cassazione ha più appropriatamente chiarito che l’assegno divorzile, presuppone l’accertamento, anche mediante presunzioni, che lo squilibrio effettivo e di non modesta entità delle condizioni economico-patrimoniali delle parti sia causalmente riconducibile, in via esclusiva o prevalente, alle scelte comuni di conduzione della vita familiare (Cass. 35434/2023) e che, avendo una funzione compensativo-perequativa, va adeguato all’apporto fornito dal coniuge richiedente che, pur in mancanza di prova della rinuncia a realistiche occasioni professionali-reddituali, dimostri di aver contribuito in maniera significativa alla vita familiare, facendosi carico in via esclusiva o preminente della cura e dell’assistenza della famiglia e dei figli, anche mettendo a disposizione, sotto qualsiasi forma, proprie risorse economiche, come il rilascio di garanzie, o proprie risorse personali e sociali, al fine di soddisfare i bisogni della famiglia e di sostenere la formazione del patrimonio familiare e personale dell’altro coniuge, restando di conseguenza assorbito l’eventuale profilo prettamente assistenziale (Cass. 24795/2024).
9.9. Ne consegue che detto assegno deve essere riconosciuto, in presenza della precondizione di una rilevante disparità della situazione economico-patrimoniale tra gli ex coniugi, non solo quando la rinuncia a occasioni professionali da parte del coniuge economicamente più debole sia il frutto di un accordo intervenuto fra i coniugi, ma anche nelle ipotesi di conduzione univoca della vita familiare – che, salvo prova contraria, esprime una scelta comune tacitamente compiuta dai coniugi – a fronte del contributo, esclusivo o prevalente, fornito dal richiedente alla formazione del patrimonio familiare e personale dell’altro coniuge, anche sotto forma di risparmio (Cass. 4328/2024).
10. Come sin qui emerge, il quadro interpretativo utilizzato dalla corte di merito non è appropriato alla fattispecie in esame e pertanto la doglianza, oltre che ammissibile in quanto attiene alla corretta interpretazione del parametro normativo, è anche fondata.
10.1. La corte bolognese avrebbe dovuto considerare se la rilevata disparità dei redditi fra gli ex coniugi (cfr. pag. 10 ultimo cpv.) sia casualmente riconducibile in via esclusiva o prevalente alle scelte comuni di conduzione della vita familiare, alla definizione dei ruoli dei componenti la coppia coniugata, al sacrificio delle aspettative lavorative e professionali di uno dei coniugi, alla luce di un concetto di “autoresponsabilità” che deve aver presente l’intero andamento della vita matrimoniale e le scelte della ripartizione dei ruoli familiari espressamente o tacitamente condivise. La dedizione esclusiva alla cura della famiglia, che potrebbe essere conseguita anche ad una scelta comune tacitamente compiuta dai coniugi, non è stata presa in considerazione ai fini perequativi.
10.2. La censura della ricorrente è fondata anche in relazione alla motivazione circa il ritenuto trasferimento del 50% della quota di proprietà del controricorrente della ex casa coniugale. Sussiste infatti un’intrinseca contraddittorietà fra il tenore letterale del riferimento fatto dalla corte felsinea “al trasferimento della sua quota di proprietà, trasferimento al quale non era sicuramento obbligato pur ammettendo l’eventuale aiuto economico all’inizio della vita coniugale fornito da parte della famiglia della moglie per l’acquisto della casa stessa ” e la incontroversa circostanza, dedotta da entrambe le parti, del mancato trasferimento da parte del Ma.Mi. della quota del 50% di sua proprietà della ex casa coniugale alla ex moglie. In proposito è la stessa sentenza impugnata che nl dare conto del secondo e terzo motivo di gravame proposti dal Ma.Mi. enuncia che l’appellante ” allega al riguardo di avere già ampiamente assolto ai suoi doveri per un contributo con funzione compensativo-perequativa mediante l’intestazione in favore della St.Si. nella misura del 50% della casa coniugale, da lui esclusivamente acquistata attraversi i propri risparmi ed i proventi della propria attività lavorativa in tal modo confluiti nel patrimonio individuale della ex coniuge.”
11. In definitiva il ricorso va accolto e la sentenza cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Bologna in diversa composizione per riesame alla luce dei sopra enunciati principi oltre che per le spese di legittimità.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Bologna in diversa composizione anche per le spese del giudizio di legittimità.
In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalità e gli altri elementi identificativi a norma dell’art.52, comma 2, D.Lgs. 196/2003.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 13 maggio 2025.
Depositata in Cancelleria il 9 luglio 2025.
