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Cassazione civile sez. I, 09/06/2023, n. 16377

Massima

Il c.d. “mutuo solutorio”, ovvero il contratto di mutuo stipulato allo scopo di ripianare una pregressa esposizione debitoria del mutuatario nei confronti del mutuante (banca), non è nullo.

Supporto alla lettura

CONTRATTO DI MUTUO

Il mutuo è un contratto reale mediante il quale una parte (c.d. mutuante) consegna all’altra (c.d. mutuatario) una determinata quantità di denaro o altre cose fungibili, con l’obbligo per il mutuatario di restituire altrettante cose della stessa specie e qualità.

Fondamentalmente esistono il contratto di mutuo fondiario e quello ipotecario, la differenza principale riguarda la finalità:

– il mutuo fondiario è destinato a finanziare l’acquisto di un immobile e prevede solitamente condizioni più vantaggiose, soprattutto per le spese notarili;

– il mutuo ipotecario, invece, comprende più opzioni, come acquisto, ristrutturazione, liquidità e consolidamento debiti. Se il mutuo fondiario è anche ipotecario, non vale invece il viceversa.

Al contratto di mutuo vengono allegati il piano di ammortamento del capitale e il c.d. “capitolato delle condizioni generali”, contenente le clausole comuni a tutti i mutui erogati dalla banca.

Ambito oggettivo di applicazione

Svolgimento del processo

Che:

La Banca Popolare dell’Irpinia, con contratto del 15 maggio 1992, concesse a (omissis) Srl (società capofila del Gruppo (omissis)) un mutuo ipotecario per l’importo di Lire 3.000.000.000, garantito dalle fideiussioni prestate da (omissis) Srl , (omissis) Srl , (omissis) e (omissis) Srl e da (omissis), amministratore delle società.

La somma mutuata sarebbe dovuta servire a ripianare lo scoperto dei conti correnti affidati intrattenuti con la banca dai fideiussori, tanto che, ancor prima della stipula del contratto, (omissis) ne dispose il giroconto, per gli importi necessari pro quota al rientro dalle esposizioni extra-fido, dal conto ad essa intestato a quelli dei garanti.

Nel 1996 Banca Popolare dell’Irpinia chiese ed ottenne dal Tribunale di Avellino l’emissione di un Decreto Ingiuntivo nei confronti di (omissis) Srl , quale debitrice principale, nonchè di (omissis) Srl , (omissis) Srl e di (omissis), per il pagamento della somma di Lire 3.737.846.222, quale residuo importo per capitale, interessi e spese, dovutole in forza del mutuo ipotecario.

Al giudizio instaurato a seguito dell’opposizione al provvedimento monitorio proposta dagli ingiunti fu riunito quello separatamente promosso da (omissis) contro la banca per sentir dichiarare la nullità del contratto di mutuo, per illiceità della causa, o, in subordine, la sua annullabilità per dolo della convenuta e per sentir condannare quest’ultima al risarcimento dei danni.

Secondo la debitrice principale e secondo i garanti, Banca Popolare dell’Irpinia, – nel frattempo divenuta Banca della Campania Spa , ora BPER Banca s.p.a -, contravvenendo agli accordi raggiunti, aveva reso indisponibili le somme mutuate, in quanto subito dopo la loro erogazione aveva azzerato le esposizioni dei conti correnti e revocato tutti gli affidamenti in essere. Si era, in sostanza, trattato di un c.d. “mutuo di consolidamento”, erogato dall’istituto di credito esclusivamente per saldare pregresse passività: il contratto doveva perciò ritenersi fraudolentemente preordinato a tale scopo, anzichè a consentire il ripianamento dello scoperto dei singoli conti e l’utilizzo da parte della mutuataria dell’importo residuo, con conseguente violazione dell’art. 1814 c.c., nonchè dell’art. 1439 c.c..

Nei giudizi riuniti si costituirono successivamente i curatori dei Fallimenti di (omissis), (omissis) e (omissis), nel frattempo dichiarati, facendo proprie le domande già avanzate dalle fallite, e intervenne volontariamente il socio di (omissis) (omissis) (deceduto in corso di causa e in cui luogo si costituirono gli eredi) chiedendo il risarcimento dei danni derivatigli dal fallimento della società.

Il Tribunale di Avellino, con una prima sentenza non definitiva del 29 dicembre 2009 dichiarò “la validità e l’efficacia dell’intera operazione contrattuale, e quindi del contratto di mutuo e la sussistenza del diritto al risarcimento dei danni”; quindi, con la sentenza definitiva del 21 febbraio 2012, condannò la Banca convenuta al risarcimento dei danni in favore dei Fallimenti di (omissis), (omissis) e (omissis) e di (omissis), mentre dichiarò inammissibile l’atto di intervento di (omissis).

Le pronunce, impugnate in via principale dalla banca soccombente e in via incidentale dai Fallimenti di (omissis), (omissis) e (omissis) e da (omissis), sono state riformate dalla Corte di Appello di Napoli, che, con sentenza del 31.10.2016: ha rigettato tutte le domande proposte dai Fallimenti e da (omissis); ha revocato il decreto ingiuntivo e dichiarato l’improcedibilità della domanda di pagamento con esso avanzata dalla Banca Popolare della Campania contro le società successivamente fallite; ha condannato (omissis) a pagare alla Banca la somma di Euro 1.689.795,94 oltre interessi sul capitale nel rispetto del tasso soglia.

Per quanto ancora rileva, il giudice di secondo grado ha in primo luogo condiviso l’accertamento del tribunale in ordine alla validità del mutuo, evidenziando in fatto che il contratto si era perfezionato con l’accredito della somma mutuata sul conto corrente di (omissis) (laddove il prelievo da parte della Banca di somme superiori a quelle sufficienti a coprire le esposizioni debitorie eccedenti i fidi concessi atteneva ad un momento logicamente successivo alla sua conclusione) ed osservando in diritto che non v’è alcuna norma imperativa che impedisca il risultato economico perseguito dalla mutuante, ovvero la tutela delle precedenti posizioni creditorie attraverso la loro estinzione e la costituzione di un nuovo credito a più lungo termine ma garantito da ipoteca; ha quindi affermato che l’azione di annullamento del mutuo, astrattamente ipotizzabile nel caso in cui fosse risultato che (omissis), nella qualità di amministratore di (omissis), ove informato delle intenzioni della creditrice, non lo avrebbe stipulato, era preclusa dalla tacita convalida del contratto, al quale lo stesso (omissis) aveva dato esecuzione non solo non sollevando contestazioni dopo aver ricevuto comunicazione della revoca degli affidamenti, ma, soprattutto, provvedendo al pagamento dei primi dodici ratei previsti a rimborso; ha infine ritenuto fondata la doglianza della Banca secondo cui le domande risarcitorie erano state proposte negli atti introduttivi dei giudizi unicamente in termini consequenziali rispetto a quelle di invalidità del contratto e solo tardivamente, ovvero dopo la chiusura della fase di trattazione e il deposito delle memorie ex art. 184 c.p.c., sotto il diverso profilo della responsabilità precontrattuale dell’istituto di credito, comportante un nuovo tema di indagine ormai precluso.

(omissis) ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza, affidato a tre motivi, cui BPER Banca Spa ha resistito con controricorso.

Nel corso del giudizio di legittimità, si è costituito in giudizio (omissis), nella qualità di unico erede di (omissis), deceduto.

Entrambe le parti hanno depositato le memorie ex art. 380 bis.1 c.p.c..

Motivi della decisione

Che:

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degliartt. 1418, 1813, 1814 e 1344 c.c., deducendo che, nonostante gliartt. 1813 e 1814 c.c., individuino il momento perfezionativo del contratto di mutuo nella consegna materiale del danaro al mutuatario, nel caso di specie, la somma finanziata non era mai entrata nella effettiva disponibilità di (omissis), essendo stata erogata al solo scopo di ripianare le pregresse esposizioni debitorie della società e dei garanti; a dire del ricorrente, a ciò conseguirebbe la nullità del contratto per difetto di causa, intesa come interesse concretamente perseguito dalle parti, a norma dell’art. 1418 c.c..

Sotto altro profilo, il ricorrente assume che si trattava di contratto nullo anche perchè stipulato in frode alla legge, in quanto concluso al solo fine dell’illecita costituzione di garanzia ipotecarie e fideiussorie su debiti pregressi, a più riprese sanzionata da questa Corte.

Deduce, infine, che la nullità del mutuo comporta la nullità della fideiussione prestata sino all’ammontare di Lire 2.000.000.000.

2. Il motivo è infondato.

Anche recentemente, questa Corte (vedi Cass. n. 23149/2022) ha enunciato il principio di diritto secondo cui il cd. “mutuo solutorio”, stipulato per ripianare la pregressa esposizione debitoria del mutuatario verso il mutuante, non è nullo – in quanto non contrario nè alla legge, nè all’ordine pubblico – poichè l’accredito in conto corrente delle somme erogate è sufficiente ad integrare la “datio rei” giuridica propria del mutuo e il loro impiego per l’estinzione del debito già esistente purga il patrimonio del mutuatario di una posta negativa (conf. Cass. n. 37654/2021).

La sentenza richiamata costituisce sviluppo del consolidato orientamento di legittimità secondo cui lo scopo del finanziamento non entra nella causa del contratto, che è data dall’immediata disponibilità di denaro a fronte della concessione di garanzia ipotecaria immobiliare, con restituzione della somma oltre il breve termine, nei limiti ed alle condizioni previste dalla normativa secondaria di settore, con conseguente liceità del contratto stipulato dal mutuatario per sanare debiti pregressi verso la banca mutuante (cfr. Cass. n. 19282/2014; Cass. n. 28663/13).

E’ stato anche precisato che, in caso di stipula del contratto di mutuo con contestuale concessione d’ipoteca sui beni del mutuatario, ove l’importo pattuito, pur effettivamente erogato, venga utilizzato per l’estinzione del precedente debito chirografario, l’intera operazione non integra un negozio in frode alla legge, ma è semmai impugnabile per revocatoria, in presenza dei relativi presupposti, in quanto diretta per un verso ad estinguere con mezzi anormali la precedente obbligazione, e per altro verso a costituire una garanzia per il debito preesistente, dovendosi ravvisare il vantaggio conseguito dalla banca non già nella stipulazione del mutuo, ma nell’impiego dello stesso come mezzo per la ristrutturazione di un passivo almeno in parte diverso (cfr. Cass., Sez. I, nn. 4694/2021, 19746/2018, 4202/2018, 3955/2016).

Peraltro, questa Corte, con la sentenza n. 4694/2021 cit., nel ribadire l’assoggettabilità a revocatoria del mutuo ipotecario stipulato per l’estinzione di un precedente debito chirografario, ha precisato che tale operazione va tenuta ben distinta da quella volta al rifinanziamento del debitore: il ricorso al credito come mezzo di ristrutturazione del debito è, infatti, previsto dalla stessa normativa vigente, che a mezzo della L. Fall., artt. 182-bis e 182-quater, consente di rinegoziare i finanziamenti bancari anche nei riguardi dei debiti scaduti, costituendo elemento caratteristico di tali operazioni non solo (e non tanto) l’effettiva erogazione di nuova liquidità da parte della banca, funzionale all’azzeramento della preesistente esposizione debitoria (con costituzione a tutela della banca di una garanzia non contestuale), ma la rimodulazione dei rapporti anteriori per il tramite di nuove condizioni negoziali, riguardanti, ad esempio, il tasso di interesse o rinnovate tempistiche dei pagamenti.

In proposito, la sentenza impugnata ha evidenziato a pag. 30 che nell’operazione di cui è causa (a prescindere dai successivi sviluppi che hanno condotto alla revoca di tutti gli affidamenti bancari) erano ben presenti gli elementi del rifinanziamento, atteso che, per effetto della stipula del mutuo, i garanti erano stati liberati delle loro precedenti obbligazioni, era stato concesso un termine più lungo di sette anni per la graduale estinzione del debito, con la previsione di un tasso di interessi inferiore rispetto a quello previsto in sede di affidamento.

In conclusione, che si voglia configurare l’operazione per cui è causa come mero mutuo finalizzato ad estinguere passività pregresse o come rifinanziamento, il contratto deve considerarsi lecito e pienamente valido e, oltre a non essere nullo ai sensi dell’art. 1418 c.c., non incorre neppure nel divieto di cui all’art. 1344 c.c..

3. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta l’errata/omessa valutazione di elementi probatori e delle risultanze processuali, per avere la corte del merito omesso di tener conto della copiosa documentazione allegata agli atti processuali, dalla quale si evinceva la piena prova dei fatti da lui addotti in giudizio.

4. Il motivo, prima ancora che inammissibile per la sua assoluta genericità, va dichiarato assorbito in ragione del rigetto del primo, atteso che la tesi del ricorrente è infondata in diritto.

5. Parimenti assorbito dal rigetto del primo motivo è il terzo motivo di ricorso, con il quale si lamenta che la corte d’appello non abbia rilevato d’ufficio, ai sensi dell’art. 1421 c.c., la nullità del mutuo.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna (omissis), nella qualità di erede del ricorrente, al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 9.000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 28 febbraio 2023.

Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2023

Allegati

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