1. La Corte d’Appello di Bologna, decidendo sul gravame proposto dal signor Ol.An. in giudizio divorzile, per quanto di interesse – pur con parziale riforma della sentenza n. 421/2023 del Tribunale di Parma che ha statuito sull’assegno divorzile riconosciuto a seguito della cessazione del matrimonio fra le parti a favore della signora Gi.Mi. – ha confermato l’assegno divorzile a favore della medesima nella misura di Euro 350,00 mensili così come la quota del TFR attribuitale ai sensi dell’art. 12-bis L.n. 898/1970 .
2. La Corte felsinea, nel valutare i motivi del gravame proposto dall’Ol.An. ha preso atto delle circostanze di fatto valorizzate dal giudice di prime cure e, richiamati principi interpretativi dell’articolo 5, comma 6, L.n. 898 del 1970, ha ritenuto che le doglianze fossero infondate in relazione al riconoscimento dell’assegno divorzile a carico di Ol.An..
3. La Corte d’Appello ha considerato insussistente uno squilibrio tra i patrimoni delle parti riconducibile ai diversi ruoli assunti nell’organizzazione familiare argomentando che il contributo dato dalla Gi.Mi. alla formazione del patrimonio familiare e personale dell’Ol.An. era stato ampiamente compensato in sede di accordi separativi prevedenti l’assegnazione alla stessa del saldo del conto corrente Arancio e dell’ulteriore somma di Euro 85.250, oltre che di una parte dei beni immobili. Inoltre, la corte territoriale ha osservato che gli ex coniugi avevano venduto la casa familiare in comproprietà dividendo il corrispettivo ricavato.
4. Ciò che, tuttavia, giustifica, ad avviso della Corte d’Appello, il riconoscimento dell’assegno divorzile in funzione perequativa è il rilevato squilibrio tra i trattamenti pensionistici degli ex coniugi- Euro 1700,00 mensili la Gi.Mi. e ed Euro 2600,00 mensili l’Ol.An.- riconducibile al personale ed esclusivo ruolo svolto dalla Gi.Mi. nell’accudimento dei figli che aveva comportato la rinuncia per circa un ventennio allo svolgimento, quale impiegata dell’Ispettorato della Motorizzazione Civile, della ulteriore attività di esaminatrice che avrebbe comportato la percezione di un’indennità aggiuntiva quantificata in sede testimoniale in Euro 300/400 mensili.
5. Al contempo veniva osservato come Ol.An. aveva potuto mettere a frutto l’esperienza lavorativa maturata nel corso del matrimonio; egli, infatti, entrato nella società Ocme Srl come progettista meccanico, era diventato, dedicandosi a tempo pieno al suo lavoro, responsabile dei processi di informatizzazione dell’azienda anche all’estero, effettuando trasferte in Italia ed all’estero, assentandosi da casa per periodi di 10-15 giorni.
5.1. Aggiungeva la Corte territoriale che anche da pensionato Ol.An. percepiva redditi da contratti di collaborazione coordinata e continuativa.
6. In considerazione dei superiori rilievi la Corte distrettuale confermava, quindi, la sussistenza del presupposto dell’assegno perequativo che riteneva essere stato congruamente determinato nell’importo di Euro 350 mensili.
7. Ancora, la Corte d’Appello riteneva infondata la doglianza con la quale si censurava l’accertato diritto della Gi.Mi. alla quota del 40% della indennità di fine rapporto maturata da Ol.An. con conseguente condanna di quest’ultimo a corrispondere l’appellata alla somma di Euro 14.405,69 oltre interessi e rivalutazione dal dovuto al saldo in applicazione dell’art. 12 bis L.n. 898/1970.
8. Diversamente la Corte felsinea accoglieva il quarto motivo di appello argomentando che il riconosciuto diritto dell’ex coniuge ad una quota del TFR dell’altro coniuge ai sensi dell’articolo 12-bis della legge 898 del 1970 non ricomprendeva le somme accantonate in un fondo di previdenza complementare posto che detta disposizione riconosce al coniuge divorziato titolare di assegno divorzile la quota del 40% del TFR percepito alla cessazione del rapporto di lavoro mentre le somme oggetto del Fondo Cometa, vale a dire del fondo nazionale pensione complementare per i lavoratori dell’industria metalmeccanica, non sono riconosciute come liquidazione ma come pensione integrativa sussumibile nella previsione dell’articolo 2123 cod. civ. e non in quella dell’articolo 2120 cod. civ. al quale si riferisce il suddetto articolo 12-bis .
9. La cassazione della sentenza n. 196 /202 pubblicata il 16.5.2024 e notificata il 29 maggio 2024 è chiesta dall’Ol.An. con ricorso notificato il 26.7.2024 ed affidato a due motivi illustrati da memoria ex art. 380-bis 1. cod. proc. civ. cui resiste con controricorso Gi.Mi..
10. Con il primo motivo si deducono (in relazione all’art. 360, co. 1, n.3, cod. proc. civ.) due profili.
10.1. Il primo attiene all’errata applicazione del principio di diritto introdotto dalla sentenza della Sezioni Unite civili n. 18287/2018.La sentenza impugnata sarebbe incorsa in errata applicazione del principio di diritto ivi enunciato: dopo aver affermato che la ricorrente è già stata adeguatamente compensata per l’apporto dato alla vita matrimoniale con la propria dedizione al ménage domestico, e dopo aver accertato che le attribuzioni ricevute in sede di separazione avevano eliminato ogni possibile e significativo squilibrio, ha indebitamente duplicato uno degli aspetti di tale “sacrificio” – la rinuncia alla carriera lavorativa – per elevarlo a presupposto di ulteriore attribuzione, riconosciuta nonostante la constatata valenza delle attribuzioni già ricevute a colmare ogni profilo di squilibrio patrimoniale tra gli ex coniugi.
10.2. Il secondo profilo riguarda l’errata applicazione dell’art. 2729 cod.civ: il ricorrente evidenzia che la Corte territoriale ha errato nel ritenere provata la circostanza per cui l’attività di esaminatrice della Gi.Mi. avrebbe comportato la percezione di una indennità aggiuntiva, quantificata dalla testimone Gi.Ti., per il successivo periodo 2006-2019, in Euro 300/400 mensili (cfr. sentenza n. 1063/2024, p. 12/22), in quanto ha valorizzato la cd “perdita di occasioni lavorative” da parte della Gi.Mi., sulla base di una testimonianza e, quindi, presumendo un pregiudizio patrimoniale privo di riscontro documentale.
11. Il motivo è infondato con riguardo ad entrambi i profili.
12. Con riguardo al primo profilo la decisione è conforme ai principi di diritto elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in materia di riconoscimento dell’assegno divorzile.
12.1. È stato chiarito che “il diritto all’assegno di divorzio non sorge ove, all’esito dello scioglimento della comunione legale dei beni, la posizione economico patrimoniale e reddituale dei due ex coniugi risulti sostanzialmente paritaria.” (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 27536 del 2024) e che “l’assegno divorzile, avendo una funzione compensativo-perequativa, va adeguato all’apporto fornito dal coniuge richiedente che, pur in mancanza di prova della rinuncia a realistiche occasioni professionali-reddituali, dimostri di aver contribuito in maniera significativa alla vita familiare, facendosi carico in via esclusiva o preminente della cura e dell’assistenza della famiglia e dei figli, anche mettendo a disposizione, sotto qualsiasi forma, proprie risorse economiche, come il rilascio di garanzie, o proprie risorse personali e sociali, al fine di soddisfare i bisogni della famiglia e di sostenere la formazione del patrimonio familiare e personale dell’altro coniuge, restando di conseguenza assorbito l’eventuale profilo prettamente assistenziale” (Cass.24795/2024).
12.2. La Corte d’Appello ha correttamente applicato detti principi procedendo, peraltro, ad accertare, ai fini del riconoscimento dell’assegno in funzione perequativa-compensativa, l’esistenza al momento del divorzio di uno squilibrio economico tra gli ex coniugi riconducibile proprio all’organizzazione familiare durante la vita in comune, ponendo rimedio, in presenza di tali presupposti, agli effetti derivanti dalla rigorosa applicazione del principio di autoresponsabilità.
12.3. E ciò, nonostante, l’improprio riferimento contenuto nella sentenza impugnata agli accordi intervenuti fra le parti in sede di separazione i quali, invece, non rilevano, alla luce della sopra richiamata giurisprudenza, dovendosi effettuare l’accertamento con riferimento al momento del divorzio. La motivazione della sentenza va, dunque, corretta sul punto perché detti accordi fanno chiaro riferimento non alla compensazione del contributo dato dalla Gi.Mi. alla formazione del patrimonio familiare ma attengono alla suddivisione del patrimonio comune esistente in quel momento, senza alcun elemento che giustifichi una loro rilevanza ai fini del riconoscimento dell’assegno divorzile e delle sue funzioni.
13. Anche il secondo profilo è infondato.
13.1. Infatti la Corte d’Appello ha ritenuto la perdita dell’indennità aggiuntiva sulla base della complessiva e coerente ricostruzione dell’organizzazione familiare procedendo alla valutazione di tutti gli elementi probatori emersi e raccolti in giudizio senza che, in proposito, il ricorrente abbia indicato elementi contrari che giustifichino la critica qui formulata.
14. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile per difetto di specificità. Come rilevato dalla controricorrente e non contestato dal ricorrente non vi è stato omesso esame di fatto dedotto ma statuizione di rigetto per irrilevanza della richiesta svolta dal ricorrente all’udienza del 30.1.2024, irrilevanza ai fini della decisione con la quale, peraltro, lo stesso non si confronta, limitandosi a riformulare la richiesta sotto la veste di omesso esame di fatto che neppure illustra rispetto alla necessaria decisività.
15. Il ricorso va, quindi, respinto.
16. In applicazione del principio di soccombenza, il ricorrente è condannato alla rifusione delle spese di lite a favore della controricorrente nella misura liquidata in dispositivo.
17. Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di lite a favore della controricorrente che liquida in Euro 2400,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13 .
In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalità e gli altri elementi identificativi a norma dell’art.52, comma 2, D.Lgs. 196/2003.
Così deciso in Roma, il 18 giugno 2025.
Depositato in Cancelleria l’ 8 settembre 2025.
