– la Corte di appello ha riferito che il giudice di prime cure ha respinto le domande attoree escludendo la dedotta usurarietà dei tassi di interesse applicati ed evidenziando che l’erronea indicazione del TAEG/ISC non costituiva causa di nullità dei contratti dedotti in giudizio;
– ha, quindi, disatteso il gravame confermando, in particolare, che i tassi pattuiti erano coerenti con le soglie previste dalla disciplina di settore, anche in considerazione della irrilevanza a tal fine della commissione di estinzione anticipata, e che l’erronea indicazione del TAEG/ISC non dava luogo alla nullità dei contratti, rappresentando un mero inadempimento o violazione precontrattuale in relazione alla quale non era stato allegato alcun danno;
– il ricorso è affidato a cinque motivi;
– resiste con controricorso la Unicredit Spa, la quale spiega ricorso incidentale affidato a due motivi;
– avverso tale ricorso incidentale i ricorrenti principali non spiegano alcuna difesa;
– i ricorrenti in via principale depositano memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ.;
– con il primo motivo del ricorso principale si denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 1815 cod. civ., 644 cod. pen., 2 l. 7 marzo 1996, n. 108, e 1 d.l. 29 dicembre 2000, n. 394, conv. nella l. 28 febbraio 2001, n. 24, e del d.m. 22 marzo 2002, per aver la sentenza impugnata ritenuto che la commissione di estinzione anticipata e le spese non assumevano rilevanza ai fini della valutazione del superamento del tasso soglia previsto ai fini dell’individuazione dei tassi usurari;
– il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile;
– ai fini della verifica del rispetto del cd. tasso soglia previsto dalla disciplina antiusura non è possibile procedere alla sommatoria degli interessi con la commissione di estinzione anticipata del finanziamento, non costituendo quest’ultima una remunerazione, a favore della banca, dipendente dalla durata dell’effettiva utilizzazione del denaro da parte del cliente, trattandosi, invece, di un corrispettivo previsto per lo scioglimento anticipato degli impegni a quella connessi (cfr. Cass. 1 agosto 2022, n. 23866; Cass. 7 marzo 2022, n. 7352);
– correttamente, dunque, la Corte di appello ne ha escluso la appartenenza ai costi collegati all’erogazione del credito e, dunque, la sua rilevanza quale componente di uno degli elementi in comparazione;
– nella parte in cui lamenta la mancata considerazione delle spese in sede di verifica dell’usurarietà delle operazioni in esame, la doglianza si presenta priva di autosufficienza, oltre che della necessaria concludenza, difettando la puntuale indicazione della natura ed entità delle spese in esame, della loro allegazione nel corso del giudizio di merito e della prospettazione della relativa questione dinanzi al giudice di appello;
– con il secondo motivo i ricorrenti principali deducono la violazione o falsa applicazione delle medesime disposizioni normative indicate nel primo motivo, in relazione alla mancata corretta valutazione degli interessi di mora tra gli interessi applicati rilevanti ai fini della verifica del rispetto del cd. tasso soglia;
– si dolgono, in particolare, delle affermazioni della Corte di appello secondo la quale il tasso di mora, ai fini in esame, deve essere aumentato del 2,1% e le pattuizioni contrattuali non contemplano un effetto anatocistico;
– rilevano, sul punto, che i tassi moratori dei due contratti, benché pattuiti in misura inferiore rispetto ai rispettivi tassi soglia, valutati unitamente alle ulteriori spese pattuiti, determinerebbero il superamento di tali tassi soglie;
– il motivo è inammissibile;
– la censura richiama il precedente rappresentato da Cass., Sez. Un., 18 settembre 2020, n. 19597, riprodotta in parte, ma non chiarisce per quale ragione le statuizioni della Corte di appello si porrebbero in contrasto con i principi affermati in tale precedente;
– in ogni caso, può osservarsi che la Corte territoriale ha rilevato che i tassi corrispettivi e moratori pattuiti erano inferiori rispetto al tasso soglia previsto dai relativi decreti e ciò anche senza tener conto di alcuna maggiorazione riconoscibile a tale soglia per la mancata ricomprensione degli interessi moratori nell’ambito del Tasso effettivo globale medio (T.e.g.m.);
– la doglianza pecca, poi, di concludenza nella parte in cui lamenta la mancata valorizzazione delle ulteriori voci di costo collegate alle operazioni di finanziamento, mancando l’indicazione della loro allegazione nel corso del giudizio di merito, non evincibile dalla sentenza impugnata;
– generica è, infine, la censura nella parte in cui contesta la ritenuta esclusione dell’effetto anatocistico insito nelle pattuizioni negoziali, mancando l’illustrazione delle ragioni per cui la statuizione resa sul punto dalla Corte di appello non sarebbe corretta;
– con il terzo motivo i ricorrenti principali criticano la sentenza di appello per omesso esame di un fatto decisivo e controverso del giudizio, nella parte in cui non ha riprodotto l’art. 4 del contratto del 9 luglio 2012 e, conseguentemente, non ha disposto la sollecitata consulenza tecnica d’ufficio;
– con il quarto motivo prospettano analoga censura per vizio motivazionale in relazione alla errata valutazione del TAEG/ISC, cui sarebbe conseguita la erronea applicazione dell’art. 117 t.u.b.;
– i motivi, esaminabili congiuntamente, sono inammissibili;
– ricorrendo nella specie una ipotesi di cd. doppia conforme di cui all’art. 348-ter, quinto comma, cod. proc. civ., è onere del ricorrente, che impugni la sentenza di appello ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello onde dimostrare che esse sono tra loro diverse e che, dunque, non trova applicazione la regola preclusiva della censura per omesso esame di fatti decisivi e controversi (cfr. Cass. 28 febbraio 2023, n. 5947; Cass. 22 dicembre 2016, n. 26774);
– parte ricorrente non ha assolto siffatto onere, per cui opera la preclusione all’esame della censura prospettata derivante dalla richiamata disposizione normativa;
– con l’ultimo motivo si impugna la sentenza di appello “ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c. per violazione e falsa applicazione delle norme di diritto dell’art. 132 comma 3 n. 4 c.p.c. e delle norme sulla liquidazione giudiziale dei compensi a carico della parte soccombente ai sensi del D.M. Giustizia n. 10 marzo 2014, n. 55”;
– viene denunciata la mancata compensazione delle spese processuali e l’omessa indicazione dei criteri di liquidazione utilizzati;
– il motivo è inammissibile;
– il sindacato della Corte di cassazione in tema di spese processuali è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, per cui vi esula, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri giusti motivi (cfr. Cass. 17 ottobre 2017, n. 24502; Cass. 31 marzo 2017, n. 8421);
– quanto al vizio di omessa motivazione, prospettato in relazione alla mancata indicazione dei criteri di liquidazione, si osserva che in tema di liquidazione delle spese processuali ai sensi del d.m. n. 55 del 2014, l’esercizio del potere discrezionale del giudice, contenuto tra il minimo e il massimo dei parametri previsti, non è soggetto al controllo di legittimità, attenendo pur sempre a parametri indicati tabellarmente, mentre la motivazione è doverosa allorquando il giudice decida di aumentare o diminuire ulteriormente gli importi da riconoscere, essendo in tal caso necessario che siano controllabili le ragioni che giustificano lo scostamento e la misura di esso (cfr. Cass. 5 maggio 2022, n. 14198; Cass. 7 gennaio 2021, n. 89; Cass. 31 gennaio 2017, n. 2386);
– poiché nel caso in esame non viene prospettato lo scostamento dai limiti minimi e massimi indicati nei parametri di riferimento, l’assenza di motivazione del giudice di merito non è sindacabile in questa sede sotto il denunciato profilo della carenza di motivazione;
– pertanto, per le indicate considerazioni, il ricorso principale non può essere accolto e, conseguentemente, va dichiarato assorbito il ricorso incidentale, da ritenersi condizionato pur in assenza di una esplicitazione dichiarazione in tal senso, stante il tenore del suo contenuto improntato alla riproposizione di “eccezioni pregiudiziali” non esaminate dal giudice di appello;
– le spese processuali seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
Così deciso in Roma il 18 giugno 2024.
Depositata in Cancelleria l’8 luglio 2024.
