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Cassazione civile sez. I, 08/07/2024, n.18497

Massima

Ai fini della verifica del rispetto del cd. tasso soglia previsto dalla disciplina antiusura non è possibile procedere alla sommatoria degli interessi con la commissione di estinzione anticipata del finanziamento, non costituendo quest’ultima una remunerazione, a favore della banca, dipendente dalla durata dell’effettiva utilizzazione del denaro da parte del cliente, trattandosi, invece, di un corrispettivo previsto per lo scioglimento anticipato degli impegni a quella connessi. 

Supporto alla lettura

ESTINZIONE ANTICIPATA FINANZIAMENTO

L’estinzione anticipata del finanziamento è il diritto concesso ai consumatori (indicato anche nel contratto bancario e nella documentazione che contiene tutte le informazioni in merito alle c.d. modalità di estinzione) di estinguere il debito con banche o agenzie di credito prima della scadenza del contratto. Sarà quindi necessario restituire il debito residuo del finanziamento, cioè la parte del debito non ancora coperto; un importo che viene calcolato tenendo conto dei tassi di interesse maturati fino a quel momento.

Per i prestiti personali e cessioni del quinto, l’estinzione anticipata può essere richiesta in qualsiasi momento (è libera da vincoli). Questa operazione è vantaggiosa se realizzata entro pochissimi anni dall’inizio del contratto.

Una volta deciso di estinguere in anticipo il finanziamento, è necessario richiedere alla banca il conteggio estintivo, cioè un documento bancario che tiene traccia dei versamenti effettuati fino a quel momento, e dell’importo residuo ancora da versare. A partire dal conteggio estintivo sarà possibile quindi conoscere l’importo residuo da rimborsare alla banca, in particolare, il calcolo dell’estinzione anticipata del finanziamento prevede che a quell’importo vengano detratti tutti i costi “recurring”:

  • spese di incasso rata;
  • costi di intermediazione;
  • quota assicurativa;
  • spese di gestione;
  • costi legati alla durata del prestito.

Con una sentenza della Corte di Giustizia Europea (c.d. sentenza Lexitor), si è aperto alla possibilità di un rimborso che include anche i costi “up front” del finanziamento, cioè i costi una tantum (es. spese di istruttoria e quelle di apertura pratica).

Trattandosi a tutti gli effetti di un recesso, è previsto il pagamento di una penale per l’estinzione anticipata:

  • mutui bancari: non è prevista una penale di recesso (Decreto Bersani 40/2007) per mutui sottoscritti da soggetti privati per l’acquisto o la ristrutturazione di un immobile;
  • credito al consumo: è prevista una penale che per legge (riforma del credito del 2013) non può superare l’1% del debito residuo se il contratto viene chiuso più di anno prima della scadenza del finanziamento, lo 0,5% se invece manca meno di 1 anno alla scadenza. In ogni caso va tenuto conto della penale nel conteggio estintivo.

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto
RILEVATO CHE:
(omissis), in proprio e quali legali rappresentanti della Le 3 P di (omissis) e (omissis), nonché (omissis) propongono ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna, depositata il 5 giugno 2020, di reiezione dell’appello per la riforma della sentenza del locale Tribunale che aveva respinto le loro domande di accertamento della nullità di due contratti di mutuo ipotecario stipulati con la (omissis) Spa il 17 luglio 2006 e il 9 luglio 2012, rispettivamente, da (omissis), nel cui rapporto era poi subentrata la predetta Le 3 P di (omissis) Snc, e da tale ultima società (in relazione ai quali (omissis) e (omissis) si erano costituiti terzi datori di ipoteca) e di condanna della banca alla restituzione degli interessi non dovuti e al risarcimento dei danni a titolo di danno morale conseguenti al reato di usura;

– la Corte di appello ha riferito che il giudice di prime cure ha respinto le domande attoree escludendo la dedotta usurarietà dei tassi di interesse applicati ed evidenziando che l’erronea indicazione del TAEG/ISC non costituiva causa di nullità dei contratti dedotti in giudizio;

– ha, quindi, disatteso il gravame confermando, in particolare, che i tassi pattuiti erano coerenti con le soglie previste dalla disciplina di settore, anche in considerazione della irrilevanza a tal fine della commissione di estinzione anticipata, e che l’erronea indicazione del TAEG/ISC non dava luogo alla nullità dei contratti, rappresentando un mero inadempimento o violazione precontrattuale in relazione alla quale non era stato allegato alcun danno;

– il ricorso è affidato a cinque motivi;

– resiste con controricorso la Unicredit Spa, la quale spiega ricorso incidentale affidato a due motivi;

– avverso tale ricorso incidentale i ricorrenti principali non spiegano alcuna difesa;

– i ricorrenti in via principale depositano memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ.;

Diritto
CONSIDERATO CHE:
– occorre premettere che la controricorrente deve reputarsi tuttora costituita a mezzo dei difensori avv. (omissis), ai sensi dell’art. 85 cod. proc. civ., dal momento che essi non risultano validamente sostituiti dall’avv. (omissis), costituitosi con memoria del 10 gennaio 2024, ma dotato di procura generale alle liti, in quanto tale inidonea al conferimento dello jus postulandi in sede di legittimità, stante il precetto dell’art. 365 cod. proc. civ.;

– con il primo motivo del ricorso principale si denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 1815 cod. civ., 644 cod. pen., 2 l. 7 marzo 1996, n. 108, e 1 d.l. 29 dicembre 2000, n. 394, conv. nella l. 28 febbraio 2001, n. 24, e del d.m. 22 marzo 2002, per aver la sentenza impugnata ritenuto che la commissione di estinzione anticipata e le spese non assumevano rilevanza ai fini della valutazione del superamento del tasso soglia previsto ai fini dell’individuazione dei tassi usurari;

– il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile;

– ai fini della verifica del rispetto del cd. tasso soglia previsto dalla disciplina antiusura non è possibile procedere alla sommatoria degli interessi con la commissione di estinzione anticipata del finanziamento, non costituendo quest’ultima una remunerazione, a favore della banca, dipendente dalla durata dell’effettiva utilizzazione del denaro da parte del cliente, trattandosi, invece, di un corrispettivo previsto per lo scioglimento anticipato degli impegni a quella connessi (cfr. Cass. 1 agosto 2022, n. 23866; Cass. 7 marzo 2022, n. 7352);

– correttamente, dunque, la Corte di appello ne ha escluso la appartenenza ai costi collegati all’erogazione del credito e, dunque, la sua rilevanza quale componente di uno degli elementi in comparazione;

– nella parte in cui lamenta la mancata considerazione delle spese in sede di verifica dell’usurarietà delle operazioni in esame, la doglianza si presenta priva di autosufficienza, oltre che della necessaria concludenza, difettando la puntuale indicazione della natura ed entità delle spese in esame, della loro allegazione nel corso del giudizio di merito e della prospettazione della relativa questione dinanzi al giudice di appello;

– con il secondo motivo i ricorrenti principali deducono la violazione o falsa applicazione delle medesime disposizioni normative indicate nel primo motivo, in relazione alla mancata corretta valutazione degli interessi di mora tra gli interessi applicati rilevanti ai fini della verifica del rispetto del cd. tasso soglia;

– si dolgono, in particolare, delle affermazioni della Corte di appello secondo la quale il tasso di mora, ai fini in esame, deve essere aumentato del 2,1% e le pattuizioni contrattuali non contemplano un effetto anatocistico;

– rilevano, sul punto, che i tassi moratori dei due contratti, benché pattuiti in misura inferiore rispetto ai rispettivi tassi soglia, valutati unitamente alle ulteriori spese pattuiti, determinerebbero il superamento di tali tassi soglie;

– il motivo è inammissibile;

– la censura richiama il precedente rappresentato da Cass., Sez. Un., 18 settembre 2020, n. 19597, riprodotta in parte, ma non chiarisce per quale ragione le statuizioni della Corte di appello si porrebbero in contrasto con i principi affermati in tale precedente;

– in ogni caso, può osservarsi che la Corte territoriale ha rilevato che i tassi corrispettivi e moratori pattuiti erano inferiori rispetto al tasso soglia previsto dai relativi decreti e ciò anche senza tener conto di alcuna maggiorazione riconoscibile a tale soglia per la mancata ricomprensione degli interessi moratori nell’ambito del Tasso effettivo globale medio (T.e.g.m.);

– la doglianza pecca, poi, di concludenza nella parte in cui lamenta la mancata valorizzazione delle ulteriori voci di costo collegate alle operazioni di finanziamento, mancando l’indicazione della loro allegazione nel corso del giudizio di merito, non evincibile dalla sentenza impugnata;

– generica è, infine, la censura nella parte in cui contesta la ritenuta esclusione dell’effetto anatocistico insito nelle pattuizioni negoziali, mancando l’illustrazione delle ragioni per cui la statuizione resa sul punto dalla Corte di appello non sarebbe corretta;

– con il terzo motivo i ricorrenti principali criticano la sentenza di appello per omesso esame di un fatto decisivo e controverso del giudizio, nella parte in cui non ha riprodotto l’art. 4 del contratto del 9 luglio 2012 e, conseguentemente, non ha disposto la sollecitata consulenza tecnica d’ufficio;

– con il quarto motivo prospettano analoga censura per vizio motivazionale in relazione alla errata valutazione del TAEG/ISC, cui sarebbe conseguita la erronea applicazione dell’art. 117 t.u.b.;

– i motivi, esaminabili congiuntamente, sono inammissibili;

– ricorrendo nella specie una ipotesi di cd. doppia conforme di cui all’art. 348-ter, quinto comma, cod. proc. civ., è onere del ricorrente, che impugni la sentenza di appello ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello onde dimostrare che esse sono tra loro diverse e che, dunque, non trova applicazione la regola preclusiva della censura per omesso esame di fatti decisivi e controversi (cfr. Cass. 28 febbraio 2023, n. 5947; Cass. 22 dicembre 2016, n. 26774);

– parte ricorrente non ha assolto siffatto onere, per cui opera la preclusione all’esame della censura prospettata derivante dalla richiamata disposizione normativa;

– con l’ultimo motivo si impugna la sentenza di appello “ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c. per violazione e falsa applicazione delle norme di diritto dell’art. 132 comma 3 n. 4 c.p.c. e delle norme sulla liquidazione giudiziale dei compensi a carico della parte soccombente ai sensi del D.M. Giustizia n. 10 marzo 2014, n. 55”;

– viene denunciata la mancata compensazione delle spese processuali e l’omessa indicazione dei criteri di liquidazione utilizzati;

– il motivo è inammissibile;

– il sindacato della Corte di cassazione in tema di spese processuali è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, per cui vi esula, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri giusti motivi (cfr. Cass. 17 ottobre 2017, n. 24502; Cass. 31 marzo 2017, n. 8421);

– quanto al vizio di omessa motivazione, prospettato in relazione alla mancata indicazione dei criteri di liquidazione, si osserva che in tema di liquidazione delle spese processuali ai sensi del d.m. n. 55 del 2014, l’esercizio del potere discrezionale del giudice, contenuto tra il minimo e il massimo dei parametri previsti, non è soggetto al controllo di legittimità, attenendo pur sempre a parametri indicati tabellarmente, mentre la motivazione è doverosa allorquando il giudice decida di aumentare o diminuire ulteriormente gli importi da riconoscere, essendo in tal caso necessario che siano controllabili le ragioni che giustificano lo scostamento e la misura di esso (cfr. Cass. 5 maggio 2022, n. 14198; Cass. 7 gennaio 2021, n. 89; Cass. 31 gennaio 2017, n. 2386);

– poiché nel caso in esame non viene prospettato lo scostamento dai limiti minimi e massimi indicati nei parametri di riferimento, l’assenza di motivazione del giudice di merito non è sindacabile in questa sede sotto il denunciato profilo della carenza di motivazione;

– pertanto, per le indicate considerazioni, il ricorso principale non può essere accolto e, conseguentemente, va dichiarato assorbito il ricorso incidentale, da ritenersi condizionato pur in assenza di una esplicitazione dichiarazione in tal senso, stante il tenore del suo contenuto improntato alla riproposizione di “eccezioni pregiudiziali” non esaminate dal giudice di appello;

– le spese processuali seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito quello incidentale; condanna parte ricorrente principale alla rifusione delle spese di giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 7.000,00, oltre rimborso forfettario nella misura del 15%, Euro 200,00 per esborsi e accessori di legge.Ai sensi dell’art. 13, comma 1 – quater, t.u. spese giust., dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti principali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma il 18 giugno 2024.

Depositata in Cancelleria l’8 luglio 2024.

Allegati

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