Massima

In sede di gravame, il giudice d’appello, in virtù dell’effetto devolutivo (Art. 342 c.p.c.), può riesaminare l’intera questione controversa e fondare la decisione su ragioni diverse da quelle espressamente dedotte dall’appellante, purché in diretta connessione logica e giuridica con il thema decidendum devoluto, senza incorrere in violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (Art. 112 c.p.c.). La censura di reviviscenza automatica dell’atto sostituito (successivamente all’annullamento dell’atto sostitutivo) è inammissibile se si traduce in una mera contrapposizione interpretativa e non attinge la ratio decidendi fondata sulla mancanza della prova documentale.

Supporto alla lettura

TERMINI PER LE IMPUGNAZIONI

Gli artt. 325 e ss. c.p.c. disciplinano i termini per proporre impugnazione, decorsi i quali la sentenza passa in giudicato.

Esistono due tipologie di termini:

  • termine breve: se si tratta di regolamento di competenza, appello, revocazione e opposizione di terzo sarà di 30 giorni; se si tratta di ricorso in cassazione sarà di 60 giorni. Il momento in cui il termine breve inizia a decorrere può essere individuato in tre distinte situazioni, che possono essere o la notificazione della sentenza, o la conoscenza di un certo fatto, o la comunicazione della sentenza, ma generalmente si fanno partire dal momento in cui viene notificata la sentenza (sia per il notificante che per il notificato). Per quanto riguarda, invece, le impugnazioni straordinarie (tranne per l’opposizione di terzo ordinaria per cui non è previsto alcun termine), i termini decorrono dal momento in cui è scoperto il vizio occulto della sentenza; mentre per il regolamento di competenza decorrono dal momento in cui viene comunicato il provvedimento.
  • termine lungo: indipendentemente dalla notificazione, i mezzi di impugnazione quali l’appello, il ricorso per cassazione e la revocazione derivante dal fatto che la sentenza è frutto di un errore di fatto risultante dagli atti o dai documenti della causa, o è contraria ad altra precedente avente tra le parti autorità di cosa giudicata, non possono essere proposti se non sono decorsi 6 mesi dalla sentenza. Ciò però non si applica qualora la parte sia rimasta contumace dimostrando di non aver avuto conoscenza del processo per nullità della citazione o della notificazione di essa, e per nullità della notificazione degli atti per i quali essa è prevista.

I termini possono essere interrotti quando la parte o il suo procuratore muoiano o perdano la capacità di stare in giudizio, in questi casi il termine breve riprenderà a decorrere dal giorno in cui la notificazione è rinnovata nei confronti degli eredi (impersonalmente o collettivamente nell’ultimo domicilio del defunto); il termine lungo, invece, se l’evento è sopravvenuto dopo sei mesi dalla pubblicazione della sentenza, sarà ulteriormente prorogato di 6 mesi dal giorno dell’evento e per tutte le parti (attualmente detto termine risulta inoperante).

Il potere di impugnare si perde anche per acquiescenza: consiste in un’accettazione espressa del provvedimento o nel compimento di atti incompatibili con la volontà di impugnare.

Ambito oggettivo di applicazione

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Consorzio Interprovinciale del Territorio dei Trulli e delle Grotte (di seguito, Consorzio) impugnava davanti al TAR Lecce la delibera n. 189/2007 e la determinazione n. 775/2007, con le quali, rispettivamente, la Giunta Comunale di Francavilla Fontana e il Responsabile del Servizio avevano determinato di corrispondere al Consorzio solo il contributo consortile per l’anno 1991 (nella misura di Lire 100/ab) in base alla popolazione accertata alla data del 31/12/1990 per un importo complessivo di Euro 1.883,47, determinato secondo le originarie previsioni dell’art. 6 dello Statuto.

Nel corso del giudizio, a fronte dell’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dal Comune, il Consorzio proponeva regolamento preventivo di giurisdizione, all’esito del quale questa Corte dichiarava la giurisdizione del Giudice ordinario (Cass., Sez. U, Ordinanza n. 26972 del 22/12/2009).

Il Consorzio riassumeva il giudizio davanti al Tribunale di Brindisi, chiedendo la condanna del Comune in via principale al pagamento della somma di Euro 67.075,00, quale quota di partecipazione alle perdite del Consorzio, risultante dalla delibera n. 1/2007, e in via gradata al pagamento di altri importi, quali contributi consortili dovuti a decorrere dal 1991, da determinare nella misura di Lire 500/ab ovvero, in ulteriore subordine, nella misura di Lire 100/ab.

Il Tribunale, nel contraddittorio delle parti, disposta CTU, fissava udienza di precisazione delle conclusioni, ove il Consorzio richiedeva solo il pagamento delle somme dovute a titolo di contributi consortili.

Con sentenza n. 1643/2016, il Tribunale di Brindisi condannava il Comune al pagamento in favore del Consorzio della somma di Euro 188.868,22, oltre interessi.

Avverso tale decisione proponeva impugnazione il Comune, che, nel contraddittorio delle parti, veniva accolta parzialmente, con condanna del Comune al pagamento della minor somma di Euro 29.352,16 oltre interessi.

La Corte d’Appello riteneva che il contributo consortile previsto dall’art. 6 dello Statuto avesse la natura di finanziamento dell’attività consortile, e non di corrispettivo per le prestazioni erogate, spettante anche a seguito della messa in liquidazione del Consorzio, in quanto ancorato alla mera sussistenza in capo all’obbligato della qualità di “Comune consorziato”, non condividendo, però, la decisione del primo Giudice, nella parte in cui aveva affermato di poter tenere conto, ai fini della quantificazione del contributo, della delibera n. 9/82, che aveva aumentato il contributo, innalzandolo da Lire 100/ab a Lire 500/ab, anche se non prodotta in giudizio.

La Corte d’Appello precisava che il Tribunale aveva dato rilievo al fatto che il Comune aveva fatto riferimento a tale delibera in un ricorso al Giudice amministrativo del 12/02/1991, ritenendo che tale condotta non integrasse una confessione stragiudiziale in ordine all’esistenza e al contenuto della delibera stessa, senza considerare che la questione posta dal Comune, nel presente giudizio, non era quella dell’esistenza in fatto della delibera n. 9/82, ma della sua valenza, in conseguenza della sua rimozione con la successiva delibera n. 98/82, che aveva cambiato il criterio di determinazione del contributo consortile, seppure successivamente annullata in sede giurisdizionale con la sentenza del TAR Puglia, Bari, n. 507/1985, passata in giudicato, in un giudizio vertente tra il Consorzio e un altro Comune consorziato.

In particolare, ad opinione della Corte d’Appello, il Consorzio aveva espresso la chiara volontà di rimuovere la delibera n. 9/82 con l’adozione della successiva delibera n. 98/82, poi annullata in sede giurisdizionale, aggiungendo che la mancata produzione in giudizio di tali delibere non consentiva alcuna ulteriore valutazione sulla eventuale possibile reviviscenza della delibera 9/82 e del rapporto tra dette delibere.

Avverso tale statuizione ha proposto ricorso per cassazione il Consorzio, affidato a tre motivi di censura.

L’intimato non si è difeso con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la falsa e mancata applicazione dell’art. 2735 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., nella parte in cui la Corte d’Appello ha affermato che la mancata acquisizione delle due delibere sopra menzionate, indipendentemente dal fatto storico della loro adozione, non consentiva di meglio apprezzare le valutazioni che avevano portato all’adozione della delibera n. 98/82, poi annullata in sede giurisdizionale, che ha sostituito la delibera n. 9/82, riguardanti entrambi la determinazione del contributo consortile, così escludendo ogni rilievo alla dedotta confessione stragiudiziale, derivante dal fatto che lo stesso Comune aveva richiamato in altro giudizio la delibera n. 9/82, che aveva innalzato il criterio di determinazione del contributo consortile.

Con il secondo motivo di ricorso sono formulate tre distinte censure.

In primo luogo, è dedotta la mancata applicazione dell’art. 342 c.p.c., in violazione dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per non avere la Corte d’Appello rilevato che l’impugnazione era incardinata sulla circostanza data dall’intervenuto annullamento in sede giurisdizionale della delibera n. 98/82 e sul falso presupposto che era stata tale delibera (e non la delibera n. 9/82) a disporre la modifica statutaria dell’aumento del contributo consortile da Lire 100/ab a Lire 500/ab, offrendo profili di censura che non scalfivano la decisione di primo grado.

In secondo luogo, è dedotta la mancata applicazione dell’art. 112 c.p.c., in violazione dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per avere la Corte d’Appello ritenuto esistente un motivo di impugnazione che non era stato formulato, trasformando in un motivo di appello l’esposizione confusa ed erronea operata dal Comune, il quale aveva semplicemente affermato che il criterio di contribuzione nella misura di Lire 500/ab era stato eliminato per effetto dell’annullamento in sede giurisdizionale della delibera n. 98/82 e che l’esistenza della delibera 9/82 non poteva ritenersi provata, in mancanza della produzione della stessa, senza nulla argomentare sul rapporto tra l’annullamento in sede giurisdizionale della delibera n. 98/82 e la possibile reviviscenza della delibera n. 9/82.

In terzo luogo, è dedotta la mancata applicazione dell’art. 345 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per non avere la Corte d’Appello rilevato che il motivo di appello sopra descritto, ove ritenuto ammissibile, conteneva una prospettazione mai proposta nel giudizio di primo grado, ove il Comune si era difeso deducendo semplicemente che non poteva tenersi come riferimento per la determinazione del contributo consortile la delibera n. 9/82, in quanto non prodotta, sicché la questione relativa alle interferenze tra l’annullamento della delibera n. 98/82 e la reviviscenza della delibera n. 9/82 si presentava del tutto nuova.

Con il terzo motivo di ricorso è dedotta l’erronea applicazione dei principi in tema di annullamento giurisdizionale dei provvedimenti amministrativi, poiché non poteva porsi in dubbio che, a seguito dell’annullamento giurisdizionale della delibera n. 98/82, fosse tornata in vita la delibera n. 9/82.

 

2. Il primo e il terzo motivo di ricorso possono essere esaminati congiuntamente, tenuto conto della stretta connessione esistente tra le censure poste, rivelandosi entrambe inammissibili.

 

2.1. Il primo motivo di ricorso non attinge le ragioni fondanti la decisione del giudice di merito, così operando una censura non specifica e, come tale, inammissibile (Cass., Sez. 6-3, Ordinanza n. 19989 del 10/08/2017; v. anche Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 9450 del 09/04/2024).

 

2.1.1. Il giudice di merito, sulla quantificazione del contributo consortile in base alla delibera n. 9/82 ha statuito come segue: ” Ebbene, il primo giudice ha ritenuto che il criterio previsto da tale delibera possa essere utilizzato ai fini della quantificazione del contributo consortile dovuto dal Comune benché tale delibera non sia stata prodotta dal Consorzio, ritenendo che il riferimento alla stessa ed al suo contenuto, operato dal Comune nel ricorso del 12.2.1991 proposto innanzi al TAR per l’annullamento delle delibere consortili nn. 33 e 36 del 27.10.1990, rivesta l’efficacia probatoria di una confessione stragiudiziale circa la prova dell’esistenza di tale delibera. Senonché, così statuendo, il primo giudice ha omesso di considerare che la questione posta dal Comune convenuto con riferimento alla delibera n. 9/82 riguardava sì la sua inesistenza, ma non sotto il profilo della prova della sua esistenza riguardata in termini di acquisizione istruttoria, bensì della sua stessa esistenza nel mondo del diritto, in conseguenza della sua rimozione a seguito dell’adozione della successiva delibera n. 98/82 con cui era stato introdotto il diverso criterio di commisurazione dell’incidenza del contributo annuale sui singoli consorziati non più in ragione di un tot per numero di abitanti, ma in ragione delle (mutevoli) esigenze finanziarie del consorzio. Avendo l’appellante riproposto in questa sede tale questione, non decisa dal giudice di primo grado, ritiene la corte che la circostanza- pacifica – che tale seconda delibera sta stata successivamente annullata (con la già citata sentenza del TAR Bari n. 507/1985), non può ritenersi abbia determinato una automatica reviviscenza della delibera sostituita, dovendo ritenersi che l’adozione della seconda delibera, sia pure successivamente annullata, sia comunque apprezzabile come espressione della volontà dell’ente di rimuovere la delibera sostituita. Una più approfondita verifica dei rapporti fra le due delibere al fine di meglio apprezzare le valutazioni che portarono all’adozione della seconda delibera (annullata) ed alla rimozione della prima (revocata o sostituita dalla seconda), risulta, del resto preclusa dalla mancata acquisizione dei contenuti delle due delibere, indipendentemente dal fatto storico della loro adozione.”

 

2.1.2. Dalla lettura della sentenza impugnata si evince chiaramente che il Giudice di merito ha fondato la decisione, non sul fatto che il riferimento contenuto nel ricorso al Giudice amministrativo del 12/02/1991 non potesse costituire confessione stragiudiziale in ordine all’esistenza e al contenuto della delibera n. 9/82, nella parte relativa al metodo di computo del contributo consortile – che non era contestata, come non era contestato che il Consorzio avesse sostituito tale delibera con la delibera n. 98/82, poi annullata in sede giurisdizionale -, ma sul fatto che la delibera n. 9/82 non potesse essere validamente utilizzata per determinare il contributo consortile, perché la successiva adozione della delibera n. 98/82, anche se poi annullata, dimostrava la volontà di rimuovere quella precedente e, in assenza della produzione delle stesse, non poteva farsi alcuna ulteriore valutazione sul rapporto tra le due delibere.

Il fatto dell’adozione della menzionata delibera n. 9/82 e del suo contenuto, riferito all’aumento del criterio di quantificazione del contributo divorzile da Lire 100/ab a Lire 500/ab, è stato, dunque, dalla Corte d’Appello ritenuto acquisito al processo, ma, accanto ad esso, la stessa Corte ha ritenuto acquisito anche il fatto della successiva adozione della delibera n. 98/82, che l’ha sostituita, anche se poi è stata annullata in sede giurisdizionale, sicché, valutando tali fatti, la Corte distrettuale è pervenuta alle conclusioni sopra riportate.

 

2.2. Anche il terzo motivo di ricorso è inammissibile.

 

2.2.1. Il ricorrente ha dedotto che la Corte di merito: “avrebbe ben potuto riconoscere che non solo la reviviscenza della delibera n. 9/82 era possibile, ma che era, assolutamente, necessaria, a seguito dell’annullamento della delibera n. 98/82 e della delibera n. 33/90. Ed invero, risultava pacifico che la modifica all’art. 6 dello Statuto, introdotta dalla delibera n. 9/82, non era stata, in sé, oggetto di ripensamento da parte del Consorzio mediante l’adozione della delibera n. 98/82, tanto da far ritenere la necessità dell’esercizio, da parte del Consorzio, di un nuovo potere determinativo della misura del contributo da parte dei Comuni, una volta intervenuto l’annullamento di tale delibera. Più semplicemente, come si è visto, la delibera n. 98/82 introduceva (illegittimamente) un criterio contributivo radicalmente, sostitutivo di quello previsto dalla Statuto… Sicché una volta accertata l’illegittimità di detta modifica in mancanza di una uniforme volontà dei partecipanti al Consorzio (questo era il principio espresso dalla sentenza del TAR Bari n. 507/85), la reviviscenza dell’originario criterio contributivo diveniva un fatto necessario per garantire l’autofinanziamento del Consorzio: in tal senso, pertanto, non può assumere rilievo la considerazione svolta dalla Corte territoriale in ordine alla possibile non automaticità della reviviscenza della delibera n. 9/82 a seguito dell’annullamento giurisdizionale della delibera n. 98/82. Ed allora, considerato che il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 1037/2005, aveva annullato la delibera n. 33/1990 per le medesime considerazioni per le quali il TAR Bari, con sentenza n. 507/1985, aveva annullato, su ricorso di altro Comune, la delibera n. 98/1982 -come si legge nella sentenza del Consiglio di Stato, perché non era stata seguita la stessa procedura prevista per la costituzione del Consorzio- doveva, necessariamente, ritenersi ripristinata la disciplina riguardante il finanziamento del Consorzio che non risultava incisa, neanche indirettamente, dall’annullamento giurisdizionale: vale a dire la disciplina introdotta dalla delibera n. 9/82 che prevedeva un onere contributivo a carico dei Comuni nella misura pari a f. 500/ab, del tutto coerente con i principi statutari ispiratori e, in ogni caso, mai contestata da nessun consorziato.”

 

2.2.2. Il Consorzio, con il motivo di ricorso richiamato, ha semplicemente contrapposto la propria interpretazione degli atti di causa a quella operata dal Giudice di merito, chiedendo inammissibilmente a questa Corte di aderire a tale diversa valutazione sulla base di un diverso giudizio che attiene al merito della decisione.

 

3. Il secondo motivo di ricorso è in parte infondato e in parte inammissibile.

 

3.1. Con riferimento alla ritenuta violazione dell’art. 342 c.p.c., la censura si rivela inammissibile, poiché, dalla stessa formulazione del motivo di doglianza si evince chiaramente che il Consorzio non ha dedotto la mancanza di specifici motivi di appello, secondo il disposto dell’art. 342, comma 1, n. 2), c.p.c., ma la presenza di censure ritenute errate, perché fondate su una non corretta lettura delle risultanze di causa.

 

3.2. Il motivo di doglianza è infondato nella parte in cui è dedotta la violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere il Giudice d’appello trasformato una esposizione confusa ed errata dei fatti da parte del Comune in un motivo di appello che il Comune non aveva affatto proposto.

Com’è noto, questa Corte ha più volte precisato che l’effetto devolutivo preclude al giudice d’appello esclusivamente di estendere le sue statuizioni a punti non ricompresi, neanche implicitamente, nel tema esposto nei motivi d’impugnazione, mentre non impedisce che la decisione si fondi su ragioni che, pur non specificamente fatte valere dall’appellante, siano tuttavia in rapporto di diretta connessione con quelle espressamente dedotte, costituendone necessario antecedente logico e giuridico, poiché, in appello, il giudice può riesaminare l’intera vicenda nel complesso dei suoi aspetti, pur senza coinvolgere punti decisivi della statuizione impugnata suscettibili di giudicato interno, in assenza di contestazione, decidendo anche in base a ragioni diverse da quelle svolte nei motivi di gravame (Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 30129 del 22/11/2024; Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 9202 del 13/04/2018; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 2973 del 10/02/2006).

D’altronde, il giudicato interno non si determina sul fatto ma su una statuizione minima della sentenza, costituita dalla sequenza rappresentata da fatto, norma ed effetto, suscettibile di acquisire autonoma efficacia decisoria nell’ambito della controversia, sicché l’appello motivato con riguardo ad uno soltanto degli elementi di quella statuizione riapre la cognizione sull’intera questione che essa identifica, così espandendo nuovamente il potere del giudice di riconsiderarla e riqualificarla anche relativamente agli aspetti che, sebbene ad essa coessenziali, non siano stati singolarmente coinvolti, neppure in via implicita, dal motivo di gravame (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 30728 del 19/10/2022).

Nella specie, dalle stesse allegazioni contenute nel ricorso per cassazione si evince chiaramente che l’appello del Comune ha riguardato la statuizione del Tribunale, nella parte in cui ha ritenuto applicabile il criterio di computo del contributo consortile dovuto dal Comune, determinato in Lire 500/ab, invece che di Lire 100/ab, sulla base di argomenti che il Consorzio, costituendosi nel giudizio di gravame, ha ritenuto fondati su una errata lettura delle risultanze di causa, cui ha contrapposto la propria (pp. 26-29 del ricorso per cassazione).

La Corte d’Appello ha, poi, statuito sulla materia del contendere, ritenendo applicabile il criterio di determinazione del contributo consortile in Lire 100/ab, sulla base di proprie valutazioni, da ritenersi consentite per i motivi appena evidenziati, in perfetta corrispondenza a quanto ad essa devoluto.

 

3.3. La doglianza riferita alla novità del motivo di appello sul criterio di determinazione del contributo consortile, in asserita violazione dell’art. 345 c.p.c., è inammissibile per difetto di specificità, non avendo il ricorrente specificato quali fossero le domande o eccezioni non rilevabili d’ufficio proposte per la prima volta in appello, nonostante il divieto imposto dalla norma sopra menzionata, tenuto conto che dalla stessa lettura della censura si evince che la doglianza attiene a questioni inerenti la valutazione di risultanze già acquisite al processo in ragione delle reciproche allegazioni delle parti (cfr. Cass., Sez. 2, Sentenza n. 17216 del 18/08/2020).

 

4. In conclusione il ricorso deve essere respinto.

 

5. Nessuna statuizione sulle spese deve essere adottata non essendosi l’intimato difeso con controricorso.

 

6. In applicazione dell’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto per l’impugnazione proposta, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso;

dà atto, in applicazione dell’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto per l’impugnazione proposta, se dovuto.

 

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 15 aprile 2025.

 

Depositata in Cancelleria il 7 agosto 2025.

Allegati

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